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Autore: Marti5    28/10/2015    1 recensioni
Kane abita in un appartamento nella periferia di Dublino, al terzo piano di un condominio.
La sua vita è tranquilla, seppur mossa dai classici dilemmi che spingono un artista a mettersi in continuo esame. Il ragazzo si muove tra teatro, musica composta ma mai ascoltata e racconti scritti ma mai mostrati ad alcuno.
Sembra che nulla possa toccare lui e il suo quotidiano. O almeno, questo è quello che crede.
//E' un esperimento, una favola moderna se vogliamo, e non vuole pretendere nulla che non sia l'attenzione del lettore. Spero di esserci riuscita, a presto i nuovi capitoli! Un grandissimo bacio
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il tramonto colorava ogni cosa sulla quale i propri raggi colavano come morbido miele, regalando dall'alto dell'appartamento modesto una vista surreale. 
Kane abbassò le maniche del maglione, punto dal fresco della sera imminente, e lasciò che il sole gli scaldasse appena il viso, trattenendo tra le mani la tazza di caffè appena fatto. La miscela sapeva vagamente di stantio, ma il ragazzo non ci prestò troppa attenzione, lasciando che quel sapore venisse migliorato dall'umore stranamente quieto che l'animava, quella sera.
Il tramonto di Dublino l'aveva colpito fin dal primo giorno che aveva messo piede in Irlanda, e forse era da attribuire a quei colori sgargianti che il calare del sole provocava la decisione di mettere radice proprio lì, a miglia di distanza dall'America, con un oceano intero posto tra lui e la sua infanzia.
Il ragazzo fu strappato da quei pensieri dal trillare preciso e fastidioso del telefono. Si ripeteva in continuazione che avrebbe dovuto cambiarla, quella dannata suoneria, ma sbadato com'era finiva sempre per pensare a qualcos'altro.
"Pronto?"
"Ehi, scemo, dove sei?"
La voce squillante di Trisha era, se possibile, ancora più acuta dello squillare del proprio cellulare. Kane rise di quel pensiero, e portò lo sguardo a soffermarsi sul profilo dei palazzi oltre il fiume.
"Sono a casa, idiota. Dove dovrei essere?"
Raccolse la tazza ormai vuota, rientrando nel piccolo appartamento e lasciando che il vento trovasse lo spiraglio per entrare dalla porta di vetro sul balcone. 
Definire disordinate quelle stanze sarebbe stato riduttivo. Tuttavia Kane non aveva coinquilini che potessero lamentarsi, e viveva il proprio disordine nella più totale noncuranza, preferendola all'ordine convulso che pareva tanto caro a sua madre.
"Magari alle prove? Ti sei scordato dello spettacolo del mese prossimo?!"
Il ragazzo alzò gli occhi al cielo, scostando col piede una maglietta rimasta in terra e portandosi in cucina. 
"Oggi pomeriggio non era obbligatorio, lo sai.. E comunque so già la partitura a memoria, fai un po' tu." Asserì, sciacquando la tazza e riponendola nella mensola alle sue spalle. Poggiò il peso del corpo contro il marmo fasullo del ripiano basso, incastrando tra l'orecchio e la spalla il cellulare e liberando entrambe le mani con l'intento di aprire un vecchio barattolo.
"Tu piuttosto, acidona, che stai facendo?"
"Mh, niente di importante, sono appena uscita dal teatro.. Ti va se passo? Non ho voglia di andarmene a casa a sentire le infinite ramanzine di mia madre su quanto sia carino il figlio della sua collega, o cose del genere."
Rise di gusto, Kane, mentre lanciava uno sguardo all'orologio. Erano soltanto le sei, e a lui pareva già che la giornata fosse conclusa da un pezzo. 
"Guarda esco anch'io, se non ti spiace vederci fuori. Casa mia è un macello, non vorrei costringerti ad ammirare questo spettacolo" Disse divertito, mentre s'infilava velocemente un paio di calzini e cercava le scarpe nel caos. Trisha rise, dall'altro capo del telefono.
"Va bene, ci vediamo al solito Cafè, tra un quarto d'ora."
"Perfetto, ci vediamo lì."
Attese di riagganciare il telefono, prima di sussurrare un'imprecazione. Avendo indossato solo la scarpa destra, zompettava per casa come fosse Igor, di Frankenstein Junior. Dove accidenti aveva infilato l'altra?
Perse un quarto d'ora soltanto per ricordarsi che l'aveva scalciata fuori al balcone quand'era rientrato. Raccolse alla veloce la sciarpa, ignorando le chiamate dell'amica e fiondandosi alla porta. 

La chiave girò scricchiolando nella toppa, e Kane rientrò finalmente da quello che avrebbe dovuto essere un breve incontro, e che s'era trasformato in una cena vera e propria. 
Il ragazzo sfilò il maglione e lo gettò su una sedia, abbandonandosi sulla poltrona accanto alla finestra. Trisha aveva quello strano potere di rendere il tempo impalpabile, e di rallentarlo sino a farlo scomparire quasi del tutto. Kane sorrise a quel pensiero, massaggiandosi il naso e sfilando dal pacchetto nei jeans una sigaretta.
Il fumo si disperse veloce oltre la finestra aperta, lo sguardo di Kane a seguire le volute chiare. Il buio aveva inghiottito ogni cosa, senza tuttavia spegnere il quartiere periferico e la sua atmosfera calda. La luce dei lampioni arrivava a malapena nel vicolo dove la piccola finestra s'affacciava, al contrario del balcone. Da lì Kane vedeva sopraggiungere ogni fonte di luce, anche se, a dire il vero, preferiva di gran lunga starsene in poltrona, nella fioca luce che le lampadine delle piccole lampade da tavolo gli regalavano.
Quella sera non aveva acceso nulla. Osservava nell'ombra le finestre di fronte alla sua, e per un istante gli parve di vedere qualcosa muoversi nell'apertura più vicina. Due nubi, acquose e sfocate, lo stavano osservando.
Si sporse, e nel barlume di un istante la luce dietro le tendine, in cui si celava quello che sembrava a tutti gli effetti uno sguardo, si spense. Kane fissò ancora il quadrato nero, nella speranza di capire: forse aveva visto male, era stanco e aveva un sonno dannato a gravargli sulle spalle...
Scosse la testa, prendendo una boccata vorace dalla sigaretta. Trisha gli avrebbe dato del paranoico, se glielo avesse detto. 
La stanchezza prese il sopravvento sui suoi pensieri, e il giovane s'addormentò così, la testa contro l'alto schienale, la sigaretta spenta in mano e una veglia silenziosa a fargli compagnia, senza che lui ne sapesse nulla.
   
 
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