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Autore: CaptainJollyRoger    25/10/2015    2 recensioni
"Amava osservare intorno a sè, Frank. Ogni oggetto, se lo guardava abbastanza attentamente, nascondeva una storia, ogni volta diversa. Erano storie entusiasmanti, molto più belle di quelle che raccontava la signorina vestita di bianco che gli portava da mangiare. Erano storie emozionanti, forti, che lo lasciavano senza fiato. A volte, ne riconosceva anche i protagonisti: ad esempio, la donna che dormiva nel letto accanto a lui."
Semplicemente una storia su Alice e Frank, due grandi eroi spesso dimenticati.
[Partecipante al contest Let's Play Taboo-Old Generation Edition, indetto da Writer96 e Alyx]
Genere: Angst, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alice Paciock, Frank Paciock
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Nickname (sul forum e su Efp): CaptainJollyRoger
Carta scelta: Gruppo B, carta 5
Titolo:  “Il ricordo è l'unico paradiso dal quale non possiamo essere cacciati.” Forse.
Introduzione: "Amava osservare intorno a sè, Frank. Ogni oggetto, se lo guardava abbastanza attentamente, nascondeva una storia, ogni volta diversa. Erano storie entusiasmanti, molto più belle di quelle che raccontava la signorina vestita di bianco che gli portava da mangiare. Erano storie emozionanti, forti, che lo lasciavano senza fiato. A volte, ne riconosceva anche i protagonisti: ad esempio, la donna che dormiva nel letto accanto a lui."
Personaggi: Frank/Alice
Genere: Sentimentale/Angst
Note: Nessuna
Avvertimenti: Nessuno
Eventuali NdA: [Sono a fondo pagina, per evitare spoiler sulla trama]
 
 
Amava osservare intorno a sé, Frank.
Ogni oggetto, se lo guardava abbastanza attentamente, nascondeva una storia, ogni volta diversa. Erano storie entusiasmanti, molto più belle di quelle che raccontava la signorina vestita di bianco che gli portava da mangiare. Erano storie emozionanti, forti, che lo lasciavano senza fiato. A volte, ne riconosceva anche i protagonisti: ad esempio, la donna che dormiva nel letto accanto a lui. Lei c'era sempre, in quelle storie. Storie bellissime, con un unico difetto: appena distoglieva lo sguardo, loro scomparivano, sena lasciare più traccia dietro di sé nella sua mente confusa.
E quel giorno, ad iniziare a raccontare, fu un orologio. Un orologio le cui lancette scorrevano lentamente e, invece di fare 'tic-tac', narravano la storia di qualcuno.
La sua.
 
Frank lanciò un'occhiata all'orologio da polso, sbuffando lievemente infastidito. Erano già le dodici meno cinque, se Alice avesse ritardato ancora sarebbero arrivati ad Hogsmeade giusto in tempo per rientrare. Probabilmente erano gli unici ancora rimasti nella scuola, a parte Gazza e Madama Prince. Il che avrebbe potuto confermare le teorie di Sirius riguardo un amore segreto consumato sotto i gelosi occhi di Mrs Purr.
Il ragazzo scosse la testa, sempre più irritato: se iniziava a dare ragione a Sirius, anche solo  nella sua testa, voleva dire certamente che qualcosa non andava. E quel qualcosa era il ritardo della sua neo-ragazza. A dir la verità la conosceva di vista da quando avevano iniziato a frequentare la scuola, ma soltanto quell'anno si era davvero accorto di lei. E da quel momento, tutto era cambiato. In meglio, s'intende. Quella sarebbe stata la loro prima uscita ufficiale, da coppia di fatto.... certo, se lei si fosse decisa ad arrivare prima di sera.
Giusto per ingannare il tempo, si mise ad immaginare cosa avrebbero commentato gli altri, sapendolo lì ad aspettare una ragazza che non voleva saperne di arrivare. "
Non sei affascinante come me, è ovvio che le donne ti facciano aspettare", sussurrò la voce di Sirius, supponente ed ironica, alla quale Frank immaginò di rispondere con un gestaccio. Poi la stessa voce aggiunse, compassionevole: "Anche se tu sei cotto marcio, amico! Nessuno sano di mente aspetterebbe qualcuno per più di un'ora!" "Ci stai implicitamente dando il permesso di mollarti in asso ogni volta che ritardi, Sir?" si sovrappose la voce di Peter, mentre quella di James, stucchevolmente, commentava: "Io aspetterei Evans anche una vita, se si decidesse ad uscire con me invece di passare il suo tempo con i Mocciosus!". E l'ultima parola suonava come un insulto persino nel chiuso della sua mente, detta dalla voce di James. "Non dar retta a questi idioti, Frank: porta pazienza, vedrai che ne sarai ricompensato." Come al solito, la voce di Remus era la più ragionevole, anche all'interno della sua testa. E fu in quel momento che Frank si rese conto che sentire voci, anche se sono quelle dei tuoi compagni di dormitorio, non è affatto ragionevole. Soprattutto se solo una di quelle è in grado di dare consigli sensati.
Le campane rintoccarono il mezzodì, risvegliandolo e costringendolo a prendere una drastica decisione: cacciò penna, fogli e bacchetta, con tutta l'intenzione di mandare un messaggio ad Alice, quando una voce lo bloccò all'improvviso.
«Ti avverto, Paciock.»
Ed in quel momento, il suo cognome gli parve tremendamente simile ad un insulto. Si voltò verso la rampa di scale che sovrastava l'ingresso, e rabbrividì leggermente nel constatare che l'espressione sul volto di Alice era tutto tranne che rassicurante, mentre nella mano destra stringeva i tre biglietti incantati che le aveva già mandato per assicurarsi che fosse viva. Uno ogni mezz'ora. Sotto consiglio della voce-Sirius, ovviamente.
«Se provi soltanto ad avvicinare quella penna al foglio, giuro che andrò ad Hogsmeade con un fantasma. Il tuo.»
Ed è universalmente risaputo che dar retta a Sirius Black non porta mai ad esiti positivi.
«Scusami, è solo che non arrivavi e…»
«La prossima volta che fai tutte queste storie per cinque minuti di ritardo, ti tiro buca!» Fu l'irritata risposta, accompagnata da una sonora linguaccia. Se aveva appena fatto una linguaccia, significava che il peggio era già passato, dunque Frank fu rapido ad infilare nuovamente carta e penna nella tracolla e dimenticare totalmente l'insignificante ritardo di due ore della ragazza. La osservò scendere le scale: era bella, Alice. Non bella nel senso convenzionale del termine: non aveva lunghi capelli fluenti, ma corti ciuffi di un castano tendente al biondo che le accarezzavano la nuca; e non aveva sognanti occhi color del cielo, ma uno sguardo scuro deciso e sicuro di sè, e lievemente intimidatorio, a volte; non era alta e dalle curve perfette, ma la sua figura minuta era armonica. Non era perfetta, ma proprio in quello stava la sua bellezza. Ed era forte. Frank lo sapeva, glielo leggeva nello sguardo fiero: lei era una vera Grifondoro, una ragazza piena di vita e di energia, difficile da buttare giù. Era semplicemente magnifica.
Quando gli fu finalmente davanti, la ragazza gli buttò le braccia al collo, la piccola scaramuccia già del tutto dimenticata -a meno che quello non fosse un modo per strozzarlo senza che se ne rendesse conto-, e gli scoccò un bacio sulla guancia.
«E poi, non provarci nemmeno a parlare di ritardo: io aspetto quest'invito da ben due anni, cosa dovrei dire?» Poi lo superò, lasciandolo fermo sul posto, sorpreso e ringalluzzito, a metabolizzare il messaggio in codice che gli aveva appena mandato. «Beh? Andiamo?»
Frank si riscosse, e sorridendo le corse dietro, abbracciandola alle spalle e sollevandola da terra come non pesasse affatto. «Ehi, se ti ho fatto attendere così a lungo, credo di dovermi scusare con te, prima di andare.»
Poi si chinò sul suo volto; e mai scuse furono più gradite.

 
Eccola, ne era certo: quella ragazza era la stessa donna che si trovava al suo fianco. Alice. Ed era talmente bella da fargli male. Anche quella vicino a lui era bellissima, lo diceva sempre persino la donna vestita di bianco -un'altra- che veniva a cambiarla e ad accompagnarla in bagno. Ma il suo volto adesso era più scavato, e gli occhi erano spenti, e Frank si chiese come avrebbe potuto fare per rimetterle negli occhi quella luce così bella che aveva avuto nella storia.
Poi, prima che potesse pensare ad altro, la sua mente fu invasa da un altro racconto; e lui rimase immobile mentre la narrazione scorreva nella sua testa, talmente nitida da sembrare reale.
 
Frank trovò riparo dietro il muro del vicolo, piegandosi sulle ginocchia per riprendere fiato e ringraziando tra sé e sé Moody: stavolta c'era andato davvero vicino, a lasciarci le penne! Se il capo degli Auror non gli avesse urlato un avvertimento, non sarebbe mai riuscito ad evitare in tempo la maledizione che uno dei Mangiamorte gli aveva lanciato alle spalle, ma che lo aveva sfiorato ugualmente sul braccio. Stringendo i denti per trattenere un mugolio di dolore si lanciò un rapido incantesimo sull'arto sinistro, per impedire a quella macchia violacea che ora gli deturpava la pelle -qualsiasi cosa fosse- di avanzare verso il resto del corpo.
Quello che in teoria doveva essere soltanto un semplice giro di ricognizione si era improvvisamente trasformato in un'imboscata dei servi di Voldemort, e lui, il suo capo, Remus e il vecchio Elphias Doge si erano ritrovati in breve circondati nelle strette vie di quel paesino, senza poter nemmeno sperare di evacuare la zona, costretti a combattere mentre aspettavano i rinforzi. Rinforzi che erano dannatamente in ritardo, come Moody continuava a borbottare infastidito mentre schiantava e abbatteva avversari come fossero birilli. Frank prese un respiro profondo, per poi ributtarsi immediatamente nella mischia, sentendo ancora il fiato corto. "
Il vecchio Pete ha ragione, dovrei buttare giù qualche chilo. Anche se, detto da lui..." si ritrovò a pensare, notando per la prima volta quanto futili fossero quelli che avrebbero potuto tranquillamente essere i suoi ultimi pensieri. Aveva appena schiantato un uomo in maschera, quando il rumore improvviso di una materializzazione lo fece voltare di scatto, la bacchetta sguainata. Il bastoncino sottile, che rappresentava tutto il suo armamentario, si incrociò con quello della persona che più avrebbe voluto avere vicino in quel momento, ma che allo stesso tempo avrebbe desiderato a mille miglia di distanza da tutto quello.
«Scommetto che è colpa tua se siete in ritardo.», sorrise, dandole di nuovo le spalle e continuando a combattere, schiena contro schiena con lei, come ormai facevano da tempo. Alice sbuffò, mentre intorno a loro si materializzavano rapidamente le sagome di Lily, James e Sirius.
«In ritardo? Tesoro, io non sono
mai in ritardo, ancora non l'hai imparato?» gli rispose, abbattendo due Mangiamorte insieme.
Fu il turno di Frank di sbuffare, mentre intorno a loro la battaglia continuava ad imperversare. Un paio di colpi, un paio di schivate, poi Alice parlò di nuovo.
«Cos'hai al braccio?»
«Un regalino di questi tizi; eravamo stufi di aspettarti e ci siamo messi a giocare a chi distruggeva gli altri per primo.» le rispose, ironico ma allo stesso tempo gentile, come soltanto lui era capace di essere. Alice si voltò verso di lui per rispondergli qualcosa, ma prima che riuscisse a parlare Frank le fece uno sgambetto, facendola finire a terra e permettendole, in questo modo, di evitare una maledizione vagante. La ragazza lanciò un gridolino sorpreso e gli lanciò un'occhiata a metà tra il riconoscente e l'assassino. «Se non fossimo alleati ti ucciderei, Paciock.»
«Arrivi in ritardo anche per questo, vogliono già uccidermi loro!»
Di nuovo, mentre continuava a combattere senza mettere mai più di tre passi tra lui e la ragazza, Frank si disse che quei discorsi erano incredibilmente poco memorabili, per essere fatti in un momento di tale tensione.
Erano in minoranza numerica nonostante i rinforzi e, nonostante se la stessero cavando tutti egregiamente (dopotutto, l'Ordine era la prima e più importante frontiera contro Voldemort, e di certo chi ne faceva parte non poteva essere messo fuori gioco da un manipolo di idioti come quelli) niente assicurava loro sarebbero tornati tutti indietro.
Potevano benissimo essere i suoi ultimi pensieri quelli e, per quanto l'idea lo spaventasse, non poteva certo lasciare che vertessero sull'essere ritardataria della sua fidanzata. Ci voleva qualcosa di epico. E se poi non fosse morto nessuno, beh, tanto meglio!
Così, dopo aver rifilato una gomitata sul volto di uno degli incappucciati, si girò a guardarla ed urlò, appena conscio del fatto che quello non era
affatto un comportamento adatto ad una guerra: «Ehi, Alice! Vuoi sposarmi?»
 
Avrebbe voluto chiamarla, avrebbe voluto voltarsi verso Alice e dirle "Guarda, siamo nell'orologio! Guarda, quanto ci amiamo! Lo vedi? Forse ci siamo sposati, e tu sei bellissima!". Ma sapeva che, se avesse anche solo distolto lo sguardo dal movimento rapido ed incessante delle lancette, tutto sarebbe scomparso nel vuoto. E lui voleva sapere come andava a finire la storia.
Così, non si voltò verso la sua compagna, né smise di fissare il quadrante bianco mentre un altro dei suoi confusi ricordi cominciava ad essere narrato da quell'instancabile strumento meccanico.
 
Frank si allentò il nodo della cravatta, mentre iniziava a sentire la tensione salire. Quello sarebbe diventato il giorno più bello della sua vita, ne era sicuro, ma prima doveva sopravvivervi. E in quel momento non era tanto sicuro di farcela. Se solo avesse potuto parlare con Alice... era certo che vederla convinta e combattiva come al solito avrebbe ridotto a zero le sue stupide ed inutili angosce. James gliel'aveva detto, prima di lasciarlo solo: "Non pensarci, fidati, sono solo poche parole e poi sarà tutto finito! Rapido ed indolore, e in pochi minuti sarete marito e moglie! Certo, sono poche parole ma devi azzeccarle, sennò è la fine. E non fare niente di sbagliato, tipo abbassare lo sguardo in certi momenti, oppure balbettare, e... mio dio, dovrò ricordarmi gli occhiali! Non vedo niente senza, sarebbe bruttissimo baciare Lily Potter per la prima volta senza poterla vedere in volto, e..."
Beh, doveva ammettere che James non era stato affatto d'aiuto, così lo aveva costretto -poco gentilmente, a onor del vero- ad andare a sedersi e stare zitto, dopo avergli ricordato che a sposarsi erano lui ed Alice.
Così, adesso, si ritrovava completamente solo, in attesa dell'inizio di tutto. Se soltanto...
Come se gli avesse letto nel pensiero, all'improvviso una versione decisamente insolita di Alice, fasciata da un abito bianco, comparve davanti ai suoi occhi, spalancando con ben poca delicatezza una delle porte laterali. Dopo qualche secondo di inibizione totale, Frank si riprese e si costrinse a distogliere lo sguardo da quella che era, probabilmente, una la cosa più bella che avesse mai visto. Oltre a vederla combattere.
«Che cosa ci fai qui? Non dovrei vederti prima della cerimonia!»
La ragazza scoppiò a ridere allegramente e si avvicinò a lui, decisa come sempre. «Oh, al diavolo le tradizioni, Frank! Lì fuori c'è la guerra e noi ci stiamo sposando -anzi, per la verità hai chiesto la mia mano esattamente durante la guerra-, direi che stiamo già andando contro ogni buon costume, no? E poi non ne potevo sinceramente più di fare avanti e indietro in quella stanzetta dove Marlene mi ha rinchiuso, sono già pronta da venti minuti!»
Il ragazzo sorrise, guardandola con disarmante dolcezza. «E' l'unico giorno della tua vita in cui ti si chiede espressamente di arrivare in ritardo, e tu cosa fai? Arrivi addirittura in anticipo!»
Alice rispose ruotando gli occhi al cielo, lasciando però che le labbra sottili si incurvassero, divertite. «L'ho appena detto, no? Al diavolo le tradizioni.»
Frank si prese qualche istante per squadrarla da capo a piedi, godendo della vista del suo corpo minuto fasciato dall'abito liscio e lucido, dei capelli cortissimi che spuntavano, come piccoli aghi color mogano, da sotto il velo che Augusta l'aveva convinta -o costretta, a seconda dei punti di vista- a riesumare dal proprio corredo di nozze e sì, beandosi persino di quella cicatrice chiara che le deturpava lo zigomo, ricordo dell'ultima battaglia dell'Ordine.
Le si avvicinò, posandole delicatamente le mani sui fianchi stretti. «Persino le ferite di guerra ti donano», sussurrò, con un sorriso ad illuminargli il volto. Alice reagì sgranando gli occhi e tirandogli una manata sulla nuca che di delicato aveva ben poco, facendolo scoppiare a ridere.
«Come ti permetti, screanzato? Stai per sposare una delicata ragazza qual io sono...» Frank sbuffò, ma lei lo ignorò completamente ed andò avanti con la propria filippica «...stai per vivere il momento più bello della tua vita, prendendo per moglie l'Auror più cazzuto...»
«Non avevi detto delicata?»
«...sì beh, non puoi avere tutto dalla vita, Paciock! Dicevo, l'Auror più forte -così non rende, però- che la storia del ministero ricordi, e ti metti a parlare delle mie cicatrici? Smettila di andare in ricognizione con quei brutti uomini single che non capiscono il tuo dolce animo e torna ad essere il mio Paciocchino adorato, che mi parlava del riflesso della luna sul Lago Nero!»
Quelle parole riuscirono a far arrossire il volto di Frank fino alle orecchie a sventola, e il giovane Auror si staccò dalla sua promessa puntandole un dito contro. «Ti avverto, Alice: se non la smetti con questo dannato soprannome, divorzio prima di sposarti!»
La ragazza si limitò ad alzare le spalle con fare sardonico, e a commentare con un noncurante "peggio per te!".
Prima che uno dei due potesse aggiungere altro, tuttavia, una lieve musica d'organo giunse alle loro orecchie. E nonostante tutte le loro parole, lo sguardo che Frank lanciò verso la sua quasi-moglie fu di puro terrore.
«Devo andare prima io, giusto? Poi arrivi tu, e poi ci sono i riti, e...» sussurrò, in piena crisi, ma le sue parole furono coperte dalla voce -e dal volto- di Sirius, che sbucando nella piccola stanzetta -evidentemente per assicurarsi che lo sposo non fosse scappato, data la sua espressione preoccupata- si guardò intorno, si sciolse nel suo solito ghigno e commentò, serafico: «Avete tutta una vita per copulare, ora muovetevi ad andare di là, voglio arrivare in fretta alla parte dove si beve!»
Poi -molto saggiamente, dovette ammettere Frank tra sé e sé-  scomparve dietro la porta, appena in tempo per evitare la scarpa col tacco di Alice, che si fiondò immediatamente a recuperarla, per poi lasciarlo solo nella stanza, rincorrendo il Black con la calzatura in mano e l'ovvia intenzione di spaccargliela in faccia. Rimasto da solo nella stanza, Frank si rese conto che, in quel modo, la sposa aveva fatto il suo ingresso in scena prima dello sposo. Ci rifletté su per un paio di secondi, poi scoppiò a ridere, incamminandosi anche lui verso il suo futuro.
"
Massì, al diavolo le tradizioni. Almeno, stavolta è in orario!"
 
In quel momento, la donna vestita di bianco gli si parò di fronte, interrompendo il suo contatto visivo con l'orologio e facendo terminare bruscamente la storia. Frank emise un gemito disperato, e la scostò da davanti ai suoi occhi, tentando di aggrapparsi con tutta la forza possibile a quei ricordi che non voleva dimenticare, non di nuovo!
«Stia calmo, è soltanto arrivata l'ora del pranzo.»
Ma la voce gentile dell'infermiera non sarebbe mai riuscita calmarlo. Frank si portò le mani sulle tempie, stringendo gli occhi e provando in ogni modo possibile ad afferrare quei momenti del suo passato che scivolavano via, inesorabilmente, verso il buio che affollava la sua mente confusa. Non dovevano scivolare via, doveva farli vedere anche ad Alice, doveva dirle che, forse, erano sposati, doveva baciarla, doveva ridere con lei e doveva...
Frank urlò, in preda al terrore, all'idea di perdere quella piccola parte di se stesso così importante.
L'infermiera corse via, chiamando il nome di qualcuno che lui non conosceva, e lasciandogli finalmente libero il campo visivo.
Disperato, in preda ad una crisi difficilmente gestibile, si alzò dal letto e si avvicinò all'orologio appeso al muro, afferrandolo con le mani e fissando il suo sguardo su di esso, cercando di vederci dentro qualcosa. Qualsiasi cosa.
Avrebbe voluto conoscere la fine di quella storia. Sapere se, alla fine, si erano sposati oppure no. Se la guerra era arrivata a rovinare tutto o se quella giornata era stata la più bella della sua vita. Doveva saperlo!
Ma, nonostante il suo desiderio, l'orologio era ormai tornato ad essere nulla più che un astruso meccanismo, impegnato secondo dopo secondo a segnare lo scorrere del tempo. E Frank si distrasse, chiedendosi perché mai le lancette scorressero verso destra e non verso sinistra, mentre il ricordo di ciò che era stato svaniva del tutto dalla sua mente violentata, tornando a far parte di quel nulla indistinto che, un tempo, aveva rappresentato il suo tutto.
E infine, si calmò.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
NdA:
Innanzitutto, la storia si fonda sull'idea che, a sprazzi, i due, cruciati fino alla pazzia, possano riprendere una certa lucidità. La cosa mi è stata ‘suggerita’ dalla Row stessa, in quanto Alice regala la carta della caramella (ç____ç) a Neville, e lui ne è felicissimo. Da questo ho tratto che né Alice né Frank debbano essere in grado di ricordarsi SEMPRE dell'identità di loro figlio, e di conseguenza, i momenti di lucidità in cui qualche ricordo affiora devono essere rari e preziosi. E ho voluto narrarne uno. Spezzandomi il cuore, aye, perché io AMO questa coppia ignorata dai più.
Btw, andiamo avanti. Nei miei headcanon -che prima o poi pubblicherò-, Frank è il quinto inquilino del dormitorio Grifondoro occupato dai malandrini (insomma, ha senso: è ovvio che si conoscevano ed erano amici, e manca esattamente UN posto nella camera dei QUATTRO malandrini ---> Frank <3), mentre Alice è in camera con Lily, Mary e Marlene.
Inoltre, visto che l’idea della coppia eterna non mi piace più di tanto, ho sempre pensato che Alice e Frank abbiano iniziato ad uscire insieme verso il quinto anno, nonostante ci fosse un interesse della ragazza nei suoi confronti a partire da ben due anni prima.
Detto questo... well, non ho molto altro da dire, se non che nella mia carta per il contest compariva la parola 'eccitazione', e credo di non aver rispettato del tutto la consegna, dal momento che la parola ‘entusiasmo’, ad esempio, è stata usata da me più di una volta, pur essendo un sinonimo. Tuttavia ormai la mia mente era partita in quarta nella creazione di questa storia, di conseguenza non potevo più fermare le mie idee masochiste: questa storia doveva venir fuori così, non avrei potuto scriverla in altri modi.
…A onor del vero scrivevo e piangevo, quindi spero abbia lasciato qualcosa anche a voi, e che leggerla vi sia piaciuta almeno un po'.
A bientot  <3
Captain. 
  
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