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Autore: Harlou22    25/10/2015    6 recensioni
Louis: “Perché se raccontato da te tutto sembra stupendo?”
ED: “Perché credi davvero che voi due non lo siate?”
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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EIGHTEEN
 
Aprii gli occhi prima ancora che la sveglia suonasse. Mi succedeva sempre più spesso da quando avevo ricominciato a dormire solo, a sentire l’altra parte del letto vuota, fredda.
 
Tutte le mattine mi svegliavo sul fianco, lo stesso di sempre, ed immediatamente venivo pervaso dalla sensazione di freddo, a livello del torace. Era un qualcosa che avvertivo dentro, come se avessi ingoiato un cubetto di ghiaccio e questo mi si fosse fermato proprio a metà esofago; ma la sensazione più brutta era quella fisica.
 
Era insopportabile, la mancanza.
Di pelle…
Quella della sua schiena.
 E ricordavo le mattine in cui puntualmente il mio piccolo si svegliava prima di me e si trascinava indietro per tutta la larghezza del nostro letto fino ad incontrare la mia.
Quella del mio petto.
 
E non importava che fosse inverno e che rischiassimo di raffreddarci, o che fosse estate e il sudore in quel modo aumentasse, noi dormivano così.
 Nudi.
E la mattina quello era il nostro modo di dirci buongiorno…
 Prima che con le labbra, prima che con gli occhi, noi c’incontravano così, pelle contro pelle, schiena contro petto.
 
Erano due settimane che non lo vedevo, Harry. Nessun messaggio, nessuna chiamata. A volte cercavo di convincermi che fosse meglio così. Che tutto fosse finito davvero. Poi però cominciavo inconsciamente a ripercorrere i momenti uno per uno, anno per anno, e quel freddo nel petto tornava a farsi sentire, e niente mi sembrava più giusto del voler recuperare tutto.
I sorrisi, i baci, gli sguardi, le carezze…
 
Erano mesi che i media non pubblicavano mie foto, quindi nessuno a parte la mia famiglia e i manager sapevano dove avessi deciso di trascorrere quelle settimane di pausa. Almeno una cosa avevo potuto sceglierla, quella di restare solo con me stesso, senza essere costretto a fingere, a farmi fotografare in luoghi che a me neanche piaceva frequentare in compagnia di una ragazza pagata per farlo; pagata per coprire un amore che non poteva venir fuori.
Il nostro.
 
Twitter raccontava di un Harry nella sua amata Los Angeles. Ci era andato solo, come faceva spesso ultimamente; gli altri ragazzi erano ognuno a casa dalla propria famiglia, mentre io avevo scelto di fermarmi nel mio appartamento a Londra. In quell’appartamento che avevo comprato dopo aver venduto la nostra prima casa, quella in cui tutto era nato e cresciuto. Compresi noi.
Sentivo il disperato bisogno di sentirlo vicino, in qualunque modo. E così mi capitava spesso di infilarmi quel maglione che lui amava, quello grigio e ormai dilatato, lo stesso che…:
 
“Haz, non credi che dovresti buttarlo? È scolorito e deforme..”
 
“Potrai ripeterlo all’infinito Lou, non lo getterò mai; questo maglione per me è…casa.”
 
Non l’aveva mai messo in valigia, l’aveva sempre lasciato in quell’armadio a Londra, e puntualmente appena arrivato per trascorrere tutto il periodo di pausa dal tour si faceva una doccia e lo indossava; il più delle volte senza nulla sotto. E Dio solo sa quanto io adorassi potergli vedere le clavicole e la punta delle ali tatuate sul suo petto uscire appena dalla scollatura.
Ne andavo matto.
E poi finivo per sfilarglielo. Sempre.
 
Mi sembrava di sentirlo addosso, il suo corpo a premere contro il mio, con l’odore della sua pelle a pulirmi i polmoni.
Passavo intere giornate disteso su quel letto a saziarmi del suo profumo, senza avvertire la necessità nemmeno di mangiare.
Mi bastava quello.
Mi bastava il suo ricordo.
 
Il dolore mi stava scavando dentro, come un mostro che piano piano mi divorava le viscere e per ultimo aveva scelto il cuore, come fosse il suo dessert. E lo sentivo, come una macchia d’inchiostro che si espandeva senza freni.
Nulla sembrava avere più senso. Il tempo mi scorreva addosso senza che io me ne accorgessi, vivevo nella speranza di svegliarmi riscoprendomi a stringerlo tra le mie braccia e dedurre che tutto fosse stato solo il più terribile degli incubi. Ma non accadeva mai. Le notti le spendevo cercando il suo sapore sulle mie labbra e la sua voce negli angoli della mia mente.
Sentivo l’irrefrenabile necessità di parlarne con qualcuno. Ma sapevo che tutti mi avrebbero risposto con la solita:
“Era prevedibile Lou, prima o poi sarebbe accaduto, è una situazione troppo grande per voi, un macigno troppo pesante da trasportare.”
Ritrovandomi a pensare di aver erroneamente nutrito la malsana speranza che ce l’avremmo fatta.
Ma io volevo raccontarmi a qualcuno.
Qualcuno che avrebbe ascoltato e basta, senza la presunzione di impartire insegnamenti.
Qualcuno che conoscesse la nostra storia quanto noi che l’avevamo vissuta.
 
LUI.
 
Lui che aveva ascoltato i nostri pensieri, il nostro modo di amare i difetti dell’altro e li aveva messi in musica.
 
Senza accorgermene nemmeno, mi ritrovai con il volante della mia auto tra le mani. Era da lui che sentivo di dover andare.
Per me.
Per noi.
 
Non avevo neanche preso la mia giacca, e fuori era Marzo. In realtà il freddo avevo smesso di sentirlo addosso già da un po’.
Quello che sentivo dentro era di gran lunga peggiore.
Non so in che modo io abbia guidato per le strade di Londra quella mattina, so solo che in meno di trenta minuti ero davanti al viale di casa sua, e mi resi conto di non averlo neanche chiamato, e di non sapere nemmeno se lui fosse effettivamente lì.
Avanzai lentamente, fermai la macchina e scesi.
Tirai fuori il cellulare dalla tasca dei pantaloni di tuta che avevo addosso da almeno tre giorni e feci il suo numero. Qualche attimo e la serratura del portone scattò. Due scalini, mi chiusi la porta alle spalle e:
 
“Louis, Dio mio, sei scalzo”
 
Mentre già stappava una birra anche per me.
 
“In realtà prima ancora che potessi decidere cosa fare, il mio corpo era già in macchina per portarmi qui da te”
 
Nessuna domanda.
Nessun perché accennato nello sguardo.
Solo si era seduto su quel suo divano, le gambe incrociate, e la sua chitarra a completarlo, quella con il suo nome scritto su.
Dopo anni ancora riusciva a sorprendermi… La sua capacità di leggere l’animo delle persone che entravano nella sua vita, senza presunzione, seguendo lo scorrere delle parole sul rigo come per farle leggere anche a loro.
 
“Come va Louis?”
 
“Siamo finalmente in pausa, sai ci voleva… Dopo mes-“
 
“Louis…”
 
“ED….
Cosa vuoi che ti dica? Hanno vinto loro”
 
“Loro non hanno vinto nulla, Louis, perché VOI non avete perso nulla.”
 
Quel ‘voi’ l’aveva sottolineato con la voce, come a ricordarmene l’esistenza e il significato.
 
“Vorrei poter tornare indietro nel tempo”
 
“Fidati Lou, non cambieresti nulla comunque”
 
Forse aveva ragione. Forse non avrei cambiato una virgola di tutto quello che era successo. Non le scelte, non le urla, non il dolore. Figuriamoci i sorrisi, gli sguardi nascosti e i baci fugaci.
Figuriamoci l’amore.
Figuriamoci noi.
 
“Allora insegnami a ridare un senso alla mia esistenza. Perchè senza di lui non so farlo”
 
“E come credi che possa farlo io, Louis? Siete voi. Voi i protagonisti della vostra storia. Io posso solo ascoltare, offrirti una birra e imparare”
 
“Imparare?
Da me?
E cosa?”
 
“Se ti fermi per pranzo ordino una pizza anche per te”
 
“Cosa impareresti da me ED?
Solo errori.
Solo quelli.”
 
“Rimani o no, Tommo?”
 
Infondo non avevo nessuno a casa che mi aspettasse, nessun paio di occhi verdi a fissarmi le labbra e nessun corpo da far combaciare al mio.
 
“Sì, resto.”
 
Avevo persino mangiato quel giorno, come non accadeva da tempo. Come se in quella casa, seduto su quel divano accanto a lui io mi sentissi più al sicuro, più protetto dal disprezzo che nutrivo per me stesso, dal male che continuavo a farmi.
 
Era sempre così con lui.
Sempre sentirsi più leggera l’anima.
 
Un mondo parallelo, in cui gli errori entrano con te dalla stessa porta, ti si siedono accanto allo stesso tavolo, ti versano da bere, ti rubano le parole ancora ferme sulle labbra portandosele via, e poi scompaiono.
 
“Da quanto non vi parlate?”
 
“Lo sai già, ED”
 
“Ok, ma voglio che sia tu a raccontarmelo questa volta, Louis.
Ho bisogno di ascoltare anche te, e tu hai bisogno di parlarne, o il rimorso di divorerà”
 
“Dicembre.
Ma non è il tempo da cui non ci parliamo o vediamo a consumarmi, è il modo in cui ci siamo lasciati”
 
“Intendi il modo in cui avete litigato?”
 
“No… Quello che è successo dopo.
Semplicemente lui ha smesso di cercarmi e poi ognuno ha cominciato un’altra vita, come perfetti sconosciuti.
Non ho avuto il coraggio di chiamarlo al mio compleanno, mi sarebbe bastato sentirlo per vivere meglio quel giorno; poi ho pensato di non meritarla, la sua voce.”
 
Lo vidi alzare gli occhi fino a quel momento fissi sulle corde della sua chitarra che teneva sulle gambe, e guardarmi con una scintilla negli occhi.
 
“E’ assolutamente assurdo come voi due vi troviate d’accordo anche quando volete farvi del male. Due guerrieri che si sono imparati col tempo, soliti a ferirsi con la stessa arma, nello stesso punto.”
 
“Cosa?”
 
“Ho chiamato Harry il giorno del tuo compleanno, e non mi ha fatto pronunciare parola appena aperta la chiamata. Mi ha semplicemente detto –Non lo chiamerò, ED. Ascoltare la mia voce sarebbe un regalo troppo bello per lui; un regalo che adesso non merita.-“
 
In quel momento sentii tutto il peso delle mie scelte schiacciarmi, pur sapendo perfettamente che ben poco fosse totalmente dipeso da me.
 
Sai, mi basterebbe parlarci un’ultima volta”
 
“Per dirgli cose che non vi siete mai detti? Oh credimi Louis, secondo me non esistono.”
 
Un silenzio impregnato di consapevolezza mi riempì mente e coscienza.
 
“Sai, se dovessi trovare un modo di spiegare la notte a qualcuno che non l’ha mai assaporata con corpo e anima, lo farei facendogli osservare quella di Van Gogh.
Siete come Van Gogh e la notte che senza di lui non saprebbe raccontarsi…
Come Degas e le sue danzatrici.
Come Monet e le sue ninfee, voi due.*
Ognuno conosce l’altro meglio di quanto conosca se stesso, sapete anticiparvi i gesti, figuriamoci i pensieri.
L’uno indispensabile all’altro per esistere.
Che senso avrebbero le ninfee se Monet non ci avesse raccontato il loro colore?”
 
Perché se raccontato da te tutto sembra stupendo?”
 
“Perché credi davvero che voi due non lo siate?”
 
In quel momento mi resi conto che in tutto quel tempo, non mi fossi mai fermato ad osservarci, per paura di scoprire vero il nostro essere sbagliati e proibiti come gli altri continuavano a ripeterci.
Mi ero concesso il beneficio del dubbio per scansare la paura di riscoprire veri quei giudizi.
 
Chissà quanta bellezza mi ero perso…
 
Così chiusi gli occhi, e lui non fece domande; cominciò semplicemente a pizzicare qualche corda, in una melodia che mi sembrava così giusta…
 
“Che belli che eravamo agli inizi, quando negli sguardi non c’era paura ma solo leggerezza.
 
Li ricordo più verdi i suoi occhi.
 
Sai, credo di averlo amato da subito, prima ancora che i nostri sguardi si incrociassero… Infondo avevo solo 18 anni, tutto mi sembrava semplice e naturale.
 
Le ricordo le sue braccia per la prima volta intorno a me, ricordo la sua mano sinistra che tira su la mia gamba destra per sentirmi più stabile sui suoi fianchi appena un momento dopo aver sentito i giudici darci la notizia…
 
Gli applausi non li ho sentiti, avevo il suo respiro nelle mie orecchie, e quello mi piaceva di più.
 
Mi è sembrato che le mie braccia avessero finalmente trovato la loro ragione.
 
E poi tutto è stato così naturale, dagli abbracci ai baci sulla guancia prima di addormentarci, dalla necessità di averci accanto nel letto, al bisogno di assaporarci.
 
Vorrei sentirmi di nuovo così vivo, come lui mi ha fatto sentire quando avevo solo 18 anni.
 
Vorrei sentire le sue labbra sulle mie, tutte le sere, quando io quasi già dormo e lui mi raggiunge a letto dopo.
 
Vorrei finire di cucire la sua anima sulla mia, per sentirmi completa la vita, come si sente una tela dopo l’ultima carezza che l’artista le regala con la sua firma.”
 
A quel mio monologo seguì soltanto il suono ininterrotto delle sue dita su quelle corde.
Finimmo l’ennesima birra, riempimmo ancora una volta il posacenere e poi il sonno mi rapì.
L’indomani mattina mi ritrovai coperto con uno dei sui plaid grigi e sul tavolino un biglietto:
 
-Sono in sala registrazione, raggiungimi appena puoi-
 
Ricordavo a stento dove si trovasse, ci ero stato solo un paio di volte con Harry; la raggiunsi e lo trovai intento a riascoltarsi una demo appena creata.
 
Oh, eccoti finalmente, infilati queste e dimmi cosa ne pensi”, mentre mi porgeva un paio di cuffie.
 
La riconobbi subito, era la stessa melodia che avevo ascoltato la sera prima mentre parlavo ad occhi chiusi.
Dopo otto battute partì la prima strofa.
Ascoltai le parole e riuscì a ritrovarmi, a riconoscere i miei pensieri.
 
Lo cercai al di là del vetro e lo vidi sorridere.
L’aveva fatto ancora una volta, aveva messo in musica il nostro amore rendendolo più bello di quanto non fosse ai miei occhi.
Gli stavo sorridendo di rimando quando sentì il cellulare vibrarmi nella tasca dei pantaloni, lo tirai fuori e quello che vidi mi parve essere un’allucinazione.
 
-Aspettami-
 
ED mi raggiunse:
 
“Ho mandato la demo anche a lui, ma non mi ha risposto”
 
Gli mostrai semplicemente il testo del messaggio che avevo appena ricevuto, senza provare nemmeno a dir qualcosa, consapevole del fatto che le parole mi si sarebbero fermate in gola.
 
Lui sorrise.
 
“Vi aspetto a casa per cena Louis”, e andò via.
 
Passarono pochi minuti, non lo sentì nemmeno arrivare.
Solo ad un tratto la sua voce alle mie spalle.
 
“Aspettami Louis.
Aspettami tutte le sere a letto, aspettami tra le tue mani prima di un bacio.
Aspettami contro il tuo petto tutte le mattine.
Aspettami perché la vita mi appartiene a metà se al mio fianco non ci sei tu.
Imparerò a seguirti, Louis.
Ma tu aspettami sempre”
 
Mi voltai.
Un passo solo, e fummo ancora unico respiro.
 
 
NOTE
*Van Gogh dipinse la notte a memoria, dopo aver trascorso metà della sua vita ad ammirarla.
Degàs è stato l’unico tra gli impressionisti a non dipingere quasi mai dal vero. Passava molto del suo tempo nelle scuole di danza, osservava le sue danzatrici e poi le dipingeva nel suo studio. Era convinto che così la mente avrebbe eliminato tutto ciò che era superfluo, concentrandosi solo su colore ed emozioni.
Monet ha realizzato tantissime tele con le sue Ninfee, fino a conoscerne colore e natura a memoria.
 
 
 
Ho sempre immaginato che ‘18’ sia nata così, in una sola notte, frutto di una conversazione tra ED e Louis.
Non si tratta di verità assoluta, ma solo di una mia idea di come siano andate le cose.
È la prima volta che scrivo qualcosa, quindi siate clementi.
Ringrazio comunque la Maggy del mio cuor per avermi dato delle dritte riguardo a date e periodi, Scody perche è il mio Louis e Lalla perché senza di lei non sarei mai riuscita a capire come pubblicare su efp.
 
Spero vi sia piaciuta.
 
Il mio contatto facebook è Fede Sheeran Styles.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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