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Autore: Deline    31/10/2015    1 recensioni
“Vuoto di ogni essenza perché possa catturare la vostra”
Recita una incisione sul retro di un antico specchio.
Una ammonizione che la giovane Nere ha voluto ignorare per sfuggire, anche solo per qualche giorno, alla noia della routine.
Così ha inizio il suo viaggio nella Chicago distopica di Divergent alla ricerca del tenebroso Intrepido che le ha rubato il cuore attraverso le pagine della saga scritta da Veronica Roth.
Una ragazza come tante e uno specchio magico che le permette di attraversare il confine tra realtà e fantasia e la trasporta, come solo un libro saprebbe fare, in un mondo nuovo, sognato e temuto allo stesso tempo.
Nere, una ragazza normale, distante anni luce dalle eroine dei libri, una di noi, insicura e fragile ma anche caparbia e fiera, che lotterà per la salvezza del suo amato e della dimensione alla quale ormai sente di appartenere.
*** *** *** *** *** *** *** *** *** ***
Il racconto si basa solo sui primi due libri e film della saga, Divergent e Insurgent.
Età e aspetto dei personaggi sono quelli dei film, per tutto il resto "salto" da libri a film, soprattutto per Divergent. Per quanto riguarda le parti di Insurgent resto fedele al libro.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eric, Four/Quattro (Tobias), Nuovo personaggio, Tori
Note: Otherverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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     Il mio appartamento, o quello della misteriosa Nere, si trova all’ultimo piano di una zona abbastanza silenziosa della residenza.
Grazie al cielo ho un livello alto di accesso al database della fazione e sono riuscita a trovare le piantine della residenza e quindi l’appartamento di Nere. Non riesco ancora ad abituarmi a questo soprannome ma è il caso di farlo in fretta.
Sento un rumore di passi provenire dalle scale di sicurezza che sono a pochi metri dalla porta del mio appartamento, meglio entrare e chiudere la porta, non ho voglia di chiacchierare con gente che mi conosce quando io stessa non so chi sono.
Il piccolo corridoio è buio, ormai il sole sta tramontando e la luce non è sufficiente a farmi evitare di andare a sbattere contro qualche mobile.
Con la mano sinistra cerco l’interruttore della luce ma trovo solo un’asta di legno che inizia a oscillare appena la colpisco. Attaccapanni direi. Lo afferro in modo da non sentirmelo piombare sulla testa e riprovo con la mano destra. Trovo l’interruttore al primo colpo.
Niente cemento grigio, le pareti del corridoio sono bianche, o meglio, lo sono state parecchi anni fa, ora sono parecchio ingiallite.
Il piccolo ingresso è spoglio, solo un attaccapanni e un tavolino basso di legno scuro. Ci lancio le chiavi e continuo la mia esplorazione.
Supero la porta che divide il corridoio dal resto dell’appartamento e mi ritrovo in un piccolo salone che probabilmente ha la funzione di soggiorno e sala da pranzo. Sul tavolo sono ammassati parecchi fogli e libri. Non c’è dubbio, è proprio casa mia, non credo esista altra persona al mondo in grado di battere il mio disordine.
Apro le tende delle grandi finestre e gli ultimi raggi del sole mi feriscono gli occhi. Non so se mi abituerò mai alla scarsa illuminazione della residenza degli Intrepidi.
Oltre il vetro c’è un grande terrazzo di cemento che termina con un muretto di mattoni rossi. Non credo sia un terrazzo, sembra più un tetto, ma non ha importanza, per me sarà un terrazzo. Nere la pensava proprio come me a giudicare dal tavolino rotondo e le sedie in ferro battuto dipinti di nero davanti alle vetrate e ai vasi di lavanda e di rose bianche vicino al muretto di mattoni. Sembra un piccolo angolo di Pacifici nel grigio degli Intrepidi, mi chiedo cosa ne penserebbero i capifazione se lo vedessero.
Trovo la portafinestra ed esco sul terrazzo. Il profumo della lavanda mi fa sentire a casa. Mi avvicino al muretto, nelle vicinanze non ci sono edifici abbastanza alti per poter vedere quel piccolo angolo di paradiso.
Mi guardo intorno e noto che c’è una piccola scala a chiocciola che sale, suppongo sul tetto visto che il mio appartamento si trova all’ultimo piano.
Salgo la scala immaginando il meraviglioso spettacolo del sole che tramonta oltre la città, ma arrivata a metà scala mi fermo di colpo.
Seduto su una pila di mattoni c’è Eric. Ha i gomiti puntati sulle ginocchia e guarda pensieroso la tazza di ferro che tiene tra le mani. Il suo sguardo sembra triste.
Ho sempre pensato a lui come un mostro sadico senza sentimenti, ma ora, più lo guardo e più mi sento io il mostro. Non ho mai cercato di capire il perché dei suoi comportamenti, mi sono accontentata del poco che veniva mostrato di lui nei libri e nei film per definire che tipo di persona fosse. Infondo era solo un personaggio inventato, nessuno si mette a psicanalizzare i personaggi di un film, li accetta per come sono per poi passare al film successivo. Non mi sento del tutto a posto con la mia coscienza ma almeno quasi tutte le mie streghette interiori sembrano soddisfatte di questa mia scusa.
Sembra così fragile.
Mormora la mi streghetta ingenua.
Ha ragione, ma è strano immaginare che quel ragazzo pieno di muscoli e tatuaggi, descritto come un sadico ossessionato dal potere, possa essere fragile quanto me.
Mi torna in mente una fotografia vista su una rivista; un uomo con lunghi capelli neri e una folta barba, pieno di piercing e tatuaggi, che stringe a se un gattino. Adoro quella fotografia e per un attimo immagino Eric al posto di quel uomo.
Scaccio immediatamente quella immagine e cerco di convincermi che lui lo avrebbe stretto solo per stritolarlo e vederlo agonizzare. Non ci riesco e la cosa non mi piace, non voglio lasciarmi intenerire. Se l’autrice ha voluto farcelo immaginare come una persona da evitare, sarebbe meglio darle retta perché probabilmente nella realtà, o meglio, in questa realtà, lui è proprio così. 
Non voglio problemi il primo giorno e così decido di scendere il più silenziosamente possibile le scale e chiudere il cancelletto di ferro alla loro base.
Mi rifugio in casa e tiro le tende. Se potessi inchioderei delle tavole di legno alle finestre, non tanto per quello che ho letto su di lui nei libri ma per il fatto che due delle mie streghette interiori si siano intenerite. Una, poco fa sul tetto, e l’altra, la streghetta saggia, mentre leggevo alcune pagine riguardanti lui nel libro Four. Passi per la streghetta ingenua che si intenerisce appena vede un cucciolo di qualsiasi cosa, pipistrelli compresi, ma la streghetta saggia non è tipo da avere certe reazioni. Lei è la parte razionale di me, quella che analizza, che viviseziona tutto, quella che ho sentito applaudire al discorso sulla debolezza umana fatto da Jeanine Matthews.
Prima che qualche altra streghetta si aggiunga la bizzarro duo, decido che è il caso di rimandare a mai più questi pensieri e riprendo ad esplorare il mio appartamento.
La cucina è spartana e molto piccola, niente a che vedere con le enormi cucine dei film americani, c’è solo il minimo indispensabile, quindi è perfetta per me che so cucinare il minimo indispensabile per non morire di fame. Anche il bagno è deludente ma almeno, a differenza di quello della mia vera casa, ha vasca da bagno e doccia separate e non sarò costretta a dividerlo con nessuno.
Resta solo la camera da letto. E’ grande quasi quanto il salone e ha lo stesso tipo di finestre, vetrate alte dal soffitto al pavimento, non sono il massimo per la privacy ma per fortuna non ci sono edifici alti nelle vicinanze.
Faccio qualche passo verso le finestre per vedere cosa nascondono le tende chiuse quando inciampo su qualcosa e cado a terra maledicendomi per non aver acceso la luce. Allungo il braccio verso l’interruttore per capire cosa devo maledire oltre a me stessa.
Delle borse, le mie borse, quelle che ho dimenticato dall’altra parte dello specchio. Mi chiedo come ci sono arrivate qui. Non mi è mai capitato che qualcosa di mio mi seguisse e sono certa che sia una cosa impossibile. Le apro e dentro ci sono le cose che ci ho lasciato prima di partire. Non c’è dubbio, sono proprio le mie borse.
La situazione sta iniziando a diventare inquietante.
Svegliarmi non nel luogo che ho visto nello specchio, avere già una vita all’interno di una dimensione che non esiste e ora oggetti che non possono essere qui, inizio a preoccuparmi seriamente.
Cerco di mantenere la calma, agitarsi non serve, fa solo perdere tempo e porta sempre sulla strada sbagliata. Ci vuole una sigaretta.
Mi alzo da terra, vado verso lo scrittoio e prendo una sigaretta dal pacchetto in bilico sulla tastiera del computer. L’accendo e dopo un paio di tiri inizio a sentirmi più tranquilla. Aspiro di nuovo e prendo in mano il posacenere.
Quando realizzo cosa ho appena fatto tossisco fuori tutto il fumo. Guardo il posacenere. E’ di plastica nera, su un lato c’è disegnata una fiamma rossa, mentre sull’altro c’è una scritta: “Accendi il tuo Fuoco”
«Come accidenti fanno queste cose ad essere qui?!» grido mentre continuo a tossire.
Il pacchetto di sigarette e il posacenere erano esattamente dove li avevo lasciati nella mia dimensione.
Ripercorro mentalmente il giro dell’appartamento e mi soffermo a ricordare con esattezza quello che ho visto nella camera da letto prima di inciampare nella mia borsa.
Sono sulla soglia, davanti a me le vetrate con delle tende blu leggermente aperte. Non c’è molta luce ma riesco a vedere abbastanza bene la forma e il colore delle cose nella stanza.
Alla mia destra c’è una cassettiera con sei cassetti, non uno sopra l’altro ma divisi in due colonne, tre per ogni colonna e per ogni cassetto vedo scintillare due maniglie di metallo, forse ottone. I primi due cassetti in altro sembrano avere due fori al centro, forse serrature, non è il momento di pensare a dove possano essere le chiavi. Il piano della cassettiera sembra di marmo azzurro-verde e al centro c’è uno specchio. Sopra la cassettiera ci sono molti oggetti, riconosco uno specchio per il trucco, qualcosa che assomiglia a un beauty-case o a una piccola borsa. Difficile identificarli tutti. Passiamo oltre.Tra la cassettiera e la vetrata c’è una poltrona di velluto blu con sopra una coperta a quadri piegata.
Alla mia sinistra l’interruttore per accendere la luce e il lato destro di un grosso armadio di legno scuro. Con la coda dell’occhio conto due maniglie di metallo vicine, una solitaria e altre due vicine, l’armadio ha cinque ante, due di esse hanno uno specchio.
A circa un metro dall’armadio, vedo un comodino dello stesso stile della cassettiera, c’è solo una abat-jour sopra, stessa cosa per il suo gemello dall’altra parte del letto.
Il letto ha una testiera di legno, il fondo del letto è libero, niente parte in legno finale, strano ma molto funzionale.
Oltre il letto c’è uno scrittoio, è orientato verso la vetrata e in parte è nascosto da una sedia dello stesso stile della poltrona. Riesco a vedere parte del monitor di un computer, ma non è il centro dello scrittoio che mi interessa, è quello che sta ai lati.
Mi concentro e cerco di ricordare esattamente cosa ci fosse sul lato destro dello scrittoio ma non ci riesco.
In ogni caso quel posacenere non poteva assolutamente trovarsi lì.
Dopo quello che è successo oggi non mi stupirei se nella credenza ci fosse una scorta esagerata del mio energy drink preferito.
Corro in cucina, apro l’anta della credenza a muro ma niente energy drink.
Non c’è logica in quello che sta accadendo. Perché sigarette, accendino e posacenere sì e l’energy drink no? Passi per le sigarette, magari ci sono pure qui, ma il posacenere non può esistere in questa dimensione, era stato fatto appositamente per me da un amico. Era un semplice posacenere nero di plastica e lui ha aggiunto la fiamma e la frase proprio davanti ai miei occhi.
Cerco invano di mantenere la calma. Ho la bocca secca, devo bere qualcosa. Spengo la sigaretta mentre apro il frigorifero. La mia mano sinistra sfiora qualcosa, sento il tintinnio cupo che fanno i miei anelli quando sbattono contro qualcosa di metallico. Afferro l’oggetto e lo guardo; è una lattina del mio energy drink preferito.
r u kidding me?!
Mi siedo sul pavimento e scoppio a ridere. Vorrei essere preoccupata ma la situazione è talmente surreale da mandare in tilt il mio cervello, l’unica cosa che riesco a fare è ridere come una pazza.
«Specchio, lo sai benissimo che non le tengo in frigorifero perché odio le bevande gelate» dico mentre continuo a ridere.
«Mi hai confusa con Mar…» smetto di ridere all’istante.
Martina quando è soprappensiero mette le mie lattine in frigorifero.
Tocco la lattina, non è molto fredda, è stata messa lì da poco.
Martina è qui.
Mi alzo e comincio a correre per la casa chiamandola.
«Martina smettila di giocare a nascondino, lo so che sei qui»
Guardo in ogni stanza ma lei non c’è. Sono certa che è stata qui, è l’unica spiegazione per tutte le cose che ho trovato e che non potevano essere apparse dal nulla. Evito di chiedermi dove possa essere ora, conoscendola starà curiosando qui intorno, la sua curiosità a volte supera il suo buonsenso.
Mi rilasso, c’è una spiegazione per le cose strane accadute in questo appartamento e non sono sola, la mia migliore amica è qui da qualche parte.
Dopo una bella doccia tiepida e una lattina del mio energy drink preferito sarò più che pronta per l’appuntamento con Quattro.
 
 
     La doccia mi ha dato gli effetti sperati e il contenuto della trousse che avevo nella mia borsa ha fatto di nuovo la sua magia, ora devo solo trovare il famoso vestitino con i lacci.
Frugo per un po’ nell’armadio prima di trovare qualcosa che assomiglia vagamente al famoso vestito.
Dovrò spiegare a Quattro la differenza tra un completo e un vestito.
Quelli che lui ha definito “lacci” in realtà sono i nastri di raso viola di un corpetto nero del mio stile preferito: goth. E’ molto grazioso, la parte davanti è rigida e ha la classica forma dei corsetti mentre la parte dietro ha una scollatura che lascia nuda tutta la schiena.
La gonna è molto corta ed è di raso nero sostenuto da qualche strato di tulle. Avrò seri problemi se mi cade qualcosa perché se mi chino questa gonna rischia di rovesciarsi sulla mia schiena. Non è il massimo in un luogo pieno di Intrepidi.
Non posso andare al Pozzo vestita in questo modo, devo trovare qualcosa da mettere sopra al completo.
Infondo all’armadio trovo un lungo soprabito nero molto bello, o almeno credo sia un soprabito, mi ricorda tanto il négligée che ho comprato qualche mese fa. Non compre molto, è più scollato del corpetto e i tre piccoli bottoni sotto il seno non sono sufficienti a tenere chiusa la parte inferiore del soprabito, ma almeno la parte dietro mi copre dal collo alle caviglie.
Guardo l’orologio sul muro del salone. Un quarto alle nove. Sono in ritardo.
   
 
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