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Autore: Alvin Miller    29/10/2015    1 recensioni
[ATTENZIONE - ATTO EXTRA DI FOTK:ER, potete leggerlo anche se NON avete mai toccato con mano la saga!]
Una prospettiva differente dello stesso disastro.
Quando Manehattan ha subito l'assalto da parte di una misteriosa creatura gigante, sbucata dalle profondità degli abissi, la neo-Principessa Twilight Sparkle era già sul posto per investigare sulla vicenda, con il contributo delle sue amiche e degli Elementi dell'Armonia riuniti. Ma quando il nemico è un'entità così sfuggente e ignota, possono i soliti strumenti fare davvero qualcosa? E questa entità, è davvero un predatore solitario, oppure c'è qualcuno, che da lontano amministra la situazione e prepara le sue pedine in vista della guerra che sta per infuriare?
Genere: Azione, Drammatico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Le sei protagoniste, Nuovo personaggio, Princess Celestia
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Artwork by Alvin Miller


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4 – La Tana


Silver Sprint cominciava a sentire l’urgenza farsi strada attraverso di lui.

Stavano volando sulle tracce del mostro da più di un’ora, viaggiando in formazione attraverso gli altopiani di Hollow Shades, spediti tanto quanto il suo squadrone riusciva a stargli appresso. Si erano ricollegati al Sentiero grazie alle impronte che il mostro aveva lasciato nel terreno una volta approdato sulla costa (profonde fosse, quanto quelle che solcavano le strade in città), risparmiandosi così il gravoso compito di capire da quale parte si fosse diretto. Ma anche così, nonostante la sua mole stesse chiaramente giocando a loro favore, l’assenza di una reazione tempestiva da parte dell’aviazione gli aveva dato ormai tempo di allontanarsi dalla zona.

A quel punto poteva trovarsi dovunque nel regno, forse perfino in procinto di assaltare una nuova città. Fillydelphia, per esempio, era poco più a sud rispetto alla direzione che stavano intraprendendo, ma se anche la creatura avesse seguito la via, attraversando la catena montuosa e superando le Neighara Falls, la tappa successiva erano direttamente le Crystal Mountains, che celavano l’Impero di Cristallo e tutti i suoi antichi segreti. Per non parlare dei tanti piccoli paeselli (Hollow Shades stessa, per esempio) che sorgevano tra quelle alture e che in ogni momento correvano il rischio di essere incrociate dal titano.

«Forza, ricordatevi che cosa siamo venuti a fare!» Spronava il Luogotenente incitando gli altri a dare il massimo, bruciando i secondi di distacco, ma sapeva bene che nessun altro pegaso (a eccezione forse di Bullseye e di quella Custode degli Elementi, Rainbow Dash) aveva la stamina per stare dietro ai suoi poderosi muscoli alari, così dovette limitarsi a un ritmo che per lui era poco più che una blanda svolazzata.

La verità era che dentro di lui si agitava un grande tumulto, che non accennava a diminuire. Davanti alla gente il suo retaggio gli imponeva di dare di sé un’immagine fiera e perentoria, con la testa ben piantata sulle spalle e gli occhi sempre puntati alla prossima meta, ma la verità era leggermente diversa: lontano dalla folla, libero dal travestimento che era costretto a esibire in situazioni formali, anche lui era un pony facilmente soggetto alle emozioni equine, laddove erano coinvolte persone a lui care. In particolare in quel momento non era la missione a preoccuparlo (non completamente, almeno), bensì le sorti di sua figlia, che in quelle ore era distesa a letto in balia di una forte influenza.

La piccola Lil’ Wing era sempre ammalata, questo bisognava dirlo. Era sfuggita miracolosamente alla distruzione perpetrata dal mostro, dal momento che la loro casa si trovava al di fuori dal raggio d’azione del Sentiero. Così com’era successo alla sua Foalsitter, che fortuna voleva che proprio quel giorno dovesse badare a lei. Questa era una studentessa della MHU, l’università locale, i cui dormitori erano annoverati nell’elenco dei palazzi rasi al suolo dalla creatura. Ogni tanto teneva la piccola per sbarcare il lunario e pagarsi gli studi, e Silver Sprint era sempre lieto di poterle dare uno zoccolo.

Quel giorno doveva prepararsi per un importante esame, e non aveva accettato di buona volontà di stare accanto alla bambina, ma il Wonderbolt aveva insistito; da quando sua moglie era perita in un disgraziato incidente un anno prima, investita da una carrozza trainata da un folle, si era sempre rivolto a lei quando doveva lasciarla alle cure di un paio di zampe fidate, in particolare, quando Lil’ Wing era costretta a letto per qualche malanno. Così la ragazza aveva finito per accettare l’incarico, e di questo ne sarebbe rimasta grata fino alla sua vita successiva. Si poteva quasi affermare che la malattia della puledrina l’aveva salvata da morte sicura!

Solo che adesso toccava al padre fare la sua parte in quella giornata. Doveva guidare i suoi aviatori alla ricerca del mostro, e impedire con ogni mezzo che ad altre città toccasse la stessa sorte di Manehattan.

Si sentì urtare il fianco da una gomitata. Non era un colpo violento, anzi avrebbe riconosciuto quel particolare tocco fosse stato anche bendato e in mezzo a una folla: era Bullseye, il suo migliore amico e l’unico che non si lasciava influenzare dalla particolare aura di mito che aleggiava intorno al Luogotenente. Era di un manto bianco, candido e brillante, con una criniera rosso lampone sulla quale dominava sporgente un generoso ciuffo a banana, il suo cutie mark rappresentava un bersaglio per il gioco delle freccette.

«Tutto ok Young Dart? Hai bisogno di parlare?»

Silver lo guardò accigliandosi. «Perché me lo chiedi?»

«Beh, tanto per dirne una, qui dietro lo si nota che non sei particolarmente su di giri.» Gli fece notare in tono scanzonato, quello che si dedica solo agli amici di lunga data.

Il pegaso dalla criniera d’argento diede uno scorcio ai due Wonderbolts che li seguivano sotto pesante sforzo. Suoi loro volti, oltre alla fatica, era tangibile l’angustia per gli avvenimenti recenti. Chissà che aspetto doveva avere lui, si domandò.

«Sono preoccupato» Disse a voce più bassa, abbastanza per non essere udito dagli altri.

«Per la missione o per… » sospese la frase.

Con un cenno del capo, Silver confermò la seconda. «Non riesce a riprendersi, e sono ormai quattro giorni che è bloccata a letto. Non so proprio come comportarmi quando fa così.»

Il timore per la salute di sua figlia era presto spiegato anche a causa della scomparsa della moglie. Ai tempi l’impatto della notizia lo aveva sconvolto fin nel profondo, e più volte si era trovato a pensare che se fosse stato uno stallone con uno spirito combattivo più debole del suo, sarebbe crollato dinanzi agli eventi senza alcuna possibilità di risalire.

Da quel giorno divenne più arduo mostrarsi composto in pubblico, e questo Bullseye lo sapeva bene.

«Te lo dico da sempre: secondo me dovresti solo lasciare che la malattia faccia il suo corso. Sono bambini, ogni giorno sono a contatto con non so nemmeno quanti milioni di germi diversi, è normale che si ammalino. È il sistema immunitario che deve farsi i muscoli per quando cresceranno, o qualcosa del genere.»

Sì, era quello che ai tempi aveva riferito il pediatra a Silver, e che lui a sua volta aveva raccontato a Bullseye, ed ora Bullseye glielo stava restituendo.

Il Luogotenente annuì, continuando ad aprirsi. «Poi questa storia dell’attacco non ha certo migliorato le cose. A noi è andata di lusso, ma gli altri? Quelli che sono stati presi in pieno?»

Senza accorgersene stavano rallentando, e nel frattempo udivano i battiti delle ali dei due pegasi dietro farsi sempre più vicini. A quella distanza lo avevano quasi certamente sentito, nonostante il fischio dell’aria stesse ammantando la sua voce.

«È un casino sì. Ho dei cugini che stanno dalle parti di Columbine Circle.» Confessò Bullseye.

Silver Sprint sgranò gli occhi per lo stupore.

«Stanno bene, ho chiesto un po’ in giro prima di partire.» Lo rassicurò, e a quel punto la velocità di entrambi riprese il s scatto regolare. «Quello che è successo in città non lo augurerei a nessuno. Ma lo sai? Voglio essere ottimista! Quella bestia è stata pure così gentile da lasciarci una pista da seguire… » infatti non c'rano solo delle impronte a testimoniare il suo passaggio: talvolta allo squadrone capitava d’imbattersi in interi boschetti sventrati, oppure in enormi frane che erano crollate dal fianco di una montagna. «Dobbiamo solo trovarlo, e a quel punto ci penseranno le Principesse a toglierlo di mezzo!»

“E le Custodi” pensò Silver tra sé e sé, ricordandosi di quella Rainbow Dash e del suo Elemento della Lealtà.

«Senti amico, te la ricordi quella serata al Warm Flank?» Uno strano sorriso si tracciò sulla bocca di Bullseye.

«Aha… » rispose l’altro in tono ambiguo.


Eccome se la ricordava, quella serata! Si trattava di un Club notturno nel quale avevano festeggiato l’addio al celibato di un loro sotto-ufficiale, quasi due anni prima (data antecedente di qualche mese al terribile lutto che si sarebbe abbattuto sulla sua famiglia). Avevano brindato con sidri di ottima qualità, intrattenendosi poi (alcuni dei partecipanti) con belle e bendisposte giumente. Poi, dopo aver calato il bicchiere della staffa, lui e l’amico erano usciti nel cuore della notte, ubriachi ed euforici, sfidandosi (non ricordavano da chi fosse partita l'idea) a una gara di velocità. Bullseye era svelto, un aviere molto capace ed esperto, che tuttavia non era mai riuscito a superare il livello di Silver Sprint.

Il Luogotenente era solito prenderlo in giro, affibiandogli la colpa della disparità al suo ciuffo, che a sua detta era “poco aerodinamico”.


«Bene, vedi quel rilievo laggiù?» Indicò la collina che si frapponeva fra loro e il Sentiero. Il pegaso argentato temette per ciò che sarebbe successo da lì a poco, ma decise ugualmente di dare un po’ di spago all’amico.

«Prova a starmi dietro!» Lo provocò, schizzando nella direzione indicata.

“Non ci credo, vuole farlo sul serio?”. Si girò verso gli altri due Wonderbolts. «Voi due non perdete di vista le impronte.» Disse severamente.

Gli aviatori si scossero, spalancando le bocche, provando quasi a obbiettare, ma a quel punto Silver aveva già coperto metà della strada che lo distaccava da Bullseye.

In realtà sapevano entrambi che ci poteva essere un solo e unico vincitore in quelle competizioni, ma non erano questi i reali intenti del pegaso dalla criniera lampone.

Bullseye, sentendolo arrivare espose un ghigno di trionfo. Era ciò di cui l’amico aveva bisogno, qualcosa che lo separasse dalle sue preoccupazioni. Pochi secondi e Silver lo aveva già superato con un guizzo fulmineo, e la gara continuò a posizioni invertite. Bullseye non dovette neppure fingere d’impegnarsi, il suo amico era veramente il più veloce di tutti.


I due si conobbero ai tempi dell’Accademia. Stesso plotone ma caratteri contrapposti. Silver Sprint dai primi giorni era stato un cadetto modello, sempre attento e ligio agli ordini del Sergente Istruttore, tanto che ben presto i suoi superiori cominciarono ad attribuirgli il nomignolo di “Young Dart”, poiché era ciò che sembrava quando lo vedevano librarsi tra gli ostacoli del campo d’addestramento.

Bullseye era invece uno dei massimi esperti in una disciplina molto in voga in un’ampia fetta di pegasi: la pigrizia. Quando si trattava di volare era un vero asso, un talento di natura, forse persino migliore del pony dai capelli argentei. Ma questo lo rendeva esuberante e spavaldo, troppo sicuro di sé, e di conseguenza, posto sotto una cattiva luce agli occhi dei Wonderbolts più anziani. I due finirono per entrare in competizione praticamente dal loro primo giorno di camerata, in uno scontro di tecnica e talenti che ben presto si tramutò in una guerra in campo aperto, al punto che da rivali, i due divennero acerrimi nemici.

La faida proseguì in una lotta senza quartiere per due lunghissimi anni, mietendo vittime sia da una che dall’altra ala. Silver Sprint, per essere al passo con le abilità della nemesi, decise di sacrificare parte del proprio programma di studi sviluppando tecniche di volo uniche e audaci, mirate al solo fine di superare di livello il suo avversario. D’altra parte, Bullseye cominciò a pagare lo scotto per la sua condotta poco responsabile. Ancora valente come aviatore, era però incapace di contrastare la forza di volontà e l’impegno dell’altro.

Così accadde che quando non vi fu più spazio per le competizioni, passarono al vilipendio e alle azioni di sabotaggio reciproco. Furono richiamati innumerevoli volte e talvolta sospesi dall’addestramento, fino ad arrivare persino a causare un grave incidente quando Bullseye manomise il macchinario per la creazione delle tempeste artificiali, scatenando un nubifragio che per poco non rase al suolo gli edifici dell’Accademia.

Quel giorno Silver Sprint e Bullseye furono costretti a mettere ordine al disastro che avevano combinato, il tutto mentre il Capitano, dal suo  sconquassato ufficio, decideva per il loro futuro.

Erano all’aperto, tenuti sotto rigida osservazione da un ufficiale incaricato a supervisionare la pulizia, che proibiva loro qualsiasi forma di contatto o interazione, perfino visiva (non voleva rischiare che sfociassero in ulteriori conflitti). Meglio così, aveva pensato Silver, perché non era nell’umore di discutere col compagno.

Per passare il tempo, cominciò a rimuginare con intensità su quanto era avvenuto, e solo allora si rese conto di quanto stupidamente si stava scavando la fossa da solo, dopo aver toccato il fondo già da un sacco di tempo. Essere in competizione con un altro pegaso, anche solo odiandolo con tutto il cuore, non valeva il suo futuro come Wonderbolt in Accademia, tanto più se quell’odio rischiava di mettere in pericolo la sicurezza degli altri pony, sprecando i proprio sogni e macchiando la propria reputazione in nome di una rivalità infantile che non portava da nessuna parte.

Promise a se stesso che non ci sarebbe più ricascato, così decise di fare qualcosa che avrebbe dovuto pensare già da tempo. Fu una decisione importante, che se avesse raccolto prima, avrebbe evitato molto di ciò che era successo nei mesi precedenti.

Arrivò il momento della pausa pranzo. Ogni pegaso sa che per volare in forma deve nutrirsi bene e bilanciare attentamente la propria dieta, e a nessuno, per quanto rinnegato che fosse, dovrebbe essere negato il proprio diritto a volare, pertanto il cibo era sempre garantito, anche al più insubordinato dei cadetti. Ai due era stato però proibito di avvicinarsi alla mensa, pertanto si dovettero organizzare all’aperto, seduti per terra e distanti l’uno dall’altro. L’ordine era di consumare il loro rancio di fretta per poi rimettersi immediatamente al lavoro, ma per una negligenza del loro sovrintendente, che aveva anticipato l’ora del cambio-turno, si erano ritrovati per alcuni minuti da soli.

Silver Sprint mangiò velocemente il proprio, quindi si alzò e si mosse con fare prudente verso lo storico nemico.

Il Pegaso dalla criniera lampone se ne accorse, mettendosi subito sulla difensiva. La sua espressione divenne un quadro truce e minaccioso, ringhiando come fosse un lupo del legno. «Che vuoi?! Vattene o mi metto a fare casino, lo giuro su Celestia!»

Erano entrambi tesi, vedendoli da fuori qualcuno avrebbero pensato che stessero per venire agli zoccoli di nuovo.

«Ho pensato a quello che è successo ieri. A quello che hai fatto… » disse Silver, ma poi si arrestò «a quello che IO ti ho costretto a fare.» Aggiustò il tiro. Se erano arrivati a quel punto, infatti, la colpa era stata anche sua.

Bullseye lo ispezionò scettico, chiedendosi cosa stesse tramando, ma dopo un po’ che erano rimasti entrambi in sospeso, qualcosa cominciò a smuoversi. Anche lui, dopo averci riflettuto a lungo, aveva intuito che erano arrivati sul bordo del precipizio, e se fossero caduti insieme, non ci sarebbero state ali capaci di risollevarli.

«Già, ho un po’ esagerato stavolta.» Ammise calando lo sguardo.

Silver fece una smorfia, interrogandosi se fosse sufficiente definirlo “esagerato”, ma non glielo disse.

«No, sai… » continuò «avevo girato quella manopola credendo di metterla su “Uragano”. Ma si vede che è si è fermata su “Maelström”, o qualcosa del genere.»

Era una battuta. Il pegaso argenteo provò l’impulso di ridire, ma di nuovo non si sentì pronto a condividere con lui una simile apertura.

L’altro notò la sua mancanza di reazioni, e gli chiese: «Volevi dirmi altro?» Ora il tono era sorprendentemente cordiale e rilassato.

«Credo di sì. Credo che sia arrivato il momento di finirla. All’inizio era divertente avere qualcuno con cui confrontarsi, con cui mettersi alla prova. Ma sai, questa cosa ci è sfuggita di zoccolo ormai! Quello che è successo ne è la prova.»

«Già, infatti… »

«Voglio solo diventare un bravo Wonderbolt un giorno, qualcuno che la gente guardi con rispetto! Non voglio buttare al vento una grande occasione solo per colpa di una rivalità che non ho neppure iniziato io!»

Bullseye lo guardò storto. «Fermo, stai forse insinuando che la colpa è mia?!»

Silver si morse il labbro, punendosi per la sua audacia. «No… senti, chi se ne frega, ok?! Voglio solo voltare pagina e fare in modo che non si ripeta! Ho sbagliato a rispondere al fuoco, lo so, e mi prenderò le mie responsabilità. Ma se avrò ancora un’occasione di restare qui, in questa Accademia… non ho intenzione di sprecarla facendoti la guerra in ogni sacrosanto momento!»

«No, infatti. Neanch’io lo voglio se è per questo… » farfugliò l’altro, grattando un po’ di terra con la punta dello zoccolo.

«E allora perché non ci fermiamo? Invece di sbarrarci il passo a vicenda, perché, che ne so… non diventiamo amici?»

Con quella frase aveva fatto centro, anche se non se ne rendeva ancora conto. In quel momento i muscoli facciali di Bullseye si distesero, formando nuove espressioni. «Tu ed io? Cioè, vuoi dire… TU ed IO?»

«E’ così difficile da immaginare? Tu sei bravo di natura, io sono uno che si impegna molto. Potremmo continuare a metterci alla prova insieme, senza però ostacolarci l’un l’altro!»

«E continuare lo stesso a frequentare l’Accademia… » rifletté Bullseye ad alta voce, la proposta in effetti gli suonava invitante.

«Beh, questo dipenderà da cosa deciderà il Capitano… »

Proprio in quel momento, come se fosse rimasto in ascolto, un ufficiale Wonderbolt corse verso di loro sbraitando a tutto volume.

«… a proposito, guarda chi arriva.»

Era il Sergente Istruttore del loro plotone, che aveva visto sul nascere e poi evolversi fino a degenerare la loro rivalità. Non sembrava contento di vederli intavolare una conversazione così ravvicinata.

Bullseye nel frattempo si era alzato e aveva colpito Silver con una gomitata. Lui fece per protestare, ma fu stoppato da un’esclamazione entusiasta del compagno di punizione.

«Sì!» Disse Bullseye, esibendo un sorriso raggiante.

«Uh?» Silver lo guardò, ma non era sicuro di capire a che cosa alludesse.

«Voglio essere tuo amico, Young Dart!» Gli confermò lui, e a quel punto si trovarono davanti il faccione incollerito del loro superiore.

Fu così che cominciò tutto.

In seguito si rivelò non poco difficile convincere il Capitano (e con lui tutto l’istituto) dell’improvviso cambiamento avvenuto nei due pegasi. Nessuno reputava plausibile il voler diventare amico di qualcuno che per tanto tempo si era solamente cercato di distruggere. Ma loro dimostrarono a tutti in contrario, salvando il proprio banco in Accademia e la loro nascente carriera. I Wonderbolts, tra le altre cose, avevano bisogno di elementi talentuosi come loro per portare avanti l’orgoglio del corpo militare, pertanto un’espulsione dal corso era da ritenersi fuori questione.

Per tutti gli scettici, il tempo diede presto ragione ai due, e tra Silver Sprint e Bullseye nacque una profonda fratellanza, che avrebbe continuato anche dopo il loro periodo di formazione, e che niente al mondo avrebbe potuto infrangere.

Fu Bullseye a fargli conoscere la giumenta che un giorno sarebbe divenuta sua moglie, e aveva di buon grado accettato di essere il padrino di Lil’ Wing, quando questa era venuta al mondo. In seguito, quando Silver divenne vedovo in quello sfortunato incidente, fu grazie al suo supporto che riuscì a resistere, trovando la forza per andare avanti.

Essere un modello per le nuove leve, un mito per le masse, e allo stesso tempo un padre amorevole e attento. Niente di tutto ciò sarebbe stato possibile senza il sostegno del pegaso dalla chioma lampone, e dal cutie mark a forma di bersaglio…

 

Quel giorno avevano un compito da rispettare, dovevano trovare la creatura e fare rapporto in città, affinché chi di dovere sapesse dove andare e cosa aspettarsi una volta arrivato. Ma quella puledresca gara che stavano ingaggiando nel cielo era allo stesso modo importante, tanto quanto lo erano gli ordini dei superiori. C’era qualcosa di speciale nell’atto di competere che chi non conosceva i loro trascorsi in Accademia non avrebbe mai potuto immaginare.

Bullseye cercò di stare al volo di Silver Sprint, svuotando progressivamente le proprie riserve d’energia. In cuor suo s’illudeva di riuscire ancora a vincerlo in una gara, anche se ne erano trascorse di lune da quando competevano quasi a pari livello.

Cercò di trarre una stima di quanto distacco lo divideva dal Luogotenente, e per un momento gli sembrò di avere quasi guadagnato terreno, quando… anzi no! Non era un’impressione! Silver Sprint stava perdendo velocità, e ora la sua sagoma distante s’ingrandiva, occupando sempre di più il suo campo visivo. Mancava ancora poco al raggiungimento del rilievo che Bullseye aveva segnato come punto d’arrivo, e forse ce la poteva ancora fare se solo si fosse focalizzato sul superamento dei suoi limiti!

Il pegaso dalla criniera argentata si fermò tutto d’un tratto, senza completare la tratta. L’altro per poco non gli finì addosso, evitandolo per un soffio con una virata secca verso sinistra.

“Che gli è preso?” Si domandò Bullseye, ma non gli diede troppa importanza. Lo aveva superato finalmente! Ora aveva l’occasione di portare a casa una vittoria, e di potergli sbattere in faccia che era riuscito a…

Poi la vide, la stessa cosa che aveva visto l’amico, e anche lui si fermò, dimenticandosi completamente della gara.

Oltre alla collina, tra le punte della catena montuosa di Hollow Shades, le impronte del mostro proseguivano giù per un avvallamento dove anemici ciuffi di verde tentavano di crescere su di un terreno sterile e pietroso, e nel punto in cui s’innalzava un ampio e sovrano crinale, il Sentiero incontrava il suo  termine in un enorme cunicolo, scavato dentro roccia. La grotta, alta decine di metri, era occultata sul lato sinistro da un'alta dorsale, la quale proiettava la propria ombra sulla soglia del varco. Sembrava che il mostro l’avesse scavato da poco, forse partendo da un cunicolo più piccolo che era già aperto in precedenza. Cumuli di terra e roccia alti come una casa ostruivano in parte il passaggio, che comunque era sufficientemente ampio da lasciare un varco per qualunque creatura avesse avuto la sfrontata idea di volerla esplorare.

«Che Celestia mi colpisca… » commentò Bullseye, che si era riunito col proprio gruppo. Tutti e quattro insieme erano poi atterrati a breve distanza, in un punto rialzato dal quale poterono contemplare il varco in tutta la sua interezza, e con lo stupore nelle pupille e sulla bocca.

«Ok, o c’è un’Ursa Major che si dedica all’edilizia, oppure abbiamo trovato la tana del mostro. Cosa facciamo, Signore?» Davanti agli altri aviatori, Bullseye si rivolgeva a lui con l’attributo formale, così come gli veniva imposto dalla differenza dei gradi.

Silver Sprint era rimasto con gli occhi sbarrati come tutti gli altri, sprofondando con la mente nell’oscurità che emergeva dall’antro. «Proviamo a entrare.» Disse. «Vediamo fino a che punto si è addentrato, in caso poi decideremo il da farsi.»

Al pegaso dalla criniera lampone, però, l’idea non piacque per niente, e non mancò di farlo notare. «Signore, non lo so. È sicuro che sia una buona idea?»

«Preferirei di no, ma non abbiamo scelta.» Ammise strenuamente. «Dobbiamo essere certi che sia davvero là dentro, che non si sia addentrato nelle viscere della terra. Consideriamo anche il fatto che potrebbe essere emerso da qualche altra parte. Non possiamo fare rapporto senza prima avere la certezza che si trovi realmente laggiù.» Si girò verso gli altri avieri. «Ascoltate pony, non so che cosa troveremo una volta entrati, ma qualsiasi cosa sia dobbiamo essere pronti e affrontarla insieme. Io non intendo lasciarvi, sappiatelo. Ma prima di procedere devo essere sicuro che voi tutti sarete altrettanto fedeli a me. Lo sarete, Wonderbolts?» I pegasi, anche se provati dal ritmo di volo, annuirono energicamente. Silver quindi guardò di traverso e con un solo occhio l’amico. «E tu, Bulls?» Chiese aspettando.

Le labbra di Bullseye si strinsero, mentre lottava contro il disagio. «Uhm, ho idea che ci cacceremo nella gola del drago… beh, non posso certo disertare, Signore… » concluse.


La caverna era tanto buia quanto immensa. Sembrava quasi che la luce ne venisse divorata non appena tentasse di penetrarvi.

I quattro avanzarono a zoccoli, marciando in gruppo senza fare alcun rumore.

Silver Sprint, intanto, studiava l’ambiente per quanto la visibilità glielo permetteva: le pareti erano solcate da segni di artigli riconducibili alla creatura, simili a quelli riscontrati su alcuni palazzi in città, e terra e roccia sulle superfici irregolari erano schiacciate verso i bordi e compresse da una forza spaventosa. Una nebbiolina sottile e invadente, che in realtà era polverio, aleggiava nell’aria impregnandola dell’odore del limo. Tutti segni inconfondibili che qualcuno vi aveva scavato da poco tempo.

Qualcosa si staccò dal soffitto, e i quattro si allarmarono quando udirono l’acuto tuono della roccia che cadeva da qualche parte più in là. Man mano che avanzavano, diventava così buio che oramai a fatica riuscivano a distinguere i contorni del condotto.

«Mi raccomando, occhi bene aperti! E fate attenzione a cosa vi circonda!» Bisbigliò Silver.

«Sì, e soprattutto se vedete il mostro, NON mettetevi a gridare!» Aggiunse Bullseye. Era un buon consiglio, articolato dalla paura, ma corretto. Il Luogotenente non obbiettò.

Continuarono così ancora per un po’, fino a quando il budello non si allargò in una camera più grande e meglio illuminata, che al contrario di quanto avevano percorso fino ad allora, era di origine naturale. Equestria era piena di luoghi come quelli, scavati dagli elementi nel corso dei millenni. Rifugi ideali per creature giganti, come quella che stavano cercando.

Un bagliore azzurrino si propagava da una fonte sconosciuta, merito dei cristalli di luce molto comuni in posti come quello, che riflettevano i loro sfavilli da una parte all’altra della grotta.

«Che meraviglia! Se non fosse che me la sto facendo sotto, sarei quasi tentato d’incantarmi!»

«Sshh! Non adesso Bullseye, fai silenzio!» Lo richiamò Silver.

L’eco delle loro voci si accompagnò a quello delle gocce di condensa che precipitavano dal soffitto, contribuendo a generare un’atmosfera d’isolamento e d’immensità, come se i quattro pegasi si fossero estromessi dal proprio posto nell’universo per essere risucchiati in un differente piano fisico, nel quale erano i primi a occuparne virtualmente lo spazio.

Ma non era realmente così, c’era anche qualcos’altro con loro; suoni e odori estranei, che non ci dovevano essere in un posto come quello, e qualcosa che rantolava costantemente nell’ombra, squotendo l’aria nella caverna.

Lui era lì, e i Wonderbolts lo capirono subito, anche se non riuscivano ancora a vederlo. Si congelarono sul posto guardandosi attorno, cercando disperatamente, prima che fosse Lui a trovare loro…


Un lasso di tempo indefinito era trascorso da quando era sfuggito all’isola grigia e si era ritrovato a vagare per la terraferma, alla ricerca di un posto che gli ricordasse da dove era venuto. Delle scene precedenti all’Amnesia ricordava solo pochi frammenti, schegge di suoni e colori, che talvolta prendevano la forma d’immagini in movimento.

Era venuto al mondo all’interno di un utero, per questo sapeva di essere giovane. Ma dove fosse sua madre e perché si fosse risvegliato nel bel mezzo di uno scenario da caos, questo gli mancava.

La grotta in cui si era rintanato era la cosa più simile al grembo materno in cui cercava di tornare, ma anche lì, a parte il confortevole buio e l’umidità che lo teneva idratato, c’era qualcosa di venefico che continuava a bruciargli la pelle.

Mentre cercava di dormire, le Voci che fino a poco prima gli gridavano da dentro la testa, man mano che scorreva il tempo, decrebbero della loro insistenza, fino a ridursi a dei sussurri velati. Per poi dileguarsi. A un certo punto cominciò addirittura a convincersi di non averle mai udite, come se fossero solo frutto della sua immaginazione, mischiate alla paranoia e alla frustrazione di trovarsi in un pianeta alieno.

Una cosa però la ricordava con assoluta certezza: le piccole creature colorate che aveva conosciuto sull’isola grigia, gli abitanti nativi di quel mondo inesplorato. E anche una proiezione di loro che lo attaccavano, sebbene gli sfuggisse la ragione di una tale condotta ostile. Forse la risposta era celata nei ricordi che l’Amnesia gli aveva sottratto, anche se non c’era modo di estrapolare quelle date informazioni dal suo subconscio frammentato.

Di queste creature, quattro erano appena entrate nella sua grotta, e i suoi sensi le avevano captate ancora quando non avevano varcato la soglia del suo rifugio. Le sue narici ipersensibili al più piccolo degli odori, e le sue orecchie acute e infallibili, sentivano meglio di quanto non vedessero i suoi soli occhi cerei.

Nel buio stretto e avvolgente della grotta, aveva sperato che le piccole creature se ne andassero prima di arrivare a Lui, desistendo così dalla loro ricerca. Ma ora che erano dentro, non sapeva come agire, sentendosi intrappolato in un corpo enorme, inquieto e goffo.

Avvertì l’impulso di attaccarle, per salvaguardare così la propria incolumità, ma soppresse il desiderio, temendo per le conseguenze delle sue azioni. Dopotutto non sapeva niente di quelle creature.

Poi uno strano lampo nel suo cervello gli mise in luce un nuovo pezzo del mosaico: Lui che attraversava la loro città, e le piccole creature che fuggivano indifese e spaventate, così impotenti dinanzi alla sua forza.

Quindi era Lui l’essere malvagio? Il demone che sfuggiva alle sue stesse vittime?

Ma allora perché non stava provando lo stesso desiderio ADESSO? Quel ricordo non aveva nulla a che spartire con le sue attuali intenzioni, eppure a giudicare dalla nitidezza di quelle scene, doveva essere avvenuto per davvero. Non un altro figlio della fantasia, quindi, ma una testimonianza dei fatti attendibile.

Se tutto ciò facesse parte di un disegno più complesso, c’era ancora troppa confusione dentro di Lui perché potesse vederne i reali contorni.

La sola cosa che desiderava adesso era di poter restare in quella grotta ed esser lasciato in pace. E per farlo doveva scacciare quelle quattro piccole creature, in un modo o nell’altro.


Mosse in alto una zampa, come per dar loro un avvertimento…


… e nel farlo urtò il soffitto già incrinato dal suo primo passaggio, facendo vibrare la grotta in un boato che si tradusse a sua volta in un ruggito bestiale. Poi tutto cominciò a implodere in una cascata di rocce e pietrisco, che minacciò di seppellire i pegasi all’interno.

Silver Sprint fece giusto in tempo a ordinare agli altri di disperdersi e cercare un riparo, che la situazione nella caverna diventò sconnessa e frenetica. Riconobbe la sagoma del mostro che si spostava nella penombra, e gli sembrò incredibile che proprio quella silhouette più chiara, che in precedenza gli era parsa solo una parete di roccia giallastra, fosse in realtà il fianco di destra dell’animale gigante. Vederlo così immenso, così rumoroso, gli fece perdere per un attimo la speranza di riuscire a cancellarlo da Equestria. Poi si ricordò che il soffitto gli stava letteralmente crollando sulla testa, e sì unì agli altri nella disperata ricerca di un riparo, evitando blocchi di pietra grandi come bisonti, che si sfracellavano a terra rimbombando per tutta la sala.

Pochi secondi, quanto durò la frana, poi il mostro emise un altro dei suoi lamenti grotteschi e si accosciò a ridosso della parete. Il tempo parve ritornare al silenzio.

Silver Sprint si era salvato rannicchiandosi in un angusto spazio tra due rocce, che lo avevano protetto dai detriti più corpulenti, ma non da un pezzo più piccolo, il quale cadendogli su una spalla gli aveva provocato un’abrasione sotto lo strato di peli.

«Ehi, gente… *coff, coff*… State tutti bene? Dove siete?» Tossì e si alzò, scrollandosi di dosso la polvere, tentando di muoversi trascinando la zampa.

«Signore, sono qui!» Ricevette subito una risposta da uno dei pony dello squadrone, che emerse da dietro un cumulo di materiale, ora occupante gran parte della sala. Questi immediatamente corse a offrire il suo aiuto al superiore.

«E l’altro pegaso? E Bullseye?» Chiese il Luogotenente preoccupato, ma la risposta del Wonderbolt fu sconfortante: non li aveva visti.

Insieme guardarono lo spazio oltre il quale si estendeva il resto della grotta. Il mostro era lì, immobile e silenzioso, come fosse caduto in una sorta di letargo.

«Ehi, quaggiù! Volate, presto! Ci serve assistenza!» Il richiamo arrivò imprevisto dalla voce del quarto aviatore.

Non persero tempo ad interrogarsi. Silver si scostò educatamente dalla spalla che gli aveva offerto il pegaso, quindi si mossero con urgenza nella direzione del richiamo.

Trovarono lo stallone, che usciva ferito e con la divisa a stracci da una parete di detriti: era in quel punto che si era verificato il crollo più grave. Il Luogotenente e il suo assistente lo aiutarono a rimettersi sugli zoccoli, poi procedettero subito alla confutazione del suo stato.

«Qualcosa di rotto, ragazzo? Le tue ali sono a posto?»

«Sì, Signore. È tutto ok.» Rispose mentre tutto il suo corpo fremeva per lo shock. «Io sto bene. Ma Bullseye è rimasto intrappolato lì dentro!» Indicò proprio la massa da cui lo avevano appena estratto.

«Cosa?!» Sbraitò Silver, e al grido si unì anche un lamento del mostro, che era stato infastidito dall’eco. Quando capirono che non vi era pericolo che si muovesse di nuovo, tornarono alla discussione.

«Sì… si è intromesso per salvarmi la vita, mi ha spinto via mentre il soffitto ci cadeva addosso. Io… non sono riuscito a muovermi, Signore… »

«Capisco… » inclinò la testa con amarezza. Era tipico di Bullseye, quello che conosceva. Sempre generoso e altruista, anche se da sempre avventato e incosciente.

«È tutto ok, ma adesso aiutatemi a tirarlo fuori da lì, per favore!»

Si accucciarono davanti all’ammassamento, irregolare e alto diversi metri, cercando di scoprire se vi era un punto nel quale era possibile penetrare un po’. Silver Sprint nel frattempo chiamò l’amico a gran voce per cercare di localizzarne la posizione. «Bullseye, riesci a sentirmi? Ci sei lì dentro?!» Ma non ricevette risposta, e allora la sua ansia salì. «Bulls’!» Fece più forte.

Stette per mollare, abbandonandosi alla realizzazione di avere appena perso uno degli elementi più importanti della sua vita (un altro), quando le sue orecchie captarono un suono che gli restituì il sorriso.

«Silver, per Celestia riesci a sentirmi?!»

Finalmente era lui!

«Sia ringraziata lei! Come sei messo là sotto, riesci a muoverti?!» Dovette gridare, dato che era l’unico modo per comunicarci, anche se ciò rischiava di far innervosire ulteriormente il titano.

Nel frattempo cominciò a scavare.

«Mi è andata di lusso, beh più o meno... le rocce hanno formato una specie di sacca d’aria, e quindi starò a posto per un po’, ma qualcosa mi sta bloccando le zampe!»

«Ti tireremo fuori in un attimo, non ti preoccupare! Nel frattempo tu risparmia l’ossigeno e cerca di resistere quanto più riesci!» Scavava e scavava, e anche gli altri pegasi si erano uniti nel compito, spostando blocco per blocco la massa inerte che lo ricopriva.

«Nossignore, non farlo! Fermati!»

Silver per un momento si convinse di avere capito male, e continuò. Sollevò con le proprie zampe anteriori un altro pesante blocco, accusando la contusione alla spalla, quindi digrignò i denti e lo issò flettendo le ginocchia, lanciandolo dietro di sé, provocando un altro acuto eco nella caverna.

«Sil’, mi hai sentito? Non farlo ti ho detto, fermati subito!» Insistette con maggiore impellenza il pony sepolto.

A quel punto ne era certo. «Cosa c’è Bulls’, qual’è il problema?!»

«Ricordati la missione» gli disse «non è per questo che siamo venuti fin qui! Devi ritornare a Manehattan e avvisare le Principesse!»

«Vorrai scherzare?! Io non ho intenzione di lasciarti lì dentro a soffocare!»

«Dovrai farlo invece! Per piacere Sil’, devi comunicare a tutti che lo abbiamo trovato! Se non lo fai poi quello se ne va, e tutta questa storia ricomincerà da capo!»

Aveva ragione purtroppo, Silver lo dovette riconoscere, anche se farlo gli provocò una fitta di dolore al cuore che gli intorbidì i pensieri.

«E con te che facciamo? Non posso certo pensare alla missione sapendoti là sotto!»

«Io me la caverò, va bene?! Per un po’ dovrei farcela. Se voi mi diseppelliste sarebbe comunque inutile, perché senza qualcuno che ci aiuti con la magia, io da qui non esco!»

Il pegaso dalla criniera argentata si rimise sugli zoccoli elaborando in silenzio. Doveva trovare una soluzione per entrambi i problemi, sia per il Titano che per Bullseye.

«Sei ancora lì, Sil’?» Domandò di nuovo il pegaso dalla criniera lampone.

«Sì, amico. Sì!»

«Beh, allora facciamo che se la prossima volta che te lo domando tu non mi sarai ancora partito, allora m’incazzerò di brutto! Muoviti adesso, non perdere altro tempo!»

Silver prese la sua decisione, anche se qualcosa dentro lui si rifiutava di accettarlo. Smise di scavare, rialzandosi da terra, e ragionò su quanto ci sarebbe voluto per andare e tornare da Manehattan, considerando anche il tempo necessario ad avvisare le Principesse e condurre a destinazione i rinforzi. «Bullseye… sei sicuro di ciò che mi chiedi? Posso lasciarti qui sapendo di ritrovarti al mio ritorno?» Pose ad alta voce.

La risposta non tardò ad arrivare. «Affermativo, Signore! O se preferisci: sì Young Dart!»

Allora era deciso.

Respirando affannosamente, si rivolse agli altri pegasi con le frasi contratte, nello sforzo di impartire un ordine al quale avrebbe volentieri disubbidito per primo: «Voi restate con lui… evitate di farlo parlare per ora. Non fategli consumare la poca riserva d’aria che gli rimane, ma  ogni tanto assicuratevi che sia almeno cosciente.» Lanciò un’ultima occhiata verso la creatura semi-dormiente. «Io farò più in fretta che posso, ma se quello dovesse svegliarsi, o peggio… se mai dovesse decidere di uscire, uno di voi è incaricato di seguirlo fino a quando non si sarà fermato di nuovo. L’altro dovrà invece restare qui a fare compagnia a Bullseye. Non lasciatelo da solo, mi raccomando!» I due pegasi assentirono ai suoi ordini, quindi si misero d’accordo a gesti di capo su chi dovesse fare che cosa. «Presto porterò i rinforzi, e allora potremmo finalmente dare un taglio a questa faccenda, ve lo prometto!» Terminò in fretta il Luogotenente.

A quel punto volò fuori dalla grotta, più velocemente di quanto non avesse mai volato nella sua lunga carriera, toccando davvero per poco l’accelerazione necessaria al completamento del leggendario Arcoboom Sonico.

Non ci era mai riuscito, meditò durante la traversata. Per anni aveva creduto che fosse solamente una menzogna, una favola raccontata dai papà per incantare gli occhi dei loro piccoli futuri campioni, proprio come faceva lui stesso con piccola Lil’ Wing, malata d’influenza. Ma poi Rainbow Dash aveva cambiato tutto, dimostrando che a volte il confine tra sogno e avverazione è più sottile di quanto uno non si aspetti.

Anche lui ci avrebbe provato, un giorno, ad avverare quel sogno. E per allora Bullseye avrebbe avuto un altro motivo per desiderare la sua sconfitta. Doveva soltanto completare la loro missione, salvando così Equestria, e con essa il suo migliore amico.


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La luce del tramonto che filtrava dalle grandi vetrate ogivali illuminava il tavolo da lettura davanti alla quale era seduta, con grazia e compostezza, la Custode della Gentilezza.  

La Biblioteca di Manehattan era un luogo dove la cultura e la sete di conoscenza si amalgamavano con l’eleganza e l’architettura in una sinfonia di emozioni che andavano al dì là del mero atto della lettura di un tomo. All’entrata, di fronte alla facciata in marmo, si restava sbalorditi dalle due imponenti statue di manticore messe a guardia dell’edificio, e una volta dentro, ci si perdeva con la vista davanti alle sconfinate file di ripiani in legni pregiati che straripavano di volumi contenenti l’intera storia di Equestria. Per quanto ben fornita, neanche la Biblioteca Reale di Canterlot poteva vantare il grande assortimento di documenti contenuti in quelle stanze. Le numerose sale di lettura poi, ampie e spaziose, potevano ospitare centinaia e centinaia di visitatori che all’occorrenza, se volevano avvalersene, potevano usufruire di diversi terminali elettronici contenenti l’archivio completo del materiale della biblioteca. Un tocco di modernità targato Reborn Technologies, che forse stonava un po’ con lo stile anacronistico dell’edificio, ma che salvava la giornata a tutti coloro che, trovandosi in difficoltà ad orientarsi tra le alte librerie e i numerosi ripiani spesso raggiungibili solo con le scale, si risparmiavano così le conseguenti grane della ricerca. Ai bibliotecari questo non dispiaceva: invece di scovare personalmente i vari volumi cercati, sostituivano la propria mansione di un tempo col dover istruire gli ancora ignari visitatori su come interagire con i monitor touch screen e l’archivio virtuale contenuto nella memoria centrale.

A Twilight però tutto ciò non piaceva. Era cresciuta con l’usanza nostalgica di scovare personalmente i libri di cui era alla ricerca, imbattendosi poi spesso in testi di cui ignorava l’esistenza. Non era raro che, partendo col proposito di prenderne uno solo, si ritrovasse tutto d’un tratto a trasportare con sé intere torri pericolanti di libri sorretti magicamente dal corno. Com’era accaduto quel giorno.

Dopo aver completato il giro nella sezione dedicata ai misteri e alle leggende del regno, era tornata da Fluttershy con un carrello stracarico di volumi, fermandosi accanto a lei con un’euforia tale da non lasciare spazio all’interpretazione. «Ho trovato anche questi, li ho già visionati da me, ma se vuoi darci un’occhiata pure tu… può darsi che mi sia sfuggito qualcosa.» Disse dopo essersi parcheggiata e aver fatto caderne alcuni rovinosamente a terra.

Benché la biblioteca fosse solitamente gremita di studiosi o anche semplici curiosi in visita turistica, in quel momento appariva vuota e desolata, immersa in un silenzio pesante. Tutt’intorno tomi e pergamene erano sparpagliati per terra, abbandonati dai visitatori quando il Kaiju aveva assaltato la città.

La pegaso canarino guardò la documentazione portatale dall’amica. Si trovò a pensare che era tipico di lei, e sorrise dolcemente di rimando.

«Grazie Twi. Apprezzo davvero molto l’aiuto che mi stai dando.»

«Non è necessario, fidati. E poi è sempre un piacere per me quando si tratta di visitare posti del genere.» Fece una giravolta, ammirando i libri che ricoprivano ogni singolo spazio nelle pareti, dovunque si posasse il suo sguardo. «Lo sai, certe volte desidero soltanto chiudermi in posti come questo, e spendere tutta la mia vita a leggere quello che vi è contenuto. Non sarebbe fantastico? La polvere che si posa sulle rilegature, l’odore della carta antica e dell’inchiostro sbiadito… »

«Sì, sono certa che ci siano tante  belle cose da scoprire… » Rispose lei facendola ricomporre. Twilight capì immediatamente l’antifona e si affrettò a troncare. Ridacchiarono insieme, approfittando del fatto che in quel momento l’intero salone era completamente deserto.

«A proposito, hai scoperto qualcosa che ci può aiutare?» Riafferrò il discorso la pegaso.

«A dire la verità non molto.» Sospirò affranta l’alicorno. «Non ci sono molti libri che parlano dei Kaiju in modo approfondito. E anche se li citano, dubito che ci sia qualcosa di veritiero in queste pagine.» Passò in rassegna il materiale che aveva raccolto. «Secondo alcune teorie sono esseri spaziali, scesi sul nostro mondo con strane navi volanti o mandati da qualche civiltà nemica nel tentativo di conquistarci. Per altri sono invece agenti di Madre Natura, che agiscono contro i pony per punirli della loro mala condotta… » mentre parlava, si passava i libri tra sé e sé con la telecinesi.

«Di quale condotta parli? Perché mai Madre Natura dovrebbe voler punire i pony?» Fluttershy era perplessa, e trasmise lo stesso cupo pensiero a Twilight, che si mise a fissare il libro.

«Qualche sorta di guerra che avevano provocato in passato, non saprei. Comunque hai ragione, è stupida come cosa.» Gettò via il tomo con poca eleganza, prima e unica volta che avrebbe deliberatamente compiuto un’onta del genere.

«Ce n’è una che mi ha interessato particolarmente, però.» Disse riprendendo la sua cernita. «Si tratta di una romanzo. Narra di una lontana isola abitata da una coppia di Breezie, le quali hanno il potere di evocare una gigantesca falena benevola per proteggere il mondo quando qualcosa minaccia di distruggerlo. Ecco, in questo caso credo che il Kaiju assolva al ruolo di salvatore dei pony, combattendo al loro fianco contro altre creature malvagie.»

«Aww. Questa la vorrei tanto conoscere!»

«Anch’io… ma purtroppo sono storie di fantasia. Non esiste niente del genere al mondo.» Si appuntò il titolo del libro (“Mosura”, scritto in lingua orientale) e lo ripose con gli altri. Lo avrebbe cercato con più attenzione una volta ritornata a Ponyville. «Non siamo neanche sicure che il termine “Kaiju” sia azzeccato nel nostro caso. Forse si tratta di un altro tipo di creatura, e noi siamo qui a leggere di antichi miti e storie di fantasia.»

«Secondo me sei troppo pessimista, Twilight. E poi sei stata tu a voler fare delle ricerche a riguardo. Hai cambiato idea adesso?»

«No, lo so… sto solo cercando di analizzare i fatti. Stiamo cercando libri su delle vecchie leggende, mentre il pericolo lì fuori è reale e odierno, e non sappiamo nemmeno quando tornerà a colpire, né dove!» Da quando avevano cominciato, a stento era riuscita a contenere dentro di sé un dubbio. «Senti, te lo devo proprio chiedere. Sei sicura di poter comunicare col Kaiju? Voglio dire, sicura, sicura?»

Fluttershy piegò la testa sul libro che stava visionando. Un piccolo aracnide dal corpo marrone castagno e l’addome irsuto stava zampettando sulla pagina di sinistra. «Sai, Twilight. Ogni animale richiede un approccio diverso per comunicare con esso. Certe volte basta un semplice sguardo per capirsi… » lei e il piccolo essere a otto zampe si osservarono per un momento. Poco dopo questo abbandonò la propria posizione, calandosi giù dal tavolo appeso a un filo. «… e non parlo dello Sguardo, quello che intendereste voi. A volte ci vuole davvero molto poco per entrare in sintonia con le creature di Equestria… »

«Ma non sempre è così… » andò dietro al suo discorso l’alicorno.

«No, infatti. Certe volte devo adottare un approccio diverso, a seconda del tipo di creatura con cui mi trovo a che fare. Quelle più piccole sono fragili e spaventate, con loro occorre pazienza e una voce calma e garbata, non devono sentirsi in pericolo mentre ti rivolgi a loro. Altre volte, invece, mi trovo davanti ad animali più grandi e prepotenti. Con loro devo dimostrare di non avere paura, di sapergli tenere testa senza esitare. I predatori, per esempio, vedono l’esitazione come un segno di debolezza della preda, e attaccano di conseguenza.» Il ragnetto di poco prima stava formando una nuova tela sul ripiano basso di una delle librerie. Anche lui era un predatore, e avrebbe pasteggiato con il prossimo ingenuo insetto non appena qualcosa si sarebbe impigliato nella sua trappola. «Poi ci sono delle eccezioni alla regola. Alcuni animali sono veramente grossi, e potrebbero non sentire la mia voce quando mi rivolgo a loro, ma questo non toglie che potrebbero spaventarsi a morte a sentirmi gridare. Perciò devo stare attenta in quei casi, misurare l’intonazione in modo da non sembrare minacciosa.»

A Twilight fece sorridere che qualche animale potesse trovare “minacciosa” la sua amica. «Non sembra così difficile a sentirti parlare in effetti, al più ci vorrebbe un po’ di pratica per imparare.»

«Sì, perché io col tempo ho affinato questa dote e ora riesco a modularmi al volo in base alle necessità. È per questo che sono così sicura di poter comunicare col Kaiju. Credo… anzi no! Sono certa che si sia trattato soltanto di uno sgradevole equivoco, e quindi mi basterà parlarci per chiarire tutto.»

«Spero proprio che tu abbia ragione, amica mia» si struggé «lo spero con tutto il cuore. Perché altrimenti non so proprio che cosa inventarmi a parte gli Elementi dell’Armonia.»

«Te lo garantisco, Twilight. Ci riuscirò!»

Tanta sicurezza restituì un po’ di fiducia all’alicorno fucsia. Non era comune vedere Fluttershy così decisa nei riguardi di un incarico sensibile, ma del resto si trattava del suo campo d’esperienza. Se c’era qualcuno che poteva riuscire in un’impresa del genere, quella era senz’altro lei.

«Continuerò a cercare qui in giro, magari nell’archivio storico troverò qualcosa che a Celestia è sfuggito.» Disse Twilight, incamminandosi per il corridoio. «Mi troverai lì se avrai bisogno di me.»

Ricevette un cenno di risposta dalla pegaso, e allora si avviò verso la direzione iniziata. Fluttershy intanto prese a consultare alcuni dei libri che le aveva portato.

La giumenta dell’Armonia si avvicinò a una piantina delle sale che era appesa al muro. Sopra vi lesse le indicazioni per trovare la strada dell’archivio (conosceva bene le biblioteche di Canterlot e dell’Impero di Cristallo, ma quella era ancora tutta da scoprire), in effetti non era lontana dall’ala dedicata ai miti che aveva esplorato poco prima. Fece per procedere, quando proprio in quel momento una saetta color arcobaleno le volò incontro colpendola sul muso, scaraventandola per aria. Il manto della pegaso era imperlato di sudore e gli occhi, spalancati, danzavano da un estremo all’altro del viso. «Dash, ma che…» Fece per domandarle, ma fu troppo lenta.

«Presto venite! Dobbiamo muoverci! Silver Sprint è tornato! Lo hanno trovato!»
   
 
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