“Tutoring privato” aveva avuto il coraggio di chiamarlo, il bastardo. “A casa mia. Da soli” aveva specificato, fulminando con lo sguardo la testa arancione di Hinata prima che il suddetto potesse anche solo pensare di aprire bocca (Yamaguchi aveva dovuto intervenire e promettere che avrebbe provveduto lui, a farlo ripassare insieme a Yachi-san – anche se Kageyama aveva avuto pochi dubbi per chi lo stesse effettivamente facendo), e non lasciando di fatto spazio a Kageyama per rifiutare o replicare in qualche modo. Dopotutto aveva davvero, davvero bisogno di aiuto, prima di fallire un altro test e dover dire addio ad altre ore di allenamento.
Ed è solo per quello, solo ed esclusivamente, che ora si ritrova seduto a gambe divaricate sul pavimento della stanza di Tsukishima, con una pila di libri e quaderni aperti attorno a lui, la penna in mano e un piede premuto sul cavallo dei pantaloni, il tallone che scivola avanti e indietro con assoluta nonchalance nei confronti della sua crescente frustrazione.
Frustrazione che deve essere perfettamente leggibile dalle espressioni del suo viso, perché quando Tsukishima, il bastardo, abbassa lo sguardo su di lui, sulla sua faccia si dipinge un ghigno compiaciuto.
E il suo piede piene un po’ più a fondo, con le dita che tamburellano su zone troppo sensibili.
-Oh? Qualcosa non va, Vostra Altezza?-
Kageyama alza il capo di scatto, subito punto sul vivo da quell’odiato appellativo. Sa di starlo fulminando con lo sguardo, un’occhiata che farebbe rabbrividire gente più fragile (Hinata), ma che per Tsukishima è un bicchiere di acqua di rose: si limita a sogghignare più apertamente, mentre la pressione si fa più costante e sinuosa, avendo una base più solida su cui lavorare. E qualunque rimostranza Tobio volesse fare, si ritrova ad ingoiarla assieme al gemito che minaccia da un secondo all’altro di sfuggirgli dalle labbra sottili.
-N-nnno- mugugna, a stento, digrignando i denti e provando disperatamente a cambiare posizione. Non che Tsukishima si faccia intimidire da così poco: si limita a seguirlo, spostando la sedia, e a continuare a giocherellare con la sua erezione, senza mai dargli la soddisfazione di un’adeguata frizione per alleviare quel bisogno crescente di strusciarsi contro la sua gamba.
-E allora vedi di continuare a risolvere quegli esercizi, caro il mio Re- sibila, prima di chinarsi in avanti per stringergli una mano attorno al viso, le dita che afofndano dolorose nelle guance –Non vogliamo farmi perdere altro tempo, vero?-
E Kageyama deve darsi la filosofica sberla mentale, perché per un istante, per il suo cervello a senso unico, tutte quelle stimolazioni sono troppe, e venire così, nei propri pantaloni, in ginocchio davanti a quel demonio travestito da liceale allampanato, sarebbe un’umiliazione troppo grande anche per lui.
 

...Forse.
(Perché forse, forse, una parte di lui l’idea non la disdegna poi così tanto)