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Autore: giny    26/10/2015    0 recensioni
In un'epoca che sembra puntare esclusivamente all'odio, alla guerra e alla distruzione, c'è ancora qualcuno che ha il coraggio di opporsi, di ribellarsi, di Amare.
Genere: Drammatico, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Olocausto
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Il caldo sole che apriva le porte a quell'estate polacca fatta di guerra, novità e qualche bello spavento entrò dalla finestra, posandosi sul bel viso di Klaus e facendo aprire i suoi occhi scuri.
Avvertiva una strana sensazione, come qualcosa di nuovo, di inaspettato, come quando si pensa ad una parola e la si ha sulla punta della lingua.
Si ricordò poi che quella notte aveva di nuovo fatto quel sogno. Era strano, perchè erano parecchi giorni, forse è meglio dire parecchie notti, che quell'incubo lo aveva abbandonato, ma adesso si era deciso a tornare, avvolgendo il cuore di Karl col leggero velo di tristezza e inquietudine che sempre portava con sè.
Si disse comunque che era stato probabilmente lo spavento preso il giorno prima nell'ufficio del Generale e scacciò quindi quelle preoccupazioni.
Così si alzò, si preparò e andò nella sala per la colazione.
Quando arrivò, trovò solo il Generale, il che gli risultò molto strano.
-Buongiorno, Friedrich- disse quello col suo solito tono goliardico, mentre mangiava.
-Buongiorno, Generale. Non vi vedo mai qui, a quest'ora- si azzardò a chiedere, sperando che quello non lo uccidesse subito.
-Diciamo che c'era un lavoro urgente da sbrigare stamani, ma dal momento che c'è chi se ne occupa mi sono preso qualche minuto libero- rispose, ridendo forte e Karl sorrise con circostanza.
-Dimmi figliolo, ti trovi bene qui?-
Karl ci pensò qualche istante e in effetti andava tutto abbastanza bene, anche se avrebbe voluto trascorrere un po' di tempo in più con la sua famiglia, ma probabilmente, si disse, non avrebbe conosciuto Johan, quindi andava bene così.
-Abbastanza, signore- annuendo convinto.
-Bene. E dimmi, c'è qualcuna, ad esempio fra le segretarie, o le addette all'amministrazione o, perchè no, fra le ragazze dell'esercito che ti interessa? A guardarle non sembrano male, con quelle divise addosso- ridendo ancora.
Karl fece l'ennessimo sorriso di circostanza; lui aveva Johan, non poteva fregargli di meno di tutte le segretarie del mondo. Ma dov'era finito Johan?
-Sapete, c'è sempre così tanto lavoro da fare e così poco tempo libero a disposizione...- cercando di sembrare il più dispiaciuto possibile.
-Eh lo so figliolo, ma che possiamo farci? E' la guerra e finchè dura non possiamo prenderci un attimo di riposo...- disse il Generale, scuotendo la testa.
Quella strana conversazione durò a lungo, finchè Von Kaulitz si diresse al suo ufficio e Karl alle baracche dei prigionieri che ogni giorno arrivavano sempre più numerosi.
Ancora però non riusciva a capire dove fosse Johan. Che fosse ancora a letto? Magari stava male, ma lui non poteva controllare, stava lavorando... O magari era impegnato in quel lavoro urgente di cui parlava il Generale, in fondo nemmeno i sergenti erano con loro a colazione.
Sì, era sicuramente impegnato con gli altri.





*********************





L'aria era stata irrespirabile tutto il giorno e Karl provò un immediato sollievo quando rientrò per il pranzo e la frescura della penombra lo investì.
Si concesse qualche altro minuto per riprendersi e si recò poi alla sala.
Quando entrò, a tavola erano già seduti il Generale e due sergenti tedeschi.
Karl prese posto e il pranzo iniziò.
-Allora è tutto risolto, Heimann?- chiese quasi con tono ovvio il Generale ad uno degli uomini che gli sedevano accanto.
-Tutto fatto, Generale. Come lei aveva ordinato- disse quello annuendo con uno strano sorriso e Von Kaulitz assunse un'espressione soddisfatta.
Quel discorso continuò e Karl lo ascoltò distrattamente; sentiva che parlavano di qualcuno che era stato trasferito, o portato comunque da qualche parte perchè aveva fatto chissà cosa la sera prima, anche se non capiva di quale luogo e, soprattutto, di chi stessero parlando.
Il pranzo poi finì e poichè era sabato, la sua giornata lavorativa si era conclusa, decise così di andare in camera di Johan.
Prima di andare via, Karl fu chiamato dal Generale.
-Ah Friedrich, volevo chiederle una cosa-
Karl annuì e si avvicinò.
-Era Johan Kowalski quello di cui parlavamo poco fa. E' stato trasferito poichè è stato visto ieri sera nel parco insieme ad un ufficiale in atteggiamenti... ''equivoci'' e mi chiedevo se lei ne sapesse qualcosa, visto che eravate molto affiatati- chiese il Generale, mentre lo scrutava attentamente, come per carpire ogni informazione e ogni singola emozione.
Klaus si sentì morire.
-No signore, non so nulla, mi dispiace...- scuotendo la testa.
Il Generale lo guardò un altro istante e poi annuì, sorridendo.
-Molto bene. Sapevo di potermi fidare di lei- e andò via.
Klaus aspettò che non fosse più nei paraggi e corse in camera di Johan.
Bussò più volte, e ancora e ancora, ma nessuno rispose. Aprì la porta e la camera era vuota. Si guardò attorno e vide che le cose di Johan non c'erano.
Notando poi un movimento oltre la finestra, si avvicinò.
Dalle enormi strutture oltre le baracche fuoriusciva del fumo denso e scuro, che si sviluppava in grandi spire che invadevano e oscuravano il cielo estivo.
''Non tradirci''.
Quella frase gli risuonò in testa come un monito, come qualcosa che non poteva evitare e allora capì.
Capì che l'unica cosa che gli restava da fare era soffrire in silenzio, lontano da tutti, affogare nel suo dolore senza farne parola con nessuno.
Perchè lui non doveva tradirli.





********************




All'interno del campo, l'estate sembrava non essere arrivata, come se quel freddo, quell'atmosfera cupa fossero come delle scenografie, messe lì e mai più tolte, fondali di un palco scenico che non sapeva offrire altro che spettacoli di orrore e sofferenza ad un pubblico fatto di morte soddisfatta e in divisa.
La stessa divisa che vestiva un gruppo di ufficiali intento a guidare malamente delle file ordinate di ragazzi verso un'alta struttura oltre le baracche, da cui fuoriusciva un fumo denso e scuro, che si sviluppava in grandi spire che invadevano e oscuravano il cielo estivo.
Fra quelli, c'era anche un ragazzo biondo, dagli occhi color nebbia e il corpo tappezzato di grandi lividi e ferite ricoperte da sangue ormai rappreso, che indossava un pigiama a righe con un triangolo rosa bene in evidenza a indicare l'amore, la sua unica colpa.
Arrivati dentro l'alta struttura, ai ragazzi venne detto di togliere i pigiami, che caddero accasciandosi al suolo, come corpi senza vita.
Era il momento della doccia.




Eccoci giunti alla fine di questa storia, romantica ma anche triste, iniziata a marzo durante una lezione di storia :)  non mi aspettavo che sarebbe stata abbastanza seguita, anche perchè fino all'ultimo ero molto indecisa se pubblicarla o meno e alla fine non ho resistito xD bhe, che dire, se non grazie a tutti coloro che l'hanno seguita, letta e recensita. Spero di ritrovarvi tutti in un'altra storia, alla prossima!!!!! :****

Note: la scelta del trinagolo rosa, che spiega anche il titolo di questa storia, è ricaduta sul fatto che nei lager nazisti ogni baracca riportava un simbolo, un trangolo, diverso a seconda dei prigionieri che ''ospitava'' e quello rosa era appunto quello destinato agli omosessuali.
   
 
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