Vizi di famiglia
di Overlook, 2015©
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Quando
si dice
“Prendere un uomo per
la gola”, si è soliti pensare nello specifico al
genere maschile,
come preda di tale proverbiale caccia. Ciò che è
meno noto e spesso
dai più snobbato è che sia l'essere umano in
generale, ad essere
chiamato in causa, con il termine “uomo” utilizzato
nel detto. E
questo errore, solo per ciò che concerne la
quotidianità del
Terrestre medio. Figurarsi alla Capsule Corporation, dove
già prima
che una temibilissima razza aliena vi piantasse le radici per sempre,
se ne vedevano delle belle. Bagliori improvvisi ed accecanti, bambini
muniti di coda e dinosauri mansueti come gattini si erano susseguiti
dacché la più giovane della famiglia aveva
iniziato, dopo i primi
studi, a viaggiare alla ricerca, si diceva, di leggendarie sfere
magiche... Se ne vedevano delle belle e se ne sarebbero viste di
bellissime, da quel momento.
Per tale serie poco consequenziale di
ragioni, muto come un pesce più lesso di quello disteso
inerme sul
piatto accanto a lui, il Dottor Briefs stava rimuginando sul fatto
che il millenario modo di dire proprio di quel pianeta avrebbe dovuto
essere modificato, se non altro alla luce di ciò che
nessuno, al di
là di pochissimi di loro, avrebbe immaginato o creduto: che
tra le
vie del centro, in fila dal panettiere, bocciati a scuola-guida,
impauriti dagli esseri striscianti, dispersi tra i reparti dei
migliori negozi di giocattoli, meditabondi sulle cime delle
più alte
montagne, si erano ormai ben innestati e radicati gli unici esponenti
di una razza esteriormente del tutto simile a quella umana, ma che di
questa, a parte l'aspetto, aveva ben poco.
Solo un rumore, come di uno scarico del
lavandino nuovamente capace di inghiottire acqua, finalmente liberato
da un abile idraulico, tranciò di netto il suo groviglio di
pensieri
abitualmente gioviali e leggeri. Lo sguardo scavato e ingigantito dal
paio di spesse lenti sarebbe risultato di sicuro molto meno
imbarazzato, se davvero fosse stato il lavandino poco distante, ad
aver deglutito in tal modo. Invece, orribilmente trasfigurata in una
sorta di sanguisuga dagli occhi cerulei e avidissimi, frenetica e
imperterrita, davanti a lui si stagliava soltanto sua figlia, Bulma,
intenta a non lasciarsi sfuggire neppure le goccioline di vapore
depositate sul coperchio dell'alto vaso in cartoncino per alimenti
che reggeva tra le dita tremolanti.
“Scusa tanto, ma stavolta ritengo sia tu, ad essere quasi... disgustosa”.
Dalla
posa conserta
sembrava si fosse
generato per partenogenesi un insetto, ben nascosto sotto la
muscolatura pronunciata, le cui enormi antenne marroni facevano
capolino ben rizzate e stavano lì, poco più
esterne al punto esatto
in cui le braccia si incrociavano al petto. Deludente, ai fantasiosi
occhi del Dottor Briefs, riconoscere in quelle antenne nient'altro
che un paio di waribashi.
Vegeta non era certo tipo da
trattenersi col cibo o da far complimenti di sorta per mostrarsi
morigerato. Nè in guerra, nè a tavola -tantomeno
tra le lenzuola,
ad onor del vero- egli teneva a dar l'impressione del bravo damerino,
anzi; alle volte aveva sfottuto l'avversario o divorato uno stinco di
maiale di troppo solo per il gusto d'avere e sentire il pieno potere
di poterlo fare.
Ironico,
come per una
specie
insignificante come quella umana, la soddisfazione fosse quasi sempre
un'utopia e come invece per la razza Saiyan, la più potente
dell'intero universo, i mezzi diretti per ottenerla fossero tanto
semplici ed essenziali. Per una volta ci sarebbe stato davvero, solo
che da imparare, da quegli scimmioni maniaci della guerra.
Eppure,
in quel caso, il
bearsi della
tempura, scintillante nella doratura ben oleata, ma
mai
indigesta, aveva dovuto subire una brutta battuta d'arresto, quando
l'ennesimo gorgoglìo soddisfatto e un'altra piccola
gocciolina di
zuppa gli erano letteralmente piombati addosso.
A differenza di quell'idiota di
Kaharot, che da buon esponente di un'infima terza classe, le buone
maniere a tavola mai le aveva del tutto imparate, lui si distingueva
senz'altro per la sobrietà con cui, comunque voracemente,
trangugiava quantità spaventosamente alte di cibo,
saltellando tra
il corroborante calore della pietanza speziata e l'avvolgente
zuccherino del dessert finale, spesso tornando sui propri passi con
un boccone salato, prima di decidersi a spegnere l'incendio delle
papille con una generosa sorsata di vino rosso o bianco.
Bulma, poi, nemmeno a dirlo, mai aveva
dato mostra di sé in un'ingordigia esagerata o anche solo in
un
appetito spiccato, anzi. Erano state talmente tante le volte in cui,
un po' per una dieta senza ragion d'essere, un po' per bruciori allo
stomaco o dolori mestruali, non l'aveva vista toccare cibo per giorni
interi, che, in quel momento, osservarla attonito fare una vera e
propria scorpacciata di ramen precotto, gli pareva
quasi
assurdo, al limite con il riprovevole. Non v'era niente, in fin dei
conti, di riprovevole, dovette ammettere a sé stesso nel
giro di un
istante. Quella roba era buona sul serio, accidenti, non mancava mai
neppure nel suo menù quotidiano; era più corretto
definire “assai
strano”, vedere Bulma a tal punto ingolosita da un piatto
salato e
tanto abbondante, lei che era più incline a gozzovigliare
con
piccole quantità alla volta di dolcetti o tartine di vario
genere.
Nel suo straniamento, prima di redarguirla pungente, a Vegeta era
quasi parso di scorgere davanti a sé non già la
compagna ed il
padre di lei, sedutosi lì accanto a loro giusto per il tempo
di un
buon caffè prima di tornare ai laboratori, quanto piuttosto
un'impervia montagnola turchina sulla cui sommità s'ergeva
un largo
cratere borbottante, dal cui centro, anziché fuoriuscire
qualcosa al
pari della lava, s'addentrava un torbido liquido traslucido ornato di
fili di soia, gamberetti ben cotti e sfiziose verdure saporite. E se
fosse parsa esagerata, una metafora del genere, i suoni che la voce
estasiata e la mandibola al lavoro emettevano, avrebbero infine dato
ragione alle traveggole del principe dei Saiyan.
Deglutito l'ennesimo boccone ben
masticato e assai gustoso, Bulma alzò lo sguardo accigliato
come se
solo in un secondo momento avesse udito per bene le parole del
compagno. Socchiuse le palpebre, poggiò i propri waribashi
accuratamente allineati accanto al bicchiere colmo d'acqua, terse le
labbra prima con la punta della lingua e poi con il tovagliolo in
lino colorato, inchiodò le iridi azzurre in quelle d'ebano
di fronte
a lui e appuntò i gomiti ai fianchi, segnalando all'anziano
scienziato che quello sarebbe stato senza dubbio il momento
più
propizio per ringraziare del caffè e della compagnia, prima
di
levare le tende di gran carriera. Il piccolo micio nero si
rivelò
troppo lento nella fuga al suo seguito, balzando letteralmente in
aria, prima di scomparire oltre la porta d'ingresso, quando Bulma
diede finalmente fiato alle proprie corde vocali: “Ah, io?!
Non dire sciocchezze, Vegeta! Adesso, solo perché finalmente
ho
trovato un piatto che posso prepararmi in pochi minuti pure a lavoro,
assolutamente delizioso, sarei... Disgustosa?!”.
Se
per un momento gli occhi
e la bocca
del Saiyan avevano fatto presagire un nervosismo tremendo, la
distensione repentina di quei lineamenti tutt'un tratto ridotti ad un
sorrisetto beffardo e a due palpebre chiuse e sprezzanti avrebbe
lasciato a bocca aperta chiunque; ciò che in passato lo
avrebbe
indisposto e basta, ora lo divertiva: quanto tempo era trascorso, da
un buon bisticcio... Alla vecchia maniera? Erano andati sempre
più a
scemare, i battibecchi innocenti a suon di frecciatine, sostituiti da
mute intese ed eloquenti occhiate intime, dal suo ritorno alla
Capsule Corporation, anni addietro, dopo la sconfitta di Cell.
Tornati a casa dal Palazzo del Supremo, dopo la disfatta del
diabolico Majin Buu, pochissime erano state le occasioni per
punzecchiarsi di santa ragione, visto che la maggior parte del tempo
libero passato da soli tra quelle mura era stato dedicato all'aspetto
fisico -e non solo- di quel profondo amore, a lungo tenuto
prigioniero dei rispettivi orgogli.
Finalmente, avrebbe potuto nuovamente
prendersi la soddisfazione di girare i tacchi, perfido, dopo averle
fatto incassare qualche... Boccone amaro, giacché Bulma
pareva
essere divenuta una buona forchetta.
“Beh, tu come definiresti una persona che emette suoni peggiori di quelli di uno scarico otturato con la bocca e che inzacchera ogni cosa tocchi con le dita unte...?”.
Colpita
ed affondata!
Bulma non poté fare a meno di
trasalire all'accorgersi immediato, in effetti, del bicchiere, dei
bordi del piatto scuro con le verdure lesse, persino del polsino
della camiciola aranciata che indossava, letteralmente invasi da
nauseanti impronte digitali al probabilissimo sapore di ramen.
“Inoltre”- rincarò la dose - “Scommetto che per renderlo tanto gustoso, perché su questo, sia chiaro, non ti do' alcun torto, hanno messo un sacco di sale, oltre all'olio di semi... Che dire del pesce, sicuramente fritto, prima d'esser stato aggiunto agli spaghetti...”.
Quelle
iridi cupe tanto
sadicamente
intrise di finta saccenteria in materia culinaria le stavano sputando
dritta in faccia una verità che, nel momento in cui aveva
provato a
bussare alle porte della sua coscienza, tempo prima, Bulma aveva
rispedito al mittente a calci nel sedere, continuando a inserire
quegli alti e leggeri vasetti sigillati all'interno del carrello
già
colmo di spesa, al supermercato all'angolo.
Quanti chili avrebbe preso, continuando
a mangiare a pranzo e a cena, sette giorni su sette, tutto quel
ramen? Doveva quantomeno riuscire a limitarsi ad un
paio di
volte a settimana! Se mai, ci sarebbe stato da preoccuparsi degli
effetti di quello sproposito di sale, ma si sa, così come il
fumatore s'allarma per la cifra spesa in sigarette piuttosto che per
la corrosione irreversibile dei propri polmoni, Bulma si mise ad
osservare la linea tra i lembi finali della camicia aranciata e il
bordo superiore della cintura di cuoio che reggeva il jeans scuro ed
attillato. Quanto tempo sarebbe occorso, prima che questo venisse
sostituito alla vista dalla generosa linea... Della sua pancia
ingrassata? Proprio adesso che il pianeta Terra poteva godere della
pace adatta a quietare pure l'animo tumultuoso di Vegeta, rendendolo
più incline alle abitudini quotidiane tipicamente Terrestri,
quali
l'ozio tra le lenzuola la domenica mattina, non poteva lasciarsi
cogliere in fallo con rotondità fuori posto...
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Per
la verità a
Vegeta era sempre
sembrata assurda, la fissa della dieta che, di tanto in tanto,
attanagliava l'intelletto della compagna. Girovagando, seppur
raramente ed infastidito, tra le vie del centro cittadino, ne aveva
vista, di gentaglia alla quale una dieta avrebbe giovato solo in
parte, giacché essa assottiglia, ma non miracola lineamenti
imbruttiti o chiome crespe ed ispide. Non riusciva a comprendere -e
mai se n'era fatto cruccio- come Bulma potesse parlare davvero sul
serio, quando, costernata di fronte all'ampia specchiera della camera
da letto, scavava una fossa nella moquette con l'andirivieni
frenetico che percorreva per minuti interi, farneticando più
a sé
stessa che a lui, ancora accoccolato tra le lenzuola, che era giunto
il momento di rimettersi a fare ginnastica, che non si poteva
più
tollerare una tale circonferenza dell'interno coscia, che Trunks era
il bambino più adorabile del mondo, ma che i chili sui
fianchi erano
stati soltanto colpa sua, che il collo sentiva il peso della
cioccolata piluccata nel dopocena il giorno prima... E via dicendo.
Se fosse stato un banale Terrestre, lui, l'avrebbe quasi supplicata,
di non far sparire da quello splendido corpo un solo centimetro; le
avrebbe assicurato che quelle cosce erano state create così
apposta
per potervici affondare le sue mani vogliose, che quel collo gli
urlava il desiderio d'esser morso appena e che quei fianchi, morbidi
e lisci, non avrebbero potuto essere più accoglienti ed
eccitanti,
se non, forse, con un altro, ulteriore chilogrammo.
Ma Vegeta era Vegeta e prima di tutto il principe del popolo Saiyan, di
certo dietro a simili idiozie non aveva tempo da
sprecare; aveva imparato una sola tattica, davvero efficace, per
mettere a tacere quella donna e le sue malsane intenzioni. Le
chiedeva d'improvviso e con tono duro: “Hai finito,
Bulma?”,
lasciandola ammutolita e per un attimo perplessa; senza darle il
tempo d'accorgersene, la scaraventava, docilmente, su quello stesso
letto dove, la notte appena trascorsa, s'era già consumato
qualcosa
di molto simile all'oggetto delle intenzioni di quel momento.
Beandosi della sensazione di sollievo al non dover più
sentirle dire
fesserie di varia natura, intimamente si rammaricava sconfitto,
quando all'ora di pranzo, sedendole di fronte, notava che soltanto
una tazza d'acqua bollente e del succo di limone, troneggiavano sulla
tovaglietta a scacchi, mentre davanti a lui era posto ogni tipo di
prelibatezza, da condividere equamente con il figlio, nei giorni in
cui la dea bendata lo assisteva al punto da far rimanere Son Goten a
casa propria, sui Paoz.
Fortunatamente, la cosa non riusciva a
durare più di un paio di giorni e, benché lui,
come detto, non se
ne preoccupasse mai più a lungo di un istante, la vista
della
consorte dedita alla preparazione di un pranzo o una cena per tre o
per quattro, in mancanza d'altri ospiti, quasi lo rasserenava,
impercettibilmente, giusto il tempo di superare la cucina per recarsi
in salotto, in bagno, o in camera da letto, terminati gli
allenamenti.
Non l'aveva mai scorta conciata alla
stregua di quelle sciocche Terrestri alla TV a cui Muten e Oolong
tanto anelavano. A Bulma piaceva di più l'ebbrezza del
ritardo sul
posto di lavoro, causato dal percorso a piedi e non in auto, al
mattino. Apprezzava maggiormente farsi carico dei sacchetti della
spesa portati a mano fino a casa, piuttosto che incapsularli o
lasciare che, di tanto in tanto, fossero lui ed il figlio, a
portarglieli. Benché della scarsa propensione all'aiuto
Bulma avesse
costantemente da lamentarsi, quando una volta tanto i due si
lasciavano adescare dal desiderio d'alleggerirla venivano quasi
mandati al diavolo, accompagnati da strepiti quali: “...E
così
adesso pensate sia diventata troppo vecchia e gracile per farcela da
sola, eh?! Beh, vi sbagliate di grosso, sparite!”.
Bulma era bella, bellissima.
Innegabilmente bellissima e sensuale. Sensualissima, sfacciatamente
impertinente; intelligente, perspicace... Ed evidentemente un po'
matta. Da legare, più spesso di quanto si potrebbe credere.
Gli
influssi ormonali, meteorologici, alleati dell'effetto serra, chi
più
ne ha più ne metta, tutti loro trovavano in Bulma uno
scoglio
perfetto a cui aggrapparsi in ogni situazione, anche quella da cui
nessuno si aspetterebbe più di un sospiro qualunque.
A Vegeta, talvolta, questo piaceva,
molto più frequentemente lo lasciava indifferente o lo
adirava, ma
lei era fatta così. E mai come con l'esperienza tutta nuova
di una
vera famiglia propria, il Saiyan aveva avuto modo di imparare che
ciò
che si ama, lo si ama nei suoi lati belli e nei suoi spigoli brutti.
Se non altro, almeno per il fatto che lei, del suo passato di
efferato stragista, se n'era sempre amabilmente infischiata. Glielo
doveva? Può darsi, sta di fatto che ben poche erano state le
volte
in cui, allo scorgere dell'inizio di una di quelle crisi isteriche,
Vegeta si era opposto a Bulma o l'aveva addirittura combattuta. Con
Trunks, s'erano sempre defilati svelti ed evasivi, fin troppo.
Vederla ora scrutare insistentemente
sotto il bordo del tavolo in legno chiaro, presumibilmente i contorni
del ventre o l'ampiezza del giro coscia, gli conferiva quella
ritrovata carica adrenalinica che solo i loro antichi battibecchi
nati per caso, erano riusciti a penetrarlo all'infuori della propria
natura guerriera, in tempi affatto sospetti. Quasi avrebbe provato un
poco di dispiacere, nell'aver pungolato così sul vivo la
propria
adorata Bulma, ma ormai che s'era in ballo... S'aveva da
ballare.
“D-Davvero trovi che... Che sia ingrassata? E... E dove, di preciso, qui? O magari, qui, sì, sicuramente, qui, sulle guance...”.
Bulma
stava indicando con
scatti
fulminei a Vegeta tutte le parti del proprio suadente corpo come si
fosse trattato di mera plastilina e non del materiale combustibile
con cui lui stesso ravvivava il proprio sempre pressante fuoco
più
intimo.
In realtà, se solo avesse trangugiato
quel dannato
ramen con più pacatezza, non gli sarebbe
neppure
dispiaciuto, vederla finalmente compiaciuta quanto lui dell'arte del
mangiare in generale. Ma su quei suoni, che già all'ultimo
Tenkaichi
aveva sopportato appena da quel bifolco di Kaharot e dai tre mocciosi
mezzosangue, sulla bocca di sua moglie, poi, proprio non riusciva a
sorvolare. Possibile che una donna tanto attenta e fissata con la
moda, con il bon-ton e con la propria stessa
bell'immagine,
non si avvedesse di un tale comportamento? Non era questione di
far brutta figura, si trattava pur sempre dell'intimità
della loro
casa. Era, forse, questione di aver smesso col vizio del fumo,
finalmente, salvo aver preso ora quello del ramen
ad ogni
pasto, in tali quantità, con quella voracità
tanto loquace.
Riusciva persino a divorarne un paio in più di quelli che si
concedeva lui! Avrebbe finito per terminare le scorte e, causa
chiusura per ferie del supermercato all'angolo, chissà
quanto tempo
sarebbe trascorso prima che lei o Bunny decidessero di
andare a far nuovamente la spesa. Quando si trattava di vestiario e
chincaglierie simili, ogni momento era buono, ma se si trattava di
carni, verdure, precotti, bevande e latticini, di beni primari,
insomma, allora il tragitto
diveniva terribilmente lungo, il tempo a disposizione era
sensibilmente scarso e, in ogni caso, le sporte assumevano un peso
insopportabile, anche se Trunks decideva di dare una mano. In quei
casi, al diavolo dieta ed esercizi fisici, v'erano boutiques da
svaligiare, per rimanere in allenamento!
Giunto a quel punto, al principe dei
Saiyan non sarebbe rimasto altro che alzare i tacchi, deluso dal
mancato contrattacco della compagna troppo punta nel fondo di
verità
colta. Ma Bulma era Bulma e Vegeta era Vegeta e prima di tutto quei
due erano un indecifrabile ed incredibilmente compatto plotone di
carica esplosiva perfettamente sincronizzata ed agguerrita.
Perciò,
nel momento in cui l'attenzione della scienziata riuscì a
spostarsi
dai contorni del proprio corpo per finire su quelli del bel viso di
lui, domandandogli allora cosa avrebbe dovuto dire, lei, delle due
macchioline di sugo sin sulla sua ampia fronte, la sera prima, Vegeta
non poté far altro che aggiungere, quieto e affilato,
appropinquandosi all'uscita della stanza: “Un po' d'acqua e
le
macchie vanno via, il grasso su quelle rughette intorno alle labbra,
invece, non credo ti starebbe granché bene”.
Non si concesse nemmeno il tempo di
godersi lo spettacolo dell'ira funesta di Bulma; sogghignante, diretto
verso il salotto, se la volle immaginare soltanto e fece
bene. Bulma, anziché esplodere come di consueto in urla e
strepiti
inviperiti, imbarazzati e indignati, inarcò solo le fini
sopracciglia, borbottando ancora seduta a tavola qualche imprecazione
al consorte, mentre con una mano reggeva il bollitore colmo d'acqua
calda e con l'altra apriva il coperchio della terza confezione di
ramen precotto.
-Fine-