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Autore: Irina_89    22/02/2009    7 recensioni
“Tom, questo è tuo figlio. È nato quattro anni fa. Non riesco a mantenerlo con il lavoro che faccio. Ti prego, prenditene cura.”
Seguirono attimi di pesante silenzio, in cui nessuno dei due osava parlare.
“Oddio…” fece Bill in un sussurro, poco dopo. “Proprio come avevo detto…” ed alzò lo sguardo su suo fratello. “Ehi, Tom, lo giuro, io non sapevo niente…”
“Bill, stai zitto.” Sibilò lui. “Non richiedo le tue battute ora. La questione è seria.”
“Guarda che lo so. Cercavo solo di sdrammatizzare…” si difese Bill, leggermente offeso dalle parole di Tom. Non era così ottuso da non capire che questa situazione era più grave dell’avere solamente un ospite inaspettato in casa.
“Non hai capito: non si può sdrammatizzare una situazione del genere.”
Bill si zittì, sentendosi ferito in pieno dal fratello, ma capendo come potesse sentirsi lui in quel momento.
“Non c’è nemmeno un nome…” disse, quindi, rigirandosi il foglio tra le mani.
“Già. Nessun nome.” Ripeté Tom.
Merda…
[Sequel di 'Sopravvivere']
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tokio Hotel
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Home'
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Just a kid

Just a kid

The Long Goodbye

Aprì gli occhi lentamente. Aveva ancora sonno, ma sentiva il bisogno di svegliarsi.

Provò a girarsi per poi scendere dal letto ed andare in bagno, come faceva ogni mattina, ma qualcosa glielo impedì. Nel buio della camera cercò di capire, e subito si ricordò.

Non era in camera sua.

E non era sola nel letto.

Qualcosa si agitò dentro di lei. Ciò che stava provando era una sensazione che mai avrebbe pensato di poter risentire. Il pensiero di trovarsi accanto a Tom. Abbracciata da Tom. E di nuovo amata da Tom.

Portò la sua mano al suo fianco, toccando l’ostacolo che aveva sentito prima. Era il braccio del ragazzo. Era caldo. Un calore di cui aveva avuto nostalgia per così tanto tempo, che ora le sembrava quasi impossibile provarlo di nuovo.

Strinse le dita alle sue e si strinse a lui, facendo aderire la sua schiena al suo petto.

Quella notte erano tornati insieme.

Tutte le emozioni che aveva provato a dimenticare inutilmente, ora la stavano invadendo. E per la prima volta, il suo naso pizzicò per la felicità.

Poteva sentire il caldo respiro di Tom sul suo collo. Poteva sentire il suo petto premere contro la sua schiena. Poteva sentirlo vicino.

Lentamente, la mano del ragazzo contraccambiò la stretta.

“Buongiorno…” mugolò Tom con voce bassa, ancora impastata dal sonno.

Portò le loro mani sul petto di lei e la strinse a sé.

Inge perse un battito, per poi sorridere.

Accidenti quanto le era mancato tutto questo!

“Buongiorno.” Ricambiò lei, girandosi verso di lui. Aveva ancora gli occhi chiusi. Lo accarezzò delicatamente e gli tolse i rasta disordinati dal viso.

“Te l’ho già detto che mi sei mancata?” la strinse ancora più forte, lui.

“Sì, ma mi piace sentirtelo dire.” Ammise lei, lasciandosi stringere tra le sue braccia senza opporre la minima resistenza.

“Che carina.” Commentò lui, sorridendo. “Sei diventata più femminile.” Ed aprì gli occhi assonnati.

Lei lo guardò torvo.

“E tu sei diventato più stronzo.” Borbottò.

Tom rise e le baciò la punta del naso. Lei ne approfittò per slegare le sue mani dalle sue, e portarle intorno al suo collo. Montò sopra di lui e si stese. Petto contro petto. Lo baciò appassionatamente e lasciò che lui continuasse ciò che entrambi bramavano.

Erano stati lontani troppo a lungo. Erano magnetici. Non potevano più fare a meno dell’altro.

Tuttavia, Tom si fermò e l’allontano dolcemente da sé.

Lei lo guardò perplessa. Poi capì e assunse un’aria colpevole, distogliendo lo sguardo dal ragazzo.

La sua voglia di Tom era passata sopra la questione più importante.

Alex e Melanie.

“Ehi…” sussurrò lui, prendendole il mento tra le dita e facendola voltare di nuovo verso di lui. Si guardarono negli occhi. “Tranquilla.” La capì.

Lei annuì e scese da sopra il ragazzo, per stendersi al suo fianco.

“Che facciamo?” chiese, quindi, Inge.

“Se devo essere sincero, non lo so.” Confessò dispiaciuto.

Si guardarono ancora una volta negli occhi. E si capirono come non mai.

Melanie – per quanto fosse brutto solo pensarlo – doveva andarsene. Quella donna stava rischiando di mettere in crisi tutti loro. E non era un’inezia, dire che nessuno la sopportava.

Ma come comportarsi con Alex? Dopotutto, lui non aveva nessuna colpa.

Al contrario della madre, tutti si erano affezionati a lui.

Poi, Tom si ricordò improvvisamente di un fatto decisamente importante.

“Inge,” iniziò. “Cosa sai dell’uomo cattivo di cui parla Alex?” chiese.

“Penso ciò che sai pure tu. Glielo volevo chiedere per saperne di più, ma non l’ho fatto perché mi è sembrato che non gli piaccia.” Spiegò la ragazza.

“Già.” Convenne Tom. “Ma io so più di te. Scusa, non te l’ho mai detto perché non ci sono state molte occasioni per farlo.” Spiegò con un velo di sarcasmo.

“E cosa?”

“Non mi piace.” Disse preoccupato.

“Perché? Cosa fa?”

“Cosa faccia non lo so. So, però, cosa ha fatto.”

Inge alzò un sopracciglio interrogativa.

“Ha picchiato Alex.”

La ragazza si portò le mani alla bocca e sgranò gli occhi.

“Cazzo!”

“E non so se si è limitato ad una sola volta.” Ammise con riluttanza.

“Se mandiamo via Melanie…” iniziò lei.

“Alex andrebbe con lei. E tornerebbero tutti e due da quell’uomo.” Finì il ragazzo. “Temo proprio di sì.”

“Non possiamo lasciarlo tornare laggiù.” E questo non era possibile metterlo in discussione. “Dobbiamo, quindi, far rimanere anche lei…” sospirò rassegnata.

Rimasero in silenzio per un po’, cercando una possibile soluzione. Ma sembrava proprio che non ci fosse; per questo entrambi avrebbero sopportato. Pur di aiutare Alex, avrebbero sopportato.

Improvvisamente, Tom si rese conto di un particolare.

“Un’alternativa, forse, ci sarebbe…” mormorò pensieroso.

“E quale?”

Tom la guardò e sorrise.

“Bè, io sono il padre di Alex, giusto?”

Inge annuì.

Lui l’abbracciò forte e posò le labbra sulla fronte della ragazza.

“Posso chiedere che lo lasci a me.”

 

***

 

“Ehi, ciao.” La salutò Tom, stravaccandosi sul divano accanto a lei e cercando di apparire tranquillo e stranamente felice di fare quattro chiacchiere con lei.

“Ciao.” Ricambia Melanie, senza guardarlo, intenta a sfogliare una rivista. “Sai che voi quattro comparite in praticamente tutti i giornali?” e gli mostrò una pagina con le loro foto, seguita da un’intervista.

“Più o meno.” Rispose, adocchiando quelle pagine. Nemmeno si ricordava quell’intervista.

“Volevi qualcosa?” chiese la donna, voltando la pagina di quel giornale.

“Sì,” deglutì il ragazzo. “Volevo parlarti di Alex.”

“Ah!” e chiuse la rivista per guardare Tom negli occhi. “Ne ha combinata un’altra delle sue? Ora gliene dico quattro!” e si alzò, pronta per andarlo a cercare.

“No, aspetta.” E la prese per un braccio per farla tornare seduta. “Non è per quello. Lui non ha fatto niente.”

“E allora?” lo fissò interrogativa.

“Volevo dirti ciò che mi ha detto qualche giorno fa.”

“E cosa ti ha detto per farti correre da me?” fece sarcastica.

“Del tuo compagno.”

“Di Ben?” sgranò gli occhi.

“Se si chiama così, sì.” Disse Tom serio, fissandola a sua volta.

“Cosa ti ha detto?” si affrettò a chiedere la donna.

“Ho visto la cicatrice, Melanie.” E appoggiò i gomiti alle ginocchia per avvicinarsi a lei.

“Ma… Ma quella… è caduto dalle scale!” farfugliò, guardando altrove.

“Sicura?” alzò un sopracciglio.

“S… Sì.” E portò il suo sguardo sul pavimento.

“Mi dispiace, ma non ti credo.”

“Perché non dovresti? Lui è solo un bambino!” ruggì lei, tornando con gli occhi su di lui. Erano lucidi. Il ragazzo aveva proprio toccato il tasto dolente che lei cercava disperatamente di nascondere.

“Per questo.”

“Ma… Ma si è inventato tutto!”

“No, secondo me dice la verità.” Continuò imperterrito Tom.

“No. No!” gli occhi diventavano sempre più lucidi e la sua espressione sempre più triste e supplicante.

“Melanie…” cercò di farla parlare. Voleva sentire da lei come stavano le cose. La verità.

Ma l’unica cosa che ottenne furono le sue lacrime. La donna iniziò a piangere silenziosamente, portandosi le mani sul viso per non essere vista. Il suo corpo tremava e Tom sentì che nonostante tutto, lei era sincera. Il suo pianto era un pianto vero.

E questo diede conferma ai suoi pensieri riguardo quell’uomo.

“Perché stai con una persona come lui?”

“È l’unico che mi possa aiutare…” mormorò tra le lacrime.

“Aiutare?” tentò di capire.

“Sì,” singhiozzò. “Mi passa dei soldi.”

“Che lavoro fa?”

“Non lavora.” Disse Melanie. “Spaccia.” Aggiunse in un sussurrò strozzato e quasi impercettibile.

“Spaccia droga?” ripeté Tom incredulo. “E tu vivi con un tipo del genere?” la accusò. Non era sua intenzione farla sentire ancora più colpevole di quello che già sembrava sentirsi da sola, ma il pensiero che anche Alex avesse potuto vivere con un individuo come quello, gli faceva ribollire il sangue nelle vene. “Ma ti rendi conto che è un uomo pericoloso?”

Lei annuì.

“È pericoloso per Alex!” continuò lui.

“E di me non ti preoccupi?” urlò lei, guardandolo negli occhi.

“Melanie…” farfugliò. “Alex è un bambino.” Le fece notare.

“E allora?”

“Melanie,” e le mise una mano sulla spalla. “Alex non può vivere con lui.”

“E allora permettici di vivere qui!” si aggrappò a lui, disperata.

“Melanie…” provò ad allontanarla.

“Che c’è? Perché non posso? Ora che ci siamo anche ritrovati!”

Il ragazzo poteva sentire il dolore nelle parole della donna, ma purtroppo le cose erano complicate. Anche Bill era d’accordo con Inge e Tom. Melanie sarebbe rimasta solo se non ci fossero state altre alternative. Purtroppo, lei aveva fatto la sua scelta. Era stata lei a decidere di vivere con un tipo del genere. Melanie era adulta. Avrebbe potuto uscirne.

Ma Alex no. Alex era un bambino. Era pericoloso farlo tornare in un ambiente come quello.

Tutti erano convinti che avrebbero potuto sopportare la presenza di Melanie, pur di tenere Alex lontano da quel posto, ma sembrava che Melanie volesse sfruttare la situazione che si era creata a suo vantaggio.

Lei voleva, sì, togliersi dai guai – e Alex con lei –, ma voleva anche un’altra cosa. Una cosa che però non era corrisposta.

Lei voleva Tom.

“Te l’ho già detto, Melanie.” Disse Tom, sorreggendola, mentre le forze della ragazza sembravano venir meno. “Non possiamo stare insieme.”

“E perché?” lo supplicò lei. “Tuo figlio non ti basta come motivo?”

“Ascolta, Melanie: io non provo niente per te.” Le disse, cercando di contenersi e trattare l’argomento più delicatamente possibile. Non voleva che questo discorso portasse a finali non previsti.

“Ma… Ma nostro figlio?”

“Melanie,” ripeté ancora, forse sperando in una vaga possibilità di calmarla pronunciando sempre il suo nome con dolcezza. “Alex è un bambino bellissimo.” Le disse, accarezzandole i capelli. “Ti ringrazio per averlo cresciuto per tutto questo tempo. Ti ringrazio per averlo portato qui. Per avermelo fatto conoscere. Ma noi tre non potremo mai essere una famiglia.”

“E io dove andrò, allora?” lo guardò implorante.

Tom abbassò lo sguardo e tolse la mano dalla testa della ragazza.

“Mi dispiace.” Mormorò addolorato.

Quella era senza dubbio la conversazione più difficile avesse mai fatto in tutta la sua vita. Se avesse detto una parola – anche una sola – sbagliata, avrebbe potuto mandare in fumo i suoi miseri tentativi di farsi lasciare Alex. Si ritrovò, per questo, a non sapere nemmeno cosa dire.

“D’accordo.” Respirò profondamente Melanie, appoggiandosi a Tom per alzarsi.

Si mise davanti a lui e tirò su con il naso, mentre con le mani si asciugava gli occhi.

“Allora ce ne andremo.” Annunciò flebile.

“Cosa?” fece Tom, sgranando gli occhi.

“Hai sentito bene. Io e Alex ce ne andremo.”

“E dove?”

“Questi non sono affari tuoi. Io non lascerò mio figlio. Non lo voglio più allontanare da me.”

“Ma, Melanie…” boccheggiò. Non sapeva come ribattere. Cosa aveva detto per essere giunto a questa conclusione?

“No, Tom. Hai ragione.” Lo fermò lei, mettendogli una mano davanti alla bocca. “Qui siamo di troppo. Non possiamo vivere con voi. Siamo un peso.”

“Non… Non ho detto questo!” protestò lui. Non aveva mai detto niente di simile! Non poteva mettergli in bocca parole mai pronunciate! E soprattutto, non poteva mettergli in bocca il fatto che considerasse Alex un peso. All’inizio, forse, ma ora era tutto diverso!

“Sì, invece.” Replicò lei. “Ma hai ragione. Domani ce ne andremo.”

“Ma -”

“No.” Lo interruppe ancora una volta. “Non dire altro. Hai già detto troppo.” E si voltò. Girò intorno al divano e salì le scale.

Tom non ebbe le forze per seguirla. Avrebbe voluto prenderla per le spalle. Scuoterla. Urlarle addosso che non era vero niente. Farle capire che a questo punto avrebbe anche accettato di ospitarla, pur di non allontanarsi da Alex.

Strinse i denti e si portò le mani al viso, coprendosi gli occhi. Bruciavano. I suoi occhi non avevano mai bruciato tanto come in quel momento. Non c’era mai stata una sola volta in cui i suoi occhi chiedessero così tanto di piangere. Non c’era mai stata una sola volta in cui i suoi occhi lo implorassero di piangere. Volevano far uscire quelle gocce salate che lui aveva sempre cercato di reprimere per atteggiarsi a ragazzo forte.

Ma questa volta non aveva nemmeno le forze per impedir loro di far come più desideravano.

E così, dotate di volontà propria, le lacrime iniziarono a scendergli lungo le guance, bagnandogli le mani che premeva violentemente sugli occhi, mentre il suo respiro si faceva sempre più rapido, quasi come se volesse rincorrere l’aria che non riusciva più a respirare.

Si sentiva una merda. Non era stato capace di tenersi suo figlio.

Proprio in quel momento delle dolci mani lo accarezzarono sulle braccia, per poi abbracciarlo stretto, mentre la persona a cui appartenevano si sedeva sul divano accanto a lui.

“Inge,” mugolò. “Non ci sono riuscito.” E soffocò un singhiozzo che sarebbe stato troppo rumoroso.

“Tom…” sussurrò tristemente lei, baciandogli la guancia scoperta e inumidita dalla scia delle lacrime.

Lui si abbandonò tra le braccia della ragazza, senza scoprirsi il viso, e nella disperazione, si lasciò sfuggire quei singhiozzi per tutto quel tempo repressi.

 

***

 

Nessuno pensava di trovarsi davanti una scena simile.

In tutto questo tempo, nemmeno ci avevano mai pensato. Era diventata una cosa quotidiana, avere Alex in casa. Le sue urla, la sua voce, i suoi scherzi… tutto sarebbe mancato a loro.

Ora, tutto era finito e tutto ciò che rimaneva di quel mese passato insieme al bambino sarebbe diventato presto un ricordo. Un ricordo accompagnato dalla nostalgia e dalla tristezza.

Tutti si erano affezionati a quella piccola peste. Soprattutto Tom. Con lui il legame creatosi aveva richiesto un periodo di tempo più lungo. Cosa comprensibile. Ma ora che si era creato, non poteva finire così.

Così, in un semplice saluto.

Melanie era sulla soglia dell’ingresso con due borse in mano, mentre con l’altra teneva Alex, che si dimenava tentando di liberarsi.

“Ma dove stiamo andando?” si lamentava, gli occhi lucidi.

“Te l’ho detto. A casa.” Lo strattonò, cercando di farlo avvicinare alla porta aperta.

“Ma mi avevi detto che questa ora era casa mia!” urlò lui, iniziando a piangere. Puntò i piedi per terra e tentò di fare resistenza.

“Mi sbagliavo. Andiamo.” E lo tirò ancora di più.

“Ma non voglio venire!” piangeva il bambino. “Voglio rimanere con Tom, Inge e Bill!”

“Alex, li hai già salutati. Li rivedrai tra qualche tempo. Ora andiamo!”

La rossa, che stava assistendo alla scena con il naso che pizzicava sempre di più, iniziò a piangere silenziosamente. Bill le appoggiò una mano sulla spalla e abbassò la testa.

“Ma voglio rimanere!” urlava ancora.

“Non puoi! Questa non è casa tua!” urlò Melanie a sua volta.

Il piccolo si zittì impaurito, senza smettere di versare quelle calde lacrime che gli rigavano il viso.

“Alex.” lo chiamò Tom con voce fragile.

Lui si girò, mostrando una smorfia di tristezza sul viso. Allungò una mano verso il ragazzo e tentò di opporsi nuovamente alla forza della madre.

“Tom, io voglio rimanere con te!” piagnucolò, tirando su con il naso.

Il rasta si avvicinò a lui e l’abbracciò di nuovo, ma più forte di quanto aveva fatto pochi minuti prima. Non voleva che se ne andasse. Ormai lo sentiva parte della sua famiglia! Come poteva separarsene?

“Ti prometto che tornerai.” Lo strinse a sé, imponendosi perché la donna gli lasciasse la mano e gli permettesse di abbracciare suo figlio nella maniera più paterna potesse fare. “Te lo prometto, Alex.” E gli baciò la fronte.

Inge non riuscì più a trattenere i singhiozzi e si portò una mano sugli occhi, mentre con l’altra si asciugava il naso.

“Ma io non voglio andare via!”

Tom si allontanò lentamente da lui. Si alzò di nuovo in piedi, tenendolo per mano. Melanie lo prese per l’altra e lo tirò verso la porta.

“Mi dispiace.” Sussurrò flebile il ragazzo, lasciando la piccola mano del bambino.

La donna uscì dalla casa e si diresse verso il taxi – parcheggiato davanti al cancello – che aveva chiamato.

Tom li seguì fino alla porta e li guardò allontanarsi, cercando di non pensare al bruciore degli occhi.

Vide Alex oltrepassare il cancello. Il bambino girava la testa guardando il ragazzo. Piangeva e tendeva la mano verso di lui.

Tom alzò la sua e la sventolò in segno di saluto, avvertendo una dolorosa fitta al petto.

Alex fece altrettanto, ma, invece che il suo nome, urlò una parola che mai aveva urlato prima.

Papà!”

Tom serrò gli occhi lucidi.

Melanie fece salire il bambino sul taxi, per poi salire a sua volta. Chiuse la portiera e si asciugò le lacrime che le scivolavano sul viso.

E il taxi partì.

Il ragazzo rimase immobile per qualche istante sulla soglia, poi tornò in sé e serrò i pugni in un sentimento di rabbia e frustrazione.

Colpì con un pugno il muro della casa e pensò bene di essersi ferito qualche nocca.

Ma non gli importava. Doveva solo sfogarsi. Ne aveva bisogno.

Si voltò e chiuse la porta dietro di sé violentemente. Andò in sala e sferrò un calcio al divano, per poi caderci sopra privo di forze, coprendosi il viso con le mani.

Ora se ne erano andati. Avrebbe mai potuto rivederlo? O la loro era una partenza definitiva?

Non riusciva a piangere. Si sentiva colpevole. Ebbe soltanto la forza di chiudere gli occhi, cercando di reprimere quella sensazione di perdita che lo attanagliava nel petto.

Quell’ultima parola pronunciata dal bambino era stata come una pugnalata letale.

Alex sapeva, mentre lui non aveva fatto altro che mentirgli, arrivando persino ad allontanarlo ancora di più da sé.

No.

Lui non era degno di essere chiamato papà.

 

¤°.¸¸.·´¯`»  «´¯`·.¸¸.°¤

Continua...

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ATTENZIONE: I Tokio Hotel non mi appartengono e con questo mio scritto non voglio dare rappresentazione veritiera della loro personalità. No scopo di lucro.

***

Ok, vi avverto: questo dovrebbe essere praticamente il penultimo capitolo. Se tutto va nel verso previsto, il prossimo sarà, quindi, l'ultimo. (Darvi questa notizia mi mette tristezza...ç___ç)

Prima di iniziare con i ringraziamenti, volevo proporvi una cosuccia. Parlando con Zickie, mi è venuto in mente di chiedervi come voi vi immaginate Inge. Nel senso: vorrei - se voi volete - che provaste a cercare un'immagine che per voi la rappresenti, tanto per sapere come voi ve la siete immaginata leggendo questa storia e Sopravvivere. Mettete, poi, un link nel commento, o mi mandate il file per msn (l'indirizzo è segnato sul capitolo precedente, ma comunque ve lo riscrivo: irina_89@hotmail.it) in modo che poi possa metterli nel prossimo capitolo. So che è una cosa particolarmente pazzoide, ma se ne avete voglia, fatevi avanti!!^^

Io ho già trovato quella che per me le assomiglia di più, ma la pubblicherò nel prossimo capitolo. xD

Aspetto numerose immagini!

Ps: vi conviene - se me le volete inviare per msn - mandarmele per mail, perché tra qualche ora partirò per Monaco e ci starò una settimana!!XD (E questo giustifica anche il perché di questo aggiornamento, che per me avrebbe richiesto un po' più di tempo per riguardare il capitolo... spero, infatti, non ci siano troppi errori, perché ho avuto voglia di pubblicarlo prima di partire per non farvi aspettare troppo tempo.)

Un'ultima cosa e poi ringrazio: Ho fatto un altro disegno di Tom ed Inge. Lo feci molto molto molto tempo fa - come potete vedere dalla data - e non vedevo l'ora di pubblicarlo!^^

Ora ringrazio, finalmente, le quattro anime che hanno commentato lo scorso capitolo: marty sweet princess, Ladysimple, pandina_kaulitz e kit2007. Purtroppo non ho tempo per ringraziarvi personalmente una ad una perché tra mezz'ora ho l'autobus..^^"

Comunque ho visto che siete ancora tanti a leggere la fan fiction: allora commentate!! XD

E detto tutto questo, vi saluto, sperando che il capitolo vi sia piaciuto e che non vi sia risultato troppo diabetico (per me ha una leggera tendenza verso la carie..^^").

Un bacio a tutti!

_irina_

  
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