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Autore: padme83    25/10/2015    13 recensioni
"I suoi occhi – bagliori lividi di oceani in tempesta – ti guardavano ipnotici, scrutandoti fin nel profondo dell'anima, furiosi ed al medesimo tempo traboccanti di un desiderio totale, assoluto, terrificante.
Lo stesso desiderio che, ne eri certa, lui era in grado di scorgere in fondo all'abisso limaccioso del tuo sguardo – un anelito così pressante che poteva essere estinto soltanto se aveste entrambi accettato di smarrirvi l'uno nelle braccia dell'altra."
Genere: Angst, Introspettivo, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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“A thousand silhouettes,
dancing on my chest.
No matter where I sleep
you are haunting me.”

 



La strada per la Normandia è deserta, e si stende sinuosa ed invitante ai tuoi piedi, un nastro color ocra appena illuminato dal tenue chiarore del crepuscolo.
Caesàr corre come se avesse alle calcagna un branco inferocito di lupi affamati, e il tonfo ritmico degli zoccoli sulla terra battuta si fonde e si confonde con il martellare frenetico del tuo cuore, che minaccia ad ogni respiro di schizzare fuori dal petto.
La mente è un gorgo mortifero di pensieri infestanti, un miscuglio urticante di emozioni infide che si aggrovigliano fra loro, torcendosi l'una sull'altra, ma finendo sempre col convergere attorno al medesimo punto – il centro esatto e perfetto delle tue ossessioni.
Dinnanzi ai tuoi occhi danzano migliaia di immagini, sagome sfocate che sembrano osservarti da una remota distanza, ma che in verità si trovano più vicine di quanto tu possa immaginare.
Sono parte di te, memento costante di ciò che non hai saputo affrontare e sconfiggere.
Sei partita determinata a dimenticare tutto – tutto, tranne quel bacio che ancora senti bruciare sulla pelle.

 

 

 

- Silhouettes -

 

 

 

It's hard, letting go,
I'm finally at peace but it feels wrong.
Slow, I'm getting up,
my hands and feet are weaker than before.

And you are folded on the bed
where I rest my head,
there's nothing I can't see
darkness becomes me.”

 

 

 

E' l'alba.
Un sottile raggio di sole si fa strada attraverso le pesanti coltri che adornano le finestre della stanza, costringendoti a strizzare le palpebre.
Ti svegli tuo malgrado, guardandoti attorno in preda ad un sottile senso di straniamento. Non ti trovi a Palazzo Jarjayes, ne sei sicura: quella in cui hai dormito non è la tua camera da letto. Ancora avvolta dai fumi del sonno, inizi confusamente a chiederti se non sia il caso di preoccuparsi.
Poi ricordi.
Non sei a casa.
Sei ad Étretat.
Hai raggiunto la tenuta ieri sera, poco dopo il tramonto, gettando nello scompiglio i coniugi Lerouf, i custodi, ai quali non ti sei data pensiero di preannunciare il tuo arrivo.
Osservi inquieta il comodino accanto al letto, che accoglie con eleganza la pregiata bottiglia di vino che hai portato con te prima di coricarti. E' piena, e il bicchiere al suo fianco intonso. Non sei riuscita ad assaggiarne neanche una lacrima, e ti domandi – mentre le labbra si piegano in una smorfia contratta – se sia stato davvero un atto di sovrumana forza l'aver resistito alla tentazione di bere fino a stordirti, oppure null'altro che l'ennesima resa dinnanzi alla paura che da giorni ti attanaglia l'animo, senza concederti neppure un istante di tregua.
La paura di perdere il controllo, permettendo così alla belva che ti divora dall'interno di risalire dalle viscere fino al cervello, di fare a pezzi quel poco equilibrio che ancora ti è rimasto, e al quale tenti disperatamente di restare aggrappata.
Alla fine decidi che, qualunque ne sia il motivo, è stato un bene non aver assaporato neppure la più minuscola goccia dell'oblio promesso dalla bevanda cremisi, dato che, questa mattina, ti senti inaspettatamente più riposata del solito.
Rimani ancora per qualche minuto distesa nel confortante tepore delle coperte, cercando di rilassare i muscoli intorpiditi; d'altronde, qui in Normandia non c'è nessun lavoro incombente da svolgere, nessuna missione da portare a termine, nessuna piazza d'armi che ti aspetta per la giornaliera rassegna delle truppe.
Quando, dopo molti tentennamenti, ritieni di essere pronta a sufficienza per affrontare il mondo, scosti in fretta le lenzuola con le gambe e scendi dal letto, correndo subito ad aprire le tende che ancora velano d'ombra la maggior parte della stanza. Una volta spalancati anche i battenti della grande porta-finestra che si affaccia sull'esterno, raggiungi a passi lenti il balcone, e ti lasci sommergere dalla bellezza immensa dell'oceano accarezzato dalle prime luci del mattino. Inspiri a fondo, e un fiotto di aria salmastra ti riempie i polmoni, donandoti un insperato sollievo. Cominci a pensare che, nonostante tutto, trascorrere qualche giorno nella casa di campagna della tua famiglia non sia stata poi un'idea tanto assurda, anzi. Forse, forse, potresti anche riuscire a distrarti un po', magari cavalcando sulla spiaggia, leggendo un buon libro, allenandoti con la spada, o, più semplicemente, lasciando vagare la mente – finalmente libera – nel blu infinito dell'orizzonte.
Eppure... eppure, non riesci a toglierti di dosso la sgradevole sensazione che ci sia qualcosa di sbagliato, di tremendamente sbagliato, in tutto ciò che ti circonda. E' un impulso che non riesci a sopprimere, e che violenta con rabbiose pennellate scure i colori sfavillanti del giorno appena nato; avverti un nodo stringerti con prepotenza lo stomaco, mentre si fa sempre più irresistibile dentro di te il bisogno di lasciare finalmente andare le urla che per troppo tempo ti sei costretta a trattenere in gola.
Perché in fondo sai cosa c'è di così sbagliato su questa terrazza fredda e sferzata dal vento.
Lui non è qui.
Non è qui, ma vorresti con tutta te stessa che ci fosse.
E, a questo pensiero, il tuo cuore si fa, ancora una volta, di luce e di tenebra.

 

 

 

There's nothing that I'd take back,
but it's hard to say there's nothing I regret.
'Cause when I sing you shout,
I breathe out loud, you bleed,
we crawl like animals,
but when it's over I'm still away.”

 

 


Lo avevi chiamato da te come tutte le sere, anche se quella sera non aveva niente in comune con le altre.
Avevi scelto la tua strada, ed eri decisa a percorrerla fino alla fine. Un uomo deve sapersela cavare da solo, sempre e in ogni occasione; un'ombra protettiva che ti seguisse ad ogni passo era un lusso che non potevi più concederti. La debolezza dell'essere donna aveva già fatto irruzione nella tua vita con furia distruttiva, e dopo il suo passaggio nel tuo cuore non erano rimaste altro che macerie: ora spettava solo a te l'onere di ricostruirne i muri, e di risorgere a fatica dalle tue stesse ceneri.
Per farlo, dovevi allontanarti da Versailles, e da quell'amore nel cui cielo la speranza non aveva mai volato.
Ma lui, naturalmente, non ha capito. D'altra parte, come avrebbe potuto? Tutta la sua esistenza ruotava attorno a te, che ne eri il perno. Allontanarlo significava distruggerlo, e tu ne eri ben consapevole. Nonostante questo, non ti sei fermata.
Sapevi che ci sarebbe stato da discutere, che avrebbe tentato di farti cambiare idea, che avrebbe esposto le sue ragioni con la lucidità che gli è propria, che ti avrebbe rovesciato addosso un fiume di parole amare, logorandoti fino allo sfinimento. Ci è in effetti arrivato molto vicino; ciò nondimeno te lo aspettavi, ed eri pronta a dare battaglia.
Ma a quel che è successo dopo, a quello no, non eri affatto preparata.
I tuoi polsi, stretti nella morsa invincibile delle sue mani, sono stati i primi ad arrendersi all'evidenza.
Non è stata la sua forza, in realtà, a sorprenderti. Hai passato vent'anni ad allenarti con lui, e sai bene di cosa è capace. No, ciò che ha annientato in te ogni tentativo di ribellione è stata la sconvolgente, assurda, esaltante consapevolezza di non volere, non volere!, che lui ti lasciasse andare.
Quando le sue labbra hanno sfiorato avide le tue, ti sei sentita invadere da un fuoco divorante, che rapido è corso ad infiammare parti di te che nemmeno sapevi di possedere, nervi scoperti che da quell'incendio hanno tratto audacia e vigore, lasciandoti incredula e disarmata davanti a te stessa.
La sua bocca ti esplorava lenta, con dolcezza e ferocia, e la pelle che sentivi scottare sotto alle dita ti invitava a desiderare di più, sempre di più, tentandoti al limite di ogni sopportazione.
Ammaliandoti.
Torturandoti.
Lo hai lasciato fare, avvinghiandoti a lui come se fosse l'unico appiglio ancora saldo rimasto al mondo, mentre attorno a te la terra tremava e ti inghiottiva, ancora ancora e ancora.
Hai ricambiato il bacio con eguale arroganza, inebriandoti del suo sapore fino a stordirti, pregando che ti stringesse più forte, saggiando l'impeto del suo sangue, al di là di ogni pentimento e oltre qualsiasi redenzione, fino a che il cuore non ti è esploso nel petto.
Ed è stato proprio in quel preciso momento, quando il pensiero che nulla avrebbe più potuto fermarvi ti ha attraversato la mente come un lampo, che l'intero universo è andato in frantumi, e la passione ha all'improvviso ceduto il passo al terrore.
Lo hai allontanato da te, e lo sforzo tremendo con il quale hai trovato il coraggio di separarti da lui ha procurato al tuo corpo una ferita che ancora adesso non sei riuscita a medicare.
E forse non lo farai – non lo potrai fare - mai.
Lo hai allontanato da te, perché non potevi più permetterti di soffrire, perché ormai sapevi che l'amore – se d'amore si trattava – non porta ad altro che ad una lenta e triste agonia, perché il tuo cuore non doveva più essere toccato da questo sentimento, perché un uomo non può – non deve – lasciarsi sconvolgere da simili sciocchezze.
I suoi occhi bagliori lividi di oceani in tempesta ti guardavano ipnotici, scrutandoti fin nel profondo dell'anima, furiosi e al medesimo tempo traboccanti di un desiderio totale, assoluto, terrificante.
Lo stesso desiderio che, ne eri certa, lui era in grado di scorgere in fondo all'abisso limaccioso del tuo sguardo – un anelito così pressante che poteva essere estinto soltanto se aveste entrambi accettato di smarrirvi l'uno nelle braccia dell'altra.
- Vattene, André. -
La tua voce era il sibilo freddo di una serpe, nonostante la tempesta che ti infuriava dentro. Ma lui non accennava ad andarsene.
E allora hai pronunciato le uniche parole capaci di scavare fra voi un solco che, se tracciato, sarebbe stato quasi impossibile da colmare.
Conoscevi il male che gli avresti fatto, e non hai esitato: lo hai colpito dove sapevi che avresti provocato più danno.
- Vattene, André. E' un ordine. -
Dolore infinito, senza scampo, senza possibilità di perdono, nei suoi occhi di ossidiana.
E mentre lo guardavi uscire dalla porta con le spalle curve, ferito a morte, hai avuto la straziante, nitida, impietosa certezza di aver perso, forse per sempre, il frammento più prezioso della tua anima.

 

 

But I'm already there,
I'm already there.
Where ever there is you,
I will be there too...”

 

 

 

 

Nota:

Buonasera Madame e Messeri, eccomi qua, dopo quasi un anno di assenza ^_^
Complice mia madre – la quale, se sapesse che ho approfittato delle ore in cui si è occupata del pargolo per scrivere questa ff invece di stirare, pulire casa, ecc. ecc. ecc., come minimo mi spellerebbe viva – oggi sono riuscita a buttare giù queste poche parole, e, a prescindere dal risultato finale, sono molto contenta di averlo fatto!
Vi ringrazio sin d'ora se avrete la gentilezza di comunicarmi cosa pensate di questa piccola OS, o se vorrete aggiungerla in una delle liste messe a disposizione da EFP.
Ringrazio, naturalmente, anche i lettori silenziosi che si faranno un giro da queste parti ;-)
Ricordo che la mia pagina fb, Lost Fantasy, è aperta a chiunque abbia il desiderio di venirmi a trovare anche al di fuori di questo sito.
La canzone che accompagna la OS (e da cui ho tratto il titolo) è “Silhouettes”, by Of Monsters and Men; l'ordine dei versi non è corretto, ma l'ho cambiato a seconda di ciò che avevo bisogno.
Abbiate pazienza se tarderò a rispondere ad eventuali recensioni, tenete presente che ho a che fare con un bambino di 4 mesi <3
Un bacio a tutti, e a presto (spero) :*

padme


 

   
 
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