Avevo una mezza idea di sviluppare la
storia, facendo una
cosa a capitoli, ma l’idea non era di fare un continuo a
livello temporale,
quindi ho preferito evitare. Ci sarà un salto temporale
bello grande.
C’è solo una
piccola ripresa della storia precedente, ma non
è nulla di che.
Detto questo, spero vi piaccia, e spero che mughetto nella neve e LeanhaunSidhe possano apprezzarlo particolarmente. Lo dedico a voi ^^
Fiori di Crisantemo
«Sai, in tutto questo tempo, non ho fatto
altro che cercare.»
La voce di Mü, affaticata ed ancora
languida per l’atto proibito appena
consumato, risuonò tra quelle pareti di pietra, attirando
l’attenzione del Dio
che si stava dirigendo a passo leggero verso il portone di legno
massiccio. Il
suo passo si fermò, e voltò lo sguardo in
direzione della voce, posando gli
occhi magnetici su quella figura conturbante che stava sdraiata a petto
nudo
sul letto. La sua voce profonda, fece correre un brivido di piacere
lungo la
colonna vertebrale del giovane Ariete:
«Cercare? E cosa, di grazia?»
Mü si posizionò sul lato destro
del corpo, appoggiando il gomito al
morbido materasso, per sorreggere il busto e così poter
vedere quell’uomo che
lo aveva reso felice, e traditore. Sorrise apertamente nel constatare
l’espressione smarrita che il Dio mostrava:
guardò con infinita dolcezza quel
fisico scolpito e diafano, ora avvolto da una lunga tunica nera,
ricordandone
il calore ed il profumo intenso e virile. Dalle labbra del lemuriano
uscirono
parole che turbarono l’impassibilità
dell’uomo in nero:
«Un fiore.»
«Un fiore?»
Non capiva. Che cosa poteva significare
quell’affermazione. Il
sopracciglio sinistro si inarcò appena, in modo da
rafforzare quel disappunto
che, stranamente, si poteva leggere dietro quelle lenti circolari. No;
proprio
non se lo spiegava.
Mü, quasi divertito della concentrazione
del Dio nello scovare un
chissà quale astruso mistero nelle sue parole, si
portò carponi sul letto,
avvicinandosi di più al proprio ospite, che lo fissava con
una nuova luce ad
accendergli gli occhi: non più la curiosità,
bensì la bramosia e la lussuria
ora ne albergavano. Quel fisico atletico che aveva sporcato con il suo
peccato…
ma non poteva permettersi il lusso di lasciarsi trasportare dal dolce
incantesimo di Eros, non più. E men che meno con un umano.
Tuttavia, non poté
negare che lo spettacolo che gli si mostrava dinnanzi, fosse
squisitamente
invitante: la luce lunare che timidamente penetrava la piccola
finestra,
illuminava il corpo assai provocante del Saint dell’Ariete,
creando giochi di
luci ed ombre molto interessanti, e le piccole gocce di sudore che
lentamente
scivolavano lungo i suoi muscoli rilassati ed ansimanti, non facevano
che
impreziosire quelle fattezze candide, rendendolo simile ad un diamante
dall’elegante taglio. Mü si sporse con il capo verso
l’uomo, facendo sì che la
lunga chioma, dapprima sparsa in maniera irregolare sulla schiena
inarcata,
scivolasse lungo le spalle, per cadere dolcemente sul materasso in modo
scomposto e poetico. Il volto arrossì leggermente, mentre la
voce pacata e
calda raggiungeva il Dio:
«Non ricordi? Al nostro primo incontro,
tu mi paragonasti ad un fiore
di Ciliegio. Per tutto questo tempo, mi sono chiesto a quale fiore
rassomigliassi. – gli occhi dell’uomo si fecero
grandi, non poteva credere che
le sue parole avessero avuto un effetto tanto deleterio nei confronti
del
cavaliere – Chiedo perdono per la mia indecisione, ma credo
di aver trovato il
fiore perfetto.»
L’Ariete chiuse leggermente le palpebre,
mentre un sorriso quasi
impacciato si aprì sul suo volto imbarazzato:
«Il Crisantemo bianco(1).»
A sentire quel nome, il Dio rilassò il
viso, e si concesse un tenero
sorriso di approvazione. Il Crisantemo. Non poteva trovare un fiore
migliore.
«χρυσάνθεμο
(chrysánthemo), il “fiore
d’oro”. Non ti sembra eccessivo,
per un essere che porta il mio nome?»
La voce profonda e cupa, diede una piccola scarica
di adrenalina al
corpo accaldato dell’Ariete, che tremò a quelle
parole, per poi farsi scuro in
viso, ed abbassare il capo a contemplare il freddo marmo illuminato
dalla Luna.
Il capelli ricaddero in avanti, seguendo il movimento lento della
testa,
coprendo interamente il volto del giovane lemuriano. La sua voce
risultò più
flebile e sofferente di quanto l’uomo si potesse aspettare:
«Il tuo nome…? “Solo
il tuo nome mi è nemico.(2)”
»
Nessuna frase fu più appropriata. Nulla
avrebbe potuto cancellare ciò che erano; nessuna Divinità poteva purificare il
peccato di cui entrambi si erano macchiati. L’uno per un
lontano ricordo,
oramai perduto. L’altro per il calore strappatogli, cercato
da troppo tempo.
Ricordi di un tempo recente alla memoria
affiorarono alla mente di entrambi.
*
Santuario,
Casa del Montone Bianco – tre mesi prima
«Ah!»
Un lamento di dolore si levò
dall’ampio porticato
colonnato della Casa. Ora, il ritmico rumore dei colpi del martello che
battevano stridenti sullo scalpello erano cessati. Che Mü
avesse concluso la
riparazione dell’elmetto del Toro? Poteva essere
così; ma quel lamento non rendeva
molto sicura quest’opzione. Difatti, l’Ariete stava
riverso a terra, le mani
appoggiate al candido marmo, come sostegno per il busto; gli attrezzi,
così
come i preparati per la riparazione, erano sparsi e rovesciati ai piedi
del
lemuriano. La gamba sinistra, appoggiata di lato al pavimento, grondava
sangue
da una ferita profonda, che si riversava sul pallore marmoreo,
espandendosi a
vista d’occhio. Probabilmente, il taglio aveva reciso
l’arteria femorale(3):
se non si medicava subito, avrebbe rischiato l’amputazione
dell’arto, o nel
peggiore dei casi, la morte. A quel pensiero, un brivido violento
scosse le
membra del giovine, che imprecò a denti stretti per la
propria distrazione:
«Maledizione!»
Il Saint concentrò il Cosmo
all’interno della coscia ferita, in modo da
bloccare l’emorragia ed avere così il tempo per
medicarsi. Il sangue arrestò il
proprio flusso, mentre un’aura dorata si levò dal
corpo dell’Ariete, avvolgendolo
nella sua interezza. Accidenti; come era potuta accadere una cosa
simile! Era da
tempo immemore, che non si procurava una ferita del genere: nemmeno da
bambino,
appena iniziato all’arte della riparazione, aveva subito una
così profonda
offesa al corpo. Ricordava di star colpendo con lo scalpello dorato il
corno,
mentre la Star Dust, aggiunta in precedenza insieme a qualche goccia
del suo
sangue, stava suturando la fessura dell’elmetto. Le scintille
dorate si
ergevano alte, mentre il colpi di Mü si fecero più
intensi e decisi; fu in quel
mentre che un colpo di martello intriso del Cosmo del Gold Saint ruppe
nuovamente
il corno, facendo perdere l’equilibrio al cavaliere, che
cadde al suolo per il
tremendo contraccolpo generato dalla risonanza tra il proprio sangue e
il suo
potere cosmico. Lo scalpello, ancora intriso del potere del lemuriano,
cadde
sulla gamba sinistra, squarciandogli la coscia.
Nulla di strano, se non fosse per la reazione
anomala avvenuta;
sicuramente una certa persona l’aveva notata, ma ora non era
il momento di
preoccuparsi di questo. Continuando ad espandere il Cosmo per bloccare
la
perdita di sangue, Mü si sforzò di ricordare quale
fosse la causa scatenante di
tale disfatta: ripensò all’attimo prima del colpo
più intenso. Che stava
facendo? Stava lavorando, ovviamente: nulla di diverso da una solita
riparazione. Ma allora qual era la causa scatenante? Forse…
un pensiero. Che
cosa stava pensando? Si concentrò ulteriormente sui pensieri
che avevano
attraversato la propria mente: vi era una profonda pace,
l’immagine
dell’elmetto ultimato, rilucente dell’oro di cui
era forgiato, ed una pioggia
di fiori di ciliegio, danzanti nella notte, illuminati
dall’argentea luce
lunare… Mü arrossì vistosamente per
quella rivelazione. Eppure sapeva bene che
non avrebbe più rivisto quella Divinità, ma
nonostante questa consapevolezza, non
riusciva a dimenticare quella notte.
Il lemuriano si spalmò una mano sul
viso, facendola scivolare dalla
fronte al mento, come a volersi liberare da quei pensieri che ne
tormentavano
la mente. Tuttavia, il suo tentativo di eliminare quel ricordo che
accendeva
ogni qualvolta che riemergeva le candide guance, venne interrotto da
un’emanazione cosmica famigliare, ed un rumore di passi
inquieti e veloci. Mü
si guardò alle spalle, sorridendo in modo colpevole alla
persona che si mostrò
dal colonnato; Virgo Shaka, Saint della Sesta Casa, apparve
dall’ombra con fare
affaticato e preoccupato. Bhe, c’era da aspettarselo:
l’esplosione non era
stata particolarmente violenta, quindi non percepibile a tutti, ma
nulla
sfuggiva ai sensi sviluppati del cavaliere della Vergine, che,
stranamente,
aveva l’aria scomposta… come se avesse corso per
tutta la scalinata. I capelli
scompigliati, il sudore che colava dalla fronte, e il respiro
accelerato che
faceva muovere ritmicamente il petto. Gli occhi erano come sempre
celati dalle
palpebra, ma nonostante ciò, Shaka parlò
all’amico, dicendo con voce affannata:
«Mü, comprendo che tu abbia
bisogno di sangue per la riparazione di una
Cloth, ma perché usarne così tanto?
L’odore è davvero intenso! Ma… cosa ci
fa
lì per terra?»
Mü sentì il volto andare a
fuoco: non solo aveva rovinato il lavoro di
una mattinata, ma aveva fatto anche preoccupare un suo compagno e
amico,
disturbandolo dalla sua meditazione. Il lemuriano seguì con
lo sguardo i
movimenti dell’indiano, che si stava avvicinando al punto in
cui giaceva.
Mancavano pochi passi, ma il Saint della Vergine fermò la
sua avanzata, udendo
un rumore sinistro e viscido. Aveva calpestato qualcosa, ma non
riusciva a
capire di che sostanza si trattasse… come aveva fatto un
liquido a…
Shaka spalancò gli occhi, trovando
conferma ai suoi timori. Sangue.
Attorno a Mü si era formato un piccolo lago cremisi. Inutile
dire che la
reazione del Saint fu più che allarmante;
l’indiano guardò il lemuriano negli
occhi, mettendo a confronto le sue iridi cerulee con quelle smeraldine
del
ferito, e piegando il viso in uno sguardo truce e severo:
«Ma che diavolo hai fatto? Come ti sei
procurato quella ferita?»
Il Saint della Prima Casa non fece in tempo ad
aprire bocca, che si
ritrovò sollevato tra le braccia dell’indiano, con
il busto sorretto dal
braccio destro e le gambe trattenute sotto le ginocchia da quello
sinistro.
Tuttavia, quel brusco movimento, unito all’impatto
dell’aria con la carne viva,
fecero arrivare delle forti scariche di dolore alla gamba, che
arrivarono al
cervello e si espansero a tutti i nervi corporei. L’agonia si
mostrò sul volto
dell’Ariete, che sgranò d’improvviso gli
occhi, serrò convulsivamente i denti,
facendoli stridere, ed iniziò a sudare freddo. Il pungo
destro si strinse spasmodicamente
attorno alla tunica immacolata dell’indiano, che si accorse
della sua poca
delicatezza, ma quella ferita non poteva aspettare; andava curata al
più
presto.
Shaka spalancò con poca delicatezza il
portone delle stanze private
dell’Ariete, raggiunse il letto e vi poggiò con
urgenza il lemuriano, il quale
aveva iniziato a tremare vistosamente. La perdita di sangue era stata
notevole,
ed il colorito cadaverico che Mü aveva assunto, unito al
respiro accelerato,
affaticato e al calo del suo Cosmo, mandarono l’indiano nel
panico. Era già
così debilitato? Come poteva fare?!
Senza pensarci due volte, Shaka prese un lembo
della sua tunica con i
denti, tirando con forza verso sé e strappandone una
striscia. Con estrema
rapidità, avvolse il piccolo legaccio di stoffa sopra la
ferita, stringendo per
bene, in modo da assicurarsi il cessare dell’emorragia. Ora
il problema era
come salvare la gamba. Il biondo uscì dalla Casa del Montone
Bianco e si
precipitò al vicino villaggio di Rodorio. Un medico.
Mü aveva bisogno di un
medico!
Nell'attesa, Mü continuava a tremare; il
sudore che gli imperlava il
volto e il dolore che gli annebbiava i pensieri e la vista. Si sentiva
sempre
più debole, e tanto stanco; perfino le palpebre insistevano
nel volersi
chiudere, intimandogli di dormire, per far sparire quel suo malessere,
ma
sapeva che se avesse ceduto, sarebbe stata la sua condanna. No! Non
poteva
perdere conoscenza! Non doveva!!! Ma per quanto si sforzasse, la vista
traditrice si attutiva sempre di più, facendo percepire al
Saint solo le forme.
Portò lo sguardo stanco e febbrile al portone, nella
speranza di rivedere
l’arrivo di Shaka… e invece vide qualcosa, come
una macchia nera, stagliarsi
davanti alla porta.
La sagoma si avvicinò, provocando
nell’Ariete un sussulto ancor più
violento, che riaccese in dolore lancinante che si era sopito con la
perdita
parziale della lucidità. Immediatamente una mano calda e
dalla poderosa stretta
si calò sul petto del lemuriano, per tenerlo saldo al letto
e, al tempo stesso,
impedirgli movimenti indesiderati. La ferita aveva ricominciato a
sanguinare,
molto di meno rispetto a prima, ma si era già creata una
piccola chiazza
porpora sul candido lenzuolo di lino. Per quanto Mü poteva
percepire, vide
quella macchia avvicinarsi alla sua gamba, per poi vedere una sagoma
grossa e possente posarsi a poca distanza sopra la carne viva. Per
quanto il
Saint cercasse di liberarsi da quella morsa di acciaio con le forze
residue,
sembrava che quella figura nera non risentisse minimamente dei suoi
tentativi
di fuga. Improvvisamente, dalla cima della forma distorta apparve una
luce
dorata, al che Mü trattenne il respiro e si tese come una
corda di violino. Che
voleva fare? Cosa gli stava facendo?! Tuttavia, una strana quanto
piacevolissima sensazione di calore e pace ne avvolsero i sensi quasi
totalmente assuefatti: dunque, stava per morire? Tutto ciò
che riuscì a
distinguere chiaramente prima di lasciar la presa
dell’impedimento sul petto,
fu una voce profonda:
«Non vi è nulla di
più vero del detto “le apparenze
ingannano”; quel
Saint non è così stolto come pensavo.»
Poi fu il nulla.
Quando Mü aprì gli occhi, vi
erano al suo capezzale Shaka, con gli
occhi spalancati, sconvolti ed increduli, ed un uomo dalla barba
incolta e
brizzolata, con un paio di occhialetti sul naso acuminato che lo
fissava con
grande apprensione.
«Nobile Saint, come avete
fatto?»
«Mh… di che sta
parlando?»
La voce del custode della Prima Casa risultava
ancora impastata dal
sonno, ma una cosa era certa; non era morto. E a giudicare dagli
sguardi che
gli venivano rivolti, doveva essere accaduto qualcosa di insolito
durante il
suo riposo: perciò seguì la direzione dove
puntavano gli occhi dei suoi ospiti
e salvatori. Era merito loro se ora il dolore era completamente
scomparso.
Probabilmente qualche anestetico. La medicina aveva fatto passi da
gigante in
Grecia: la ferita ormai sigillata da quel medico doveva essere stava
fasciata… il
suo pensiero venne mozzato, quando la vide. Il taglio, così
profondo e che per
poco non gli aveva strappato la vita, era perfettamente rimarginato;
nessun
segno di incisioni o di ricucitura chirurgica. Tutto ciò che
rimaneva della
sanguinolenta ferita, era una fine strisciolina poco più
chiara della pelle, e
la chiazza di sangue rappresa sul letto.
Il giorno dopo lo strano fatto, tutto il Santuario
era a conoscenza
della miracolosa guarigione del Gold Saint di Aries. Quindi, ad ogni
suo
passaggio negli spazi comuni, nell’arena o nelle vie di
accesso ai vari luoghi,
era sempre adocchiato o indicato dai giovani ed aspiranti Saint, oppure
dalle
guardie di ronda. Non che non ci avesse fatto l’abitudine di
quel continuo
brusio di sottofondo che si accendeva ad ogni suo movimento e
passaggio;
dopotutto era un Gold Saint. La cosa che stava minando la pazienza e
calma di
Mü, fu il chiacchiericcio che si era sparso per Rodorio.
Capitava spesso che
per evitare di sentirsi soffocato dai continui sguardi curiosi,
ammirati e,
qualche volta, anche morbosi dei sottoposti del Santuario, si ritirasse
nel
vicino paese. Ovviamente senza sfoggiare la Cloth. Gli piaceva
quell’atmosfera
calda ed accogliente che si poteva respirare tra le case; lo metteva di
buon
umore essere trattato come un comune viandante, senza avere cariche
particolari
e gravose. Il vedere la gente sorridere, chiacchierare sotto le porte
di casa,
compiere piccoli gesti quotidiani e non particolarmente rilevanti ad un
occhio
superficiale, gli davano un senso di appartenenza che mai aveva
provato: la sua
razza si era quasi estinta del tutto…
Anche quel giorno si era recato al villaggio per
godere un po’ di
quella tranquillità che mancava al Santuario, ma non appena
mise piede al suo
interno, dopo essersi teletrasportato nel vicino boschetto, si
sentì più
oppresso di prima: tutti si girarono al suo passaggio, mormorando e
portandosi
le mani alle labbra come se avessero visto un appestato. Dunque il
medico aveva
parlato; e se ci avesse pensato bene, ci sarebbe arrivato a quella
conclusione
fastidiosa. Si diede dello stupido, perché non solo
l’intero villaggio aveva
scoperto chi era realmente, ma ora era guardato con la
curiosità e la paura di
una fiera da circo. Una nota di disappunto si mostrò sul suo
volto, poco prima
di teletrasportarsi sulla strada che portava alla piccola baia marina.
Poco
importava che l’avesse fatto davanti agli abitanti: oramai
era stato
etichettato come “strano”. A quel pensiero, uno
sconsolato sospiro uscì dal suo
petto. Che peccato. Era così bello e istruttivo stare tra
loro…
Decise che un bagni freddo sarebbe stato un vero
toccasana per il suo
logorato animo, anche se, a ben riflettere, lui era sempre stato
classificato
come strano. NO! Quello non era proprio il momento per deprimersi! Il
lemuriano
guardò il panorama che gli si stagliava di fronte: un cielo
terso e sereno, un
mare blu profondo, interrotto dalla bianca spuma delle armoniche onde e
della
finissima sabbia dorata. Quello spettacolo gli ridiede un poco di
buon umore.
Mü si tolse con urgenza abiti e fundoshi, e si diresse verso
il mare. Non
appena l’acqua gli arrivò alla vita, si
tuffò in mezzo ad un cavallone,
scontrandosi con l’incresparsi dell’onda
nell’acqua ed immergendosi
completamente. Quando riemerse, vide tutto il mondo sotto
un’altra prospettiva.
Si sentiva più leggero. Gli abitanti di Rodorio lo
definivano strano, poco
importava: il mondo era pieno di villaggi e di persone. Avrebbe trovato
un
posto nuovo, con gente nuova, e con nuove tradizioni ed abitudini da
apprendere
e conoscere. A quel pensiero, un sorriso radioso gli accese il volto;
poggiandosi supino nelle placide onde marine e facendosi cullare da
esse, chiuse
gli occhi e si abbandonò a quel dolce oblio. Tutti i
problemi, sembrarono
scivolare via.
Rimase in quel torpore a lungo, dimentico dello
scorrere del tempo,
fino a che un Cosmo improvviso e assai famigliare non lo fece desistere
dal suo
totale abbandono.
«Chiedo venia per la mia improvvisa
apparizione; non volevo
disturbarti, Aries Mü.»
La voce profonda fece sollevare di scatto il
lemuriano, che con una
remata di braccia si voltò, osservando con sorpresa e
meraviglia la figura che
stava sospesa sul filo dell’acqua: il Dio di quella notte lo
stava osservando
dall’alto della sua imponente statura. Mü fece
scorrere il suo sguardo per
tutta la lunghezza di quella Divinità; la tunica nera ne
ricopriva interamente
il corpo, lasciando scoperte solo le pallide mani ed il volto affilato.
Un
lungo mantello era sorretto da due spallacci dorati ed acuminati,
mentre dei
folti e lisci capelli corvini ricadevano sulle spalle e lungo la
schiena,
delicatamente. Il viso era di alabastro, contornato da una frangia
lunga e
spettinata, che arrivava sopra la montatura nera degli occhiali tondi.
Le lenti
rendevano ancora più ammalianti gli occhi del Dio, che
sembravano risplendere
sotto i deboli raggi solari che filtravano sotto un ombrello di carta
di riso(4),
sorretto da ambedue le mani. Il lemuriano rimase a fissare quel volto,
rimanendone incantato per quel contrasto naturale, finché
l’uomo non portò
l’indice destro alla montatura, sistemandosi con un gesto gli
occhiali sul naso
scolpito e mosse le labbra carnose:
«Sembri sconvolto; la mia presenza ti
urta a questo modo?»
Solo allora Mü si accorse della sua
maleducazione: non solo non aveva
dato il saluto ad un Dio, ma si era pure messo a fissarlo come se
fosse… una
fiera da circo. Quella consapevolezza fece schiudere le sue labbra e i
suoi
occhi a mandorla, mentre le guance si tingevano di un rossore acceso.
Voleva
sprofondare; era già la seconda volta che perdeva il proprio
contegno davanti a
quell’uomo. Davvero disdicevole.
Il tono divertito del Dio aveva fatto capire che
non l’aveva presa
male, ma il lemuriano volle comunque scusarsi per il suo comportamento:
«N-no… certo che no. Solo, non
mi aspettavo di rivedervi. E nemmeno che
un Dio avesse la capacità di camminare
sull’acqua…»
Mü distolse lo sguardo. Ma non doveva
scusarsi? Tuttavia, la risata
dell’uomo lo indusse a guardarlo nuovamente. Il Dio
sembrò essersi goduto la
goffaggine mostrata dal lemuriano, perché non fece
alcunché per punire, sia
verbalmente sia fisicamente, la sfacciataggine del Gold Saint; anzi,
con ancora
il sorriso sulle labbra proferì:
«Bhe, questo non è niente:
semplicemente domino il Cosmo molto meglio
di un umano. Ho molta esperienza alle spalle.»
«Oh! Avete un controllo totale sul Cosmo!
Meraviglioso! Non avevo mai
visto nulla del genere. – e l’attenzione del
lemuriano, che continuava a
galleggiare muovendo le braccia in acqua, fu colpita da un dettaglio
molto
particolare – Ma, se mi è concesso, posso
chiedervi il perché di
quell’ombrello? Oggi il Sole non è molto
forte…»
Il Dio riassunse la sua espressione
imperscrutabile, per poi volgere lo
sguardo all’ombrello, poi a Mü e di nuovo
all’oggetto nelle sue mani. Iniziò a
rigirare la bacchetta di bambù tra le dita, creando dei
piccoli schizzi d’acqua
che cadeva dal tessuto, e disse con voce morbida e pacata:
«Come avrai potuto notare, ho la pelle
molto chiara, e i raggi solari
diretti non vanno bene per me. Inoltre, ho vissuto per molto tempo in
un luogo
molto poco illuminato; ho sviluppato un forte fotofobismo(5).
Comunque, non mi aspettavo di
rincontrarti… come madre natura ti ha
fatto.»
Per la seconda volta in vita sua, Mü
poté vantare di aver eguagliato la
luminosità del Sole: si era totalmente dimenticato di essere
in acqua,
completamente nudo. E come se non bastasse, il mare era talmente pulito
e
trasparente, che si vedeva tutto! Oh, Athena! CHE IMBARAZZO!!! Senza
riflettere
troppo, si immerse in acqua e si diresse, in apnea, alla riva, sotto
gli occhi
attenti del Dio che si beava di quella visione del corpo del lemuriano:
il mare
era così limpido, che il riflesso del Sole creava delle
piccole increspature
dorate, che ne impreziosivano il fisico atletico. I lunghi capelli
color dei
fiori di ciliegio si muovevano trasportati dal dolce movimento delle
onde,
creando dei delicati ricami che avvolgevano quella figura che nulla
aveva da
invidiare ad una nereide(6). Quando Mü
riemerse dall’acqua, era a
pochi passi dalla riva. Il suo corpo risplendeva della luce solare
riflessa
dalle mille goccioline, che scivolavano languide lungo la pelle scossa
da
brividi di freddo. I capelli lunghi, avevano aderito perfettamente alla
schiena
ed alle cosce, creando una piccola barriera agli occhi.
Perché ne era certo; il
Dio lo stava fissando. Poteva sentire il suo sguardo impassibile sulla
pelle,
che a quel pensiero venne scossa da un brivido più violento,
mentre le guance
si tingevano di un imbarazzato rossore. Forse non era stata una buona
idea… ma
ormai il dado era tratto. Mü si diresse a passo spedito verso
i propri abiti,
indossandoli il più velocemente possibile. Perché
si sentiva così? Non era la
prima volta che qualcuno le vedeva nudo; neppure lo sguardo malizioso
di
Aphrodite lo aveva scosso così
nell’intimità. Allora perché?!
Un rumore di acqua smossa e di passi sulla sabbia,
riportarono alla
realtà il giovane Saint. L’uomo lo aveva seguito
fin sulla spiaggia: se c’era
una cosa che aveva appreso dalla Dea Athena, era quanto le Divinità potessero
essere capricciose. Non osava immaginarsi la reazione di
quell’uomo dall’aspetto
così imperscrutabile; magari lo avrebbe punito, o peggio,
avrebbe riscosso
l’affronto subito direttamente su Athena! A quel pensiero, le
spalle di Mü si
irrigidirono: che cosa aveva appena fatto…
«Ah!»
Un singulto di sorpresa uscì dalle
labbra del lemuriano, quando percepì
una mano posarsi sulla sua spalla sinistra. Le gocce di sudore si
mischiarono a
quelle d’acqua marina, mentre il volto impallidito si voltava
nella direzione
del Dio. Aveva paura; quel suo gesto avventato avrebbe potuto... un
momento!
Quel calore così avvolgente, che si stava propagando dalla
sua spalla sinistra,
da dove proveniva? Mü volse i suoi occhi smeraldini sulla mano
del Dio; pareva
fredda, per via del colorito pallido, ma trasmetteva
un’incredibile sensazione
di calore e pace. Il suo sguardo si posò sul volto
dell’uomo, e si sgranò nel
constatarne l’espressione non adirata od offese, ma
preoccupata, che
trasmettevano gli occhi. La voce profonda e con una piccola nota si
preoccupazione del Dio fece sconcerto maggiore nel cuore del giovane
Ariete:
«Chiedo perdono per la scortesia, ma non
era mia intenzione recarti
imbarazzo alcuno; ti ho forse offeso?»
Mü ritirò tutto quello che
aveva appena pensato. Non solo questa
persona non aveva dato peso alla sua mancanza di rispetto, ma si stava
preoccupando per lui. E poi, quel calore, lo aveva già
sentito; ed anche di
recente. Il Saint recuperò la compostezza e sorrise
ampiamente, chiudendo
leggermente gli occhi e mostrando al Dio una squisita dolcezza, che
solo gli
arieti sanno dare:
«No, nessuna offesa. Solo un
po’ di sorpresa. E vi chiedo perdono per
essermi mostrato a voi in un modo così volgare. Tuttavia, mi
sopraggiunge una
domanda da porvi.»
Gli occhi del Dio persero quella nota di
preoccupazione, che venne
sostituita dal riflesso degli occhiali che venivano meglio sistemati
sul naso,
con un movimento fluido della mano destra sulla bacchetta
corrispondente:
«Parla; ti ascolto.»
La voce morbida del Dio, apparsa alquanto dolce
alle orecchie di
Mü, non era riuscita a celere una certa curiosità;
quindi, il giovane Ariete,
oso:
«La vostra mano, per quanto pallida e
dall’aspetto freddo, è così calda
e piacevole al tatto; mi ricorda una sensazione provata ieri.
Perciò eccovi la
mia domanda; siete stavo voi a curare la mia ferita alla
gamba?»
Il Dio dapprima rimase impassibile alla domanda,
fissando negli occhi
il giovane Saint, che pensò di aver osato troppo; tuttavia,
l’uomo si voltò
verso il mare, mostrando le ampie spalle e la schiena, su cui
ricadevano i
setosi capelli. Un pesante silenzio si frappose tra i due. Ed ora? Che
sarebbe
successo? Il pomo d’Adamo di Mü si mosse, nel mentre
la saliva del Saint veniva
ingoiata a fatica. Quel silenzio, che voleva dire?
«Sai – la voce profonda del Dio
ruppe quella situazione di stallo – adoro
la scienza sviluppata dall’uomo. È molto
affascinante; l’intelletto umano è
capace di cose incredibili. Mi sono appassionato ad ogni tipo di
scienza
esistente, tra cui la medicina e la chirurgia; ma io sono un Dio, non
pratico
in maniera convenzionale le arti umane. Tuttavia è
stupefacente cosa può fare
il Cosmo, se adattato in maniera consona
all’utilità richiesta.»
Il Saint di Aries era spiazzato; non solo il Dio
gli aveva dato una
risposta implicita, ma perfettamente comprensibile al giovane; aveva
anche
dimostrato di avere una vasta e profonda conoscenza
dell’uomo, oltre ad avere
un controllo assoluto sul proprio potere. Mü non
poté far altro che rimanere ammirato da colui che gli dava le spalle, finché un nuovo
quesito gli ottenebrò i
lieti pensieri:
«Sì, ma… come
facevate a sapere della mia ferita?»
Il Dio si irrigidì impercettibilmente a
quella domanda, ma agli occhi
del lemuriano non sfuggì affatto quel movimento
involontario, che lo lasciarono
a dir poco sconcertato: il capo si protese in avanti, mentre occhi e
labbra si
sgranarono, mostrando tutto il suo stupore a quella scoperta. Tuttavia,
il
cuore prese ad accelerare i propri battiti, mentre un vistoso rossore
accendeva
le guance tese del lemuriano. D’accordo; pessima
costatazione.
Il Dio si voltò, mostrando un volto
innocente, che avrebbe sciolto in
cuore persino ad uno stregone(7): gli occhi
erano chiusi, mostrando
le magnifiche, lunghe ciglia, le guance erano leggermente
più rosee del viso,
mentre le labbra erano piegate in un delicato quanto impacciato
sorriso. La
voce del Dio parlò:
«Ti reputo molto interessante; per quanto
avrei apprezzato il tuo
avvicinamento alla mia persona, non reputavo giusto il far perdere al
mondo e
al Santuario una preziosa risorsa come te. Sarebbe stato un vero
peccato.
Comunque, si è fatto tardi. I miei
doveri mi reclamano; la prossima
volta, porterò dell’ottimo sakè(8)
alla frutta, per farmi perdonare.»
E così dicendo, il Dio mostrò
la lingua(9). Mü rimase
interdetto quanto sorpreso del gesto della Divinità; di
certo non si aspettava
che conoscesse perfino le usanze della sua cultura, ma non avrebbe
nemmeno
lontanamente immaginato alle parole rivoltegli. Quel Dio lo
reputava…
interessante? Il tibetano si sentì andare a fuoco, mentre lo
scoppiettare
frenetico del proprio cuore gli rimbombava nei timpani. QUEL Dio lo
riteneva
interessante?! Si era fatto un’idea su chi potesse essere, ma
con questa
affermazione, l’intero Cosmo sembrò crollargli
addosso. No! Non poteva essere
vero che QUEL Dio provasse interesse per lui; non aveva senso, oltre ad
essere
controproducente. Doveva sapere. Doveva aver la certezza di essersi
sbagliato!
Così, prima che il Dio svanisse come quella notte,
Mü prese il coraggio a due
mani e chiese, ancora rosso in volto:
«Aspettate! Qual è il vostro
nome?»
Il Dio, giratosi nuovamente di spalle,
fermò la sua emanazione cosmica
e si voltò leggermente, guardando di sottecchi quel giovane
dal respiro
accelerato e dal battito cardiaco stridente. Davvero un bello
spettacolo; si
sarebbe fermato volentieri qualche altro minuto per giocare con quel
ragazzo
dalle fattezze, anzi, dallo stesso sguardo innocente della sua amata,
ma si era
trattenuto anche troppo, ed il Sole non lo aiutava di certo.
Così portò il
proprio sguardo verso il mare e, riprendendo l’emanazione
cosmica interrotta,
creò delle fiamme cremisi che dalle caviglie avvolsero a
spirale la totalità
del suo corpo scultoreo, fino a farlo scomparire, mentre la voce
profonda si
disperdeva in quell’aria calda e soffocante:
«Che nome mi daresti, Aries
Mü?»
Quella risposta vaga, dissipò ogni
più piccola speranza di errore.
Di ritorno alla propria Casa, Mü
passò inesorabilmente davanti al
Ciliegio di quella notte; un vago rossore gli accese il volto,
ricordando
l’accaduto, ed il fatto di venire paragonato a quei fiori
pallidi e delicati…
non che gli dispiacesse: il significato era più che
lodevole, ma non riusciva a
spiegarsi l’interesse nutrito da quella persona nei suoi
confronti. In quel
momento, un fiore di ciliegio passò, danzando trasportato
dal vento, davanti al
volto pensoso del lemuriano, che ne seguì l’intera
decaduta con lo sguardo.
Quando quella corolla rosa pallido toccò il polveroso
terreno, Mü si chinò a
raccogliere quel bel figlio dell’albero rinato, mentre la
mente tornava alle
parole dettegli dal Dio. Mentre gli occhi smeraldini si beavano di
quella
visione così semplice, ma così ricca di
significati nascosti, un pensiero assai
insolito per la sua persona si impossessò del suo essere,
che fece
semi-chiudere lo sguardo immerso nella bellezza contemplativa del
lemuriano;
le labbra diedero voce al suo crucio:
«Chissà quale fiore
può rappresentare la vita e la morte…»
I giorni passarono, e le visite da parte del Dio
continuarono sempre
più frequentemente, fino ad arrivare a diventare un rituale
quotidiano per
entrambi. Si trovavano spesso sotto il Ciliegio, nel cuore della notte,
e
passavano una buona ora a parlare dei loro pensieri, principi e
considerazioni.
Mü scoprì in questo modo di avere una certa
affinità con molti punti di vista
del Dio, mentre in caso di disaccordo, ognuno cercava di argomentare in
maniera
minuziosa le proprie ragioni; non c’era la determinazione di
imporre il proprio
credo sull’altro, solo il piacere di conversare con un
proprio pari. Esattamente
come due esseri uguali: difatti il Dio, la sera in cui si
presentò alla Casa
del Montone Bianco, gli aveva imposto di dargli del
“tu”, altrimenti si sarebbe
sentito un vecchio – non che non lo fosse, nonostante
l’aspetto prestante e
giovane – e l’avrebbe considerato un affronto
personale. Era una persona
estremamente colta, dalle mille risorse e attenzioni dedicate alle
varie
culture e tradizioni presenti nel mondo. Era piacevole ascoltare i suoi
racconti sugli altri popoli, anche quelli oramai estinti, come la razza
lemuriana: difatti, il Dio spiegò che i suoi antenati
potevano essere
paragonati a semidei, la cui dimora risiedeva negli Elisi. Essi erano
molto
colti e pacifici; provavano rispetto per le Divinità con i
quali coesistevano.
A differenza degli altri esseri umani, avevano sviluppato
più del cinquanta
percento del cervello; per questo erano in grado di controllare
perfettamente
il proprio corpo e la materia, attraverso le onde cerebrali. Tuttavia,
uno
scontro tra fazioni divine costrinse questa razza a discendere nella
Terra;
l’unico privilegio concessogli fu di poter vivere nel luogo
più prossimo ai
Campi Elisi. Ma le condizioni proibitive crearono una selezione
naturale
spaventosa, che fece sopravvivere solo un decimo della popolazione. Per
questo
motivo i lemuriani si stavano estinguendo…
Mü aveva ascoltato rapito quel racconto,
giacché rimase imbambolato a
fissare il Dio, nonostante la storia fosse finita; così
l’uomo gli diede un
leggero buffetto sulla fronte, per farlo rinsavire dal suo stato.
Quando il
tibetano si riprese, non poté che gonfiare le guance ed
arrossire vistosamente,
assumendo un’aria bambinesca, che fece ridere sonoramente il
proprio compagno.
Con il passare dei giorni, il Saint di Aries si
accorse di aspettare
sempre più trepidante il calare della notte; passare quel
poco tempo in
compagnia del Dio lo faceva sentire bene, anzi era esaltante poter
avere un
così grande segreto con gli altri. Nessuno si sarebbe mai
aspettato che lui,
Aries Mü, uno dei più forti cavalieri al servizio
di Athena, avesse quella persona
come confidente. E quel che lo gli lasciava maggior sgomento nel cuore,
era la
consapevolezza di condividere in parte le sue convinzioni. Certo, non
poteva
dire di appoggiare tutti i suoi argomenti, ma in gran parte erano anche
i suoi
principi. Ogni volta che lo vedeva, notava un nuovo pregio, che rendeva
ancora
più affascinante quella persona, che ricambiava, di volta in
volta,
regalandogli una nuova espressione od un sorriso. Più stava
con lui, più
sentiva il bisogno di rivederlo, mentre il cuore si stringeva pian
piano ad
ogni minuto che passava, consapevole dell’avvicinarsi sempre
più dell’ora del
saluto.
Quella notte, Mü si diresse al Ciliegio
all’orario solito, si sedette
sulle possenti radici ed aspettò l’arrivo del suo
“compagno”. Il cielo era limpido,
tanto che si poteva distinguere chiaramente la scia della Via Lattea, e
tutte
le costellazioni. Un leggero venticello si era levato a scuotere le
corolle di
ciliegio, mentre il tempo continuava il suo lento scorrere. Era in
ritardo. Il
lemuriano si portò le ginocchia al petto, abbracciandole, in
posa fetale. Appoggiò la schiena al secolare tronco,
sollevò la testa verso la
chioma rosata e fissò quello spettacolo che non era
più così magnifico; si
sentì stritolare il cuore. Perché non era ancora
arrivato? Mille pensieri
affollarono la mente del giovane Ariete, per giustificare la mancata
presenza
del Dio, ma qualunque scusa tentasse, non riusciva a togliersi quel
dolore
immane al petto. Il suo sguardo si perse oltre quei petali dal tenue
colore,
osservando quella falce di Luna che sorrideva beffarda al Saint. Poi
un’opzione
quasi certa gli fece sbarrare gli occhi sotto quell’astro
malevolo: e se avesse
deciso di non venire più? In fondo, non era altro che una
semplice ora di
scambio di opinioni; un Dio aveva senz’altro di meglio da
fare, anziché perdere
tempo con uno dei più fedeli cavalieri di colei che fu la
sua più acerrima
nemica. Ma allora perché quella terribile verità
lo sconcertava fino a quel
punto? Perché il dolore non cessava di trapassargli il
cuore? Perché ostinarsi
a restare sotto quel Ciliegio ad aspettarlo? Una lacrima silenziosa,
contenente
tutta la sua tristezza ed il suo sconforto, fuoriuscì
malvoluta dall’occhio
destro, scivolando lungo lo zigomo e percorrendo la guancia, per poi
scorrere
lungo la linea del volto.
Perché faceva così male?
«Perdona il mio ritardo, ma ho voluto
cercare una cosa che di sicuro apprezzerai… ma
cosa…?»
Il corpo di Mü venne scosso da un violento
sussultò; non si era minimamente accorto della presenza
dell’altro, giacché il
giovane si volse di scatto verso l’uomo ed arrossì
sulle gote, mentre il cuore
accelerò improvvisamente a quella vista tanto sperata.
Tuttavia, il volto del
Dio si fece scuro, e con ampie falcate raggiunse la posizione del
lemuriano, si
chinò su di lui e gli prese il viso con ambedue le mani,
mentre un rosso più
acceso tingeva le guance fanciullesche del Saint. Era la prima volta
che lo
vedeva così; il volto era severo, e quegli occhi che molto
spesso fissava di
sottecchi, per non farsi scorgere, lo scrutavano con rimprovero: le
sopracciglia
erano aggrottate, così come le labbra erano tese verso il
mento. Nulla vi era
del dolce sorriso che spesso gli aveva regalato, facendo palpitare il
cuore del
tibetano. Ed ora, che sarebbe successo? Lo avrebbe punito? Lo avrebbe
etichettato come egoista e lo avrebbe abbandonato? Lo avrebbe ripudiato
come…
“amico”? Già, perché loro
erano solamente amici, e questa consapevolezza diede
il colpo di grazia al povero cuore sanguinante del custode della Prima
Casa.
Contro ogni previsione, il Dio mosse il
pollice sinistro verso l’occhio a mandorla piangente, e
ripercorse la scia
salata lasciata dalla lacrima incriminata. Poi portò la
fronte contro quella
del Saint, portando ad una distanza minima – eccessivamente
minima – i loro
occhi. Il respiro caldo e ansimante dell’uomo, fece correre
un brivido lungo la
schiena di Mü. Vicino. Era troppo vicino!
«Che non ti veda mai più
versare una lacrima
al mio cospetto. Non potrei più sopportarlo. Giura, Aries
Mü, giura ciò che ti
ho detto!»
Il lemuriano restò come ipnotizzato dal
suo
sguardo, che da severo era diventato sofferente, quasi straziato.
Ciò fece
sentire in colpa il cavaliere; non riusciva a vederlo così
vulnerabile. Chiuse
gli occhi, e beandosi del calore corporeo del proprio compagno, disse
con un
filo di voce, come ad aver paura di essere udito da qualcun altro che
non fosse
la persona di fronte a lui:
«…te lo
giuro…»
Un senso di protezione si impossessò del
Saint; nessuno gli aveva mai fatto una così delicata
richiesta. Un verso
trattenuto di approvazione uscì dalle labbra serrate del
Dio, che si staccò e
si mise seduto accanto al lemuriano, che emise un piccolo lamento di
protesta a
quella separazione. L’uomo appoggiò la schiena
alla corteccia dell’albero, mentre
piegava la gamba destra, portando il braccio corrispondente a posarsi
su di
esso; così facendo, la lunga tunica nera si
sollevò, scoprendo lo stinco e
parte dell’atletica gamba sinistra, che Mü si
ritrovò a fissare con insistenza…
EH?! CHE STAVA FACENDO?!
Il lemuriano scostò immediatamente il
volto,
rosso come un papavero per la vergogna, mentre i pugni si serrarono
attorno
alla morbida maglia color giallo. Ma che stava combinando? Doveva darsi
un
contegno!!! La sua attenzione venne nuovamente attirata nella direzione
del
Dio; un dolce profumo di frutta si disperse nell’aria, mentre
un masu(10)
contenente il delizioso e caldo liquore, gli veniva offerto. Bevvero e
parlarono sommessamente, lasciandosi alle spalle quel piccolo incidente
iniziale,
mente il sakè diminuiva sempre più. Mü
si versò ancora del liquore, ancora
fumante, mentre la decima bottiglietta veniva svuotata e messa vicino
alle
altre compagne. Il Dio lo guardò bere tutto d’un
fiato il contenuto della masu,
constatando il leggero rossore sulle gote del Saint. Ed un sorriso
quasi
paterno gli illuminò il volto diafano, insieme alla
consapevolezza di essere
rimasti a secco di alcool. Così, con voce arrocchita e
sensuale disse:
«Quello era l’ultimo
bicchiere… avrei tanto
voluto berlo.»
Mü si sentì colpevole per aver
bevuto
senza aver chiesto di poter riempire anche il masu del compagno; avrebbe sicuramente
notato che
era l’ultimo goccio. Accidenti! Che stupido!!! Ma mentre il
lemuriano si stava
maledicendo mentalmente, due mani calde gli avvolsero il viso
arrossato, e
delle labbra calde e dall’aroma fruttato, si impossessarono
delle proprie, in
un bacio umido e passionale. Il masu cadde di mano al Saint di Aries.
Ma cosa…?
LUI lo stava baciando?! Male! Era molto male!!! Con un movimento deciso
poggiò
le mani sulle spalle del responsabile di quel piacevole
“assalto”, e si
ritrasse da quell’atto tanto proibito quanto meraviglioso.
Non poteva
permettersi un simile affronto alla sua Dea; non con LUI! Mü
mostrò in quell’atto
tutta la sua testardaggine di Ariete, anche se lo fece a malincuore,
perché purtroppo
il suo corpo aveva gradito quel sensuale agguato. Con il respiro
affannato e le
mani ancora poggiate sul Dio, che lo guardava con un sorriso felino,
disse con
voce impastata dai fumi dell’alcool:
«N-no… questo non possiamo
farlo… verrei
considerato un tradito…mph»
Non ebbe il tempo di finire il pensiero che
le sue labbra furono nuovamente catturate da quelle sensuali e
terribilmente
calde dell’uomo, che aveva schiacciato il proprio corpo a
quello scosso da
brividi di piacere del lemuriano. Un nuovo tentativo di rivalsa,
dettato più
dall’orgoglio che dal senso del dovere verso Athena, fece
cessare quell’umida
quanto ricercata danza di lingue. Mü cercò di nuovo
di dissuadere il Dio, anche
se meno convinto rispetto alla volta precedente:
«A-aspetta… credo di aver
esagerato con il
sakè… mmh»
Stesso risultato del precedente tentativo:
le loro lingue si scontrarono ancora, facendo divenire i baci
più selvaggi e
bisognosi di reciproche attenzioni. Difatti, il Dio prese a succhiare
il labbro
superiore del lemuriano, che sembrò apprezzare il
trattamento, mugolando di piacere;
le mani dell’uomo si spostarono dal volto alla schiena, che
percorsero per
tutta la sua lunghezza, per infine soffermarsi sulla parte sacrale(11)
procurando
vistose scariche di piacere al corpo già tremante del Saint.
Di nuovo, la
testardaggine del cavaliere gli impose di fermare il bacio, per provare
un
ultimo, disperato tentativo di dissuasione:
«… oooh… ho
esaurito le scuse…»
La risposta divertì parecchio il Dio,
che
ridacchio sommessamente, mentre fece scivolare i loro corpi lungo le
radici del
Ciliegio, spettatore silenzioso, del loro peccato. La voce roca e con
una punta
di eccitazione, sussurrò all’orecchio del Saint:
«Mi piace sentirtelo dire… sei
adorabile.»
Le loro lingue ripresero la loro danza frenetica,
mentre i corpi si
strusciavano l’uno contro l’altro. Il Dio
sovrastava il tibetano, che gli si
era aggrappato al collo, intrecciando le dita nei lunghi capelli
corvini. Quella
lotta alla supremazia venne interrotta dal morso che il Saint diede al
labbro
superiore dell’uomo, mentre questi leccava quello inferiore
dell’altro. Liberatosi
dalla presa, il Dio iniziò a percorrere la linea del mento
con piccoli baci,
mentre il viso di Mü si piegò
all’indietro, per godere maggiormente di
quell’attenzione
idilliaca. I gemiti sommessi del Saint si dispersero tra le fronde
dell’albero,
mentre le attenzioni dell’uomo si spostarono al pomo
d’Adamo, succhiandolo e
dandogli piccoli morsetti, che fecero spalancare gli occhi tenuti
finora sigillati,
e uscire dalla gola un gemito più forte e carico di goduria;
cosa che invitò il
conduttore del gioco a continuare il proprio operato. Le mani del
cavaliere si
strinsero attorno alle ciocche di capelli, accompagnando quel ritmo
incalzante
assunto dalla Divinità, oramai sempre più
famelica delle soavi note emesse dall’organo
del compagno. Mü aveva gli occhi liquidi di piacere: godeva,
come mai nella sua
vita. Forse perché mai si era interessato ad avere rapporti
di quel tipo con
una persona, e l’essere assalito a quel modo da un uomo,
specialmente da LUI,
lo spaventava un poco, ma l’eccitazione che provava lo rese
sordo alla sua
razionalità, che gli urlava di smettere con quel suo atto
sacrilego. Tutto inutile;
Aries Mü si era fatto vincere dalla freccia scoccata da Eros.
Quando sentì il cavallo dei pantaloni
farsi più stretto, il Saint diede
un colpo di reni, portando a contatto i loro organi, e facendo
comprendere la
sua necessità al Dio che, comprensivo, si scostò
dall’abbraccio. Mü gli si
gettò al collo, baciandolo profondamente, per poi avvicinare
le labbra all’orecchio
sinistro del partner e sussurrare con urgenza:
«Andiamo alla Prima
Casa…»
Immediatamente, l’uomo sollevò
i Saint di peso, sorreggendo il busto
con il braccio sinistro e le gambe con quello destro. Mentre si
dirigeva verso
la Casa del Montone Bianco, i due continuarono a scambiarsi teneri
baci, che
non avevano nulla dell’ardore di quelli precedenti, ma non
potevano rischiare
di lasciarsi travolgere troppo dalla passione per poi rovinare
irrimediabilmente
al suolo.
Entrati nelle stanze private della Prima Casa,
Mü sfilò delicatamente
gli occhiali dal volto del Dio, posandoli sul piccolo scrittoio, per
poi
aggrapparglisi al collo, catturandolo in un bacio umido e sensuale.
Continuando
quell’intreccio umido, i due si spogliarono reciprocamente,
sparpagliando gli
abiti per la stanza, senza preoccuparsi di dove finivano, ma con
l’urgenza di
consumare quell’atto che oramai aveva privato della ragione
entrambi. Il lemuriano
si ritrovò con la schiena poggiata al materasso, e
sovrastato dalla figura possente
del Dio. Si guardarono negli occhi, carichi di necessità e
lussuria, mentre i
loro respiri affannati riempivano la stanza di pietra. L’uomo
prese una ciocca
di capelli del tibetano tra le dita, la portò alle labbra,
la baciò per poi metterla
in boccia, leccandola in modo lascivo ed erotico; ciò fece
tremare vistosamente
il corpo del lemuriano, il quale si portò una mano alla
propria erezione,
cominciando a masturbarsi. Visto l’orgasmo ormai prossimo del
Saint, l’uomo lo
fece girare sul fianco destro, portandosi alle sue spalle. Mise la mano
destra
sotto il corpo bollente e sudato del giovane Ariete, andando a
tormentarne il
capezzolo già turgido: lo prese tra i il pollice e
l’indice, lo fece rigirare,
pizzicandolo e facendo gemere di passione la sua vittima. La mano
sinistra si
insinuò tra i testicoli del ragazzo umano, che emise un
singulto più forte a
quel contatto così caldo ed intimo; iniziò a
massaggiarli, facendo aumentare i
respiri e i gemiti di puro piacere del padrone di Casa, fino ad esser
costretto
a zittirlo, tappandogli la bocca con un bacio umido e selvaggio. Non
potevano
correre il rischio di essere scoperti. Il tutto avvenne nella flebile
luce
lunare; anche se non poteva vederlo perfettamente in volto, il Dio era
a
conoscenza della passione che stava trasportando il ragazzo che aveva
tra le
braccia, ed anche lui. Sciolto il bacio, la Divinità
passò la lingua sull’attaccatura
dell’orecchio sinistro del Saint, creando una scia argentea,
che risplendeva
sotto il pallore lunare, così come il filo di saliva che era
stato tessuto tra
i due volti. Continuando a massaggiare le fattezze del tibetano,
l’erezione,
così come la passione, crebbe infinitamente; rivide in
quelle fattezze la figura
della sua amata, il suo profumo, e la notte lo aiutò ad
ingannare perfino la
vista, facendo diventare quei capelli disciolti sul materasso del dolce
colore
delle rose scarlatte. Il suo respiro, così come il battito
cardiaco accelerarono
a quella costatazione; spostò la sua mano sinistra
all’erezione del giovane,
oramai allo stremo della sopportazione, come a convincersi della
realtà, ma a
nulla servì a fargli calmare la pulsante asta. Almeno per
una notte, poteva
rivederla. La sua mano si mise a massaggiare ritmicamente
l’erezione del
compagno, che gemette incontrollato, schiacciandosi contro il corpo
dell’uomo
che stava alle sue spalle. Le fibre muscolari tese, gli occhi serrati,
e la
gola che bruciava per la mancanza di ossigeno, Mü venne nella
mano del Dio, che
sentendo le reazioni fisiche del ragazzo, strinse i denti soffocando un
lamento
e venne copiosamente tra i loro corpi scossi da brividi di piacere. I
respiri
affaticati ed irregolari, i due, o meglio Mü, si abbandonarono
al reciproco
calore.
Il Dio portò la mano sinistra al volto,
per poter veder il caldo seme
del proprio amante… che divenne improvvisamente cremisi. Gli
occhi della Divinità si sgranarono. Volse fulmineamente lo sguardo al
corpo che giaceva
sotto di se, e vide il ventre piatto squarciato, con
l’intestino e lo stomaco
riversi sul pavimento, mentre gli arti erano spariti. Al loro posto vi
erano i
lembi di carne maciullata, che si staccavano, ricadendo al suolo. Il
volto era
ricoperto di sangue, mentre gli occhi vitrei e privi di riflesso,
versavano
lacrime. L’uomo si portò lo sguardo tremante alle
mani, ed inorridì nel vederle
imbrattate di sangue; si alzò dal letto, con passo tremante,
allontanandosi, mentre
quella scena raccapricciante gli urlava contro che era tutta colpa sua
e della
sua inettitudine. Arrivò al muro di pietra, e si
sentì in trappola; il volto
cianotico si voltò lentamente, facendo scricchiolare le ossa
del collo, e
quegli occhi cadaverici lo fissarono con rimprovero. Il Dio
tremò convulsamente
a quella scena, scuotendo selvaggiamente il capo, come a volersi
imporre di
svegliarsi da quell’incubo. Ma una voce fredda e priva di
emozioni gli fece
perdere quella convinzione:
«Tutto ciò per causa
tua!»
«AAAAAAAAAAAAAAAAAAH!!!»
Il Dio si portò le mani alla testa,
mentre il suo urlo agghiacciato si
levò per le mura della Prima Casa. Il suo corpo
scivolò contro il muro,
arrivando ad accucciarsi a terra, mentre Mü lo fissava con
aria spaventata ed
allarmata. Resosi conto della situazione, la Divinità si
portò le mani al viso,
sospirando profondamente ed imprecando mentalmente contro se stesso.
Un’allucinazione.
Era stata solo un’allucinazione.
Appena il Dio si fu calmato, si affrettò
a recuperare i propri abiti e
rivestirsi, per poi dirigersi al portone di legno, sotto lo sguardo
stranito
del Saint. Perché? Cosa aveva sbagliato?
«Ho commesso qualcosa che ti ha
offeso?»
La voce di Mü era ancora arrocchita
dall’orgasmo appena avuto, ma
trasmetteva tutta la sua confusione e tristezza. Così
l’uomo in nero si voltò a
guardarlo, mentre rinforcava gli occhiali, e disse con voce cupa e
fredda:
«Perdonami. L’averti avvicinato
e l’essermi affezionato a te è stato un
mio capriccio, una mia imperdonabile leggerezza. Se Athena scoprisse
l’accaduto,
il tuo tradimento, di pure che eri sotto un mio incantesimo; non
negherò. Mi
duole doverti lasciare così, avrei voluto parlare ancora con
te, Aries Mü, ma
dopo il fatto avvenuto pocanzi, non potremo più vederci.
Addio, cavaliere.»
«Io non capisco!»
La risposta arrivò fulminea dal Saint,
che si tratteneva a stento
sollevato sulle braccia, con gli occhi lucidi, che lo guardavano con
infinita
tristezza. Oh, basta! Voleva sapere, allora lo avrebbe accontentato, e
sarebbe
stato il più spietato possibile, per riuscire a farsi
dimenticare:
«Io persi mia moglie, molto tempo fa. E
tu, giovane lemuriano, le somigli
in maniera incredibile; ti ho solamente sfruttato, perché
rivedevo la mia amata
in te. Non c’è nulla che apprezzi particolarmente
nella sua persona, se non l’usarti
come surrogato di Persefone. Non avrò mai una vera
felicità, perché essa è
effimera e debole. Debole come voi umani, che non potete sopravvivere
all’eternità,
a differenza di noi Dei. Non ho alcuna intenzione di innamorarmi di
nuovo, perché
so che soffrirei. Tu hai fatto voto di fedeltà ad Athena,
sei un valoroso
Saint, ma prima o poi morirai. Ed anche se ti riportassi in vita, non
potrei
renderti immortale. E nemmeno ho intenzione di maledirti.
Perché la vita eterna
non è altro che una maledizione che ci perseguita sin dai
tempi del Mito; il
dover vedere i propri alleati, sottoposti e cari morire,
perché sconfitti nella
carne dalla morte, è una cosa che non augurerei nemmeno a
Crono. Io non voglio
che qualcun altro, al difuori della ristretta cerchia di noi Divinità, oramai
temprati a questa nostra desolata vita eterna, subisca un
così infame destino…
e tantomeno, lo imporrei a te, Mü…»
Quel discorso, fece desistere qualsiasi tentativo
di controbattere da
parte del lemuriano, che chinò il capo, per poi tornare a
posare le proprie membra
stanche sul soffice materasso, in segno di resa. Poi gli venne in mente
una
cosa molto importante, che non aveva avuto ancora modo di essere
esplicitata. Mentre
i passi dell’uomo risuonavano sempre più
allontanandosi, il giovane osò:
«Sai, in tutto questo tempo, non ho fatto
altro che cercare.»
La voce di Mü, affaticata ed ancora
languida per l’atto proibito appena
consumato, risuonò tra quelle pareti di pietra, attirando
l’attenzione del Dio
che si stava dirigendo a passo leggero verso il portone di legno
massiccio. Il
suo passo si fermò, e voltò lo sguardo in
direzione della voce, posando gli
occhi magnetici su quella figura conturbante che stava sdraiata a petto
nudo
sul letto. La sua voce profonda, fece correre un brivido di piacere
lungo la
colonna vertebrale del giovane Ariete:
«Cercare? E cosa, di grazia?»
Mü si posizionò sul lato destro
del corpo, appoggiando il gomito al
morbido materasso, per sorreggere il busto e così poter
vedere quell’uomo che
lo aveva reso felice, e traditore. Sorrise apertamente nel constatare
l’espressione smarrita che gli Dio mostrava:
guardò con infinita dolcezza quel
fisico scolpito e diafano, ora avvolto da una lunga tunica nera,
ricordandone
il calore ed il profumo intenso e virile. Dalle labbra del lemuriano
uscirono
parole che turbarono l’impassibilità
dell’uomo in nero:
«Un fiore.»
«Un fiore?»
Non capiva. Che cosa poteva significare
quell’affermazione. Il
sopracciglio sinistro si inarcò appena, in modo da
rafforzare quel disappunto
che, stranamente, si poteva leggere dietro quelle lenti circolari. No;
proprio
non se lo spiegava.
Mü, quasi divertito della concentrazione
del Dio nello scovare un
chissà quale astruso mistero nelle sue parole, si
portò carponi sul letto,
avvicinandosi di più al proprio ospite, che lo fissava con
una nuova luce ad
accendergli gli occhi: non più la curiosità,
bensì la bramosia e la lussuria
ora ne albergavano. Quel fisico atletico che aveva sporcato con il suo
peccato…
ma non poteva permettersi il lusso di lasciarsi trasportare dal dolce
incantesimo di Eros, non più. E men che meno con un umano.
Tuttavia, non poté
negare che lo spettacolo che gli si mostrava dinnanzi, fosse
squisitamente
invitante: la luce lunare che timidamente penetrava la piccola
finestra,
illuminava il corpo assai provocante del Saint dell’Ariete,
creando giochi di
luci ed ombre molto interessanti, e le piccole gocce di sudore che
lentamente
scivolavano lungo i suoi muscoli rilassati ed ansimanti, non facevano
che
impreziosire quelle fattezze candide, rendendolo simile ad un diamante
dall’elegante taglio. Mü si sporse con il capo verso
l’uomo, facendo sì che la
lunga chioma, dapprima sparsa in maniera irregolare sulla schiena
inarcata,
scivolasse lungo le spalle, per cadere dolcemente sul materasso in modo
scomposto e poetico. Il volto arrossì leggermente, mentre la
voce pacata e
calda raggiungeva il Dio:
«Non ricordi? Al nostro primo incontro,
tu mi paragonasti ad un fiore
di Ciliegio. Per tutto questo tempo, mi sono chiesto a quale fiore
rassomigliassi. – gli occhi dell’uomo si fecero
grandi, non poteva credere che
le sue parole avessero avuto un effetto tanto deleterio nei confronti
del
cavaliere – Chiedo perdono per la mia indecisione, ma credo
di aver trovato il
fiore perfetto.»
L’Ariete chiuse leggermente le palpebre,
mentre un sorriso quasi
impacciato si aprì sul suo volto imbarazzato:
«Il Crisantemo bianco(1).»
A sentire quel nome, il Dio rilassò il
viso, e si concesse un tenero
sorriso di approvazione. Il Crisantemo. Non poteva trovare un fiore
migliore.
«χρυσάνθεμο
(chrysánthemo), il “fiore
d’oro”. Non ti sembra eccessivo,
per un essere che porta il mio nome?»
La voce profonda e cupa, diede una piccola scarica
di adrenalina al
corpo accaldato dell’Ariete, che tremò a quelle
parole, per poi farsi scuro in
viso, ed abbassare il capo a contemplare il freddo marmo illuminato
dalla Luna.
Il capelli ricaddero in avanti, seguendo il movimento lento della
testa,
coprendo interamente il volto del giovane lemuriano. La sua voce
risultò più
flebile e sofferente di quanto l’uomo si potesse aspettare:
«Il tuo nome…? “Solo
il tuo nome mi è nemico.(2)”
»
Nessuna frase fu più appropriata. Nulla
avrebbe potuto cancellare ciò che erano; nessuna Divinità poteva purificare il
peccato di cui entrambi si erano macchiati. L’uno per un
lontano ricordo,
oramai perduto. L’altro per il calore strappatogli, cercato
da troppo tempo.
Il Dio volse un ultimo sorriso al giovane
amante, mostrando la lingua, in segno di tacito saluto. Il lemuriano
contraccambiò, con un’espressione triste e
sconfitta sul volto.
«永別了,畝產。(Yǒngbiéle,
mǔ chǎn.)(12)»
Quando il suono dei passi sempre più
lontani, unici compagni rimasti nella piccola stanza di pietra, si
persero nell’oscurità
scesa in quelle pareti desolate, un flebile suono, accompagnato da
silenziose
lacrime di dolore, riempì il vuoto da lui lasciato:
«永別了,閻王。(Yǒngbiéle,
yánwáng.)(13)»
(1): Chrysanthemum
è un genere di piante angiosperme
dicotiledoni della famiglia delle Asteraceae che comprende piante
erbacee
perenni o annuali, originarie di molte parti del mondo, dall'Europa
alla Cina,
con numerosi ibridi e varietà coltivati come piante
ornamentali in floricoltura
e nel giardinaggio. Il nome in greco vuol dire "fiore d'oro". In
Corea e in Cina è il Crisantemo è il fiore dei
festeggiamenti mentre in
Giappone è il fiore nazionale. In questi paesi, e in oriente
in generale, il
Crisantemo simboleggia la vita. Crisantemo Bianco:
Verità e dolore, un
cuore sconsolato, sei un amico meraviglioso. Per molti paesi
occidentali, e per
la religione Cristiana in genere, il significato del Crisantemo
è legato al
concetto di morte. Nella gran parte dei paesi orientali, compresi Cina,
Giappone e nei paesi anglosassoni è invece simbolo di gioia,
vitalità e pace.
(fonte “Il Giardino del Benessere”, voce
“significato e simbologia del
Crisantemo”)
(2): citazione della celebre
tragedia di Shakespeare “Romeo
e Giulietta”, tratta dalla scena del balcone.
(3): seconda arteria
più grande del corpo umano. Se viene
recisa, si rischia seriamente la morte o, se la fortuna assiste,
l’amputazione
della gamba.
(4): ombrello tradizionale
dell’Asia, diffuso in Corea,
Cina, Giappone e molte altre aree della costa indiana. Costruito con un
telaio
di bacchette di bambù e da una tela costituita da fibre
vegetali di riso,
lavorate a mano, molto resistente anche agli insetti e
all’acqua. (fonte
Wikipedia, voce “Washi”)
(5): malattia della pelle
che consiste in una reazione
allergica dovuta al contatto con la luce solare. Crea degli eritemi e
delle
piccole ferite, abbastanza dolorose. È molto fastidiosa.
(fonte esperienza
personale di una mia carissima amica)
(6): le Nereidi (in greco:
Νηρείδες
o
Νηρηίδες,
al singolare Νηρείς)
erano delle figure della mitologia
greca, ninfe marine, figlie di Nereo e della Oceanina Doride. Erano
considerate
creature immortali e di natura benevola. Facevano parte del corteo del
dio del
mare Poseidone insieme ai Tritoni e venivano rappresentate come
fanciulle con i
capelli ornati di perle, a cavallo di delfini o cavalli marini. Le
Nereidi più
note sono Anfitrite, sposa di Poseidone, Galatea, amata dal pastore Aci
e dal
ciclope Polifemo e Teti, madre dell'eroe Achille. (fonte Wikipedia)
(7): nella cultura tibetana
erano
considerati emissari dei demoni, perciò ritenuti ancor
più pericolosi degli
stessi, dato che potevano vivere tra gli uomini e praticare la magia
nera per
maledire e stregare il popolo. Erano considerati ereti spietati, senza
etica e
senza un briciolo di umanità (prendetela per buona;
è un sunto di quel che ho
trovato spulciando in giro per il web ^^)
(8): liquore tipico
orientale,
nato dalla fermentazione e dalla distillazione, tipicamente, del riso.
Tuttavia
esistono diversi tipi di sakè, tra cui quello alla frutta;
uno dei più pregiati
e costosi. (su Wikipedia c’è scritto che i
tibetani hanno sviluppato una
particolare resistenza alle basse temperature; quindi la mia testa
bacata ha
pensato che per far resistere meglio al freddo i bambini, gli adulti li
abituassero a bere liquori per scaldarsi e sopportare meglio il gelo.
Quindi,
di conseguenza, i lemuriani sono gran bevitori, oltre ad essere gran
estimatori
di sakè ^^)
(9): il colore nero che in Tibet era considerato il
colore della
stregoneria, si pensava che chi facesse uso di magia o avesse contatti
con i
demoni avesse la lingua di colore nero. Era accaduto infatti che nel
600 un
tibetano prigioniero dei mongoli fosse da essi accusato di aver ucciso
il
proprio guardiano, tramite pratiche magiche questo sventurato aveva la
lingua
nera. In realtà in medicina tale patologia è ben
conosciuta e poco ha a che
fare con diavoli o magia: La lingua nera villosa, è
caratterizzata da un
abnorme allungamento con contestuale alterazione di colore delle
papille
filiformi presenti sul dorso linguale che appare così
colorato dal nero al
marrone scuro. E' una condizione temporanea e non pericolosa provocata
in
genere da una crescita anomala di batteri e di lieviti nella bocca.
Questi
organismi si accumulano sulle papille e ne provocano la variazione di
tinta. Tra
le cause di questa condizione si trovano: variazioni quantitative dei
normali
batteri o lieviti della bocca a seguito di terapia antibiotica; scarsa
igiene
orale; impiego di farmaci a base di bismuto; uso costante di collutori
contenenti agenti ossidanti o astringenti o mentolo; tabagismo; consumo
eccessivo di caffè o tè. Per questa ragione
iniziò l'usanza fra i tibetani di
salutarsi mostrando la lingua a voler palesare di non avere alcun
rapporto con
pratiche magiche. (fonte Vampiri.net, voce “colori
demoniaci”)
(10): recipiente che
arricchisce
l'esperienza di degustazione del sakè; una sorta di
scatolina normalmente di
legno di cedro. L'aroma di questo legno si miscela con la fragranza del
sakè
creando una sensazione del tutto diversa da quella dell'o-choko
(bicchiere
tradizionale di terracotta), perché rivela le radici di
questa bevanda così
pregna di storia. (fonte Sake speciali per occasioni speciali, voce
“servizio
da sake”)
(11): zona situata tra il
bacino
e la schiena; più banalmente, è la fascia sopra
il sedere.
(12): “Addio,
Mü.” In cinese
(fonte Google traduttore)
(13): “Addio,
Hades.” In cinese
(fonte Google traduttore)
Angolo dell’Autrice:
Miseria ladra! Eccomi
di nuovo qui,
a torturare i lettori che hanno avuto il coraggio di arrivare fino in
fondo a
questa delirante storia, e a torturare i personaggi, in primis. XD
Ok, è
stata davvero complicata come
cosa, e spero di non aver sfociato nell’OOC (anche se
è difficile da dirsi,
dato che nessuno ha mai visto questi due fare
“sesso”, anche se non era vero e
proprio “sesso”… ah! Che casino!!!)
Comunque, spero che
vi piaccia; lo
so, la coppia non la calcolerà nessuno, ma io li vedo troppo
bene insieme. Non posso
farci niente.
Bene, direi di aver
finito. Ah! Mi
sono appena ricordata di una cosa; in questa one-shot, ho scritto una
pagina e
mezza di note. Mai capitato.
E niente; spero di
rivedervi
presto.