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Autore: LaraPink777    23/10/2015    6 recensioni
Quando il mondo diventa un inferno, puoi solo sperare di non perdere un altro pezzo della tua vita. Due fratelli in fuga, in un futuro apocalittico dalle tinte lievemente SAINW. Universo 2k12, qualche anno dopo.
Genere: Angst, Azione, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Donatello Hamato, Leonardo Hamato, Michelangelo Hamato, Raphael Hamato/ Raffaello
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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1 Perdere un braccio

 

 

N/A Ciao tartapopolo!

“Vicino futuro apocalittico”: ennesimo challenge con la mia amica Cartoonkeeper, al quale con mia immensa gioia si è unita questa volta anche la cara Quisquilia Radioattiva. Il racconto, in sette capitoli, è al solito finito, anche se alcune parti sono ancora da sistemare. Cercherò di correggerne e pubblicarne un capitolo ogni settimana, se il lavoro è d’accordo ^^’

È un’altra fanfiction adulta, realistica quanto basta, con tante cose brutte per le nostre tartarughine belle. Contiene menzioni a danni fisici e morte. Hai meno di tredici, quattordici anni? Allora forse è meglio se ripassi dopo…

Ancora, come nella migliore tradizione LaraPink, ogni capitolo ha nella testolina dell’autrice la propria colonna sonora. Vivamente consigliato l’ascolto per un’esperienza angst multisensoriale! XD

E se l’ angst delle fanfiction non vi basta, andate a guardarvi, per chi non l’avesse fatto, lo stupendo finale di stagione della serie 2k12 o a leggervi il numero 50 dei comics IDW. Io non mi ci sono ancora ripresa.

Ma torniamo a noi. Grazie di essere qui e buona lettura!

 

 

 

 “And we will wait,

till the rising of the river,

when the summer monsoon rain,

comes to wash the old remains”

Crooked Fingers, Luisa's Bones

 

No, non l’avevano seguito. Il mutante sbirciò nuovamente dietro l’angolo, mentre riprendeva fiato, stanco ed ansimante. Una pattuglia di bot passava dall’altro lato della strada, procedendo a passo marziale, con le armi in mano, le divise nere a coprire i corpi sintetici; ma non erano quelli che pedinavano lui.

Una raffica di vento alzò la polvere delle macerie; Leonardo riprese ad avanzare, radente al muro. Il cuore batteva forte dentro al suo piastrone e la respirazione era ancora accelerata. Era riuscito a scappare anche questa volta, ma era stata dura. I soldati meccanici di Shredder che lo avevano avvistato erano tanti. Non si era certo fermati a contarli, mentre con le sue katana aveva tranciato ferro, plastica e tessuto, ma adesso avrebbe giurato di averne fatti fuori almeno una ventina. Ad ogni respiro, mischiato a quello del suo stesso sudore e della sporcizia della strada, sentiva ancora l’odore dell’olio e degli altri liquidi dei circuiti androidi, che gli impregnava acre i fori di respirazione.

Si appiattì contro il muro, quando sentì il rumore stridente del cingolato in avvicinamento, ma non smise di andare avanti. Contro manifesti strappati e scritte spray, attento a non calpestare le lattine ed i vetri rotti, strinse a sé il prezioso pacchetto che aveva legato con una cinta intorno al guscio; non si poteva fermare, non aveva più tempo.

Suo fratello non aveva più tempo.

L’idea che potrebbe già essere troppo tardi lo strinse alla gola come un artiglio e strisciò gelida sulle sue membra indolenzite con un brivido. Scacciò il pensiero, in un angolo della sua mente, incapace di credere che, forse, stesse facendo tutto questo per niente, e che avrebbe potuto essersi perso, in uno dei momenti della lotta con la pattuglia che lo aveva avvistato, l’ultimo respiro su questa terra del suo fratello più giovane.

C’erano volute ore per reperire queste forniture, e quando aveva lasciato i suoi fratelli, Mikey era già svenuto.

No. Mikey era finalmente svenuto.

(il giorno prima)

“Mhmm…  mhmm… Mhh…ahh! Aahh!”

Michelangelo aveva cercato di divincolarsi dall’abbraccio di ferro di suo fratello, che lo teneva fermo, tappandogli la bocca; la giovane tartaruga scalciava, si contorceva, lottava ferocemente tra gli spasimi.

“Fallo stare zitto!”

Raffaello si era limitato ad annuire, pallido, con gli occhi dilatati dall’angoscia, ed aveva stretto con forza la sua mano sulla bocca di Michelangelo, fin quasi a soffocarlo. L’arancione si era dimenato selvaggiamente, in sofferenza, con i grandi occhi azzurri che si serravano forte, rilasciando calde lacrime che sfuggivano alla maschera a striare il viso sporco, e cercando invano, nella furia del tormento, di strappare la mano che lo soffocava lontano da lui, graffiando il braccio con le dita contratte fino a striare la pelle verde di linee rosa: ma Raffaello ci aveva fatto caso appena, sfruttando la sua forza per frenare i movimenti convulsi, avvolgere il corpo del fratello sofferente tra le sue braccia, mantenendo una presa decisa sulla bocca che urlava.

L’ordine di Leonardo era suonato quasi crudele. Ma il blu, appoggiato contro la parete sotto la finestra, a cercare di capire se al di fuori qualcuno li avesse rintracciati, in quel momento era semplicemente terrorizzato. Tratteneva il fiato, tutto il corpo teso, in ascolto. Se la pattuglia fuori li avesse sentiti, sarebbero morti. Non potevano combatterli, i nemici erano troppi, e lui e Raph erano stanchi e lievemente feriti. E non potevano scappare: Mikey non poteva più essere mosso.

(tempo presente)

Leonardo si scrutò intorno ancora una volta, poi entrò nel vicolo scavalcando le macerie. Si arrampicò veloce sul muro mezzo franato e si lasciò cadere dall’altra parte. Si chinò, carponi, e strisciò nell’intercapedine tra due lastre di cemento crollate l’una sull’altra. Raggiunta la bassa finestrella che dava nel seminterrato, coperta da una serie di tavole di legno inchiodate tra di loro in modo impreciso e sbilenco, spostò una delle assi che era già allentata e si intrufolò nella fessura. Una volta all’interno, in piedi sulle casse di legno dello scantinato, il mutante rimise a posto la tavola, balzò giù dalle casse e si spostò verso la stanza adiacente. Guardando a terra, imprecò a bassa voce: una striscia di sangue, ormai secco dal giorno prima, era visibile anche nella penombra sul pavimento polveroso. Si chiese se avesse potuto essercene dell’altro, fuori. Non ci aveva fatto caso; eppure ormai la luce dell’alba avrebbe mostrato eventuali segni. Quando avevano trascinato il fratello fin qui, evidentemente sanguinava ancora copiosamente. Si maledisse per questa sua svista, ma decise che il rischio di uscire nuovamente fuori a controllare fosse troppo alto: si udiva adesso fuori dal vicolo un carro armato che avanzava, coprendo col rumore dei suoi cingolati i suoni lontani di ordini urlati al megafono.

“Sono tornato” disse piano il giovane mutante mascherato in blu, per avvisare della sua presenza, girando l’angolo ed entrando nella stanza.

Raffaello era già in piedi, sai alle mani, davanti al corpo riverso del fratello minore.

“Hai trovato qualcosa?” chiese, riponendo le armi, al fratello appena giunto che adesso si stava inginocchiando accanto a Michelangelo. Per tutta risposta, Leonardo si sfilò il pacchetto legato a tracolla con dello spago e glielo porse.

“Come sta?” domandò a sua volta il maggiore, posando una mano sulla fronte del fratello privo di sensi.

“Come l’hai lasciato. Nessun cambiamento. Non si è svegliato” mormorò Raffaello, e la voce uscì più incerta e spaventata di quanto avesse voluto; le mani, livide e sporche di sangue secco, faticarono un po’ a sciogliere il nodo del pacchetto, poi aprirono l’involucro, formato da diversi sacchetti di plastica soprapposti, e tirarono fuori tre bottiglie d’acqua, alcune confezioni di bende e medicinali. Svitarono velocemente una bottiglia e la tesero al blu.

Leonardo sfiorò la spalla di Michelangelo, quindi lo scosse piano e lo chiamò dolcemente.

“Mikey? Mikey, mi senti?”

L’arancione si limitò a mugugnare, ma non aprì gli occhi. Leonardo alzò lo sguardo verso il viso di Raffaello, stanco e tirato sotto la sporcizia e la polvere, e vi lesse riflessa la sua stessa paura. Michelangelo aveva perso molto sangue.

Leonardo continuò a chiamare per un paio di volte, poi prese la bottiglia d’acqua che Raffaello gli porgeva e l’avvicinò alla bocca della tartaruga incosciente.

“Mikey, devi bere” ordinò dolcemente mettendogli una mano sotto la testa e sollevandolo un po’. L’acqua si riversò in parte sul viso lentigginoso e pallidissimo del ferito, e solo un piccolo sorso entrò in bocca; Leonardo sospirò di sollievo quando il fratellino deglutì, più per istinto che per altro, e ripeté un paio di volte l’operazione. Poggiò delicatamente  giù la testa del mutante più giovane e restituì la bottiglia di plastica a Raffaello; il rosso la tappò e la poggiò ai sui piedi.

Leonardo alzò lo sguardo verso di lui, severo.

“Tu non bevi?”

“Uhm? Io… non ho sete.”

Il leader in blu si limitò a fissarlo, innervosito. Raffaello grugnì una maledizione tra i denti, afferrò la bottiglia, la riaprì e ne bevve un lungo sorso.

Leonardo riportò l’attenzione al fratellino svenuto. Gli passò delicatamente una mano sulla fronte, imperlata di minuscole goccioline di sudore; Michelangelo si mosse al contatto, mormorando qualcosa. Il blu avvertì chiaramente che il fratello era caldo, troppo caldo.

“Ha la febbre?” chiese a Raffaello, in piedi accanto a lui. Questi aveva tenuto tra le braccia il fratello nelle ultime ore, vegliandolo mentre Leonardo era fuori in cerca di forniture.

“Credo di sì.”

Leonardo sospirò, e strinse un attimo gli occhi; poi, prese tra le mani il braccio ferito del giovane mutante in arancio, ed iniziò a scartare la rudimentale fasciatura che aveva fatto ormai quasi un giorno prima. Il tessuto, ricavato da un indumento umano, era rigido di sangue coagulato. Raffaello cominciò ad aprire la confezione di bende che Leonardo aveva portato, per poi fermarsi a metà operazione per contemplare sconfortato le proprie mani: erano luride. Tutto l’ambiente era sporco. Non erano proprio le condizioni igieniche ideali per una medicazione. Afferrò il flaconcino di disinfettante, sperando con tutto sé stesso che potesse essere d’aiuto più di quanto sembrasse.

Leonardo finì di aprire la bendatura. Rimosso l’ultimo strato di tessuto, appiccicato alla ferita, avvertì un leggero odore sgradevole. La vista della lacerazione gli fece accapponare la pelle, e il suo cuore prese nuovamente a correre forte sotto il piastrone.

Il profondo squarcio che saliva dal polso al gomito aveva smesso di sanguinare, ma era gonfio e scuro; una parte delle ossa del gomito era visibilmente staccata dal resto dell’articolazione, tranciata di netto dal fendente. La carne e l’osso erano esposti, vivi, ricoperti di scuro sangue secco; le pelle in quei punti si era come ritirata su sé stessa. La mano, troncati i nervi, pendeva inutile; le punte delle dita erano già segnate di nero.

Leonardo sentì salire le lacrime agli occhi, quasi sopraffatto dalla realizzazione di ciò che stava vedendo. Non serviva essere esperti come Donnie, per capire che la ferita era troppo grave per guarire senza lunghe e complesse operazioni chirurgiche.

Ed iniziava a manifestare i segni di un’infezione.

Nel silenzio della stanza, il cuoio delle ginocchiere schioccò contro il pavimento quando Raffaello si buttò anche lui in ginocchio, imprecando ancora; la tartaruga mascherata in rosso avvicinò una mano tremante all’arto maciullato del fratello minore, ma non lo toccò. Cercò di nuovo gli occhi blu di Leonardo, e questi ancora una volta si alzarono ad incontrarlo, poi scesero ai medicamenti poggiati lì accanto: entrambi i fratelli avevano capito che disinfettante da banco ed un antibiotico in compresse sarebbero serviti a poco. E che quando Michelangelo avrebbe ripreso conoscenza, per il dolore ci sarebbe voluto bel altro che il paracetamolo.

Raffaello provò un senso di costrizione al petto, al pensiero. Se avesse ripreso conoscenza.

Il giorno, caldissimo e greve, era trascorso lentamente. Raffaello aveva cercato invano di dormire, ed aveva camminato come un automa avanti ed indietro per la stanza, per ore ed ore. Aveva sussultato, ad ogni rumore proveniente da fuori, ad ogni sparo nelle vicinanze, girandosi a guardare Leonardo, che gli restituiva ogni volta uno sguardo allarmato nel quale si rifletteva, speculare, la stessa costante paura. Un intero esercito era in cerca di loro, e solo il destino avrebbe deciso se il nascondiglio provvisorio li avrebbe potuti salvare.

Le ore non passavano mai. Il suo stomaco aveva brontolato forte. La fame, dopo più di due giorni che non toccavano cibo, iniziava a farsi sentire con insistenza. Ed ad ogni fastidiosa contrazione dello stomaco Raffaello non aveva potuto fare a meno di pensare che anche Michelangelo, nelle sue condizioni, era per di più digiuno.

Il fratello minore, durante la giornata, si era svegliato due volte. La prima, mentre Leonardo gli stava cacciando a forza le compresse giù in gola. Michelangelo aveva tossito, e Raffaello aveva pregato il cielo e l’inferno che nessuno lo avesse sentito da fuori. I droni di ricerca, quei maledetti robottini volanti, riuscivano a percepire il minimo suono da lunghe distanze. Era stato Leonardo, questa volta, che tenendo la testa e le spalle del fratello tra le sue braccia, gli aveva tappato la bocca; Michelangelo l’aveva guardato spaventato e confuso, stravolto dal dolore, per poi perdere nuovamente i sensi e crollare tra le braccia del fratello come un fantoccio di pezza.

La seconda volta, era stato un po’ più lucido. Aveva chiesto dove fossero e Leonardo gli aveva spiegato pazientemente la situazione, carezzandogli il viso sudato. Michelangelo si era guardato un po’ intorno, gli occhi azzurri velati dal tormento e dalla febbre, aveva perfino regalato un mezzo sorriso a Raffaello, quando questi gli si era seduto accanto, prendendogli la mano sana. Poi aveva chiesto di Donatello, e di Splinter. Raffaello si era sentito stringere il cuore: la febbre si era fatta pericolosamente alta, portando Michelangelo a delirare.

Dopo un paio d’ore di sofferenza, nonostante gli antidolorifici, di respiri tra i denti e acute fitte di dolore leggibili sui giovani lineamenti contratti, tra la tormentata impotenza dei fratelli al suo fianco, l'arancione era finalmente tornato a dormire. Raffaello aveva potuto rilasciare i pugni, stretti fino a piantare le unghie nei palmi, disegnando due mezzelune rosse.

Al tramonto, aveva aiutato Leonardo a rifare la fasciatura.

La ferita era ancora più gonfia. Un liquido bianco e giallastro trasudava adesso in alcuni punti. L’odore era sgradevole, di zolfo e carne marcia.

Le due tartarughe mutanti rimasero in silenzio, osservando la ferita. Leonardo poteva sentire chiaramente il proprio respiro, nell’aria immobile dello scantinato. Ancora, il respiro, irregolare e morbido, di Michelangelo svenuto. Quello, veloce e duro, di Raffaello davanti a lui. E la voce, stranamente flebile, di quest’ultimo.

“Leo?” Appena un bisbiglio.

Leonardo strinse gli occhi. Inalò l’aria, lentamente, dal naso, e la espulse altrettanto lentamente dalla bocca. Si riscosse ed iniziò a riavvolgere l’arto nelle bende pulite.

“Stanotte dovrò uscire ancora. Serve qualcosa di più forte… Forse, forse troverò qualcosa in ospedale… Forse iniezioni…”

“In ospedale?” Raffaello s’infervori, ma sempre sottovoce. “Ma sei pazzo? L’unico rimasto è presidio e-“

Leonardo scosse la testa.

“In uno abbandonato, come il Bellevue Con un po’ di fortuna posso andare e tornare in due, tre ore al massimo.”

“E poi? Credi che sia rimasto qualcosa? Cosa vorresti trovare?”

“Non lo so!” sbottò, alzando un po’ la voce. I due fratelli si girarono istintivamente a guardare verso la finestrella che dava sulle macerie del vicolo, ed attesero qualche secondo.

“Non lo so, Raph – ripeté, più piano, passandosi una mano sulla testa. – Non ho idea di cosa serva, non so cosa cercare… Io non lo so…”

Il silenzio che tornò quando si spensero le parole sommesse era pesante e doloroso. Raffaello strinse i pugni e ci abbassò contro il viso, chiudendo gli occhi. Leo, Leo non sapeva cosa fare. E se non lo sapeva lui, chi l’avrebbe saputo? Senza Donnie con loro, non avevano idea di come curare il fratello. Non potevano chiedere aiuto, non c’era più nessuno che potesse assisterli. Cosa potevano fare? Rapire qualche medico e costringerlo a curare Mikey? Ma di questi tempi, dove l’avrebbero trovato? Il senso d’impotenza lo rendeva furioso: Mikey era gravemente ferito, peggiorava di ora in ora, e loro da due giorni non stavano facendo altro che restare lì, ad aspettare.

“Raph…”

Il mutante mascherato in rosso rialzò la testa.

“Credo… Dovremmo… Il suo braccio…”cominciò il blu.

Raffaello strinse gli occhi a due fessure, due gelidi spicchi di giada.

“Cosa stai dicendo?”

“Noi non sappiamo curarlo, Raph, e credo che comunque nessuno potrebbe più fare niente, a questo punto, per il suo braccio.”

Con un movimento rapido Raffaello si alzò in piedi.

“Stai suggerendo di tagliargli il braccio?” chiese tra i denti, inorridito.

Leonardo distolse lo sguardo. Sempre inginocchiato davanti a Michelangelo, gli sfiorò per l’ennesima volta il volto con le dita. Rimase in silenzio; Raffaello sapeva già la risposta. Il rosso imprecò e si mise a camminare furiosamente per la stanza.

“No, Leo. Noi non possiamo. Non il suo braccio. Oh, cristo…”

Leonardo passò il retro della mano sulla guancia pallida del mutante ferito; Michelangelo mugugnò, strinse gli occhi, ma non si svegliò.

“Raph, uscirò per procurarmi qualcosa. Se non migliora, non avremo scelta.”

Raffaello si fermò, si coprì gli occhi con una mano e rilasciò un paio di respiri rumorosi come gemiti. L’aria polverosa nella stanza sembrava ad un tratto vischiosa come melassa. Nella penombra, le forme massicce delle casse accatastate incombevano come demoni neri pronti a staccarsi dalle tenebre delle pareti per avventarsi su di loro.

“Come… come faremo…”

La risposta del leader fu un sussurro stanco e mesto. Abbassò la sua testa su quella di Michelangelo, fronte contro fronte.

“Lo farò io.”

Era tornato all’alba. Aveva portato altra acqua, e cibo. Bende, decine di flaconcini di medicine, iniezioni e strumenti medici vari.

Almeno quel poco che riconosceva.  Si era introdotto nel vecchio ospedale, rischiando la vita, ma la maggior parte dei flaconi di medicinali, che sarebbero potuti servire, a lui non dicevano niente.  Aveva avuto conferma, con sgomento, che senza conoscenze mediche, ciò che poteva somministrare al fratello era solo blando e limitato.

Inoltre l’avevano avvistato ed aveva dovuto fare un giro lunghissimo per depistare i soldati e restare nascosto a lungo prima di poter tornare al rifugio provvisorio.

Era mancato tutta la notte, il giorno successivo e di nuovo la notte.

In questo tempo, era stato tormentato dall’ansia crudele data dalla consapevolezza che i suoi fratelli erano rintanati in quello scantinato, con questo caldo infernale, e senza viveri. E che ogni ora era importante, per Mikey.

Gli avevano nuovamente sparato addosso. Le lievi ferite ricevute nei giorni passati appesantivano il corpo sfiancato, tirando e dolendo, ed inevitabilmente le sue mosse erano state meno fluide del solito, i suoi movimenti meno veloci. Ancora una volta, solo un colpo di fortuna gli aveva permesso di sottrarsi ai numerosi inseguitori. Ma per sfuggire alle raffiche, si era contuso un piede, saltando da un’altezza che andava ben oltre le sue possibilità. Adesso, quando era rientrato nella stanza dove giaceva Michelangelo, Leonardo era scosso, esausto, e zoppicava vistosamente.

Per prima cosa, corse a dare da bere a Michelangelo. L’arancione aveva adesso la febbre molto alta, e nel sonno mugugnava parole incomprensibili, ansimava con la bocca aperta, si muoveva, agitato. Raffaello, seduto per terra, gli teneva la testa in grembo.

Il rosso alzò lo sguardo esausto, quasi allucinato.

“Dove sei stato?”

“Mi hanno visto. Non potevo tornare.”

“Cos’hai alla gamba?” domandò ancora Raffaello dopo aver bevuto bramosamente da una bottiglia d’acqua, quindi aprì una lattina con la punta del suo sai.

“Niente. – Il blu prese a scartare ancora la fasciatura del fratello. – Credo solo una slogatura alla caviglia. Ha ripreso conoscenza?”

“No.”

Raffaello trangugiò il contenuto della lattina di conserve, senza neanche capire di cosa si trattasse; forse piselli.

Leonardo gettò con stizza di lato le bende sporche che aveva appallottolato; esposta, la ferita mostrava il suo peggioramento. L’infezione era avanzata. Pus trasudava dal profondo squarcio.

“Mio dio…”

Si premette un attimo la fronte con i palmi delle mani.

Forse era tardi, era troppo tardi.

Non c’era altro tempo da perdere.

Si alzò in piedi, ed iniziò ad impartire ordini.

“Raph, prendi il flacone di alcol, e disinfettati le mani. Poi apri quel telo e stendilo per terra.”

Si tolse di dosso le cinghie con le custodie delle katana, che poggiò ai suoi piedi, si sfasciò le mani e i polsi e sfilò i pad di protezione ai gomiti, quindi, aperta la confezione di salviette disinfettanti, iniziò a sfregarsi braccia e piastrone. Spostò il fratello, sollevandolo delicatamente da sotto le ascelle, fino a portare la parte sinistra del suo corpo sul telo. Si accosciò nuovamente per terra, aprì la confezione del laccio emostatico, lo avvolse e strinse al braccio ferito del fratellino esamine, un palmo sotto la spalla. Michelangelo gemette più forte, inarcando il collo e le spalle. Leonardo gli passò un’abbondate dose di tintura di iodio su tutto il braccio, dall’ascella in giù.

Quindi scartò una siringa, la riempì con la fiala di ketamina che aveva preso in ospedale. Era l’unico narcotico che aveva saputo individuare, e tra l’altro non conosceva l’esatta quantità che andava somministrata. Cercò una vena nel braccio sano, disinfettò il punto ed iniziò a iniettare piano il liquido chiaro: non poté fare niente contro il tremore che prese ad agitare la sua stessa mano che spingeva il pistone della siringa. Se la quantità fosse stata troppo poco, c’era il rischio che Michelangelo, seppur al momento svenuto, potesse svegliarsi al momento dell’amputazione; se ne avesse iniettato troppo… Donatello una volta gli aveva spiegato molto chiaramente i rischi di questa droga: danni irreversibili al sistema nervoso e al cervello, collasso cardiocircolatorio.

Lasciò cadere la siringa sul pavimento, prese infine un panno, e lo inzuppò d’alcol. Sfilò lentamente una katana dalla guaina poggiata per terra, e la strofinò con vigore. Non bastava, sapeva che non bastava; ma non poteva fare nient’altro.

I battiti del suo cuore risuonavano adesso forti nei suoi padiglioni auricolari. Le mani tremavano ancora. Per un lunghissimo, tremendo attimo, temette di non trovare la forza per fare ciò che andava fatto.

“Raph…”mormorò in un fiato.

Gli occhi verdi, davanti a lui, lo guardavano in attesa, dilatati. Le pupille di smeraldo erano opache di stanchezza. Raffaello gli diede un piccolo cenno del capo, incitandolo ad andare avanti. Leonardo notò che il fratello mascherato in rosso era pallidissimo; si chiese se lo fosse anche lui.

“Lui… Potrebbe non farcela. Non abbiamo sangue, e ne ha già perso tanto. Qui dentro è tutto sporco e lui ha già un’infezione…”

“Fallo, maledizione, Leo. Adesso.”

Le parole di Raffaello erano dure e taglienti, ma i suoi occhi erano persi e disperati. Giovani e spaventati. Anche se aveva ormai ventun’anni, era un ninja, era un guerriero, aveva già visto il mondo andare in frantumi, la gente perdere libertà e dignità.

Aveva già visto morire il loro padre ed aveva perso un fratello, fatto prigioniero dalle milizie di Shredder; troppe notti, Raffaello si era svegliato col viso bagnato di lacrime, negli ultimi mesi, inveendo contro qualsiasi crudele divinità che lo stesse ascoltando, pregando che il gentile e geniale fratello in viola fosse morto subito, dopo la cattura, e non avesse invece scontato a lungo sulla propria pelle la folle ira del loro nemico. Tra la cattura e la macabra esposizione del trofeo fuori dal quartier generale di Shredder erano passate settimane. Incubi rossi e crudeli, di sangue e catene, di occhi rosso nocciola che urlano, rubavano ancora il suo sonno; sotto le sue palpebre, appena le chiudeva, la vista di quel vuoto guscio mutante, nero di sangue rappreso, inchiodato al muro, si riproponeva più e più volte, orribile e vivida.

Adesso, era convinto che se avesse perso anche quest’altro fratello, non avrebbe potuto continuare a camminare lui stesso su questa terra. Perdere anche Mikey era un’idea talmente terrificante che il suo cervello si rifiutò di prenderla in considerazione, temendo che avrebbe potuto impazzire. Mikey sarebbe rimasto con loro, stop. Leo avrebbe tagliato via quel braccio e Mikey sarebbe stato bene.

Si strinse il lato della bocca fino ad assaggiare il gusto salato e ferroso del sangue, ed a sentir palpitare la carne delicata al ritmo dei suoi battiti. No. In ogni caso, nella migliore delle ipotesi, Mikey sarebbe stato mutilato a vita. Invalido, rotto. Ma non lo erano tutti, in fondo, ormai? Cosa restava loro, che avevano perso tutto?

Gli occhi di Leonardo ricambiarono lo sguardo del fratello, spaventati e lucidi, con le iridi dilatate dall’adrenalina e dalla scarsa luce dello scantinato. Una mosca ronzava nella luminescenza dorata che entrava dalla finestrella, tra i puntini luminosi dei granelli di polvere sospesi nei raggi.

Raffaello diede ancora un lievissimo cenno del capo. Leonardo rispose, lentamente, poi strinse gli occhi, deglutì, e li riaprì, adesso profondi laghi blu di determinazione.

La lama, scendendo, balenò una gelida luce.

 

 

  
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