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Autore: Hades_sama    25/10/2015    2 recensioni
Quando Eros scocca la sua freccia avvelenata, conficcandola nel cuore di una persona, essa non ha più possibilità di fuga... nemmeno se questa persona fosse una delle tre Divinità maggiori dell'Olimpo, e se avesse un tragico passato alle spalle. Nemmeno se il suo desiderio venisse rivolto ad un nemico...
Dal testo:
"La voce profonda fece sollevare di scatto il lemuriano, che con una remata di braccia si voltò, osservando con sorpresa e meraviglia la figura che stava sospesa sul filo dell’acqua: il Dio di quella notte lo stava osservando dall’alto della sua imponente statura."
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi, Crack Pairing | Personaggi: Aries Mu, Hades, Virgo Shaka
Note: Lime, OOC, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
- Questa storia fa parte della serie 'Fiori di Liquirizia'
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Avevo una mezza idea di sviluppare la storia, facendo una cosa a capitoli, ma l’idea non era di fare un continuo a livello temporale, quindi ho preferito evitare. Ci sarà un salto temporale bello grande.
C’è solo una piccola ripresa della storia precedente, ma non è nulla di che.

Detto questo, spero vi piaccia, e spero che mughetto nella neve e LeanhaunSidhe possano apprezzarlo particolarmente. Lo dedico a voi ^^

Fiori di Crisantemo



«Sai, in tutto questo tempo, non ho fatto altro che cercare.»

La voce di Mü, affaticata ed ancora languida per l’atto proibito appena consumato, risuonò tra quelle pareti di pietra, attirando l’attenzione del Dio che si stava dirigendo a passo leggero verso il portone di legno massiccio. Il suo passo si fermò, e voltò lo sguardo in direzione della voce, posando gli occhi magnetici su quella figura conturbante che stava sdraiata a petto nudo sul letto. La sua voce profonda, fece correre un brivido di piacere lungo la colonna vertebrale del giovane Ariete:

«Cercare? E cosa, di grazia?»

Mü si posizionò sul lato destro del corpo, appoggiando il gomito al morbido materasso, per sorreggere il busto e così poter vedere quell’uomo che lo aveva reso felice, e traditore. Sorrise apertamente nel constatare l’espressione smarrita che il Dio mostrava: guardò con infinita dolcezza quel fisico scolpito e diafano, ora avvolto da una lunga tunica nera, ricordandone il calore ed il profumo intenso e virile. Dalle labbra del lemuriano uscirono parole che turbarono l’impassibilità dell’uomo in nero:

«Un fiore.»

«Un fiore?»

Non capiva. Che cosa poteva significare quell’affermazione. Il sopracciglio sinistro si inarcò appena, in modo da rafforzare quel disappunto che, stranamente, si poteva leggere dietro quelle lenti circolari. No; proprio non se lo spiegava.

Mü, quasi divertito della concentrazione del Dio nello scovare un chissà quale astruso mistero nelle sue parole, si portò carponi sul letto, avvicinandosi di più al proprio ospite, che lo fissava con una nuova luce ad accendergli gli occhi: non più la curiosità, bensì la bramosia e la lussuria ora ne albergavano. Quel fisico atletico che aveva sporcato con il suo peccato… ma non poteva permettersi il lusso di lasciarsi trasportare dal dolce incantesimo di Eros, non più. E men che meno con un umano. Tuttavia, non poté negare che lo spettacolo che gli si mostrava dinnanzi, fosse squisitamente invitante: la luce lunare che timidamente penetrava la piccola finestra, illuminava il corpo assai provocante del Saint dell’Ariete, creando giochi di luci ed ombre molto interessanti, e le piccole gocce di sudore che lentamente scivolavano lungo i suoi muscoli rilassati ed ansimanti, non facevano che impreziosire quelle fattezze candide, rendendolo simile ad un diamante dall’elegante taglio. Mü si sporse con il capo verso l’uomo, facendo sì che la lunga chioma, dapprima sparsa in maniera irregolare sulla schiena inarcata, scivolasse lungo le spalle, per cadere dolcemente sul materasso in modo scomposto e poetico. Il volto arrossì leggermente, mentre la voce pacata e calda raggiungeva il Dio:

«Non ricordi? Al nostro primo incontro, tu mi paragonasti ad un fiore di Ciliegio. Per tutto questo tempo, mi sono chiesto a quale fiore rassomigliassi. – gli occhi dell’uomo si fecero grandi, non poteva credere che le sue parole avessero avuto un effetto tanto deleterio nei confronti del cavaliere – Chiedo perdono per la mia indecisione, ma credo di aver trovato il fiore perfetto.»

L’Ariete chiuse leggermente le palpebre, mentre un sorriso quasi impacciato si aprì sul suo volto imbarazzato:

«Il Crisantemo bianco(1)

A sentire quel nome, il Dio rilassò il viso, e si concesse un tenero sorriso di approvazione. Il Crisantemo. Non poteva trovare un fiore migliore.

«χρυσάνθεμο (chrysánthemo), il “fiore d’oro”. Non ti sembra eccessivo, per un essere che porta il mio nome?»

La voce profonda e cupa, diede una piccola scarica di adrenalina al corpo accaldato dell’Ariete, che tremò a quelle parole, per poi farsi scuro in viso, ed abbassare il capo a contemplare il freddo marmo illuminato dalla Luna. Il capelli ricaddero in avanti, seguendo il movimento lento della testa, coprendo interamente il volto del giovane lemuriano. La sua voce risultò più flebile e sofferente di quanto l’uomo si potesse aspettare:

«Il tuo nome…? “Solo il tuo nome mi è nemico.(2)” »

Nessuna frase fu più appropriata. Nulla avrebbe potuto cancellare ciò che erano; nessuna Divinità poteva purificare il peccato di cui entrambi si erano macchiati. L’uno per un lontano ricordo, oramai perduto. L’altro per il calore strappatogli, cercato da troppo tempo.

Ricordi di un tempo recente alla memoria affiorarono alla mente di entrambi.

*

Santuario, Casa del Montone Bianco – tre mesi prima

«Ah!»

Un lamento di dolore si levò dall’ampio porticato colonnato della Casa. Ora, il ritmico rumore dei colpi del martello che battevano stridenti sullo scalpello erano cessati. Che Mü avesse concluso la riparazione dell’elmetto del Toro? Poteva essere così; ma quel lamento non rendeva molto sicura quest’opzione. Difatti, l’Ariete stava riverso a terra, le mani appoggiate al candido marmo, come sostegno per il busto; gli attrezzi, così come i preparati per la riparazione, erano sparsi e rovesciati ai piedi del lemuriano. La gamba sinistra, appoggiata di lato al pavimento, grondava sangue da una ferita profonda, che si riversava sul pallore marmoreo, espandendosi a vista d’occhio. Probabilmente, il taglio aveva reciso l’arteria femorale(3): se non si medicava subito, avrebbe rischiato l’amputazione dell’arto, o nel peggiore dei casi, la morte. A quel pensiero, un brivido violento scosse le membra del giovine, che imprecò a denti stretti per la propria distrazione:

«Maledizione!»

Il Saint concentrò il Cosmo all’interno della coscia ferita, in modo da bloccare l’emorragia ed avere così il tempo per medicarsi. Il sangue arrestò il proprio flusso, mentre un’aura dorata si levò dal corpo dell’Ariete, avvolgendolo nella sua interezza. Accidenti; come era potuta accadere una cosa simile! Era da tempo immemore, che non si procurava una ferita del genere: nemmeno da bambino, appena iniziato all’arte della riparazione, aveva subito una così profonda offesa al corpo. Ricordava di star colpendo con lo scalpello dorato il corno, mentre la Star Dust, aggiunta in precedenza insieme a qualche goccia del suo sangue, stava suturando la fessura dell’elmetto. Le scintille dorate si ergevano alte, mentre il colpi di Mü si fecero più intensi e decisi; fu in quel mentre che un colpo di martello intriso del Cosmo del Gold Saint ruppe nuovamente il corno, facendo perdere l’equilibrio al cavaliere, che cadde al suolo per il tremendo contraccolpo generato dalla risonanza tra il proprio sangue e il suo potere cosmico. Lo scalpello, ancora intriso del potere del lemuriano, cadde sulla gamba sinistra, squarciandogli la coscia.

Nulla di strano, se non fosse per la reazione anomala avvenuta; sicuramente una certa persona l’aveva notata, ma ora non era il momento di preoccuparsi di questo. Continuando ad espandere il Cosmo per bloccare la perdita di sangue, Mü si sforzò di ricordare quale fosse la causa scatenante di tale disfatta: ripensò all’attimo prima del colpo più intenso. Che stava facendo? Stava lavorando, ovviamente: nulla di diverso da una solita riparazione. Ma allora qual era la causa scatenante? Forse… un pensiero. Che cosa stava pensando? Si concentrò ulteriormente sui pensieri che avevano attraversato la propria mente: vi era una profonda pace, l’immagine dell’elmetto ultimato, rilucente dell’oro di cui era forgiato, ed una pioggia di fiori di ciliegio, danzanti nella notte, illuminati dall’argentea luce lunare… Mü arrossì vistosamente per quella rivelazione. Eppure sapeva bene che non avrebbe più rivisto quella Divinità, ma nonostante questa consapevolezza, non riusciva a dimenticare quella notte.

Il lemuriano si spalmò una mano sul viso, facendola scivolare dalla fronte al mento, come a volersi liberare da quei pensieri che ne tormentavano la mente. Tuttavia, il suo tentativo di eliminare quel ricordo che accendeva ogni qualvolta che riemergeva le candide guance, venne interrotto da un’emanazione cosmica famigliare, ed un rumore di passi inquieti e veloci. Mü si guardò alle spalle, sorridendo in modo colpevole alla persona che si mostrò dal colonnato; Virgo Shaka, Saint della Sesta Casa, apparve dall’ombra con fare affaticato e preoccupato. Bhe, c’era da aspettarselo: l’esplosione non era stata particolarmente violenta, quindi non percepibile a tutti, ma nulla sfuggiva ai sensi sviluppati del cavaliere della Vergine, che, stranamente, aveva l’aria scomposta… come se avesse corso per tutta la scalinata. I capelli scompigliati, il sudore che colava dalla fronte, e il respiro accelerato che faceva muovere ritmicamente il petto. Gli occhi erano come sempre celati dalle palpebra, ma nonostante ciò, Shaka parlò all’amico, dicendo con voce affannata:

«Mü, comprendo che tu abbia bisogno di sangue per la riparazione di una Cloth, ma perché usarne così tanto? L’odore è davvero intenso! Ma… cosa ci fa lì per terra?»

Mü sentì il volto andare a fuoco: non solo aveva rovinato il lavoro di una mattinata, ma aveva fatto anche preoccupare un suo compagno e amico, disturbandolo dalla sua meditazione. Il lemuriano seguì con lo sguardo i movimenti dell’indiano, che si stava avvicinando al punto in cui giaceva. Mancavano pochi passi, ma il Saint della Vergine fermò la sua avanzata, udendo un rumore sinistro e viscido. Aveva calpestato qualcosa, ma non riusciva a capire di che sostanza si trattasse… come aveva fatto un liquido a…

Shaka spalancò gli occhi, trovando conferma ai suoi timori. Sangue. Attorno a Mü si era formato un piccolo lago cremisi. Inutile dire che la reazione del Saint fu più che allarmante; l’indiano guardò il lemuriano negli occhi, mettendo a confronto le sue iridi cerulee con quelle smeraldine del ferito, e piegando il viso in uno sguardo truce e severo:

«Ma che diavolo hai fatto? Come ti sei procurato quella ferita?»

Il Saint della Prima Casa non fece in tempo ad aprire bocca, che si ritrovò sollevato tra le braccia dell’indiano, con il busto sorretto dal braccio destro e le gambe trattenute sotto le ginocchia da quello sinistro. Tuttavia, quel brusco movimento, unito all’impatto dell’aria con la carne viva, fecero arrivare delle forti scariche di dolore alla gamba, che arrivarono al cervello e si espansero a tutti i nervi corporei. L’agonia si mostrò sul volto dell’Ariete, che sgranò d’improvviso gli occhi, serrò convulsivamente i denti, facendoli stridere, ed iniziò a sudare freddo. Il pungo destro si strinse spasmodicamente attorno alla tunica immacolata dell’indiano, che si accorse della sua poca delicatezza, ma quella ferita non poteva aspettare; andava curata al più presto.

Shaka spalancò con poca delicatezza il portone delle stanze private dell’Ariete, raggiunse il letto e vi poggiò con urgenza il lemuriano, il quale aveva iniziato a tremare vistosamente. La perdita di sangue era stata notevole, ed il colorito cadaverico che Mü aveva assunto, unito al respiro accelerato, affaticato e al calo del suo Cosmo, mandarono l’indiano nel panico. Era già così debilitato? Come poteva fare?!

Senza pensarci due volte, Shaka prese un lembo della sua tunica con i denti, tirando con forza verso sé e strappandone una striscia. Con estrema rapidità, avvolse il piccolo legaccio di stoffa sopra la ferita, stringendo per bene, in modo da assicurarsi il cessare dell’emorragia. Ora il problema era come salvare la gamba. Il biondo uscì dalla Casa del Montone Bianco e si precipitò al vicino villaggio di Rodorio. Un medico. Mü aveva bisogno di un medico!

Nell'attesa, Mü continuava a tremare; il sudore che gli imperlava il volto e il dolore che gli annebbiava i pensieri e la vista. Si sentiva sempre più debole, e tanto stanco; perfino le palpebre insistevano nel volersi chiudere, intimandogli di dormire, per far sparire quel suo malessere, ma sapeva che se avesse ceduto, sarebbe stata la sua condanna. No! Non poteva perdere conoscenza! Non doveva!!! Ma per quanto si sforzasse, la vista traditrice si attutiva sempre di più, facendo percepire al Saint solo le forme. Portò lo sguardo stanco e febbrile al portone, nella speranza di rivedere l’arrivo di Shaka… e invece vide qualcosa, come una macchia nera, stagliarsi davanti alla porta.

La sagoma si avvicinò, provocando nell’Ariete un sussulto ancor più violento, che riaccese in dolore lancinante che si era sopito con la perdita parziale della lucidità. Immediatamente una mano calda e dalla poderosa stretta si calò sul petto del lemuriano, per tenerlo saldo al letto e, al tempo stesso, impedirgli movimenti indesiderati. La ferita aveva ricominciato a sanguinare, molto di meno rispetto a prima, ma si era già creata una piccola chiazza porpora sul candido lenzuolo di lino. Per quanto Mü poteva percepire, vide quella macchia avvicinarsi alla sua gamba, per poi vedere una sagoma grossa e possente posarsi a poca distanza sopra la carne viva. Per quanto il Saint cercasse di liberarsi da quella morsa di acciaio con le forze residue, sembrava che quella figura nera non risentisse minimamente dei suoi tentativi di fuga. Improvvisamente, dalla cima della forma distorta apparve una luce dorata, al che Mü trattenne il respiro e si tese come una corda di violino. Che voleva fare? Cosa gli stava facendo?! Tuttavia, una strana quanto piacevolissima sensazione di calore e pace ne avvolsero i sensi quasi totalmente assuefatti: dunque, stava per morire? Tutto ciò che riuscì a distinguere chiaramente prima di lasciar la presa dell’impedimento sul petto, fu una voce profonda:

«Non vi è nulla di più vero del detto “le apparenze ingannano”; quel Saint non è così stolto come pensavo.»

Poi fu il nulla.

Quando Mü aprì gli occhi, vi erano al suo capezzale Shaka, con gli occhi spalancati, sconvolti ed increduli, ed un uomo dalla barba incolta e brizzolata, con un paio di occhialetti sul naso acuminato che lo fissava con grande apprensione.

«Nobile Saint, come avete fatto?»

«Mh… di che sta parlando?»

La voce del custode della Prima Casa risultava ancora impastata dal sonno, ma una cosa era certa; non era morto. E a giudicare dagli sguardi che gli venivano rivolti, doveva essere accaduto qualcosa di insolito durante il suo riposo: perciò seguì la direzione dove puntavano gli occhi dei suoi ospiti e salvatori. Era merito loro se ora il dolore era completamente scomparso. Probabilmente qualche anestetico. La medicina aveva fatto passi da gigante in Grecia: la ferita ormai sigillata da quel medico doveva essere stava fasciata… il suo pensiero venne mozzato, quando la vide. Il taglio, così profondo e che per poco non gli aveva strappato la vita, era perfettamente rimarginato; nessun segno di incisioni o di ricucitura chirurgica. Tutto ciò che rimaneva della sanguinolenta ferita, era una fine strisciolina poco più chiara della pelle, e la chiazza di sangue rappresa sul letto.

 *

Il giorno dopo lo strano fatto, tutto il Santuario era a conoscenza della miracolosa guarigione del Gold Saint di Aries. Quindi, ad ogni suo passaggio negli spazi comuni, nell’arena o nelle vie di accesso ai vari luoghi, era sempre adocchiato o indicato dai giovani ed aspiranti Saint, oppure dalle guardie di ronda. Non che non ci avesse fatto l’abitudine di quel continuo brusio di sottofondo che si accendeva ad ogni suo movimento e passaggio; dopotutto era un Gold Saint. La cosa che stava minando la pazienza e calma di Mü, fu il chiacchiericcio che si era sparso per Rodorio. Capitava spesso che per evitare di sentirsi soffocato dai continui sguardi curiosi, ammirati e, qualche volta, anche morbosi dei sottoposti del Santuario, si ritirasse nel vicino paese. Ovviamente senza sfoggiare la Cloth. Gli piaceva quell’atmosfera calda ed accogliente che si poteva respirare tra le case; lo metteva di buon umore essere trattato come un comune viandante, senza avere cariche particolari e gravose. Il vedere la gente sorridere, chiacchierare sotto le porte di casa, compiere piccoli gesti quotidiani e non particolarmente rilevanti ad un occhio superficiale, gli davano un senso di appartenenza che mai aveva provato: la sua razza si era quasi estinta del tutto…

Anche quel giorno si era recato al villaggio per godere un po’ di quella tranquillità che mancava al Santuario, ma non appena mise piede al suo interno, dopo essersi teletrasportato nel vicino boschetto, si sentì più oppresso di prima: tutti si girarono al suo passaggio, mormorando e portandosi le mani alle labbra come se avessero visto un appestato. Dunque il medico aveva parlato; e se ci avesse pensato bene, ci sarebbe arrivato a quella conclusione fastidiosa. Si diede dello stupido, perché non solo l’intero villaggio aveva scoperto chi era realmente, ma ora era guardato con la curiosità e la paura di una fiera da circo. Una nota di disappunto si mostrò sul suo volto, poco prima di teletrasportarsi sulla strada che portava alla piccola baia marina. Poco importava che l’avesse fatto davanti agli abitanti: oramai era stato etichettato come “strano”. A quel pensiero, uno sconsolato sospiro uscì dal suo petto. Che peccato. Era così bello e istruttivo stare tra loro…

Decise che un bagni freddo sarebbe stato un vero toccasana per il suo logorato animo, anche se, a ben riflettere, lui era sempre stato classificato come strano. NO! Quello non era proprio il momento per deprimersi! Il lemuriano guardò il panorama che gli si stagliava di fronte: un cielo terso e sereno, un mare blu profondo, interrotto dalla bianca spuma delle armoniche onde e della finissima sabbia dorata. Quello spettacolo gli ridiede un poco di buon umore. Mü si tolse con urgenza abiti e fundoshi, e si diresse verso il mare. Non appena l’acqua gli arrivò alla vita, si tuffò in mezzo ad un cavallone, scontrandosi con l’incresparsi dell’onda nell’acqua ed immergendosi completamente. Quando riemerse, vide tutto il mondo sotto un’altra prospettiva. Si sentiva più leggero. Gli abitanti di Rodorio lo definivano strano, poco importava: il mondo era pieno di villaggi e di persone. Avrebbe trovato un posto nuovo, con gente nuova, e con nuove tradizioni ed abitudini da apprendere e conoscere. A quel pensiero, un sorriso radioso gli accese il volto; poggiandosi supino nelle placide onde marine e facendosi cullare da esse, chiuse gli occhi e si abbandonò a quel dolce oblio. Tutti i problemi, sembrarono scivolare via.

Rimase in quel torpore a lungo, dimentico dello scorrere del tempo, fino a che un Cosmo improvviso e assai famigliare non lo fece desistere dal suo totale abbandono.

«Chiedo venia per la mia improvvisa apparizione; non volevo disturbarti, Aries Mü.»

La voce profonda fece sollevare di scatto il lemuriano, che con una remata di braccia si voltò, osservando con sorpresa e meraviglia la figura che stava sospesa sul filo dell’acqua: il Dio di quella notte lo stava osservando dall’alto della sua imponente statura. Mü fece scorrere il suo sguardo per tutta la lunghezza di quella Divinità; la tunica nera ne ricopriva interamente il corpo, lasciando scoperte solo le pallide mani ed il volto affilato. Un lungo mantello era sorretto da due spallacci dorati ed acuminati, mentre dei folti e lisci capelli corvini ricadevano sulle spalle e lungo la schiena, delicatamente. Il viso era di alabastro, contornato da una frangia lunga e spettinata, che arrivava sopra la montatura nera degli occhiali tondi. Le lenti rendevano ancora più ammalianti gli occhi del Dio, che sembravano risplendere sotto i deboli raggi solari che filtravano sotto un ombrello di carta di riso(4), sorretto da ambedue le mani. Il lemuriano rimase a fissare quel volto, rimanendone incantato per quel contrasto naturale, finché l’uomo non portò l’indice destro alla montatura, sistemandosi con un gesto gli occhiali sul naso scolpito e mosse le labbra carnose:

«Sembri sconvolto; la mia presenza ti urta a questo modo?»

Solo allora Mü si accorse della sua maleducazione: non solo non aveva dato il saluto ad un Dio, ma si era pure messo a fissarlo come se fosse… una fiera da circo. Quella consapevolezza fece schiudere le sue labbra e i suoi occhi a mandorla, mentre le guance si tingevano di un rossore acceso. Voleva sprofondare; era già la seconda volta che perdeva il proprio contegno davanti a quell’uomo. Davvero disdicevole.

Il tono divertito del Dio aveva fatto capire che non l’aveva presa male, ma il lemuriano volle comunque scusarsi per il suo comportamento:

«N-no… certo che no. Solo, non mi aspettavo di rivedervi. E nemmeno che un Dio avesse la capacità di camminare sull’acqua…»

Mü distolse lo sguardo. Ma non doveva scusarsi? Tuttavia, la risata dell’uomo lo indusse a guardarlo nuovamente. Il Dio sembrò essersi goduto la goffaggine mostrata dal lemuriano, perché non fece alcunché per punire, sia verbalmente sia fisicamente, la sfacciataggine del Gold Saint; anzi, con ancora il sorriso sulle labbra proferì:

«Bhe, questo non è niente: semplicemente domino il Cosmo molto meglio di un umano. Ho molta esperienza alle spalle.»

«Oh! Avete un controllo totale sul Cosmo! Meraviglioso! Non avevo mai visto nulla del genere. – e l’attenzione del lemuriano, che continuava a galleggiare muovendo le braccia in acqua, fu colpita da un dettaglio molto particolare – Ma, se mi è concesso, posso chiedervi il perché di quell’ombrello? Oggi il Sole non è molto forte…»

Il Dio riassunse la sua espressione imperscrutabile, per poi volgere lo sguardo all’ombrello, poi a Mü e di nuovo all’oggetto nelle sue mani. Iniziò a rigirare la bacchetta di bambù tra le dita, creando dei piccoli schizzi d’acqua che cadeva dal tessuto, e disse con voce morbida e pacata:

«Come avrai potuto notare, ho la pelle molto chiara, e i raggi solari diretti non vanno bene per me. Inoltre, ho vissuto per molto tempo in un luogo molto poco illuminato; ho sviluppato un forte fotofobismo(5).

Comunque, non mi aspettavo di rincontrarti… come madre natura ti ha fatto.»

Per la seconda volta in vita sua, Mü poté vantare di aver eguagliato la luminosità del Sole: si era totalmente dimenticato di essere in acqua, completamente nudo. E come se non bastasse, il mare era talmente pulito e trasparente, che si vedeva tutto! Oh, Athena! CHE IMBARAZZO!!! Senza riflettere troppo, si immerse in acqua e si diresse, in apnea, alla riva, sotto gli occhi attenti del Dio che si beava di quella visione del corpo del lemuriano: il mare era così limpido, che il riflesso del Sole creava delle piccole increspature dorate, che ne impreziosivano il fisico atletico. I lunghi capelli color dei fiori di ciliegio si muovevano trasportati dal dolce movimento delle onde, creando dei delicati ricami che avvolgevano quella figura che nulla aveva da invidiare ad una nereide(6). Quando Mü riemerse dall’acqua, era a pochi passi dalla riva. Il suo corpo risplendeva della luce solare riflessa dalle mille goccioline, che scivolavano languide lungo la pelle scossa da brividi di freddo. I capelli lunghi, avevano aderito perfettamente alla schiena ed alle cosce, creando una piccola barriera agli occhi. Perché ne era certo; il Dio lo stava fissando. Poteva sentire il suo sguardo impassibile sulla pelle, che a quel pensiero venne scossa da un brivido più violento, mentre le guance si tingevano di un imbarazzato rossore. Forse non era stata una buona idea… ma ormai il dado era tratto. Mü si diresse a passo spedito verso i propri abiti, indossandoli il più velocemente possibile. Perché si sentiva così? Non era la prima volta che qualcuno le vedeva nudo; neppure lo sguardo malizioso di Aphrodite lo aveva scosso così nell’intimità. Allora perché?!

Un rumore di acqua smossa e di passi sulla sabbia, riportarono alla realtà il giovane Saint. L’uomo lo aveva seguito fin sulla spiaggia: se c’era una cosa che aveva appreso dalla Dea Athena, era quanto le Divinità potessero essere capricciose. Non osava immaginarsi la reazione di quell’uomo dall’aspetto così imperscrutabile; magari lo avrebbe punito, o peggio, avrebbe riscosso l’affronto subito direttamente su Athena! A quel pensiero, le spalle di Mü si irrigidirono: che cosa aveva appena fatto…

«Ah!»

Un singulto di sorpresa uscì dalle labbra del lemuriano, quando percepì una mano posarsi sulla sua spalla sinistra. Le gocce di sudore si mischiarono a quelle d’acqua marina, mentre il volto impallidito si voltava nella direzione del Dio. Aveva paura; quel suo gesto avventato avrebbe potuto... un momento! Quel calore così avvolgente, che si stava propagando dalla sua spalla sinistra, da dove proveniva? Mü volse i suoi occhi smeraldini sulla mano del Dio; pareva fredda, per via del colorito pallido, ma trasmetteva un’incredibile sensazione di calore e pace. Il suo sguardo si posò sul volto dell’uomo, e si sgranò nel constatarne l’espressione non adirata od offese, ma preoccupata, che trasmettevano gli occhi. La voce profonda e con una piccola nota si preoccupazione del Dio fece sconcerto maggiore nel cuore del giovane Ariete:

«Chiedo perdono per la scortesia, ma non era mia intenzione recarti imbarazzo alcuno; ti ho forse offeso?»

Mü ritirò tutto quello che aveva appena pensato. Non solo questa persona non aveva dato peso alla sua mancanza di rispetto, ma si stava preoccupando per lui. E poi, quel calore, lo aveva già sentito; ed anche di recente. Il Saint recuperò la compostezza e sorrise ampiamente, chiudendo leggermente gli occhi e mostrando al Dio una squisita dolcezza, che solo gli arieti sanno dare:

«No, nessuna offesa. Solo un po’ di sorpresa. E vi chiedo perdono per essermi mostrato a voi in un modo così volgare. Tuttavia, mi sopraggiunge una domanda da porvi.»

Gli occhi del Dio persero quella nota di preoccupazione, che venne sostituita dal riflesso degli occhiali che venivano meglio sistemati sul naso, con un movimento fluido della mano destra sulla bacchetta corrispondente:

«Parla; ti ascolto.»

La voce morbida del Dio, apparsa alquanto dolce alle orecchie di Mü, non era riuscita a celere una certa curiosità; quindi, il giovane Ariete, oso:

«La vostra mano, per quanto pallida e dall’aspetto freddo, è così calda e piacevole al tatto; mi ricorda una sensazione provata ieri. Perciò eccovi la mia domanda; siete stavo voi a curare la mia ferita alla gamba?»

Il Dio dapprima rimase impassibile alla domanda, fissando negli occhi il giovane Saint, che pensò di aver osato troppo; tuttavia, l’uomo si voltò verso il mare, mostrando le ampie spalle e la schiena, su cui ricadevano i setosi capelli. Un pesante silenzio si frappose tra i due. Ed ora? Che sarebbe successo? Il pomo d’Adamo di Mü si mosse, nel mentre la saliva del Saint veniva ingoiata a fatica. Quel silenzio, che voleva dire?

«Sai – la voce profonda del Dio ruppe quella situazione di stallo – adoro la scienza sviluppata dall’uomo. È molto affascinante; l’intelletto umano è capace di cose incredibili. Mi sono appassionato ad ogni tipo di scienza esistente, tra cui la medicina e la chirurgia; ma io sono un Dio, non pratico in maniera convenzionale le arti umane. Tuttavia è stupefacente cosa può fare il Cosmo, se adattato in maniera consona all’utilità richiesta.»

Il Saint di Aries era spiazzato; non solo il Dio gli aveva dato una risposta implicita, ma perfettamente comprensibile al giovane; aveva anche dimostrato di avere una vasta e profonda conoscenza dell’uomo, oltre ad avere un controllo assoluto sul proprio potere. Mü non poté far altro che rimanere ammirato da colui che gli dava le spalle, finché un nuovo quesito gli ottenebrò i lieti pensieri:

«Sì, ma… come facevate a sapere della mia ferita?»

Il Dio si irrigidì impercettibilmente a quella domanda, ma agli occhi del lemuriano non sfuggì affatto quel movimento involontario, che lo lasciarono a dir poco sconcertato: il capo si protese in avanti, mentre occhi e labbra si sgranarono, mostrando tutto il suo stupore a quella scoperta. Tuttavia, il cuore prese ad accelerare i propri battiti, mentre un vistoso rossore accendeva le guance tese del lemuriano. D’accordo; pessima costatazione.

Il Dio si voltò, mostrando un volto innocente, che avrebbe sciolto in cuore persino ad uno stregone(7): gli occhi erano chiusi, mostrando le magnifiche, lunghe ciglia, le guance erano leggermente più rosee del viso, mentre le labbra erano piegate in un delicato quanto impacciato sorriso. La voce del Dio parlò:

«Ti reputo molto interessante; per quanto avrei apprezzato il tuo avvicinamento alla mia persona, non reputavo giusto il far perdere al mondo e al Santuario una preziosa risorsa come te. Sarebbe stato un vero peccato.

Comunque, si è fatto tardi. I miei doveri mi reclamano; la prossima volta, porterò dell’ottimo sakè(8) alla frutta, per farmi perdonare.»

E così dicendo, il Dio mostrò la lingua(9). Mü rimase interdetto quanto sorpreso del gesto della Divinità; di certo non si aspettava che conoscesse perfino le usanze della sua cultura, ma non avrebbe nemmeno lontanamente immaginato alle parole rivoltegli. Quel Dio lo reputava… interessante? Il tibetano si sentì andare a fuoco, mentre lo scoppiettare frenetico del proprio cuore gli rimbombava nei timpani. QUEL Dio lo riteneva interessante?! Si era fatto un’idea su chi potesse essere, ma con questa affermazione, l’intero Cosmo sembrò crollargli addosso. No! Non poteva essere vero che QUEL Dio provasse interesse per lui; non aveva senso, oltre ad essere controproducente. Doveva sapere. Doveva aver la certezza di essersi sbagliato! Così, prima che il Dio svanisse come quella notte, Mü prese il coraggio a due mani e chiese, ancora rosso in volto:

«Aspettate! Qual è il vostro nome?»

Il Dio, giratosi nuovamente di spalle, fermò la sua emanazione cosmica e si voltò leggermente, guardando di sottecchi quel giovane dal respiro accelerato e dal battito cardiaco stridente. Davvero un bello spettacolo; si sarebbe fermato volentieri qualche altro minuto per giocare con quel ragazzo dalle fattezze, anzi, dallo stesso sguardo innocente della sua amata, ma si era trattenuto anche troppo, ed il Sole non lo aiutava di certo. Così portò il proprio sguardo verso il mare e, riprendendo l’emanazione cosmica interrotta, creò delle fiamme cremisi che dalle caviglie avvolsero a spirale la totalità del suo corpo scultoreo, fino a farlo scomparire, mentre la voce profonda si disperdeva in quell’aria calda e soffocante:

«Che nome mi daresti, Aries Mü?»

Quella risposta vaga, dissipò ogni più piccola speranza di errore.

*

Di ritorno alla propria Casa, Mü passò inesorabilmente davanti al Ciliegio di quella notte; un vago rossore gli accese il volto, ricordando l’accaduto, ed il fatto di venire paragonato a quei fiori pallidi e delicati… non che gli dispiacesse: il significato era più che lodevole, ma non riusciva a spiegarsi l’interesse nutrito da quella persona nei suoi confronti. In quel momento, un fiore di ciliegio passò, danzando trasportato dal vento, davanti al volto pensoso del lemuriano, che ne seguì l’intera decaduta con lo sguardo. Quando quella corolla rosa pallido toccò il polveroso terreno, Mü si chinò a raccogliere quel bel figlio dell’albero rinato, mentre la mente tornava alle parole dettegli dal Dio. Mentre gli occhi smeraldini si beavano di quella visione così semplice, ma così ricca di significati nascosti, un pensiero assai insolito per la sua persona si impossessò del suo essere, che fece semi-chiudere lo sguardo immerso nella bellezza contemplativa del lemuriano; le labbra diedero voce al suo crucio:

«Chissà quale fiore può rappresentare la vita e la morte…»

 *

I giorni passarono, e le visite da parte del Dio continuarono sempre più frequentemente, fino ad arrivare a diventare un rituale quotidiano per entrambi. Si trovavano spesso sotto il Ciliegio, nel cuore della notte, e passavano una buona ora a parlare dei loro pensieri, principi e considerazioni. Mü scoprì in questo modo di avere una certa affinità con molti punti di vista del Dio, mentre in caso di disaccordo, ognuno cercava di argomentare in maniera minuziosa le proprie ragioni; non c’era la determinazione di imporre il proprio credo sull’altro, solo il piacere di conversare con un proprio pari. Esattamente come due esseri uguali: difatti il Dio, la sera in cui si presentò alla Casa del Montone Bianco, gli aveva imposto di dargli del “tu”, altrimenti si sarebbe sentito un vecchio – non che non lo fosse, nonostante l’aspetto prestante e giovane – e l’avrebbe considerato un affronto personale. Era una persona estremamente colta, dalle mille risorse e attenzioni dedicate alle varie culture e tradizioni presenti nel mondo. Era piacevole ascoltare i suoi racconti sugli altri popoli, anche quelli oramai estinti, come la razza lemuriana: difatti, il Dio spiegò che i suoi antenati potevano essere paragonati a semidei, la cui dimora risiedeva negli Elisi. Essi erano molto colti e pacifici; provavano rispetto per le Divinità con i quali coesistevano. A differenza degli altri esseri umani, avevano sviluppato più del cinquanta percento del cervello; per questo erano in grado di controllare perfettamente il proprio corpo e la materia, attraverso le onde cerebrali. Tuttavia, uno scontro tra fazioni divine costrinse questa razza a discendere nella Terra; l’unico privilegio concessogli fu di poter vivere nel luogo più prossimo ai Campi Elisi. Ma le condizioni proibitive crearono una selezione naturale spaventosa, che fece sopravvivere solo un decimo della popolazione. Per questo motivo i lemuriani si stavano estinguendo…

Mü aveva ascoltato rapito quel racconto, giacché rimase imbambolato a fissare il Dio, nonostante la storia fosse finita; così l’uomo gli diede un leggero buffetto sulla fronte, per farlo rinsavire dal suo stato. Quando il tibetano si riprese, non poté che gonfiare le guance ed arrossire vistosamente, assumendo un’aria bambinesca, che fece ridere sonoramente il proprio compagno.

Con il passare dei giorni, il Saint di Aries si accorse di aspettare sempre più trepidante il calare della notte; passare quel poco tempo in compagnia del Dio lo faceva sentire bene, anzi era esaltante poter avere un così grande segreto con gli altri. Nessuno si sarebbe mai aspettato che lui, Aries Mü, uno dei più forti cavalieri al servizio di Athena, avesse quella persona come confidente. E quel che lo gli lasciava maggior sgomento nel cuore, era la consapevolezza di condividere in parte le sue convinzioni. Certo, non poteva dire di appoggiare tutti i suoi argomenti, ma in gran parte erano anche i suoi principi. Ogni volta che lo vedeva, notava un nuovo pregio, che rendeva ancora più affascinante quella persona, che ricambiava, di volta in volta, regalandogli una nuova espressione od un sorriso. Più stava con lui, più sentiva il bisogno di rivederlo, mentre il cuore si stringeva pian piano ad ogni minuto che passava, consapevole dell’avvicinarsi sempre più dell’ora del saluto.

Quella notte, Mü si diresse al Ciliegio all’orario solito, si sedette sulle possenti radici ed aspettò l’arrivo del suo “compagno”. Il cielo era limpido, tanto che si poteva distinguere chiaramente la scia della Via Lattea, e tutte le costellazioni. Un leggero venticello si era levato a scuotere le corolle di ciliegio, mentre il tempo continuava il suo lento scorrere. Era in ritardo. Il lemuriano si portò le ginocchia al petto, abbracciandole, in posa fetale. Appoggiò la schiena al secolare tronco, sollevò la testa verso la chioma rosata e fissò quello spettacolo che non era più così magnifico; si sentì stritolare il cuore. Perché non era ancora arrivato? Mille pensieri affollarono la mente del giovane Ariete, per giustificare la mancata presenza del Dio, ma qualunque scusa tentasse, non riusciva a togliersi quel dolore immane al petto. Il suo sguardo si perse oltre quei petali dal tenue colore, osservando quella falce di Luna che sorrideva beffarda al Saint. Poi un’opzione quasi certa gli fece sbarrare gli occhi sotto quell’astro malevolo: e se avesse deciso di non venire più? In fondo, non era altro che una semplice ora di scambio di opinioni; un Dio aveva senz’altro di meglio da fare, anziché perdere tempo con uno dei più fedeli cavalieri di colei che fu la sua più acerrima nemica. Ma allora perché quella terribile verità lo sconcertava fino a quel punto? Perché il dolore non cessava di trapassargli il cuore? Perché ostinarsi a restare sotto quel Ciliegio ad aspettarlo? Una lacrima silenziosa, contenente tutta la sua tristezza ed il suo sconforto, fuoriuscì malvoluta dall’occhio destro, scivolando lungo lo zigomo e percorrendo la guancia, per poi scorrere lungo la linea del volto.

Perché faceva così male?

«Perdona il mio ritardo, ma ho voluto cercare una cosa che di sicuro apprezzerai… ma cosa…?»

Il corpo di Mü venne scosso da un violento sussultò; non si era minimamente accorto della presenza dell’altro, giacché il giovane si volse di scatto verso l’uomo ed arrossì sulle gote, mentre il cuore accelerò improvvisamente a quella vista tanto sperata. Tuttavia, il volto del Dio si fece scuro, e con ampie falcate raggiunse la posizione del lemuriano, si chinò su di lui e gli prese il viso con ambedue le mani, mentre un rosso più acceso tingeva le guance fanciullesche del Saint. Era la prima volta che lo vedeva così; il volto era severo, e quegli occhi che molto spesso fissava di sottecchi, per non farsi scorgere, lo scrutavano con rimprovero: le sopracciglia erano aggrottate, così come le labbra erano tese verso il mento. Nulla vi era del dolce sorriso che spesso gli aveva regalato, facendo palpitare il cuore del tibetano. Ed ora, che sarebbe successo? Lo avrebbe punito? Lo avrebbe etichettato come egoista e lo avrebbe abbandonato? Lo avrebbe ripudiato come… “amico”? Già, perché loro erano solamente amici, e questa consapevolezza diede il colpo di grazia al povero cuore sanguinante del custode della Prima Casa.

Contro ogni previsione, il Dio mosse il pollice sinistro verso l’occhio a mandorla piangente, e ripercorse la scia salata lasciata dalla lacrima incriminata. Poi portò la fronte contro quella del Saint, portando ad una distanza minima – eccessivamente minima – i loro occhi. Il respiro caldo e ansimante dell’uomo, fece correre un brivido lungo la schiena di Mü. Vicino. Era troppo vicino!

«Che non ti veda mai più versare una lacrima al mio cospetto. Non potrei più sopportarlo. Giura, Aries Mü, giura ciò che ti ho detto!»

Il lemuriano restò come ipnotizzato dal suo sguardo, che da severo era diventato sofferente, quasi straziato. Ciò fece sentire in colpa il cavaliere; non riusciva a vederlo così vulnerabile. Chiuse gli occhi, e beandosi del calore corporeo del proprio compagno, disse con un filo di voce, come ad aver paura di essere udito da qualcun altro che non fosse la persona di fronte a lui:

«…te lo giuro…»

Un senso di protezione si impossessò del Saint; nessuno gli aveva mai fatto una così delicata richiesta. Un verso trattenuto di approvazione uscì dalle labbra serrate del Dio, che si staccò e si mise seduto accanto al lemuriano, che emise un piccolo lamento di protesta a quella separazione. L’uomo appoggiò la schiena alla corteccia dell’albero, mentre piegava la gamba destra, portando il braccio corrispondente a posarsi su di esso; così facendo, la lunga tunica nera si sollevò, scoprendo lo stinco e parte dell’atletica gamba sinistra, che Mü si ritrovò a fissare con insistenza… EH?! CHE STAVA FACENDO?!

Il lemuriano scostò immediatamente il volto, rosso come un papavero per la vergogna, mentre i pugni si serrarono attorno alla morbida maglia color giallo. Ma che stava combinando? Doveva darsi un contegno!!! La sua attenzione venne nuovamente attirata nella direzione del Dio; un dolce profumo di frutta si disperse nell’aria, mentre un masu(10) contenente il delizioso e caldo liquore, gli veniva offerto. Bevvero e parlarono sommessamente, lasciandosi alle spalle quel piccolo incidente iniziale, mente il sakè diminuiva sempre più. Mü si versò ancora del liquore, ancora fumante, mentre la decima bottiglietta veniva svuotata e messa vicino alle altre compagne. Il Dio lo guardò bere tutto d’un fiato il contenuto della masu, constatando il leggero rossore sulle gote del Saint. Ed un sorriso quasi paterno gli illuminò il volto diafano, insieme alla consapevolezza di essere rimasti a secco di alcool. Così, con voce arrocchita e sensuale disse:

«Quello era l’ultimo bicchiere… avrei tanto voluto berlo.»

Mü si sentì colpevole per aver bevuto senza aver chiesto di poter riempire anche il masu del compagno; avrebbe sicuramente notato che era l’ultimo goccio. Accidenti! Che stupido!!! Ma mentre il lemuriano si stava maledicendo mentalmente, due mani calde gli avvolsero il viso arrossato, e delle labbra calde e dall’aroma fruttato, si impossessarono delle proprie, in un bacio umido e passionale. Il masu cadde di mano al Saint di Aries. Ma cosa…? LUI lo stava baciando?! Male! Era molto male!!! Con un movimento deciso poggiò le mani sulle spalle del responsabile di quel piacevole “assalto”, e si ritrasse da quell’atto tanto proibito quanto meraviglioso. Non poteva permettersi un simile affronto alla sua Dea; non con LUI! Mü mostrò in quell’atto tutta la sua testardaggine di Ariete, anche se lo fece a malincuore, perché purtroppo il suo corpo aveva gradito quel sensuale agguato. Con il respiro affannato e le mani ancora poggiate sul Dio, che lo guardava con un sorriso felino, disse con voce impastata dai fumi dell’alcool:

«N-no… questo non possiamo farlo… verrei considerato un tradito…mph»

Non ebbe il tempo di finire il pensiero che le sue labbra furono nuovamente catturate da quelle sensuali e terribilmente calde dell’uomo, che aveva schiacciato il proprio corpo a quello scosso da brividi di piacere del lemuriano. Un nuovo tentativo di rivalsa, dettato più dall’orgoglio che dal senso del dovere verso Athena, fece cessare quell’umida quanto ricercata danza di lingue. Mü cercò di nuovo di dissuadere il Dio, anche se meno convinto rispetto alla volta precedente:

«A-aspetta… credo di aver esagerato con il sakè… mmh»

Stesso risultato del precedente tentativo: le loro lingue si scontrarono ancora, facendo divenire i baci più selvaggi e bisognosi di reciproche attenzioni. Difatti, il Dio prese a succhiare il labbro superiore del lemuriano, che sembrò apprezzare il trattamento, mugolando di piacere; le mani dell’uomo si spostarono dal volto alla schiena, che percorsero per tutta la sua lunghezza, per infine soffermarsi sulla parte sacrale(11) procurando vistose scariche di piacere al corpo già tremante del Saint. Di nuovo, la testardaggine del cavaliere gli impose di fermare il bacio, per provare un ultimo, disperato tentativo di dissuasione:

«… oooh… ho esaurito le scuse…»

La risposta divertì parecchio il Dio, che ridacchio sommessamente, mentre fece scivolare i loro corpi lungo le radici del Ciliegio, spettatore silenzioso, del loro peccato. La voce roca e con una punta di eccitazione, sussurrò all’orecchio del Saint:

«Mi piace sentirtelo dire… sei adorabile.»

Le loro lingue ripresero la loro danza frenetica, mentre i corpi si strusciavano l’uno contro l’altro. Il Dio sovrastava il tibetano, che gli si era aggrappato al collo, intrecciando le dita nei lunghi capelli corvini. Quella lotta alla supremazia venne interrotta dal morso che il Saint diede al labbro superiore dell’uomo, mentre questi leccava quello inferiore dell’altro. Liberatosi dalla presa, il Dio iniziò a percorrere la linea del mento con piccoli baci, mentre il viso di Mü si piegò all’indietro, per godere maggiormente di quell’attenzione idilliaca. I gemiti sommessi del Saint si dispersero tra le fronde dell’albero, mentre le attenzioni dell’uomo si spostarono al pomo d’Adamo, succhiandolo e dandogli piccoli morsetti, che fecero spalancare gli occhi tenuti finora sigillati, e uscire dalla gola un gemito più forte e carico di goduria; cosa che invitò il conduttore del gioco a continuare il proprio operato. Le mani del cavaliere si strinsero attorno alle ciocche di capelli, accompagnando quel ritmo incalzante assunto dalla Divinità, oramai sempre più famelica delle soavi note emesse dall’organo del compagno. Mü aveva gli occhi liquidi di piacere: godeva, come mai nella sua vita. Forse perché mai si era interessato ad avere rapporti di quel tipo con una persona, e l’essere assalito a quel modo da un uomo, specialmente da LUI, lo spaventava un poco, ma l’eccitazione che provava lo rese sordo alla sua razionalità, che gli urlava di smettere con quel suo atto sacrilego. Tutto inutile; Aries Mü si era fatto vincere dalla freccia scoccata da Eros.

Quando sentì il cavallo dei pantaloni farsi più stretto, il Saint diede un colpo di reni, portando a contatto i loro organi, e facendo comprendere la sua necessità al Dio che, comprensivo, si scostò dall’abbraccio. Mü gli si gettò al collo, baciandolo profondamente, per poi avvicinare le labbra all’orecchio sinistro del partner e sussurrare con urgenza:

«Andiamo alla Prima Casa…»

Immediatamente, l’uomo sollevò i Saint di peso, sorreggendo il busto con il braccio sinistro e le gambe con quello destro. Mentre si dirigeva verso la Casa del Montone Bianco, i due continuarono a scambiarsi teneri baci, che non avevano nulla dell’ardore di quelli precedenti, ma non potevano rischiare di lasciarsi travolgere troppo dalla passione per poi rovinare irrimediabilmente al suolo.

Entrati nelle stanze private della Prima Casa, Mü sfilò delicatamente gli occhiali dal volto del Dio, posandoli sul piccolo scrittoio, per poi aggrapparglisi al collo, catturandolo in un bacio umido e sensuale. Continuando quell’intreccio umido, i due si spogliarono reciprocamente, sparpagliando gli abiti per la stanza, senza preoccuparsi di dove finivano, ma con l’urgenza di consumare quell’atto che oramai aveva privato della ragione entrambi. Il lemuriano si ritrovò con la schiena poggiata al materasso, e sovrastato dalla figura possente del Dio. Si guardarono negli occhi, carichi di necessità e lussuria, mentre i loro respiri affannati riempivano la stanza di pietra. L’uomo prese una ciocca di capelli del tibetano tra le dita, la portò alle labbra, la baciò per poi metterla in boccia, leccandola in modo lascivo ed erotico; ciò fece tremare vistosamente il corpo del lemuriano, il quale si portò una mano alla propria erezione, cominciando a masturbarsi. Visto l’orgasmo ormai prossimo del Saint, l’uomo lo fece girare sul fianco destro, portandosi alle sue spalle. Mise la mano destra sotto il corpo bollente e sudato del giovane Ariete, andando a tormentarne il capezzolo già turgido: lo prese tra i il pollice e l’indice, lo fece rigirare, pizzicandolo e facendo gemere di passione la sua vittima. La mano sinistra si insinuò tra i testicoli del ragazzo umano, che emise un singulto più forte a quel contatto così caldo ed intimo; iniziò a massaggiarli, facendo aumentare i respiri e i gemiti di puro piacere del padrone di Casa, fino ad esser costretto a zittirlo, tappandogli la bocca con un bacio umido e selvaggio. Non potevano correre il rischio di essere scoperti. Il tutto avvenne nella flebile luce lunare; anche se non poteva vederlo perfettamente in volto, il Dio era a conoscenza della passione che stava trasportando il ragazzo che aveva tra le braccia, ed anche lui. Sciolto il bacio, la Divinità passò la lingua sull’attaccatura dell’orecchio sinistro del Saint, creando una scia argentea, che risplendeva sotto il pallore lunare, così come il filo di saliva che era stato tessuto tra i due volti. Continuando a massaggiare le fattezze del tibetano, l’erezione, così come la passione, crebbe infinitamente; rivide in quelle fattezze la figura della sua amata, il suo profumo, e la notte lo aiutò ad ingannare perfino la vista, facendo diventare quei capelli disciolti sul materasso del dolce colore delle rose scarlatte. Il suo respiro, così come il battito cardiaco accelerarono a quella costatazione; spostò la sua mano sinistra all’erezione del giovane, oramai allo stremo della sopportazione, come a convincersi della realtà, ma a nulla servì a fargli calmare la pulsante asta. Almeno per una notte, poteva rivederla. La sua mano si mise a massaggiare ritmicamente l’erezione del compagno, che gemette incontrollato, schiacciandosi contro il corpo dell’uomo che stava alle sue spalle. Le fibre muscolari tese, gli occhi serrati, e la gola che bruciava per la mancanza di ossigeno, Mü venne nella mano del Dio, che sentendo le reazioni fisiche del ragazzo, strinse i denti soffocando un lamento e venne copiosamente tra i loro corpi scossi da brividi di piacere. I respiri affaticati ed irregolari, i due, o meglio Mü, si abbandonarono al reciproco calore.

Il Dio portò la mano sinistra al volto, per poter veder il caldo seme del proprio amante… che divenne improvvisamente cremisi. Gli occhi della Divinità si sgranarono. Volse fulmineamente lo sguardo al corpo che giaceva sotto di se, e vide il ventre piatto squarciato, con l’intestino e lo stomaco riversi sul pavimento, mentre gli arti erano spariti. Al loro posto vi erano i lembi di carne maciullata, che si staccavano, ricadendo al suolo. Il volto era ricoperto di sangue, mentre gli occhi vitrei e privi di riflesso, versavano lacrime. L’uomo si portò lo sguardo tremante alle mani, ed inorridì nel vederle imbrattate di sangue; si alzò dal letto, con passo tremante, allontanandosi, mentre quella scena raccapricciante gli urlava contro che era tutta colpa sua e della sua inettitudine. Arrivò al muro di pietra, e si sentì in trappola; il volto cianotico si voltò lentamente, facendo scricchiolare le ossa del collo, e quegli occhi cadaverici lo fissarono con rimprovero. Il Dio tremò convulsamente a quella scena, scuotendo selvaggiamente il capo, come a volersi imporre di svegliarsi da quell’incubo. Ma una voce fredda e priva di emozioni gli fece perdere quella convinzione:

«Tutto ciò per causa tua!»

«AAAAAAAAAAAAAAAAAAH!!!»

Il Dio si portò le mani alla testa, mentre il suo urlo agghiacciato si levò per le mura della Prima Casa. Il suo corpo scivolò contro il muro, arrivando ad accucciarsi a terra, mentre Mü lo fissava con aria spaventata ed allarmata. Resosi conto della situazione, la Divinità si portò le mani al viso, sospirando profondamente ed imprecando mentalmente contro se stesso. Un’allucinazione. Era stata solo un’allucinazione.

Appena il Dio si fu calmato, si affrettò a recuperare i propri abiti e rivestirsi, per poi dirigersi al portone di legno, sotto lo sguardo stranito del Saint. Perché? Cosa aveva sbagliato?

«Ho commesso qualcosa che ti ha offeso?»

La voce di Mü era ancora arrocchita dall’orgasmo appena avuto, ma trasmetteva tutta la sua confusione e tristezza. Così l’uomo in nero si voltò a guardarlo, mentre rinforcava gli occhiali, e disse con voce cupa e fredda:

«Perdonami. L’averti avvicinato e l’essermi affezionato a te è stato un mio capriccio, una mia imperdonabile leggerezza. Se Athena scoprisse l’accaduto, il tuo tradimento, di pure che eri sotto un mio incantesimo; non negherò. Mi duole doverti lasciare così, avrei voluto parlare ancora con te, Aries Mü, ma dopo il fatto avvenuto pocanzi, non potremo più vederci. Addio, cavaliere.»

«Io non capisco!»

La risposta arrivò fulminea dal Saint, che si tratteneva a stento sollevato sulle braccia, con gli occhi lucidi, che lo guardavano con infinita tristezza. Oh, basta! Voleva sapere, allora lo avrebbe accontentato, e sarebbe stato il più spietato possibile, per riuscire a farsi dimenticare:

«Io persi mia moglie, molto tempo fa. E tu, giovane lemuriano, le somigli in maniera incredibile; ti ho solamente sfruttato, perché rivedevo la mia amata in te. Non c’è nulla che apprezzi particolarmente nella sua persona, se non l’usarti come surrogato di Persefone. Non avrò mai una vera felicità, perché essa è effimera e debole. Debole come voi umani, che non potete sopravvivere all’eternità, a differenza di noi Dei. Non ho alcuna intenzione di innamorarmi di nuovo, perché so che soffrirei. Tu hai fatto voto di fedeltà ad Athena, sei un valoroso Saint, ma prima o poi morirai. Ed anche se ti riportassi in vita, non potrei renderti immortale. E nemmeno ho intenzione di maledirti. Perché la vita eterna non è altro che una maledizione che ci perseguita sin dai tempi del Mito; il dover vedere i propri alleati, sottoposti e cari morire, perché sconfitti nella carne dalla morte, è una cosa che non augurerei nemmeno a Crono. Io non voglio che qualcun altro, al difuori della ristretta cerchia di noi Divinità, oramai temprati a questa nostra desolata vita eterna, subisca un così infame destino… e tantomeno, lo imporrei a te, Mü…»

Quel discorso, fece desistere qualsiasi tentativo di controbattere da parte del lemuriano, che chinò il capo, per poi tornare a posare le proprie membra stanche sul soffice materasso, in segno di resa. Poi gli venne in mente una cosa molto importante, che non aveva avuto ancora modo di essere esplicitata. Mentre i passi dell’uomo risuonavano sempre più allontanandosi, il giovane osò:

«Sai, in tutto questo tempo, non ho fatto altro che cercare.»

La voce di Mü, affaticata ed ancora languida per l’atto proibito appena consumato, risuonò tra quelle pareti di pietra, attirando l’attenzione del Dio che si stava dirigendo a passo leggero verso il portone di legno massiccio. Il suo passo si fermò, e voltò lo sguardo in direzione della voce, posando gli occhi magnetici su quella figura conturbante che stava sdraiata a petto nudo sul letto. La sua voce profonda, fece correre un brivido di piacere lungo la colonna vertebrale del giovane Ariete:

«Cercare? E cosa, di grazia?»

Mü si posizionò sul lato destro del corpo, appoggiando il gomito al morbido materasso, per sorreggere il busto e così poter vedere quell’uomo che lo aveva reso felice, e traditore. Sorrise apertamente nel constatare l’espressione smarrita che gli Dio mostrava: guardò con infinita dolcezza quel fisico scolpito e diafano, ora avvolto da una lunga tunica nera, ricordandone il calore ed il profumo intenso e virile. Dalle labbra del lemuriano uscirono parole che turbarono l’impassibilità dell’uomo in nero:

«Un fiore.»

«Un fiore?»

Non capiva. Che cosa poteva significare quell’affermazione. Il sopracciglio sinistro si inarcò appena, in modo da rafforzare quel disappunto che, stranamente, si poteva leggere dietro quelle lenti circolari. No; proprio non se lo spiegava.

Mü, quasi divertito della concentrazione del Dio nello scovare un chissà quale astruso mistero nelle sue parole, si portò carponi sul letto, avvicinandosi di più al proprio ospite, che lo fissava con una nuova luce ad accendergli gli occhi: non più la curiosità, bensì la bramosia e la lussuria ora ne albergavano. Quel fisico atletico che aveva sporcato con il suo peccato… ma non poteva permettersi il lusso di lasciarsi trasportare dal dolce incantesimo di Eros, non più. E men che meno con un umano. Tuttavia, non poté negare che lo spettacolo che gli si mostrava dinnanzi, fosse squisitamente invitante: la luce lunare che timidamente penetrava la piccola finestra, illuminava il corpo assai provocante del Saint dell’Ariete, creando giochi di luci ed ombre molto interessanti, e le piccole gocce di sudore che lentamente scivolavano lungo i suoi muscoli rilassati ed ansimanti, non facevano che impreziosire quelle fattezze candide, rendendolo simile ad un diamante dall’elegante taglio. Mü si sporse con il capo verso l’uomo, facendo sì che la lunga chioma, dapprima sparsa in maniera irregolare sulla schiena inarcata, scivolasse lungo le spalle, per cadere dolcemente sul materasso in modo scomposto e poetico. Il volto arrossì leggermente, mentre la voce pacata e calda raggiungeva il Dio:

«Non ricordi? Al nostro primo incontro, tu mi paragonasti ad un fiore di Ciliegio. Per tutto questo tempo, mi sono chiesto a quale fiore rassomigliassi. – gli occhi dell’uomo si fecero grandi, non poteva credere che le sue parole avessero avuto un effetto tanto deleterio nei confronti del cavaliere – Chiedo perdono per la mia indecisione, ma credo di aver trovato il fiore perfetto.»

L’Ariete chiuse leggermente le palpebre, mentre un sorriso quasi impacciato si aprì sul suo volto imbarazzato:

«Il Crisantemo bianco(1)

A sentire quel nome, il Dio rilassò il viso, e si concesse un tenero sorriso di approvazione. Il Crisantemo. Non poteva trovare un fiore migliore.

«χρυσάνθεμο (chrysánthemo), il “fiore d’oro”. Non ti sembra eccessivo, per un essere che porta il mio nome?»

La voce profonda e cupa, diede una piccola scarica di adrenalina al corpo accaldato dell’Ariete, che tremò a quelle parole, per poi farsi scuro in viso, ed abbassare il capo a contemplare il freddo marmo illuminato dalla Luna. Il capelli ricaddero in avanti, seguendo il movimento lento della testa, coprendo interamente il volto del giovane lemuriano. La sua voce risultò più flebile e sofferente di quanto l’uomo si potesse aspettare:

«Il tuo nome…? “Solo il tuo nome mi è nemico.(2)” »

Nessuna frase fu più appropriata. Nulla avrebbe potuto cancellare ciò che erano; nessuna Divinità poteva purificare il peccato di cui entrambi si erano macchiati. L’uno per un lontano ricordo, oramai perduto. L’altro per il calore strappatogli, cercato da troppo tempo.

Il Dio volse un ultimo sorriso al giovane amante, mostrando la lingua, in segno di tacito saluto. Il lemuriano contraccambiò, con un’espressione triste e sconfitta sul volto.

«永別了,畝(Yǒngbiéle, mǔ chǎn.)(12)»

Quando il suono dei passi sempre più lontani, unici compagni rimasti nella piccola stanza di pietra, si persero nell’oscurità scesa in quelle pareti desolate, un flebile suono, accompagnato da silenziose lacrime di dolore, riempì il vuoto da lui lasciato:

«永別了,閻王。(Yǒngbiéle, yánwáng.)(13)»            

 

(1): Chrysanthemum è un genere di piante angiosperme dicotiledoni della famiglia delle Asteraceae che comprende piante erbacee perenni o annuali, originarie di molte parti del mondo, dall'Europa alla Cina, con numerosi ibridi e varietà coltivati come piante ornamentali in floricoltura e nel giardinaggio. Il nome in greco vuol dire "fiore d'oro". In Corea e in Cina è il Crisantemo è il fiore dei festeggiamenti mentre in Giappone è il fiore nazionale. In questi paesi, e in oriente in generale, il Crisantemo simboleggia la vita. Crisantemo Bianco: Verità e dolore, un cuore sconsolato, sei un amico meraviglioso. Per molti paesi occidentali, e per la religione Cristiana in genere, il significato del Crisantemo è legato al concetto di morte. Nella gran parte dei paesi orientali, compresi Cina, Giappone e nei paesi anglosassoni è invece simbolo di gioia, vitalità e pace. (fonte “Il Giardino del Benessere”, voce “significato e simbologia del Crisantemo”)

(2): citazione della celebre tragedia di Shakespeare “Romeo e Giulietta”, tratta dalla scena del balcone.

(3): seconda arteria più grande del corpo umano. Se viene recisa, si rischia seriamente la morte o, se la fortuna assiste, l’amputazione della gamba.

(4): ombrello tradizionale dell’Asia, diffuso in Corea, Cina, Giappone e molte altre aree della costa indiana. Costruito con un telaio di bacchette di bambù e da una tela costituita da fibre vegetali di riso, lavorate a mano, molto resistente anche agli insetti e all’acqua. (fonte Wikipedia, voce “Washi”)

(5): malattia della pelle che consiste in una reazione allergica dovuta al contatto con la luce solare. Crea degli eritemi e delle piccole ferite, abbastanza dolorose. È molto fastidiosa. (fonte esperienza personale di una mia carissima amica)

(6): le Nereidi (in greco: Νηρείδες o Νηρηίδες, al singolare Νηρείς) erano delle figure della mitologia greca, ninfe marine, figlie di Nereo e della Oceanina Doride. Erano considerate creature immortali e di natura benevola. Facevano parte del corteo del dio del mare Poseidone insieme ai Tritoni e venivano rappresentate come fanciulle con i capelli ornati di perle, a cavallo di delfini o cavalli marini. Le Nereidi più note sono Anfitrite, sposa di Poseidone, Galatea, amata dal pastore Aci e dal ciclope Polifemo e Teti, madre dell'eroe Achille. (fonte Wikipedia)

(7): nella cultura tibetana erano considerati emissari dei demoni, perciò ritenuti ancor più pericolosi degli stessi, dato che potevano vivere tra gli uomini e praticare la magia nera per maledire e stregare il popolo. Erano considerati ereti spietati, senza etica e senza un briciolo di umanità (prendetela per buona; è un sunto di quel che ho trovato spulciando in giro per il web ^^)

(8): liquore tipico orientale, nato dalla fermentazione e dalla distillazione, tipicamente, del riso. Tuttavia esistono diversi tipi di sakè, tra cui quello alla frutta; uno dei più pregiati e costosi. (su Wikipedia c’è scritto che i tibetani hanno sviluppato una particolare resistenza alle basse temperature; quindi la mia testa bacata ha pensato che per far resistere meglio al freddo i bambini, gli adulti li abituassero a bere liquori per scaldarsi e sopportare meglio il gelo. Quindi, di conseguenza, i lemuriani sono gran bevitori, oltre ad essere gran estimatori di sakè ^^)

(9): il colore nero che in Tibet era considerato il colore della stregoneria, si pensava che chi facesse uso di magia o avesse contatti con i demoni avesse la lingua di colore nero. Era accaduto infatti che nel 600 un tibetano prigioniero dei mongoli fosse da essi accusato di aver ucciso il proprio guardiano, tramite pratiche magiche questo sventurato aveva la lingua nera. In realtà in medicina tale patologia è ben conosciuta e poco ha a che fare con diavoli o magia: La lingua nera villosa, è caratterizzata da un abnorme allungamento con contestuale alterazione di colore delle papille filiformi presenti sul dorso linguale che appare così colorato dal nero al marrone scuro. E' una condizione temporanea e non pericolosa provocata in genere da una crescita anomala di batteri e di lieviti nella bocca. Questi organismi si accumulano sulle papille e ne provocano la variazione di tinta. Tra le cause di questa condizione si trovano: variazioni quantitative dei normali batteri o lieviti della bocca a seguito di terapia antibiotica; scarsa igiene orale; impiego di farmaci a base di bismuto; uso costante di collutori contenenti agenti ossidanti o astringenti o mentolo; tabagismo; consumo eccessivo di caffè o tè. Per questa ragione iniziò l'usanza fra i tibetani di salutarsi mostrando la lingua a voler palesare di non avere alcun rapporto con pratiche magiche. (fonte Vampiri.net, voce “colori demoniaci”)

(10): recipiente che arricchisce l'esperienza di degustazione del sakè; una sorta di scatolina normalmente di legno di cedro. L'aroma di questo legno si miscela con la fragranza del sakè creando una sensazione del tutto diversa da quella dell'o-choko (bicchiere tradizionale di terracotta), perché rivela le radici di questa bevanda così pregna di storia. (fonte Sake speciali per occasioni speciali, voce “servizio da sake”)

(11): zona situata tra il bacino e la schiena; più banalmente, è la fascia sopra il sedere.

(12): “Addio, Mü.” In cinese (fonte Google traduttore)

(13): “Addio, Hades.” In cinese (fonte Google traduttore)

 

 

 

 

 

Angolo dell’Autrice:

Miseria ladra! Eccomi di nuovo qui, a torturare i lettori che hanno avuto il coraggio di arrivare fino in fondo a questa delirante storia, e a torturare i personaggi, in primis. XD

Ok, è stata davvero complicata come cosa, e spero di non aver sfociato nell’OOC (anche se è difficile da dirsi, dato che nessuno ha mai visto questi due fare “sesso”, anche se non era vero e proprio “sesso”… ah! Che casino!!!)

Comunque, spero che vi piaccia; lo so, la coppia non la calcolerà nessuno, ma io li vedo troppo bene insieme. Non posso farci niente.

Bene, direi di aver finito. Ah! Mi sono appena ricordata di una cosa; in questa one-shot, ho scritto una pagina e mezza di note. Mai capitato.

E niente; spero di rivedervi presto.

Ciao ^^
   
 
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