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Autore: slanif    24/10/2015    1 recensioni
Sophiam
In 20 ottobre scorso, l'OTRA Belfast è stato annullato a causa di un malore improvviso di Liam Payne. Nessuno ha mai fornito spiegazioni ufficiali circa cosa il membro degli One Direction abbia avuto; e adesso si scopre che lui e Sophia si sono lasciati.
E se le due cose fossero collegate?
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Liam Payne
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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A Dream
di slanif

 
 
 
 

«Liam... ti amo, Liam.»

 
La testa vortica e la nausea preme in gola per uscirmi dalla bocca, costringendomi a piegarmi in avanti e ad appoggiare le mani sulle ginocchia.
Non vedo niente, non sento niente.
Le orecchie mi fischiano e mentre le urla delle fan cominciano a far tremare il pavimento di linoleum, improvvisamente mi rendo conto che non ce la faccio. Non posso uscire lì fuori, su quel palco, e sorridere come se non fosse successo niente, come se mi sentissi bene.
Non ce la faccio a fingere di essere il solito, vecchio e solare Liam di sempre.
«No.», bisbiglio.
Niall, di fianco a me, si piega in avanti mentre si toglie l’auricolare dall’orecchio e mi chiede: «Cosa?»
«No.», ripeto, un po’ più forte.
Niall è confuso, sbatte le palpebre: «No cosa, Liam?»
«Non ce la faccio.», dico, alzando finalmente gli occhi su di lui, anche se il suo viso mi appare sfocato, in una macchia indistinta di capelli ossigenati e occhi color del mare.
Niall aggrotta le sopracciglia, formando tante piccole rughe al centro della fronte, poi le distende di colpo e sbarra gli occhi: «Ah.», dice solamente.
«Non ce la faccio, Niall... ho bisogno di andare via.» Non mi piace mostrarmi debole, ma sono a pezzi.
Niall scatta subito e afferra Louis per un braccio, chiamandolo. Quest’ultimo si volta sorpreso a guardarci: «Che succede?», chiede.
«Liam non sta bene.», spiega Niall.
Anche Harry si è avvicinato e ci fissa preoccupato. «In che senso non stai bene, Liam?», mi chiede.
«Penso di sentirmi male, ho la nausea. Non ce la faccio ad esibirmi.», mento.
I miei compagni mi fissano in silenzio, con l’aria preoccupata e concentrata, ma poi sospirano.
«Vado a chiamare qualcuno.», dice Louis. «Annulliamo il concerto.»
Tutti annuiscono, soprattutto io, immensamente grato. Mi siedo a terra e chiudo gli occhi, poggiando la testa alla cassa e buttando fuori tutta l’aria. La nausea mi fa rigirare lo stomaco a causa del movimento, ma poi si placa appena.
Continuo a rimanere lì immobile, respirando piano, anche quando arrivano gli organizzatori e il manager e tutto lo staff dell’OTRA Belfast e chiedono cosa succede, mi chiedono cosa mi sento, cos’è che non va.
Non ho la forza di rispondere, ma per fortuna ci pensano Louis e Niall a spiegare tutto, mentre Harry si premura di portarmi una bottiglietta d’acqua. «Bevi. Ti farà stare meglio.», mi dice con tono calmo.
Apro appena gli occhi; il Mondo è sfocato oltre le palpebre: «Grazie...», dico, afferrando la bottiglietta di plastica e portandomela alle labbra. Harry l’ha già stappata per me, e lo ringrazio ancora di più, perché mi sento debolissimo e le mani mi tremano impazzite, facendo schizzare acqua qua e là dalla bottiglia colma.
«Sei sicuro di stare bene?», mi chiede lui, osservandomi con preoccupazione crescente negli occhi. Il solco in mezzo alle sopracciglia è così profondo che sembra una voragine.
Apro la bocca secca per rispondere, ma il manager mi viene addosso: «Liam, Liam! Vuoi andare in ospedale? Ti senti tanto male? Che cos’hai?»
Louis lo tira indietro afferrnadolo per le spalle: «Non penso che tempestarlo di domande lo aiuti a stare meglio.», lo sgrida. Se non mi sentissi come sulle montagne russe, probabilmente correrei ad abbracciarlo per la gratitudine di averlo fatto stare zitto.
«Mi sto solo preoccupando per la sua salute.», risponde piccato il manager; ma per fortuna interviene Niall a placare la situazione: «Penso che sia meglio portarlo in ospedale.»
«Sì, lo penso anche io.», concorda il manager.
Louis e Harry annuiscono.
Io non ho la forza nemmeno di tenere le palpebre aperte.
Mi aiutano a tirarmi su e mentre vedo gli organizzatori agitarsi e creare in quattro e quattr’otto un discorso di scuse per i fan circa il concerto che a questo punto verrà chiaramente annullato, vengo portato fuori di peso e messo in macchina, per poi essere scaricato all’ospedale e lì visitato dai medici.
Mentre sono steso sul lettino, coperto dal lenzuolo e con la testa poggiata sul soffice cuscino, riesco a far smettere per un po’ alla testa di vorticare impazzita. Ma i pensieri, quei bastardi, non si fermano. Continuano ad affastellarmisi nel cervello, accavallandosi e mostrandomi tanti scenari diversi.
Sono ricordi, per lo più felici.
E parole, per lo più dolorose.
 

«Ti amo, Payno.»

 
Una morsa mi stringe lo stomaco.
 

«Non è bellissimo qui?»
«Tu sei bellissima.»

 
Mi stringo la maglietta con la mano, proprio sopra lo stomaco, e premo forte, sperando di placare il dolore di quel ricordo, immerso di luce dorata e prati verdi.
 

«Non ce la faccio più, Liam. Questa non è vita. Io...»
«No... aspetta!»
«Perdonami, Liam...»
Tu-tu. Tu-tu. Tu-tu. Tu-tu- Tu-tu.

 
Improvvisamente la nausea mi coglie prepotente e io sono costretto a tirarmi su e ad afferrare la bacinella che i medici hanno lasciato per me e vomitarci dentro tutto: il panino mangiato a cena, il tramezzino del pranzo, i fiumi di alcool con cui mi sono ubriacato per ore. Tutto. Viene fuori ogni cosa. Non solo lo schifo che ho nella pancia, ma anche quello che ho dentro. Come una cascata che improvvisa sgorga giù da una montagna, altrettanto lo fanno la mia bile e il mio dolore.
E quando tutto si placa e la cascata emotiva diventa solo un rigagnolo, mi abbandono senza forze sul letto, con le tempie che pulsano e una voglia feroce di correre da lei.
«Stai proprio uno schifo.» La voce di Louis mi riporta alla realtà.
Socchiudo gli occhi e lo vedo avanzare nella stanza dopo essersi assicurato di chiudere bene la porta alle sue spalle; poi, quando mi è vicino, afferra il secchio, fa una smorfia, si dirige in bagno e poi sento una specie di plop e lo sciacquone che viene tirato. Poi l’acqua scorre e si ferma e Louis torna nella stanza senza secchio, ma aprendo la finestra. «C’è puzza di vomito, qui dentro.», mi informa.
«Mi dispiace.», dico.
«Non fa niente.», è il suo sospiro, mentre si siede sulla sedia di plastica bianco sporco che c’è vicino al mio letto. Incrocia le gambe e quella che è sopra, sporta in fuori, comincia a tremolare. Louis non è capace di stare seduto composto o fermo, lo so, ma quando fa così so che ha qualcosa da dire.
«Parla.», dico soltanto, ad occhi chiusi. La luce sul soffitto mi perfora le pupille, mandandomi stilettate nel cervello.
«È per lei, vero? Che ti sei ridotto così da schifo.», mi dice, senza tanti giri di parole, con quella voce dolce e graffiante, un po’ bambinesca, che da sempre lo caratterizza. I suoi occhi, però, mi guardano come solo un uomo consapevole saprebbe fare. Un uomo che sa come sto veramente, nonostante io non abbia detto niente a nessuno.
«I medici hanno detto che è un virus.», dico, con tono piatto. È stato il loro responso. O forse, hanno aggiunto, un’intossicazione alimentare.
«Non ti ho chiesto la versione dei medici, quella già la conosco; ti ho chiesto la tua.», insiste.
Sospiro, senza la forza di dire nulla.
«Quel secchio era pieno di acqua arancione, Liam. Quello era alcool.», mi fa notare, perspicace come al solito.
Sospiro di nuovo e ruoto gli occhi verso di lui. «Cosa vuoi che ti dica, Lou?», domando, con voce stanca. Mi sento a pezzi, come se le forze mi stessero lentamente abbandonando.
«Lo sai già, te l’ho già chiesto: è per lei che ti sei ubriacato fino a ridurti così da schifo? È per Sophia?»
Quel nome mi fa stringere il cuore così tanto che faccio una smorfia e il mio viso si deforma in una grottesca espressione di dolore, mentre il petto si contrae e picca impazzito.
Louis sospira, scuotendo appena la testa: «La tua faccia è la risposta.», commenta.
Rimaniamo in silenzio per lunghi momenti, ognuno perso nei propri pensieri; poi sussurro: «Mi dispiace. Ci siete andati di mezzo tutti. Dillo anche agli altri, intanto, poi glielo dirò di persona.»
Louis scuote la testa: «Lascia perdere. Non è un problema. Lo faremo dopo, o comunque troveremo un modo per rimborsare le Directioner. Non devi preoccuparti di questo, adesso. Devi solo rimetterti, okay? Tra due giorni abbiamo un altro concerto, e tu non puoi mancare, né essere un relitto.»
Le sue parole mi innervosiscono, ma so che ha ragione. Noi siamo gli One Direction. Noi dobbiamo sempre essere in forma, sorridenti, tosti e pronti a tutto. Dobbiamo sempre far divertire e emozionare. Dobbiamo incollarci in faccia un sorriso anche quando non ne abbiamo nessuna voglia, anche quando i problemi ci schiacciano e ci fanno mancare l’aria. Perché poi, altrimenti, le nostre fan si preoccupano. Già sarà complicato spiegare perché è stato annullato il concerto di stasera, ma se poi capitasse che non riesco a partecipare nemmeno al prossimo perché sto troppo male emotivamente, allora sarebbe ingestibile.
Perciò annuisco, facendogli capire che ho capito.
«Riposati, adesso.», mi dice, stringendomi appena la mano e alzandosi, uscendo dalla porta e lasciandomi nuovamente da solo, dando così la possibilità a quei pensieri infami di sommergermi di nuovo con tutta la loro folle potenza.
Quei pensieri che ho cercato disperatamente di tenere a bada, dopo le parole di Louis sono tornati prepotentemente fuori, sgomitando fino a trovare il modo di danzarmi davanti agli occhi.
Strizzo le palpebre e mi sembra quasi di vedere le ultime ventiquattro ore come se le osservassi da lontano, come se fossi uno spettatore della mia vita.
Mi vedo svegliarmi, ieri mattina, nella mia camera d’albergo, e accendere subito il cellulare per scrivere a Sophie il buongiorno. E lo faccio, con un sorriso assonnato e i capelli sparati in tutte le direzioni.
Però, al contrario del solito, Sophia non mi ha risposto subito e anzi, il cellulare è rimasto muto. Lì per lì mi è parso strano, e ci pensavo, mentre mi facevo la doccia, ma poi abbiamo avuto le prove e abbiamo mangiato uno stupido panino schifoso con pollo, pomodoro e insalata per cena, dopo un pranzo ancor più schifoso a base di tramezzini. Per tutto il giorno non ho guardato il cellulare, perché l’avevo dimenticato in albergo, ma ero tranquillo, sicuro che al mio ritorno in camera avrei trovato un suo messaggio, o una sua chiamata. E invece, una volta rientrato, il cellulare si era rivelato privo di qualunque cosa. Niente messaggi, Niente chiamate. Niente di niente.
Mi vedo, preoccupato, passarmi una mano tra i capelli e chiamarla. Posso persino sentire il telefono squillare una, due, tre volte; e infine la sua voce dolce e incerta: «Pronto?»
«Amore.», l’ho salutata, sollevato. «Dove sei sparita per tutto il giorno?»
C’è stato un attimo di silenzio, e poi un sospiro: «Mi dispiace, ma avevo bisogno di stare da sola.»
Mi vedo aggrottare le sopracciglia e sento la mia voce domandare: «Non stai bene?»
Il silenzio che ne è seguito è stato lungo e carico di aspettativa. Persino adesso riesco a sentire la tensione nell’aria, mi sembra di respirarla.
E poi tutto si è spezzato.
L’aria, la tensione, il mio cuore.
«Non ce la faccio più, Liam. Questa non è vita. Io...»
«No... aspetta!»
«Perdonami, Liam...»
Tu-tu. Tu-tu. Tu-tu. Tu-tu- Tu-tu.
Spalanco gli occhi e mi ritrovo a fissare il soffitto e la fastidiosa luce giallastra che illumina la stanza.
Dopo quel momento i miei ricordi sono confusi. Ricordo di aver provato a richiamarla e a scriverle, ma il cellulare era sempre spento. Volevo una spiegazione, una qualunque. Anche se, in quelle poche parole che mi ha detto, ho capito qual è il problema: mancanza di tempo per noi, lunghissimi periodi separati, chiacchiere su di me a non finire da parte dei giornali, gossip inventati, equivoci insopportabili.
Chi diavolo ha la forza di affrontare tutto quanto? Io a volte no di certo. Ma pensavo che noi due, io e lei, potessi superare tutto. Che il nostro amore fosse abbastanza per andare avanti nonostante tutto.
Evidentemente mi sbagliavo.
Dopo sono andato a bere. Ho bevuto talmente tanto che mi stupisco di non essere andato in coma etilico.
Non ho pianto nemmeno una volta, non ho chiuso occhio e la mattina mi sono presentato alle prove. La testa mi faceva male, ma pensavo di farcela. Ero euforico di rabbia, perché mi ero convinto che lei si era comportata da stronza e che non mi merita; ma quando dopo pranzo ho smesso di bere e i pensieri si sono fatti via via più chiari e i postumi sempre più forti, allora ho capito che mi stavo raccontando un mucchio di stronzate. Più l’alcool diminuiva nelle mie vene, più capivo che lei mi mancava.
La mia lucidità è inversamente proporzionale a quanto alcool ho in corpo, evidentemente.
E quando è arrivato il momento di esibirci sono stato consapevole di non avere forze, di non farcela. Avevo solo bisogno di starmene da solo, senza dover per forza dimostrare qualcosa a qualcuno, senza dover sorridere per forza.
Ho capito di avere bisogno di essere solo il ragazzo Liam, che ha il cuore spezzato perché la sua ragazza l’ha lasciato, e non Liam Payne degli One Direction.
Solo Liam.
E con quella consapevolezza il labbro inferiore mi trema un po’, gli occhi bruciano e finalmente il dolore viene fuori. Lacrima dopo lacrima, tutta la frustrazione, il senso di abbandono, l’amore per lei... tutto. Esce ogni cosa.
E come prima che fissavo il fondo del secchio, anche adesso fisso il soffitto e mi svuoto, ma stavolta per tornare pieno di sentimenti nuovi. Sentimenti di malinconia e speranza, perché adesso che l’alcool è andato completamente via da me, so che lei mi ama ancora; semplicemente, è stanca. Ma io ho già affrontato tante cose, supererò anche questa. E, come l’ho conquistata una volta, la conquisterò ancora. Perché Sophia è il mio sogno e io voglio riprendermelo.
 
 
 
 

FINE

   
 
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