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Autore: cookie_dough    24/10/2015    0 recensioni
Lei gli guardò la t-shirt spiegazzata.
Lui invece le guardò il cappellino di pelo.
"Scusa, hai da accendere?" fece lui.
"No, mi dispiace. Non fumo quella merda."
Lui la osservò di sottecchi mentre si rollava una sigaretta.
"Mh. Vabè. Ci andiamo a prendere un caffè?"
Lei fece spallucce. Annuì. In fondo era solo un biondo sconosciuto che puzzava di Lucky Strike e biscotti.

Sulle note di 'Diluvio' dei Subsonica.
Genere: Generale, Introspettivo, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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DILUVIO

"Sei stata l'ondata perfetta
per infrangerti contro di me
e adesso che tutto è sommerso 
che cosa resta e perchè?"


Lei gli guardò la t-shirt spiegazzata.
Lui invece le guardò il cappellino di pelo.
<< Scusa, hai da accendere? >> fece lui.
<< No, mi dispiace. Non fumo quella merda. >>
Lui la osservò di sottecchi mentre si rollava una sigaretta. 
<< Mh. Vabè. Ci andiamo a prendere un caffè? >>
Lei fece spallucce. Annuì. In fondo era solo un biondo sconosciuto che puzzava di Lucky Strike e biscotti.

<< E così non sei gay? Ti giuro, ne ero convinta. >>
Lui le fece di nuovo quello sguardo strano, da sotto in sù, e un sorriso spezzato. << Sì, lo dicono tutti, lo so. Sono invidiosi del mio incredibile fascino, quindi devono demolirlo. >> concluse inarcando un sopracciglio.
Erano seduti al tavolino di uno squallido caffè da una ventina di minuti, e lui era già alla terza sigaretta. Lei non sapeva neanche che diamine ci facesse lì, affianco a uno di cui si diceva di tutto in paese, ma di cui in effetti sapeva solo il nome.
Si chiamava Mattia. Aveva l'aspetto di un fottuto angelo caduto dal cielo in tenuta punk e la voce come quella di Morgan, il cantante dei Bluvertigo. Tra l'altro lei, Cassandra, amava i Bluvertigo. 
Era uscita di casa, finalmente, dopo nove giorni. Nove giorni in cui aveva trascorso le ore di luce nel suo letto e quelle di buio sulla terrazza, a bersi il freddo e la notte in compagnia del suo diario e dei Radiohead. Il caso volle che proprio quel giorno avesse incontrato Mattia. Una strana coincidenza, in effetti: lei si stava semplicemente dirigendo verso il suo campo abbandonato preferito (sì, Cassandra aveva un campo abbandonato preferito) e lui l'aveva bloccata per chiederle l'accendino. Era venuto fuori che abitava proprio lì vicino; l'aveva portata in quel bar terribile - ma tanto in paese tutti i bar facevano schifo - e le aveva offerto un cappuccino. Lui, in perfetta linea col personaggio, aveva preferito un caffè nero, amaro.
Sembrava uscito fuori da una serie tv britannica, o da un fumetto, o da una fanfiction. Era uno di quei ragazzi su cui fantastichi la notte e che vorresti venisse nella tua scuola. Aveva la pelle diafana, traslucida; ogni pelo visibile del suo corpo era biondo, gli occhi verdi, lugubri. A Cassandra avevano fatto pensare all'erba liquida. Era magro, magrissimo, spigoloso, in effetti. Lanciava sguardi strani, brucianti; la linea delle sue labbra era sprezzante e quasi sempre sul suo volto era dipinta un'espressione di sarcasmo o di superiorità. Aspirava il fumo a grandi boccate e lo sputava fuori lento. Rollava a bandiera; Cassandra pensò che fosse per farsi figo. Beh, ci riusciva. Fanculo, aveva sempre odiato quei tipi lì e ancora di più le tipe che gli sbavavano dietro, ma lui rientrava perfettamente in ogni canone di bellezza che il suo cervello avesse costruito. E ascoltava i My Chemical Romance... Oh, Dio.
<< Cassandra? >>
<< Sì? >>
<< Adesso devo andare. E' stato un piacere. Ci si becca. >>
<< Mh, certo. Ciao Mattia, anche per me. >>
"Cazzo. Se ne va. Che ti aspettavi, che ti mollasse il suo numero sul tavolino?" pensò lei, aggrottando la fronte. Nel frattempo lui era già uscito dal locale, fumando la sua quarta sigaretta e reclinando la testa all'indietro.

"Stupida stupida stupida Cassandra. Stupida. Perché ci stai pensando così tanto? E poi, diamine, davvero. Chi pretendi di ammaliare conciata così?".
Era tornata a casa da un po'. L'incontro con Mattia le aveva scombussolato non solo il cervello, ma anche i piani. L'aveva assolutamente folgorata, ed era decisa a trovare il modo di rivederlo senza fargli capire che era entrata a far parte della serie di ragazzine imbarazzanti e sbavose per lui.
Era in piedi di fronte allo specchio della sua camera e scrutava il suo riflesso. Il cappellino grigio peloso con l'orsetto, il cappotto oversize, gli scarponi vecchi di anni, i capelli flosci, le occhiaie profonde e i chili di troppo le rilanciarono lo sguardo.
"Avanti... chi vuoi prendere in giro?", si disse buttandosi sul letto. Sospirò. 


"Sei stata un'ondata violenta
per aprirti qui dentro di me
e adesso che tutto è diverso 
questo silenzio cos'è?"


<< Ed è così che promulghiamo ufficialmente l'inizio dell'OCCUPAZIONE, RAGAZZI! >>
La folla ruggì entusiasta. Cassandra strinse il braccio di Penelope al suo fianco. Quel trambusto la infastidiva, ma era eccitata come tutti gli altri alla prospettiva di occupare il Liceo. Iniziò a scrutare tra le persone per cercare i suoi amici, mentre il rappresentante d'istituto descriveva le regole e l'organizzazione delle giornate. E fu in quel momento, mentre la voce al megafono urlava: << Il secondo piano è vietato a tutti coloro che non fanno parte del comitato organizzativo! >>, che lo vide. Era lì. Era bello. Era maledetto e vestito di nero come tre settimane prima. Cassandra provò a far finta di niente. Tentò di dissimulare il battito accelerato, la bocca secca. Nessuno doveva sapere, neanche Penelope. Aveva la strana sensazione che l'avrebbe perculata di brutto, se l'avesse detto. Si lasciò scappare un sorrisetto. Quell'occupazione diventava sempre più interessante.

<< Lele, scusa, potresti venire un attimo? >> 
<< Sì Cassà, arrivo subito. >>
<< Lele... ma tu come conosci quel Mattia? >>
<< Boh, non so. Una sera uscii con mio fratello e lo beccammo in giro, così prendemmo una birra insieme. È simpatico, anche se un po' troppo egocentrico. Perché me lo chiedi? Ti interessa? >>
<< No, macchè. Curiosità. >>
<< Vabè. Ora vado con lui a prendere le chitarre a casa, le portiamo qui così facciamo un po' di casino. A dopo. >>
<< Sì, ciao Lele. A dopo. >>

Tornarono con un amplificatore e due Fender. Una era lucida, curata, l'altra era nera e rossa, semidistrutta e ricoperta di adesivi e scritte. Ovviamente, la seconda apparteneva a quel soggetto di Mattia. La loro intenzione era quella di suonare... Peccato che fossero inascoltabili. Non tanto Lele, che era piuttosto bravino, ma Mattia: era terribile. Non azzeccava una nota e andava fuori tempo, ma continuava convinto, con gli occhi chiusi e l'espressione concentrata. Probabilmente si sentiva un divo, in quella stupida aula a torturare quelle corde, con un misero pubblico di quattro o cinque persone. Per fortuna finì presto. Lui incrociò lo sguardo di Cassandra. Lei stava per ridergli in faccia, ma si trattenne. Non aveva l'aria di essere un tipo autocritico. 
Mattia si avvicinò. << Che fai? >> chiese, sbirciando il foglio su cui lei scarabocchiava. << No, niente... >> disse Cassandra scostandolo.
<< Dai, fa' vedere. "Searching until my hand bleeds, this flower don't belong to me"*... Uh, questa la conosco anche io, è Surrender, no? >>
<< Sì... >>
Lui strimpellò qualche accordo del ritornello, la guardò dritto negli occhi e sorrise.


"Una festa infestava la mia testa
mentre lei rotolava nella cesta
della rivoluzione, della sbronza
tra le voci calde della protesta."


<< LA CITTÀ, LA CITTÀ, SE CI BLOCCANO IL FUTURO NOI BLOCCHIAMO LA CITTÀ! >>
Scoppi, grida rauche, gomitate, bandiere rosse che sventolavano contro il cielo perlescente.
Spinte, sudore, fumo.
Cassandra guardò di sbieco Mattia, in prima linea; con la mano destra reggeva uno striscione e con la sinistra un megafono. 
Non riusciva a concentrarsi sulla manifestazione, quel giorno. L'aria sapeva di marijuana, il freddo pungente contrastava coi corpi caldi dei ragazzi che la urtavano, le urla le scombussolavano il cervello. Era come ovattata, rinchiusa in una bolla in mezzo alla folla, alienata.
Strinse meglio lo sciarpone al collo e alzò lo sguardo verso il cielo. Era di un bianco grigiastro luminoso, accecante.
Improvvisamente si sentì come se stesse guardando un film, come se non avesse mai vissuto nel suo corpo, come se la voce che sentiva nella testa tutti i giorni non corrispondesse a quell'ammasso di carne e ossa che marciava da Piazza Del Gesù. Estraniata. Dissociata.

<< Dai, ti accompagno a casa, tanto abitiamo vicini e mi annoia fare la strada da solo. >>
<< Grazie. >>
Erano appena usciti dalla stazione. I ragazzi si erano dispersi velocemente e Mattia era rimasto vicino a Cassandra. Inutile dire che tormento interiore stesse vivendo lei, divisa tra l'emozione di stare un po' da sola con lui per tutto quel tempo e la voglia di dirgli di andarsene, di lasciarla da sola, che lei voleva solo rintanarsi nel letto e bombardarsi le sinapsi con i Placebo.
Era confusa: non le capitava mai di non riuscire a decifrare i pensieri, le intenzioni, le paure di qualcuno. Mattia invece era una sciarada. 
<< Sei tutto, cambi in un istante... >> canticchiò lei sovrappensiero. Lui ridacchiò e si unì al canto. 
Le loro voci si persero nel delirio di clacson e motori del centro.

<< Bene, io abito qui. Allora ci si becca domani al corteo, no? >>
<< Sì. Sei carina, comunque. Una ciccina. Contattami su Facebook, quando ti va. >>
<< Oh, ok. Grazie? Cioè. Grazie. Ciao. >>
Gli sorrise, cercò di dissimulare l'imbarazzo e infilò maldestramente le chiavi nella serratura. Quando si voltò per salutarlo un'ultima volta con la manina, era già andato avanti, le mani ficcate nelle tasche dell'enorme cappotto verde militare.
"Una ciccina... una ciccina. Il prototipo di ragazza con cui Mattia Laremi proprio non combinerebbe nulla. Grandioso."


<< Dai ragà, è arrivata la pizza, andiamo di là. >>
<< No, io non ho fame. Resto in salotto, danno Batman in tv. >>
Era un sabato sera, e Cassandra e la sua comitiva + il bonus Mattia erano a casa di Penelope. 
Era da tre mesi ormai che Mattia usciva con loro: la prima volta che lo avevano invitato aveva fatto spallucce e accettato col solito tono annoiato, ma aveva continuato a frequentarli settimana dopo settimana. E - dettaglio importantissimo - dopo quel giorno in cui l'aveva accompagnata a casa, aveva iniziato a cercare Cassandra in chat praticamente sempre
A causa di Mattia, i ritmi di lei erano stati completamente sballati. Andava a dormire alle tre, tre e mezza, perché troppo presa dalla conversazione con lui. La mattina si sentiva uno straccio, arrivava a scuola carica di sonno e occhiaie e si accasciava sul banco mugugnando. Non capiva come la sua perfetta media non fosse stata ancora intaccata dal suo stato psicofisico. Perfino durante il pomeriggio si spezzava tra i compiti (abbozzati, mai svolti ligiamente) e il dialogo con quel ragazzo strano.
Attraverso una tastiera si sentiva più tranquilla. Poteva essere pungente, audace, poteva osare e alludere, aveva tutto il tempo di elaborare risposte brillanti o sarcastiche. Dal vivo invece il cervello sembrava arrancare, perdersi nei meandri dell'insicurezza. La vicinanza fisica la turbava, non faceva altro che sottolineare la differenza tra loro due. In chat lei poteva fingersi una ragazza più spigliata; dal vivo, invece, la sua semplicità e normalità erano palesi, e Mattia Laremi non era affatto un tipo che apprezzava la banalità.
Così, abbattuta, andò in cucina e lo lasciò in salotto a guardare il Batman di Burton.
Si sedette a tavola, ma non riuscì a mangiare nulla. Sentiva una strana tensione. Osservava gli altri ridere, gettarsi addosso le patatine, fare battute sui capelli di Lele, ma era separata da loro come da un velo.
Mentre gli altri finivano il primo cartone di pizza, borbottò: << Vado a fare compagnia a Mattia >> a testa bassa, e trotterellò in salone.
Lui si era sdraiato su un fianco e aveva gli occhi chiusi. Cassandra si accigliò, sedendosi a distanza di sicurezza. << Che fai, non vuoi vedere più il film? >> chiese.
Lui, in tutta risposta, mugugnò e l'attirò a sé. La fece stendere vicino a lui, così da avere il suo naso a un centimetro dal proprio. Cassandra si paralizzò. Il suo cuore, al posto di accelerare, rallentò e sembrò fermarsi. Tutto si pietrificò intorno a quell'attimo. Esistevano solo le ciglia chiare di Mattia, la gobbetta del suo naso, la linea sprezzante del labbro superiore, la barba appena accennata, il profumo di Lucky Strike e biscotti. Sentiva un gran freddo dentro.
Improvvisamente sentì la necessità di risolvere la sciarada.

<< Tra una settimana è il tuo compleanno >> sussurrò Mattia davanti al pentolino con l'acqua.
Era un altro sabato sera di un'altra settimana. I genitori di Cassandra erano fuori, e così aveva invitato a casa il solito gruppo. Adesso, all'una, erano andati tutti via, fatta eccezione per Andrea, spaparanzata sulla poltrona in salone, e Mattia, che aspettava assieme a Cassa che l'acqua bollisse per il tè.
Quella serata era stata terribile. Più passava il tempo e meno lei riusciva a capire i segnali contrastanti che lui le inviava. Si era resa conto che non c'era solo la cotta per Mattia, ma che qualcosa di informe e indecifrabile era cresciuto dentro di lei. Cassandra aveva la convinzione che quel ragazzo nascondesse un fantasma, un segreto doloroso e nero dentro di sé. E non voleva solo scoprirlo. Voleva guarirlo. Voleva essere lei quella che avrebbe risolto l'enigma, e voleva essere lei quella che lo avrebbe portato a nuova vita. Aveva il bisogno di essere importante per lui, di essere bella per lui, di essere colei che lo avrebbe fatto ridere. Queste necessità cozzavano con una sola, ferma convinzione: di non essere quella che lui voleva. Non era abbastanza pazza, né abbastanza affascinante, misteriosa o eccentrica. Non era magra e pallida, né si truccava gli occhi di nero, fumava o beveva. Spesso scadeva in luoghi comuni o non coglieva le sottigliezze di Mattia. Sembrava più un cucciolo che cercava di compiacere il padrone, desideroso delle sue attenzioni.
Tutti questi pensieri, quella sera, l'avevano assillata. Non era stata una buona idea invitare i ragazzi. Forse avrebbe dovuto semplicemente chiudersi al buio in camera e guardare Sherlock in streaming.
<< Lo so. Sarà terribile come tutti gli altri anni, tanto. >> rispose lei monocorde.
<< Io vengo solo per il tuo cane, sappilo. >>
<< Che stronzo. Già ho carenze d'affetto, poi tu mi ripaghi così... >>
<< Ma io non so dimostrare affetto, Cassà. >>
<< In realtà, penso che tu me l'abbia dimostrato più volte di quanto credi. Forse lo immagino, ma ci sono dei piccoli gesti, non so se volontari o meno, che... >>
<< Gli hipsters hanno uno stile maniacalmente studiato per farti credere che non lo sia! >> la interruppe lui.
Cassandra inclinò la testa da un lato e subito le sovvenne, tra le due opzioni, quella negativa.
<< Allora i tuoi comportamenti sono studiati per farmi credere che siano veri quando in realtà non lo sono? >>
<< Boh. >> disse lui con un sorrisetto enigmatico. Cassandra s'innervosì, sbuffò e si appoggiò alla cucina col fianco.
<< Che stizza. Odio quando mi prendi per il culo così, lo fai sempre, lo fate tutti sempre, mi prendete tutti in giro. E' così divertente?! >>
<< Sì. >> 
Il suo tono era serio, non vi era traccia di ironia. Così la rabbia di lei svanì rapida come era arrivata. Sembrò quasi afflosciarsi su se stessa, accartocciarsi, e mugugnò: << Sono un soggetto tanto manipolabile...? >>
Si sentiva sempre così, con Mattia. Sotto esame. La testava continuamente, le tendeva dei tranelli, cercava di studiarne le reazioni per poterle anticipare e quindi giocarci. Era come se lui le rovistasse costantemente nel cervello, alla ricerca di qualcosa con cui divertirsi. E puntualmente, riusciva a modellarla a suo piacimento.
<< Hai capito troppe cose. Adesso devo confonderti. >>
Cassandra sospirò. Improvvisamente si sentì stanca. L'acqua bolliva.
<< Senti Mattì, non divertirti su di me. >>
<< Spiegami questa tua concezione di divertimento. >> replicò lui serio, spegnendo la fiamma.
<< Vabbè... lasciamo stare. >> 
Gli porse uno strofinaccio con mano tremante.
<< Cazzo, ma perché non sai gestire le discussioni? >> domandò piccato, afferrandolo e avvolgendoselo intorno alla mano; poi prese il pentolino e ne versò il contenuto in due tazze. Cassandra aggrottò la fronte e appoggiò la schiena al lavello, le braccia incrociate.
<< Le so gestire. >>
Lui si bloccò mentre cercava le bustine da tè e si voltò verso di lei.
<< Ah sì? >> chiese sarcastico.
<< Sì. E adesso, continuando a parlarne, farei il tuo gioco: hai detto la precedente frase solo per indurmi a continuare il discorso. Vuoi giocare così con me? Bene, allora gioco. >>
Ennesimo sospiro, e poi Cassa si fece forza.
<< Se io capisco - o m'illudo di capire - che tu in fondo mi vuoi bene, non divertirti a distruggere le mie convinzioni dopo che tu stesso mi hai dato elementi su cui fondarle. Mi dispiacerebbe alla fine scoprire che in realtà non ti cambierebbe nulla, ma proprio nulla, se io me ne andassi. Sono la classica stupida ragazzina che si affeziona molto e subito, ok? Ti ho dato più volte dimostrazioni della mia fiducia, e mi sono lasciata guardare a fondo.
Ho finito.
Scacco. >>
<< Cassandra. >>
<< Che c'è? >>
Poi la baciò.
<< ...Scacco matto. >> sussurrò lei.


"Mi sentivo un veliero nel tuo letto,
ma per te io non ero che un insetto e poi
un giocattolo d'indifferenza, 
dimmi quanto vale la mia verginità."


Cassandra si accasciò esausta sulle lenzuola. Sbattè le palpebre più volte e girò la testa a sinistra, convinta di trovare gli occhi di Mattia. Invece trovò le vertebre sporgenti della sua schiena, mentre si rimetteva i boxer e cercava l'accendino sul comodino; poi si allontanò verso la scrivania e accese la sigaretta.
Lei non disse nulla. Si rannicchiò in posizione fetale sotto la coperta e chiuse gli occhi, mentre l'odore del sesso e del suo sangue le invadeva le narici.


"La chiglia si incaglia nella voglia di te
che travolgevi tutto senza tanti perché,
che eri come un tuffo dove il mare più blu
e io ero il tuo prossimo relitto..."


Festa. Un'altra. Di nuovo puzza di marijuana. Dozzine di coetanei agghindati per l'occasione si dimenavano in pista. Risate, musica, il rumore di un vaso che si rompeva. Cassandra buttò giù un bicchiere di Coca e si chiese cosa ci facesse lì per l'ennesima volta.
Magari con Mattia sarebbe stato diverso.
Magari avrebbe ballato con lui, lui si sarebbe strusciato addosso e le avrebbe sputato il fumo di uno spinello in faccia solo per infastidirla, poi l'avrebbe pregata di seguirlo in bagno e lì l'avrebbe scopata da dietro, in fretta e senza farla godere, solo per il suo piacere. E lei l'avrebbe accontentato, pur di mostrarsi "trasgressiva"; sempre se il fare sesso in un cesso durante una festa potesse definirsi tale.
Oppure Mattia avrebbe potuto essere di buon umore, incasinare la playlist, non fumare, indossare i calzini bianchi, darle un bacio e dirle che quella sera era guardabile.
Forse ancora avrebbe potuto litigarci, o semplicemente avrebbe potuto essere una serata bellissima. Avrebbero ballato dolcemente, si sarebbero sorrisi complici, avrebbero pomiciato e avrebbero giocato con gli altri a Verità o Obbligo. Lui l'avrebbe riaccompagnata a casa e le avrebbe ceduto il chiodo in pelle, per una volta tanto.
Ogni prospettiva, in ogni caso, era migliore di quel fottuto 
disperato
grigiore.
Per quanto Mattia fosse una catastrofe ambulante, che lasciava solo detriti al suo passaggio, era eccitante. Frequentarlo significava non sapere mai come si sarebbe conclusa la serata; era come tuffarsi a peso morto in un abisso, l'adrenalina che scorre nelle vene, aspettando il momento dell'atterraggio. 
Il problema non era, dunque, la caduta: il problema era quando ti spappolavi al suolo in mille pezzi e nessuno veniva a ricomporti. Eri tu che raccoglievi i cocci, li rimettevi insieme, risalivi la china e ti buttavi di nuovo, perché non potevi fare a meno di lui, di quelle sensazioni, del suo modo di travolgere tutto e di coinvolgere anche te nella sua follia.
Mattia era matto, e adesso che Cassandra lo sapeva, l'aveva visto, l'aveva vissuto, tutto era diverso.
Un anno e mezzo fa era a casa sua a pensare come fare per svelare il suo segreto e per curarlo; adesso, le sembrava assurdo che un tempo avesse creduto di poterlo guarire e di potergli essere di qualche utilità.
Era per quello che forse l'aveva lasciata: lei non gli serviva, non capiva un cazzo, non lo aiutava.
Ripensò ai sottili capelli biondi di Mattia che a Gennaio aveva tagliato; alle clavicole sporgenti, alle vene verdastre sui polsi. Alla linea dura della sua mandibola, alle rughette carine che si formavano quando sorrideva. Alla faccia che faceva quando lei diceva una delle sue ovvietà, a come gli cadevano i pantaloni. Alle sue scarpe distrutte e risalenti al 2009. Pensò ai suoi fianchi stretti, al delizioso modo che aveva di spingersi dentro di lei, a quando durante l'orgasmo chiudeva le palpebre traslucide e rilassava i muscoli.
Una fitta le colpì dolcemente il bassoventre.
Poi altri pensieri fecero capolino nella sua testa.
Quando un istante dopo il sesso si rialzava, si vestiva e fumava. Quando la guardò nuda e le disse: "Cazzo, come sei... grossa...". Quando, la prima volta che fecero qualche preliminare, lui soppesò la situazione e annunciò che l'ultima ragazza con cui era stato era più brava. Quando in strada la fissò e le chiese per favore di vestirsi con più cura, magari più scollata. Quando si comportava di merda solo per poter studiare la reazione di lei e disegnarne uno stramaledetto profilo psicologico.
"Non sono neanche la sola", rifletté. "Ha distrutto chiunque si avvicinasse troppo, come un fuoco per delle falene ingenue. Tutte attratte dalla sua luce; solo che poi non riscalda, ma brucia."
Posò il bicchiere, afferrò la giacca nel guardaroba e uscì senza salutare. Nessuno avrebbe fatto caso alla sua assenza, e lei si era rotta di fingere che quella festa le interessasse. No, non era interessante, non era divertente; era noiosa, era scontata, era convenzionale, era vuota. Era tutto quello che Mattia non era, come tutte le cose da quando lui se n'era andato. 


"Le sciarpe al collo e tutta la carnalità
in quel corteo le prime libertà
ti consegnavo l'ingenuità
quante volte mi hai rubato la verginità."


Facebook, profilo di Penelope. Cassandra guardava svogliata gli album di fotografie, alla ricerca di qualcosa che alleviasse la sua noia.
"Occupazione".
Aggrottò le sopracciglia.
Non guardava quelle fotografie da tanto tempo.

Prima immagine: il loro gruppo abbracciato nei corridoi della scuola. Sorridevano tutti, anche Mattia, con la sua smorfia forzata.
Seconda immagine: Mattia che fingeva di essere Batman con un mantello fatto di fogli di carta.
Terza immagine: lo striscione che Andrea aveva dipinto per il corteo.
Quarta immagine: il gruppo di studenti che scioperava in Piazza Del Gesù. Cassandra ancora ricordava la felicità di avere il permesso di andare alla manifestazione, di potersi spostare in treno da sola. Si scorse tra la folla: imbacuccata - come al solito - in una pesante sciarpa di lana grigia, lo sguardo incerto, mentre con una mano s'aggiustava il cappellino giallo.
Quinta immagine, poi sesta, settima, ottava. 
La fotografia che chiudeva l'album ritraeva Mattia e Lele seduti sul davanzale della finestra, i volti felici, stretti in un abbraccio. Stava quasi per tornare alla Home quando notò una cosa: nell'angolo a sinistra della foto c'era anche lei. Aveva le braccia strette intorno al petto, quasi a proteggersi, e timidamente guardava Mattia da lontano. Il ritratto di "una ciccina", come avrebbe detto lui.
Cassandra sospirò.
Le mancava quel tipo di innocenza, di tenerezza che le era stato strappato. Era carina davvero con le gote arrossate e quello sguardo, che sembrava urlare: "Ti prego, notami".
Mattia l'aveva depredata di quelle cose: per Cassandra non esistevano più reazioni spontanee, ma solo paura. Era tutta uno "Scusa", "Mi dispiace", "Lascia perdere". Si lasciava trasportare dalla corrente passivamente: mai una volta che si lamentasse, che esprimesse un disagio. A Mattia non fregava un cazzo di come stava lei, e lei si era abituata a ritenerla una questione di minore importanza. La priorità era lui, sempre, il benessere di lui, sempre.
Davanti alle domande personali taceva, davanti ai complimenti sorrideva amara, di fronte alle battute su di lei s'incupiva. Aveva posto un limite a ciò che diceva e faceva: tutto doveva essere calcolato. La sua ingenua spontaneità aveva permesso a Mattia di analizzarla e trarne vantaggio, di rigirarla e osservarla da diverse angolazioni. Non era più disposta a fare da cavia. Non era più disposta a scopare ogni volta piangendo perché si sentiva scoppiare di un amore malato, malsano. 
Non era disposta neanche a buttarselo alle spalle, quel sentimento autodistruttivo che ancora oggi la infestava.


<< Va bene ragazzi, per oggi basta così. Dalla settimana prossima inizio a interrogare, vi avviso. >>
Lamentele di rito. Cassandra si alzò e prese la giacca e la borsa. Osservò i volti contrariati dei suoi allievi e inarcò un sopracciglio: << Niente da fare, è Dicembre, mi servono i voti! Ci vediamo domani, arrivederci ragazzi. >>
Scivolò via dall'aula e si diresse verso l'uscita. Sentì i morsi della fame e provò un piacere perverso nel negare al suo corpo il cibo che reclamava. 
Luce tiepida del sole invernale, freddo pungente dicembrino. Le mani ghiacciate, costrette fuori dalle tasche per poter mantenere i libri e la borsa in cuoio. Il suo corpo leggero veleggiava verso l'auto. 
Quella mattina si era svegliata con un grosso peso sul petto. Si era alzata, lavata, vestita, ma non era riuscita a liberarsi di quel mostriciattolo nero che la fissava appollaiato sulla sua spalla. Aveva sentito l'ansia crescere mentre mangiava i suoi soliti cereali, mentre abbottonava la gonna, mentre si metteva il mascara. Aveva inspirato profondamente prima di uscire di casa, pregando affinché non le venisse un attacco di panico mentre guidava. Le era capitato una volta, qualche anno prima, e non le andava di ripetere l'esperienza.
Cassandra odiava le giornate così, quando si svegliava e sentiva il peso della vita. Tutto era amplificato, tutto diventava accecante e insostenibile. La facevano sentire fragile, come se non potesse reggere quel mondo tanto bello quanto malato. Era entrata in classe e aveva sentito un curioso presagio - qualcosa sarebbe accaduto. La sua spiegazione fu distratta e poco coinvolgente; si chiedeva cosa fosse quell'istinto chiaroveggente, a cosa fosse riferito, e non riusciva a trovare risposta.
Indugiò pigramente con lo sguardo sulle spalle dell'uomo biondo lì vicino, poi posò i tomi sul tettuccio della vettura e cercò le chiavi in borsa. Sentì distrattamente dei passi avvicinarsi. "Ma dove saranno finite 'ste chiavi?".
<< Scusa, hai da accendere? >> fece una voce roca alle sue spalle.
Cassandra si voltò, continuando a frugare nella borsa.
<< No, mi dispiace. Non fum... >>
Poi alzò gli occhi. 
<< ...o quella merda. >> concluse con un filo di voce.
Il volto dell'uomo fu un deja-vu. Era come se una vecchia fotografia avesse preso vita e avesse fatto quattro passi fino ad arrivare a lei. I ricordi la inondarono, si accavallarono, fecero a gara per il possesso della sua mente. Una serie infinita di immagini in rapida sequenza: lui mentre facevano l'amore, lui mentre litigavano, lui mentre le diceva addio con fare svogliato. 
Era stato come tuffarsi nei ricordi più nitidi e profondi della sua adolescenza, quei ricordi conservati e stipati con cura in un cassetto, che ogni tanto tirava fuori e riviveva per il gusto di sentire qualcosa.
Lo osservò attentamente, si bevve ogni dettaglio del suo viso. Era cambiato così poco. Aveva la stessa gobbetta sul naso, le stesse ciglia trasparenti, lo stesso sguardo liquido. La mascella, ecco, quella era molto più pronunciata. Delle rughette gli erano apparse ai lati degli occhi e della bocca e una barba biondastra e mal fatta gli metteva in risalto gli zigomi affilati. La voce era quella di un uomo, e le mani anche, nervose e pallide, dalle dita lunghe.
Lo osservò mentre cercava di accendere la sigaretta con la clipper** scarica, paralizzata.
Lui rinunciò all'impresa, alzò le spalle e disse: << Fa nulla, grazie. >>
Poi ripose l'accendino e finalmente la guardò. Indugiò prima sul suo corpo sottile - molto, molto più sottile di quando erano ragazzi... - e poi sul suo volto. Inclinò leggermente la testa a destra. Fece un sorriso famelico.
Cassandra era immobile, in attesa.
Poi lui disse semplicemente: << Buona giornata >>, si mise le sigarette in tasca e s'incamminò.
Lei si voltò velocemente verso la macchina, e una voragine si aprì in mezzo al suo petto. Riprese a respirare. 
"Non puoi farti scombussolare così da Mattia Laremi, sono passati ANNI. Ti prego." si disse; poi si riscosse, trovò le chiavi  e le infilò nella serratura, quando un rumore di passi affrettati e la voce di lui catturarono di nuovo la sua attenzione.
<< Ah, dimenticavo. Tieni. >>
Le porse un foglietto di carta e si allontanò veloce, una strana espressione divertita negli occhi. 
Lei restò imbambolata. Perché quell'uomo aveva la capacità di toglierle la parola? O Dio, avrebbe anche potuto fermarlo, rispondergli, diamine, non limitarsi a prendere quel pezzetto di carta in silenzio. Strinse forte i pugni e lo guardò sparire in fretta all'angolo.
Afferrò i libri, salì nell'autovettura e aprì il foglietto, il sangue che le rombava nel cervello e pompava forte.
C'era scritto un numero di telefono, e poi una parola.
Una sola.
"Scacco".


**Note dell'autrice**

*Testo della canzone 'Surrender', dei Billy Talent.
**Celebre tipo di accendino.
Salve a tutti. Questa è la prima storia che pubblico su questo sito con questo nome.
Sinceramente, non so se in effetti questa valga qualcosa. L'ho scritta di getto in due giorni sulle note di una canzone per me fondamentale, 'Diluvio' dei Subsonica. Sono sicura che ci siano diversi errori, ma non riesco a trovarli, quindi se ne avete notati e vi va, o semplicemente se avete qualcosa da dirmi, fatelo con un commento!
Baci,
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