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Autore: Urheber des Bosen    23/10/2015    1 recensioni
Era malato.
Non c'era modo di addolcire la medicina.
L'odio colmava ciò che l'amore si rifiutava di vedere. Bello, era il demonio che attraverso quegl'occhi gli sorrideva.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Germania/Ludwig, Prussia/Gilbert Beilschmidt
Note: AU | Avvertimenti: Incest, Tematiche delicate
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Aveva iniziato a bere a quattordici anni. All’inizio non gli era piaciuto. Ad ogni sorso sentiva che il suo corpo,non sopportando l’alcol,avrebbe voluto vomitare. Con il tempo lui ed il suo corpo si erano abituati. Il suo incoscio gliel’aveva imposto, forse perché consapevole della sua debolezza.
Beveva con gli amici, per gioco;con le ragazze, per sciogliersi; solo, per sopravvivere.
Nel non riuscire a mettere a fuoco la realtà si sentiva protetto, era tutto finto. Avrebbe potuto sveglirsi, almeno così credeva.
Ora era al solito dar, uno vicino al suo palazzo. Era talmente economico da permettere ai clienti di dimenticare quanto fosse brutto. Non che facesse molta differenza, la maggior parte delle persone chiuse in quella stanza non avevano la minima intenzione di soffermarsi sul luogo, troppo presi a dimenticare.
Erano vogliosi di scordare la loro indole, il loro passato e soprattutto il loro presente. Quella stanza gialla, con tre sgabelli ed un barista troppo caritatevole era la loro testa.
Vuota e sporca.
Rideva il giovane con i capelli bianchi. Solo, appoggiato al bancone con un cicchetto d’assenzio, si prendeva gioco di se stesso .Fece un sorso ed il liquido verde gli corrose la gola.
Il volto gli si contrasse, gli serviva una sigaretta.
Nel momento in cui sentì il fumo entrargli in circolo, si sentì sollevato. L’assenzio era un buon compagno, certo un po’ violento, ma faceva spendere poco per come ti riduceva.
Ovviamente Ash, il barista, avrebbe potuto comprare alcol meno scadente e pisciato. Ma si sa, i pachistani sono tirchi, almeno così pensava Gilbert.
Assaporando la sigaretta, ricordò la prima volta che entrò in quel lurido posto. Era da poco arrivato nella grande città, non conosceva nessuno, non era neanche sicuro di conoscer bene la lingua. Fece la cosa che gli riusciva meglio, almeno così credeva. Il fumatore ghignò al ricordo della sua ingenuità, era successo solo quattro anni fa, ma si rivide così sprovveduto.
Ricordò che ordinò le cose più forti che conosceva e che al quinto cicchetto iniziò a piacergli la città, la sua vita, persino quell’orribile bar.
Doveva star davvero male, ghigno.
L’abino si guardò intorno, era nello stesso punto quando svenne, almeno così gli sembrava. Per un secondo smise di sorridere e gli tornò in mente il sogno di quel delirio. Era una maledizione, ogni volta che s’imponeva di dimenticar qualcosa, quest’ultima si scalfiva nei ricordi.
“Ash un altro,questa volta potresti non pisciarci dentro”
Il barista lo guardò con aria seccata, quel ragazzo era uno sbruffone. Non capiva perché quel piantagrane avesse scelto proprio il suo bar. Poi la realtà gli diede l’ennesimo ceffone. Il suo bar era una fogna, attirava solo ratti. Poco male, bevevano l’alcol che meritavano.
“Ecco, ragazzo vedi di non esagerare questa volta, mi sono rotto di doverti prendere di peso per farti sloggiare”
Ghigno:”Non mi rompere i coglioni, vecchio qui sono il tuo miglior cliente”.  Quasi nessuno aveva fatto caso al discorso, tutti troppo impegnati al nulla, tranne una giovane donna.
Ella, con voce impastata si voltò verso lo scontroso:” Hai ragione, i clienti dovrebbero essere trattati meglio, qui i cicchetti fanno vomitare”.
Il pachistano sentendo l’offesa avrebbe voluto ribattere, ma poi ricordò che con quella gente non ne valeva la pena. Probabilmente il giorno dopo neanche se lo sarebbero ricordati. Lui, con quel minimo di sanità mentale che gli restava non voleva certo creare problemi nel suo stesso bar. Così fece quello che faceva sempre, si girò ed andò a servire un altro topo.
Gilbert sentendo la frase si voltò, la sua interlocutrice aveva lunghi capelli castani ed un viso dolce:” Allora, perché continui a bere?”.
La mora alla risposta sorrise, non era stata ignorata:” Per il tuo stesso motivo”.
Il giovane non fece caso alla risposta, non gli serviva:” Capisco, in tal caso alla salute”.
 
Brucia, le pareti iniziano a perdere consistenza.
Iniziarono a parlare, meglio a delirare. L’albino non ricordava il nome della giovane, scoprì solo che era bulgara e che era finita a fare da badante ad un vecchio. Quest’ultimo non le dispiaceva , certo era burbero,a volte petulante, ma gentile. Non la picchiava e suonava il piano. Le piceva il suono di quello strumento, forse troppo delicato per le sue orecchie mertoriate da anni di urla, me era dolce. Ogni melodia sembrava una storia della sua stanca mamma.
Non era soddisfatta della sua vita, avrebbe voluto l’attrice, ma almeno non era finita a fare la prostituta. Così beveva, ma non si drogava. Non voleva avere in mano la sua vita, ma non la voleva perdere.
Mentre le voci dei giovani si facevano strada in quel buco, il bianco iniziò a ridere. La sua non fu una risata genuina, fu crudele, tanto che la ragazza gli dovette prestare attenzione. Gilbert con voce intrisa di crudele malinconia iniziò la sua amara sinfonia: “Mio padre me lo ripeteva spesso,la morte, quella gran puttana, indossa tacchi firmati,è vanitosa e quando arriva pretende l'attenzione di tutti. Non ho mai saputo se mio padre fosse un bugiardo o un folle. Non ho mai saputo se le sue parole fossero dettate da una ragione maligna o da un istinto confuso. Tuttavia, anche con questa consapevolezza sulla schiena, qualunque cosa che egli mi dicesse era per me come una tela di ragno. Mi ha mangiato. Mio padre in testa aveva una tempesta, la distruzione con i suoi lampi di genio. Quel cielo grigio, che gli ricopriva la mente, passava attraverso gli occhi. Quel colore, per quanto fosse sottoposto ai riflessi della luce non cambiava. Alcuni mi hanno parlato d'indifferenza, altri di depressione, io tramite quello sguardo vedevo la sua arte. Eppure c'è chi vide il sublime in quegl'occhi perennemente innamorati dell'assenzio.
Quell'ombra verde mi perseguita ed il male ha gli occhi di mio padre” Pronunciò queste parole con il bicchier pieno, brindò al cesso e bevve.
Quel bar era la sua testa.

Ludwig non aveva la minima intenzione di vedere la città,almeno non lo stesso giorno in cui era arrivato. Era stanco e nervoso. Avrebbe solo voluto andare a casa e chiacchierare un po’ con suo fratello.Era da molto che non si vedevano, era curioso di scoprire la nuova vita di Gilbert. Così con il tempo, forse sarebbe riuscito a farne parte. L’albino, per sua sfortuna, conosceva lo sguardo che il biondo gli aveva lanciato.Comprensivo ma forte, un occhio che non lasciava via di scampo. Era lo stesso di quand’erano fanciulli. Per quanto avrebbe voluto ignorarlo, fallì. Fu costretto a bocciare la sua proposta di andar a veder la città.
“Allora piccolo ti va di andar a bere qualcosa, prima di tornare a casa?” Era strano, per un momento il bianco si rese conto di voler trovare qualsiasi scusa pur di non dover tornare a casa, e trovarsi faccia a faccia con il fratello. Non si vedevano da troppo tempo, avevano troppe cose non dette. E se si fossero resi conto di non piacersi più? Gilbert pensò che la sua paura maggiore, in quel momento, fosse di deludere le aspettative del minore. Un po’ di birre l’avrebbero tranquillizzato.
Ludwig non si aspettava questa proposta, ma non la sdegnò:” Certo”. Il giovane non amava particolarmente i luoghi affollati,a dir la verità non amava uscire di casa a priori. Tuttavia era in una nuova città, con nuove persone e soprattutto accanto a Gilbert. Suo fratello gli avrebbe insegnato ad essere più socievole, ad entrare nel “sistema”. Sarebbe stato felice, lo sapeva.
Dall’aeroporto al quartiere di Gilbert ci volle un pullman e la metropolitana. L’arrivo non fu piacevole per il biondo, in cuor suo sperava in un luogo meno squallido, ma a ben pensarci non gli importava molto. Avrebbe dovuto aspettarselo, suo fratello non riceveva molti soldi e probabilmente quelli che aveva non li spendeva certo per la casa.
“Siamo arrivati, cosa ne pensi Ludwig?”.
“Bello” il biondo rispose con voce sicura.
Dalla bocca di qualsiasi altro essere umano quella risposta sarebbe sembrata una gran presa per il culo, essendo il posto un vero cesso. Ma nulla sembrava falso con quegl’occhi così azzurri e freschi.
L’albino non si aspettava tale risposta, e ciò gli provocò un sorriso, il biondo non avrebbe mai detto nulla per ferirlo, mai. Ora ne era sicuro, gli serviva da bere.
Entrarono nel bar, Ash nel vedere il suo giovane cliente sbuffò.
“Gilbert sei una maledizione..”
L’albino fu sorpreso di una tal frase di benvenuto dal vecchio, di solito infatti quest’ultimo lo ignorava. Forse era di buon umore, o forse peggio del solito.La cosa non gli interessava.
“Portaci un paio di birre”
I fratelli si sedettero al bancone vuoto, ci fu un momento di silenzio. Ludwig si guardava intorno,era sempre stato attento ai dettagli. Un po’ per indole, un po’ perché avendo un pessimo senso dell’orientamento gli servivano per orientarsi.
Gilbert sperò che le birre arrivassero presto.
Le sue preghiere per una volta furono realizzate.
Il biondo si girò per ringraziare l’anziano signore ,tuttavia quest’ultimo non lo degnò neanche di uno sguardo.
Era fuggito, nessuno si chiese il motivo di tale fuga.
Ash aveva visto la giovinezza. In quell’azzurro rassicurante c’era ingenuità, in quel luogo fuori dalla portata di Dio non c’era posto per il cielo. Era inutile illudersi, l’albino l’avrebbe inghiottito.
Ludwig non aveva mai bevuto. Non gli era mai capitata l’occasione.
Gilbert gli porse la birra e brindò. Il biondo avrebbe sempre seguito l’esempio del fratello, egli aveva le risposte, la chiave per entrare nel mondo. Quindi se l’albino beveva, l’alcol doveva esser sicuramente buono.La birra era amara,ma bevibile.
Ludwig.
Gilber per un momento si perse in quella scena, suo fratello faceva parte del mondo, non solo voleva essere come lui. Il piccolo e perfetto Ludwig non era più perfetto.
Quegl’occhi troppo chiari dopo un po’, a causa dell’alcol persero lucentezza, le gote gli si arrossarono. Dopo la quarta birra Gilbert alzò lo sguardo soddisfatto, convinto che il fratello stesse in uno stato pietoso. Aveva ragione, era già ubriaco, ma sempre più bello.
Gilbert lo odiò, tutti gli squallidi esseri che popolavano quel luogo non avevano occhi che per il piccolo angelo.
Tutti, compresa la brunetta che aveva conosciuto la sera prima.
“Bravo fratellino, stesera si faranno conquiste” L’albino, detta questa frase impastata di cattiveria, gli diede un bacio sulla fronte.
C’è un detto che afferma: Quando il diavolo ti accarezza, sta attento, brama la tua anima.
Ma ve n’è un altro che dice: Quando il diavolo ti bacia, rilassati, sei già all’inferno.
 
  
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