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Autore: Overlook    27/10/2015    6 recensioni
Dragon Ball Super
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"Quando si dice “Prendere un uomo per la gola”, si è soliti pensare nello specifico al genere maschile, come preda di tale proverbiale caccia. Ciò che è meno noto e spesso dai più snobbato è che sia l'essere umano in generale, ad essere chiamato in causa, con il termine “uomo” utilizzato nel detto. E questo errore, solo per ciò che concerne la quotidianità del Terrestre medio. Figurarsi alla Capsule Corporation[...]".
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Il retroscena di un dettaglio, dedicato agli amanti della coppia Vegeta&Bulma immersi nella tranquilla quotidianità di un pianeta finalmente in pace... Per il momento.
Genere: Generale, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Bulma, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"Vizi di famiglia", di Overlook, è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.





Vizi di famiglia


di Overlook, 2015©


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Quando si dice “Prendere un uomo per la gola”, si è soliti pensare nello specifico al genere maschile, come preda di tale proverbiale caccia. Ciò che è meno noto e spesso dai più snobbato è che sia l'essere umano in generale, ad essere chiamato in causa, con il termine “uomo” utilizzato nel detto. E questo errore, solo per ciò che concerne la quotidianità del Terrestre medio. Figurarsi alla Capsule Corporation, dove già prima che una temibilissima razza aliena vi piantasse le radici per sempre, se ne vedevano delle belle. Bagliori improvvisi ed accecanti, bambini muniti di coda e dinosauri mansueti come gattini si erano susseguiti dacché la più giovane della famiglia aveva iniziato, dopo i primi studi, a viaggiare alla ricerca, si diceva, di leggendarie sfere magiche... Se ne vedevano delle belle e se ne sarebbero viste di bellissime, da quel momento.
Per tale serie poco consequenziale di ragioni, muto come un pesce più lesso di quello disteso inerme sul piatto accanto a lui, il Dottor Briefs stava rimuginando sul fatto che il millenario modo di dire proprio di quel pianeta avrebbe dovuto essere modificato, se non altro alla luce di ciò che nessuno, al di là di pochissimi di loro, avrebbe immaginato o creduto: che tra le vie del centro, in fila dal panettiere, bocciati a scuola-guida, impauriti dagli esseri striscianti, dispersi tra i reparti dei migliori negozi di giocattoli, meditabondi sulle cime delle più alte montagne, si erano ormai ben innestati e radicati gli unici esponenti di una razza esteriormente del tutto simile a quella umana, ma che di questa, a parte l'aspetto, aveva ben poco.
Solo un rumore, come di uno scarico del lavandino nuovamente capace di inghiottire acqua, finalmente liberato da un abile idraulico, tranciò di netto il suo groviglio di pensieri abitualmente gioviali e leggeri. Lo sguardo scavato e ingigantito dal paio di spesse lenti sarebbe risultato di sicuro molto meno imbarazzato, se davvero fosse stato il lavandino poco distante, ad aver deglutito in tal modo. Invece, orribilmente trasfigurata in una sorta di sanguisuga dagli occhi cerulei e avidissimi, frenetica e imperterrita, davanti a lui si stagliava soltanto sua figlia, Bulma, intenta a non lasciarsi sfuggire neppure le goccioline di vapore depositate sul coperchio dell'alto vaso in cartoncino per alimenti che reggeva tra le dita tremolanti.

“Scusa tanto, ma stavolta ritengo sia tu, ad essere quasi... disgustosa”.

Dalla posa conserta sembrava si fosse generato per partenogenesi un insetto, ben nascosto sotto la muscolatura pronunciata, le cui enormi antenne marroni facevano capolino ben rizzate e stavano lì, poco più esterne al punto esatto in cui le braccia si incrociavano al petto. Deludente, ai fantasiosi occhi del Dottor Briefs, riconoscere in quelle antenne nient'altro che un paio di waribashi.
Vegeta non era certo tipo da trattenersi col cibo o da far complimenti di sorta per mostrarsi morigerato. Nè in guerra, nè a tavola -tantomeno tra le lenzuola, ad onor del vero- egli teneva a dar l'impressione del bravo damerino, anzi; alle volte aveva sfottuto l'avversario o divorato uno stinco di maiale di troppo solo per il gusto d'avere e sentire il pieno potere di poterlo fare.

Ironico, come per una specie insignificante come quella umana, la soddisfazione fosse quasi sempre un'utopia e come invece per la razza Saiyan, la più potente dell'intero universo, i mezzi diretti per ottenerla fossero tanto semplici ed essenziali. Per una volta ci sarebbe stato davvero, solo che da imparare, da quegli scimmioni maniaci della guerra.

Eppure, in quel caso, il bearsi della tempura, scintillante nella doratura ben oleata, ma mai indigesta, aveva dovuto subire una brutta battuta d'arresto, quando l'ennesimo gorgoglìo soddisfatto e un'altra piccola gocciolina di zuppa gli erano letteralmente piombati addosso.
A differenza di quell'idiota di Kaharot, che da buon esponente di un'infima terza classe, le buone maniere a tavola mai le aveva del tutto imparate, lui si distingueva senz'altro per la sobrietà con cui, comunque voracemente, trangugiava quantità spaventosamente alte di cibo, saltellando tra il corroborante calore della pietanza speziata e l'avvolgente zuccherino del dessert finale, spesso tornando sui propri passi con un boccone salato, prima di decidersi a spegnere l'incendio delle papille con una generosa sorsata di vino rosso o bianco.
Bulma, poi, nemmeno a dirlo, mai aveva dato mostra di sé in un'ingordigia esagerata o anche solo in un appetito spiccato, anzi. Erano state talmente tante le volte in cui, un po' per una dieta senza ragion d'essere, un po' per bruciori allo stomaco o dolori mestruali, non l'aveva vista toccare cibo per giorni interi, che, in quel momento, osservarla attonito fare una vera e propria scorpacciata di ramen precotto, gli pareva quasi assurdo, al limite con il riprovevole. Non v'era niente, in fin dei conti, di riprovevole, dovette ammettere a sé stesso nel giro di un istante. Quella roba era buona sul serio, accidenti, non mancava mai neppure nel suo menù quotidiano; era più corretto definire “assai strano”, vedere Bulma a tal punto ingolosita da un piatto salato e tanto abbondante, lei che era più incline a gozzovigliare con piccole quantità alla volta di dolcetti o tartine di vario genere. Nel suo straniamento, prima di redarguirla pungente, a Vegeta era quasi parso di scorgere davanti a sé non già la compagna ed il padre di lei, sedutosi lì accanto a loro giusto per il tempo di un buon caffè prima di tornare ai laboratori, quanto piuttosto un'impervia montagnola turchina sulla cui sommità s'ergeva un largo cratere borbottante, dal cui centro, anziché fuoriuscire qualcosa al pari della lava, s'addentrava un torbido liquido traslucido ornato di fili di soia, gamberetti ben cotti e sfiziose verdure saporite. E se fosse parsa esagerata, una metafora del genere, i suoni che la voce estasiata e la mandibola al lavoro emettevano, avrebbero infine dato ragione alle traveggole del principe dei Saiyan.
Deglutito l'ennesimo boccone ben masticato e assai gustoso, Bulma alzò lo sguardo accigliato come se solo in un secondo momento avesse udito per bene le parole del compagno. Socchiuse le palpebre, poggiò i propri waribashi accuratamente allineati accanto al bicchiere colmo d'acqua, terse le labbra prima con la punta della lingua e poi con il tovagliolo in lino colorato, inchiodò le iridi azzurre in quelle d'ebano di fronte a lui e appuntò i gomiti ai fianchi, segnalando all'anziano scienziato che quello sarebbe stato senza dubbio il momento più propizio per ringraziare del caffè e della compagnia, prima di levare le tende di gran carriera. Il piccolo micio nero si rivelò troppo lento nella fuga al suo seguito, balzando letteralmente in aria, prima di scomparire oltre la porta d'ingresso, quando Bulma diede finalmente fiato alle proprie corde vocali: “Ah, io?! Non dire sciocchezze, Vegeta! Adesso, solo perché finalmente ho trovato un piatto che posso prepararmi in pochi minuti pure a lavoro, assolutamente delizioso, sarei... Disgustosa?!”.

Se per un momento gli occhi e la bocca del Saiyan avevano fatto presagire un nervosismo tremendo, la distensione repentina di quei lineamenti tutt'un tratto ridotti ad un sorrisetto beffardo e a due palpebre chiuse e sprezzanti avrebbe lasciato a bocca aperta chiunque; ciò che in passato lo avrebbe indisposto e basta, ora lo divertiva: quanto tempo era trascorso, da un buon bisticcio... Alla vecchia maniera? Erano andati sempre più a scemare, i battibecchi innocenti a suon di frecciatine, sostituiti da mute intese ed eloquenti occhiate intime, dal suo ritorno alla Capsule Corporation, anni addietro, dopo la sconfitta di Cell. Tornati a casa dal Palazzo del Supremo, dopo la disfatta del diabolico Majin Buu, pochissime erano state le occasioni per punzecchiarsi di santa ragione, visto che la maggior parte del tempo libero passato da soli tra quelle mura era stato dedicato all'aspetto fisico -e non solo- di quel profondo amore, a lungo tenuto prigioniero dei rispettivi orgogli.
Finalmente, avrebbe potuto nuovamente prendersi la soddisfazione di girare i tacchi, perfido, dopo averle fatto incassare qualche... Boccone amaro, giacché Bulma pareva essere divenuta una buona forchetta.

“Beh, tu come definiresti una persona che emette suoni peggiori di quelli di uno scarico otturato con la bocca e che inzacchera ogni cosa tocchi con le dita unte...?”.

Colpita ed affondata!
Bulma non poté fare a meno di trasalire all'accorgersi immediato, in effetti, del bicchiere, dei bordi del piatto scuro con le verdure lesse, persino del polsino della camiciola aranciata che indossava, letteralmente invasi da nauseanti impronte digitali al probabilissimo sapore di ramen.

“Inoltre”- rincarò la dose - “Scommetto che per renderlo tanto gustoso, perché su questo, sia chiaro, non ti do' alcun torto, hanno messo un sacco di sale, oltre all'olio di semi... Che dire del pesce, sicuramente fritto, prima d'esser stato aggiunto agli spaghetti...”.

Quelle iridi cupe tanto sadicamente intrise di finta saccenteria in materia culinaria le stavano sputando dritta in faccia una verità che, nel momento in cui aveva provato a bussare alle porte della sua coscienza, tempo prima, Bulma aveva rispedito al mittente a calci nel sedere, continuando a inserire quegli alti e leggeri vasetti sigillati all'interno del carrello già colmo di spesa, al supermercato all'angolo.
Quanti chili avrebbe preso, continuando a mangiare a pranzo e a cena, sette giorni su sette, tutto quel ramen? Doveva quantomeno riuscire a limitarsi ad un paio di volte a settimana! Se mai, ci sarebbe stato da preoccuparsi degli effetti di quello sproposito di sale, ma si sa, così come il fumatore s'allarma per la cifra spesa in sigarette piuttosto che per la corrosione irreversibile dei propri polmoni, Bulma si mise ad osservare la linea tra i lembi finali della camicia aranciata e il bordo superiore della cintura di cuoio che reggeva il jeans scuro ed attillato. Quanto tempo sarebbe occorso, prima che questo venisse sostituito alla vista dalla generosa linea... Della sua pancia ingrassata? Proprio adesso che il pianeta Terra poteva godere della pace adatta a quietare pure l'animo tumultuoso di Vegeta, rendendolo più incline alle abitudini quotidiane tipicamente Terrestri, quali l'ozio tra le lenzuola la domenica mattina, non poteva lasciarsi cogliere in fallo con rotondità fuori posto...


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Per la verità a Vegeta era sempre sembrata assurda, la fissa della dieta che, di tanto in tanto, attanagliava l'intelletto della compagna. Girovagando, seppur raramente ed infastidito, tra le vie del centro cittadino, ne aveva vista, di gentaglia alla quale una dieta avrebbe giovato solo in parte, giacché essa assottiglia, ma non miracola lineamenti imbruttiti o chiome crespe ed ispide. Non riusciva a comprendere -e mai se n'era fatto cruccio- come Bulma potesse parlare davvero sul serio, quando, costernata di fronte all'ampia specchiera della camera da letto, scavava una fossa nella moquette con l'andirivieni frenetico che percorreva per minuti interi, farneticando più a sé stessa che a lui, ancora accoccolato tra le lenzuola, che era giunto il momento di rimettersi a fare ginnastica, che non si poteva più tollerare una tale circonferenza dell'interno coscia, che Trunks era il bambino più adorabile del mondo, ma che i chili sui fianchi erano stati soltanto colpa sua, che il collo sentiva il peso della cioccolata piluccata nel dopocena il giorno prima... E via dicendo. Se fosse stato un banale Terrestre, lui, l'avrebbe quasi supplicata, di non far sparire da quello splendido corpo un solo centimetro; le avrebbe assicurato che quelle cosce erano state create così apposta per potervici affondare le sue mani vogliose, che quel collo gli urlava il desiderio d'esser morso appena e che quei fianchi, morbidi e lisci, non avrebbero potuto essere più accoglienti ed eccitanti, se non, forse, con un altro, ulteriore chilogrammo.
Ma Vegeta era Vegeta e prima di tutto il principe del popolo Saiyan, di certo dietro a simili idiozie non aveva tempo da sprecare; aveva imparato una sola tattica, davvero efficace, per mettere a tacere quella donna e le sue malsane intenzioni. Le chiedeva d'improvviso e con tono duro: “Hai finito, Bulma?”, lasciandola ammutolita e per un attimo perplessa; senza darle il tempo d'accorgersene, la scaraventava, docilmente, su quello stesso letto dove, la notte appena trascorsa, s'era già consumato qualcosa di molto simile all'oggetto delle intenzioni di quel momento. Beandosi della sensazione di sollievo al non dover più sentirle dire fesserie di varia natura, intimamente si rammaricava sconfitto, quando all'ora di pranzo, sedendole di fronte, notava che soltanto una tazza d'acqua bollente e del succo di limone, troneggiavano sulla tovaglietta a scacchi, mentre davanti a lui era posto ogni tipo di prelibatezza, da condividere equamente con il figlio, nei giorni in cui la dea bendata lo assisteva al punto da far rimanere Son Goten a casa propria, sui Paoz.
Fortunatamente, la cosa non riusciva a durare più di un paio di giorni e, benché lui, come detto, non se ne preoccupasse mai più a lungo di un istante, la vista della consorte dedita alla preparazione di un pranzo o una cena per tre o per quattro, in mancanza d'altri ospiti, quasi lo rasserenava, impercettibilmente, giusto il tempo di superare la cucina per recarsi in salotto, in bagno, o in camera da letto, terminati gli allenamenti.
Non l'aveva mai scorta conciata alla stregua di quelle sciocche Terrestri alla TV a cui Muten e Oolong tanto anelavano. A Bulma piaceva di più l'ebbrezza del ritardo sul posto di lavoro, causato dal percorso a piedi e non in auto, al mattino. Apprezzava maggiormente farsi carico dei sacchetti della spesa portati a mano fino a casa, piuttosto che incapsularli o lasciare che, di tanto in tanto, fossero lui ed il figlio, a portarglieli. Benché della scarsa propensione all'aiuto Bulma avesse costantemente da lamentarsi, quando una volta tanto i due si lasciavano adescare dal desiderio d'alleggerirla venivano quasi mandati al diavolo, accompagnati da strepiti quali: “...E così adesso pensate sia diventata troppo vecchia e gracile per farcela da sola, eh?! Beh, vi sbagliate di grosso, sparite!”.
Bulma era bella, bellissima. Innegabilmente bellissima e sensuale. Sensualissima, sfacciatamente impertinente; intelligente, perspicace... Ed evidentemente un po' matta. Da legare, più spesso di quanto si potrebbe credere. Gli influssi ormonali, meteorologici, alleati dell'effetto serra, chi più ne ha più ne metta, tutti loro trovavano in Bulma uno scoglio perfetto a cui aggrapparsi in ogni situazione, anche quella da cui nessuno si aspetterebbe più di un sospiro qualunque.
A Vegeta, talvolta, questo piaceva, molto più frequentemente lo lasciava indifferente o lo adirava, ma lei era fatta così. E mai come con l'esperienza tutta nuova di una vera famiglia propria, il Saiyan aveva avuto modo di imparare che ciò che si ama, lo si ama nei suoi lati belli e nei suoi spigoli brutti. Se non altro, almeno per il fatto che lei, del suo passato di efferato stragista, se n'era sempre amabilmente infischiata. Glielo doveva? Può darsi, sta di fatto che ben poche erano state le volte in cui, allo scorgere dell'inizio di una di quelle crisi isteriche, Vegeta si era opposto a Bulma o l'aveva addirittura combattuta. Con Trunks, s'erano sempre defilati svelti ed evasivi, fin troppo.
Vederla ora scrutare insistentemente sotto il bordo del tavolo in legno chiaro, presumibilmente i contorni del ventre o l'ampiezza del giro coscia, gli conferiva quella ritrovata carica adrenalinica che solo i loro antichi battibecchi nati per caso, erano riusciti a penetrarlo all'infuori della propria natura guerriera, in tempi affatto sospetti. Quasi avrebbe provato un poco di dispiacere, nell'aver pungolato così sul vivo la propria adorata Bulma, ma ormai che s'era in ballo... S'aveva da ballare.

“D-Davvero trovi che... Che sia ingrassata? E... E dove, di preciso, qui? O magari, qui, sì, sicuramente, qui, sulle guance...”.

Bulma stava indicando con scatti fulminei a Vegeta tutte le parti del proprio suadente corpo come si fosse trattato di mera plastilina e non del materiale combustibile con cui lui stesso ravvivava il proprio sempre pressante fuoco più intimo.
In realtà, se solo avesse trangugiato quel dannato ramen con più pacatezza, non gli sarebbe neppure dispiaciuto, vederla finalmente compiaciuta quanto lui dell'arte del mangiare in generale. Ma su quei suoni, che già all'ultimo Tenkaichi aveva sopportato appena da quel bifolco di Kaharot e dai tre mocciosi mezzosangue, sulla bocca di sua moglie, poi, proprio non riusciva a sorvolare. Possibile che una donna tanto attenta e fissata con la moda, con il bon-ton e con la propria stessa bell'immagine, non si avvedesse di un tale comportamento? Non era questione di far brutta figura, si trattava pur sempre dell'intimità della loro casa. Era, forse, questione di aver smesso col vizio del fumo, finalmente, salvo aver preso ora quello del ramen ad ogni pasto, in tali quantità, con quella voracità tanto loquace. Riusciva persino a divorarne un paio in più di quelli che si concedeva lui! Avrebbe finito per terminare le scorte e, causa chiusura per ferie del supermercato all'angolo, chissà quanto tempo sarebbe trascorso prima che lei o Bunny decidessero di andare a far nuovamente la spesa. Quando si trattava di vestiario e chincaglierie simili, ogni momento era buono, ma se si trattava di carni, verdure, precotti, bevande e latticini, di beni primari, insomma, allora il tragitto diveniva terribilmente lungo, il tempo a disposizione era sensibilmente scarso e, in ogni caso, le sporte assumevano un peso insopportabile, anche se Trunks decideva di dare una mano. In quei casi, al diavolo dieta ed esercizi fisici, v'erano boutiques da svaligiare, per rimanere in allenamento!
Giunto a quel punto, al principe dei Saiyan non sarebbe rimasto altro che alzare i tacchi, deluso dal mancato contrattacco della compagna troppo punta nel fondo di verità colta. Ma Bulma era Bulma e Vegeta era Vegeta e prima di tutto quei due erano un indecifrabile ed incredibilmente compatto plotone di carica esplosiva perfettamente sincronizzata ed agguerrita. Perciò, nel momento in cui l'attenzione della scienziata riuscì a spostarsi dai contorni del proprio corpo per finire su quelli del bel viso di lui, domandandogli allora cosa avrebbe dovuto dire, lei, delle due macchioline di sugo sin sulla sua ampia fronte, la sera prima, Vegeta non poté far altro che aggiungere, quieto e affilato, appropinquandosi all'uscita della stanza: “Un po' d'acqua e le macchie vanno via, il grasso su quelle rughette intorno alle labbra, invece, non credo ti starebbe granché bene”.
Non si concesse nemmeno il tempo di godersi lo spettacolo dell'ira funesta di Bulma; sogghignante, diretto verso il salotto, se la volle immaginare soltanto e fece bene. Bulma, anziché esplodere come di consueto in urla e strepiti inviperiti, imbarazzati e indignati, inarcò solo le fini sopracciglia, borbottando ancora seduta a tavola qualche imprecazione al consorte, mentre con una mano reggeva il bollitore colmo d'acqua calda e con l'altra apriva il coperchio della terza confezione di ramen precotto.




-Fine-

  
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