Anime & Manga > Pokemon
Ricorda la storia  |      
Autore: Andy Black    31/10/2015    4 recensioni
[Seguito di Yelloween, scritta due anni fa] [Ho cercato di scrivere una creepy ma temo sia uscito un thriller, ma boh];
È passato un anno dalla fine delle riprese del film Yelloween ma, il 31 Ottobre, in una macabra notte di sangue, si ripresenta lo stesso mostro che Yellow, assieme all'Ispettore Valerio di Violapoli, aveva sconfitto.
Solo che stavolta non si tratta d'un film.
Un mostro divorerà le loro paure.
Genere: Horror, Suspence, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gold, Valerio, Yellow
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Videogioco
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Yelloween 2.0


Avete presente quando, mentre dormite, sentite quel forte freddo ai piedi e vi svegliate? Sì, aprite gli occhi e vi
accorgete con orrore che le coperte vi sono arrivate alle caviglie?
Sì, quella sensazione orribile che vi farà dormire
male, perché avete sonno e non avete il coraggio di interrompere la ricarica delle vostre batterie per i vostri piedi.

Meglio dormire con le gambe tirate, dico io. Già, non mi alzerei mai prima dell’alba. Mi fa terrore ciò che c’è sotto il mio
letto.Sì, li sento, quei rumori. Quei rumori sinistri mentre dormo, intendo.
Sento anche quelle mani fredde e quegli
occhi puntati addosso. Quelli mi svegliano, ma io gli occhi non li apro, altrimenti capisce che sono sveglio.

E se sono sveglio lui mi prende.


 
“Ma perché diamine sei triste adesso?!”.
“Non sono triste, Gold...”.
Yellow guardava l’orizzonte dal solito bar di Fiorpescopoli mentre il tramonto le baciava il volto e donava un colorito alla sua pelle simile a quello delle iridi del ragazzo che le faceva compagnia.
“Già, ed io sono John Wayne. Ed io, chiaramente, non sono John Wayne”.
Yellow sorrise debolmente. “Direi di no”.
“Ho capito!” esclamò quello, illuminandosi mentre il paesino cominciava a popolarsi di bambini vestiti da mummie e sedicenti adolescenti fin troppo svestite.
“Che avresti capito?”.
“Tu vuoi sentire una delle mie formidabili barzellette!”.
“Oh, no! Assolutamente no!”.
“Non fare la timida, so che sei il tipo di persona che non vuole chiedere ma io sono un tuo amico e quindi riesco a capire ciò che intendi, nel più profondo del tuo animo”.
Yellow sorrise ancora, muovendo la testa come per dire no. “Sei il solito fanfarone...”.
“Allora, ci sono due uomini; uno chiede all’altro: come ti chiami? L’altro risponde: Do-do-do-dominic”.
“Uhm, ok?”.
“E allora il primo fa: sei balbuziente? E quello: No, mio padre lo era. Ed il tizio dell’anagrafe era un bastardo”. E poi esplose in una risata grassa e sguaiata, che fece girare le altre persone sedute ai tavolini.
Yellow gli fece cenno con le mani di abbassare la voce, sbuffò sconfitta e mise la fronte tra le mani. “Abbassa la voce, ci stanno sentendo tutti...”.
“Avanti! L’hai capita, no?! Il padre era balbuziente e...”.
Yellow non rideva.
“Oh, andiamo!” protestò il ragazzo, spintonandola con rude delicatezza. “Questa è la migliore del mio repertorio. Non sarà un’altra volta quella testa di carciofo di Red?”.
Yellow si liberò da quella maschera di dita e lo fissò negli occhi; si limitò ad annuire silenziosa.
“Di nuovo?! Che altro ha fatto quel mitomane?!”.
“Mitomane?!” esclamò sorridente Yellow.
“Andiamo, rispondi!”.
“È partito, è andato in viaggio”.
“Viaggio? E per dove?”.
“Unima. Partecipa ad un torneo molto importante”.
“E perché non l’hai accompagnato, scusa?”.
“Mi ha chiamato Valerio. Con ogni probabilità gireremo il sequel del...”.
Bastò un cenno di Gold, che annuì come per zittirla e non farla continuare. “Non me lo ricordare. È stata la prima ed ultima volta che ho prestato il mio volto ad una stupidaggine del genere... E non so perché, ti chiamino per queste cose”.
Yellow fece spallucce.
“Sarà perché vogliono una bionda stupida...” ragionò lui, guardando il cielo violaceo al di sopra della grande fascia giallastra. Seguivano un segmento arancione sottile ed uno più forte e diffuso, rosso, più vicino al sole.
“Hey!” esclamò lei, contrariata. Gold sorrise. “Odio questi stereotipi!”.
“Stavo scherzando, bionda, calmati. E quindi parteciperai a questo secondo film?”.
“Mi permetterà d’occupare il tempo”.
“Non ti ci vedo proprio come attrice... non riesco...” incrociò le braccia quello.
“Oh, beh, neppure io...”
 
Tornò a casa ed accese le luci. Dovevano essere sempre accese, quando c’era il buio.
Yellow odiava il buio.
Già, perché era sola e troppe cose potevano nascondersi dove non avrebbe potuto vederle.
Levò le ballerine, muovendo con sollievo le dita dei piedi e poggiando le calde piante sulle mattonelle del pavimento, fredde, come normale che fosse in quel periodo.
Era fine ottobre del resto, il periodo peggiore secondo lei. Non le piaceva l’autunno.
No, lei era più tipo da estate. Red anche.
Gold pure.
C’era più luce, c’erano più rumori, le persone rimanevano fuori fino a tardi.
Non che le piacesse fare l’alba, ma sentire che ci fosse sempre qualcuno, nella piazza di Fiordoropoli, a meno di duecento metri da dove abitava lei, le dava più sicurezza; c’era musica, chiacchiericcio. Vita.
Invece l’inverno portava il freddo, carnefice e padrone, spingeva le persone nelle proprie case, a rimbambirsi davanti al televisore, lasciando Fiordoropoli in quel silenzio tombale.
E lei nel silenzio già ci viveva.
Era strana la situazione, perché il silenzio la spaventava: era proprio nel silenzio, che un rumore faceva più rumore. E quando, quella sera, affondò lo sguardo sulla sua cena, filetti di sgombro e riso bollito (con aggiunta di salsa di soia), quel sinistro cigolio la fece rabbrividire.
Rimase in ascolto, le Pokéball erano al piano di sopra e tutto ciò che aveva erano le bacchette con cui stava mangiando.
 
Sospirò, non era niente di male, sicuramente: il vento che s’era alzato aveva fatto muovere l’anta della finestra esterna. E poi non doveva aver paura dei rumori.
Era tutto illuminato, tutto visibile. La cucina, lucida con le sue mattonelle bianche e gli elementi in acciaio, riluceva.
Anche il salone era illuminato.
Ma quella maledetta finestra cigolò nuovamente, sbattendo contro le mura esterne dell’abitazione.
Il cuore saltò un battito; perché mai farsi prendere da così tante paranoie? Era in casa sua, con tutte le luci accese. E sul banco della cucina c’era un grosso coltellaccio, di quelli senza seghettatura e con la lama ancora sporca di succo di limone.
S’alzò, lei, mentre il cigolio si perpetuava in quei secondi infiniti in cui la ragazza brandì il manico del coltello.
Lo strinse, sentiva ancora quel rumore. Le gambe stentavano a tenere la sua esile figura in piedi, ma curiosità e voglia di pace collaborarono, facendole muovere piccoli passi.
Il rumore svanì, ma la luce si spense.
Lei spalancò gli occhi, non riuscendo a trattenere un urlo.
“Cielo...”.
Ed il cigolio ricominciò, mentre il soffio del vento venne sostituito dallo scroscio d’un tuono poderoso.
Yellow strinse il coltello più che poteva. Doveva raggiungere il contatore e rialzare gli interruttori. Perché era stato sicuramente il temporale imminente ad aver fatto saltare la corrente.
Mosse un passo molto stentato nel buio del corridoio breve tra la cucina ed il salotto; la porta del bagno era aperta ed il rumore dello scarico, era flebile.
Respirava a bocca aperta, con piccoli fiati, cercando di non fare troppo rumore nel caso qualche minaccia la prendesse di mira: avrebbe dovuto sentire tutto.
E tutto ciò che sentiva erano sinistri rumori che la sua mente aveva catalogato come ordinari, come il continuo ticchettio dell’orologio, oppure l’urlo del vento.
Ancora il cigolio, ancora la finestra che sbatteva, il suo cuore batteva all’impazzata mentre la mano stringeva sempre più forte il coltello.
Odiava rendersi conto del fatto che se ci fosse stato Red lì, sarebbe stata più tranquilla. Invece era sola e s’era ritrovata a combattere contro la sua paura più grande: il buio.
Già, perché lei non aveva alcuna idea di dove si stesse andando a cacciare; ringraziò soltanto che la sua casa non avesse alcun generatore di corrente nello scantinato, perché abitava in un monolocale, e quindi il contatore era accanto la porta d’ingresso.
Ma c’era di mezzo ancora tutto il salone; questo era leggermente più illuminato: la luce della luna penetrava attraverso le fredde finestre, dove la pioggia s’infrangeva con prepotenza, quasi nel tentativo disperato di sfondare il vetro ed entrare dentro.
Fuggire da quel temporale.
Le ombre venivano proiettata lunghe, grottesche, lasciando deboli lingue luminose davanti alle vetrate battute. Era davanti ad una di queste, quella a sinistra, che l’inferriata esterna cigolava e sbatteva, in corrispondenza del vento.
S’apriva e si chiudeva.
S’apriva.
La faccia d’un Noivern apparve durante un lampo, furiosa, vogliosa di sangue, bramosa di vendetta.
La ragazza produsse un urlo fortissimo, lasciando cadere il coltello per terra. Il cuore batteva con forza quasi omicida, voleva esplodere fuori da quel petto, detonare in milioni di piccoli pezzi, lasciandola lì inerme, senza forze.
Si sentiva male: nello stomaco presero a turbinare le sue paure più profonde, le mani tremavano e la sua testa non comandava più le gambe.
Il Pokémon prese a battere con forza contro il vetro, un paio di volte, prima che il vento facesse chiudere nuovamente le ante, quella volta entrambe, e facesse scappare il Pokémon.
Lucida all’improvviso, sbatté gli occhi, poi li spalancò e corse verso la porta, girando la chiave nella serratura per tre volte ed alzando la levetta del salvavita, donando luce nuova alla sua casa.
Ansimava, come dopo due ore di corsa continua, e le gambe le tremavano.
Come dopo due ore di corsa continua.
Il suo respiro esplodeva nei polmoni, bruciava, e gli occhi erano rimasti spalancati e fissi, proprio davanti a lei. Le mani s’aggrappavano al muro ed avrebbero lasciato un alone nerastro sulle pareti imbiancate.
Come un fantasma, si mosse nel salotto illuminato e sorpassò l’enorme coltellaccio per poi raggiungere il telefono.
Compose un numero, con ancora le mani che le tremavano ed attaccò il ricevitore all’orecchio.
“È tornato!” esclamò, piangendo.
 
Esattamente sette minuti dopo Valerio era fuori casa di Yellow. C’erano voluti un paio di minuti per permetterle d’alzarsi dalla sedia della cucina ed aprire la porta, tremante com’era.
Non era riuscita immediatamente ad infilare la chiave nella serratura ma quando il ragazzo entrò si trovò davanti una figura pallida e sbiadita, con gli occhi gialli.
“Siediti e spiegami” fece quello, calmo. I capelli erano rimasti sempre gli stessi, di quel particolare colorito blu, ben pettinati.
Aveva preso l’abitudine di cambiarsi d’abito, però: da quando era diventato Ispettore indossava pantaloni marroni e scarpe laccate nere, come la giacca, con camicia bianca.
Una volta seduti sul divano, Yellow cominciò a parlare.
“È a-andata vi-via la cor-r-rente e... e... e... Scusa!” cominciò a piangere, ancora terrorizzata.
“Stai tranquilla... Ora è tutto a posto...”.
“È nato tutto come un film! Com’è possibile che adesso quel Noivern sia tornato?!”.
Valerio fece spallucce ed affondò nei caldi e voluminosi cuscini del divano della ragazza; ricordò quando s’era prestato per quella sorta di pacchianata cinematografica, in cui, assieme a Yellow, aveva dovuto sbaragliare un Noivern assassino.
“È un Pokémon molto aggressivo, probabilmente recitare non era ciò che faceva meglio”.
“Ricordo che dovevamo fermarlo spesso, perché altrimenti avrebbe davvero aggredito gli attori e la troupe...” disse la bionda, calmata.
“Dici che vuole vendicarsi?”
“Sì!” scattò quella, spalancando gli occhi. “Era lì, fuori dalla finestra, ed ha provato a sfondarla ed entrare!”.
“Sei proprio sicura che fosse lui? Perché, insomma, potrebbe essere anche un altro esemplare, non pensi?”.
Yellow fece segno di no, categoricamente.
“Non dimenticherei quegli occhi... mai lo farei...”.
“E allora c’è da catturare un Noivern impazzito” s’alzò quello, quando il Pokégear suonò: qualcuno lo cercava.
Portò l’apparecchio all’orecchio e vide Yellow scrutare il suo volto.
Spalancò gli occhi, vide Yellow preoccuparsi per la sua espressione, annuì senza dire una parola e poi concluse con: “Sto arrivando”.
“È stato assassinato Riku” disse a Yellow, voltandosi ed incamminandosi verso la porta.
“È l’assistente del regista!” esclamò l’altra, spalancando gli occhi.
Quello annuì.
“Aspetta!” esclamò lei, alzandosi repentina e prendendogli il braccio. “Dove vai?!”.
“Devo andare”.
Yellow fece cenno di no con la testa. “Non voglio rimanere qui da sola!”.
“Vai da Gold o da qualcun altro, ora c’è da fare”.
“Assolutamente no!” esclamò infine quella, alzandosi. “Verrò con te!”.
“Non puoi”.
“Fammi diventare una consulente esterna e parteciperò alle investigazioni. Se Noivern è tornato è sicuro che verrà anche da me!”.
Valerio rimase in silenzio, sempre voltato verso la porta, quindi abbassò la testa.
“Non fare casino e vieni”.
“Vado a prendere le Pokéball”.
 
Raggiunsero la scena del crimine in meno di venti minuti. Avevano volato sul Pidgeot di Valerio ed arrivarono subito ad Azalina, attraversando il mare.
Quella sera c’era parecchio vento ma la cittadina era coperta dalle pareti montuose alle sue spalle, limitando il tutto a mugolii lontani ed indistinti.
Azalina era una città parecchio piccola, poco illuminata. La vicinanza al Bosco di Lecci rendeva le persone parecchio paranoiche e, una volta che il sole lasciava il cielo, cominciava il coprifuoco morale degli abitanti.
Raffaello era davanti al cadavere, inquieto. Il ragazzo, appena ventenne, era diventato parecchio più alto. Sempre magrolino, i suoi capelli s’erano allungati fin sulle spalle.
“Che succede?” domandò Valerio, saltando agilmente da Pidgeot ed aiutando Yellow a fare altrettanto.
“Ero in Palestra” rispose l’altro, indicando l’edificio alle sue spalle. “Ho sentito un urlo e dopo dieci secondi quest’uomo era qui, in questo stato...”.
Yellow salutò con un cenno l’uomo, cercando di rinviare quanto più poteva l’incontro con il corpo esanime. Un puzzo di sangue rappreso e feci umane stava impestando l’aria.
Guardò Valerio, lei, e non sembrava turbato; per lui era tutta normale amministrazione.
L’Ispettore girò attorno al corpo, scattando una fotografia, quindi si focalizzò sulla ferita.
“Non ha più il collo” vide. “Ed ha diversi fori d’entrata sul petto... e sulla schiena...”.
“È stato sparato?”.
“Probabile. E dopo è stato decapitato brutalmente”.
“Ma manca un pezzo... un pezzo del corpo, santo cielo...” sbuffò Yellow, cercando di tenere lontani gli occhi da quelli senza scintilla dell’uomo, ormai riversato sul fianco in una gigantesca pozza di sangue.
“Raffaello, entra nella Palestra e non uscire per nessun motivo. Dopo un agente verrà a registrare la tua deposizione” gli disse Valerio, prendendo il Pokégear ed andando a fare una telefonata.
Yellow rimase con il cadavere; gli si avvicinò leggermente, fissandolo con perizia.
Quattro profondi fori avevano bucato il torace dell’uomo, ed anche la schiena. Avrebbe voluto chinarsi per vedere meglio la scena ma non era così curiosa e stava cercando di limitare i conati.
E la testa, quella era la parte peggiore. Lontana circa un paio di metri, Il sangue dell’uomo aveva intriso i capelli di rosso rubino, sporcando la nuca frantumata; parti del cervello erano visibili, insanguinate.
Danzò attorno alla testa, notando che soltanto una palpebra era aperta, a mostrare l’occhio spalancato dell’uomo. L’altra era infossata nell’orbita, perché la pupilla mancava.
Un grosso taglio partiva da quell’occhio e dilaniava la guancia, fino alla bocca, mostrando la gengiva e la dentatura giallastra.
Yellow non trattenne più i conati, s’allontanò velocemente di qualche passo e vomitò, poggiata ad un albero.
Valerio le si avvicinò velocemente. “Hey! Stai bene?”.
Quella non gli rispose, sentiva solo la gola bruciare e gli occhi lacrimare.
“Sta arrivando il team della scientifica, per analizzare il cadavere. Noivern è stato qui”.
Quella si voltò, come se chiamata improvvisamente da qualcuno, con gli occhi spalancati.
“Hai detto che era stato sparato!” urlò.
L’uomo le fece cenno d’abbassare la voce. “Non volevo far preoccupare Raffaello... E comunque non ci sono bossoli di proiettile. Ci sono... otto... otto fori...” fece, controllando nuovamente il corpo. “... e dovrebbero esserci altrettanti bossoli per terra. Ed io non li vedo”.
“Quindi...” Yellow era ancora piegata, poggiata all’albero.
“Quindi è stato un Pokémon... E se tu hai visto Noivern, se l’hai visto davvero...”.
“Certo che l’ho visto davvero!” scattò quella, gesticolando vistosamente.
“... allora è il primo indiziato. In questo posto non ci sono Pokémon in grado di arrecare simili danni alle persone”.
Yellow corrucciò lo sguardo e si guardò attorno: poche case e luci spente, meno di dieci lampioni a gas accesi per Azalina, una montagna che li sovrastava alle spalle ed il Bosco di Lecci tutt’intorno a loro.
Noivern poteva essere ovunque.
“Beh, dovremmo cominciare con le investigazioni e...” Valerio fece per parlare, quando un urlo li fece rabbrividire. Incrociarono lo sguardo e guardarono l’ingresso del bosco: l’urlo, quel gigantesco urlo, proveniva proprio da lì.
 
Il sottobosco scricchiolava sotto i loro passi. Valerio camminava in avanti, col cuore in gola ed una torcia tra le mani. Sentiva il fruscio tra gli arbusti, vedeva le ombre muoversi velocemente, nascondersi nelle pieghe della sua mente, indossando maschere spettrali, ululando al vento.
Lo stesso vento incanalato tra i tronchi morti e vivi di quel bosco sinistro.
Yellow si strinse nella sua giacca, infossando la testa e celando le labbra ed il mento nel colletto, a racimolare un po’ di calore.
“È... è qui?” domandò la ragazza.
“Non lo so. Ma abbiamo sentito urlare, devo vedere”.
“È tutto così sinistro, qui...” sospirò quella, con la mano su di una Pokéball.
“Ti avevo detto di rimanere da Raffaello”.
“Assolutamente no! Potresti aver bisogno d’una mano!”.
Poi uno scricchiolio verso destra. Veniva dall’alto. I battiti di Yellow s’inspessirono, le colpivano il petto e tradivano la sua paura. Cercò il braccio di Valerio, trovandolo subito. Gli occhi spalancati cercavano d’inserirsi in quella trama buia, finendo per perdersi in quel mare scuro e denso, senza via d’uscita.
Il respiro si frammentava mentre Valerio, che in quel momento aveva deglutito un pugno di sabbia, portava con freddezza la lingua di luce in corrispondenza del punto in cui aveva sentito quel rumore. La mano tremava, tradendo il nervosismo che lo attanagliava.
Nulla.
S’avvicinarono a quel punto allora  e Yellow camminò proprio accanto a lui, seguendo ogni suoi passo, tastando il terreno col piede e sentendolo rispondere tramite rametti ed aghi di pino secchi e spezzati dall’incedere terrorizzato della ragazza.
“Cos’era?” chiese, respirando con la bocca e sentendo il cuore scavarsi un tunnel nel petto.
“Non lo so, Yellow. Stai attenta...”.
Detto fatto, inciampò e cadde con le ginocchia in una pozzanghera; sentì lo splash prodotto dalla caduta, nell’acqua viscosa imbastardita dal fango del sottobosco.
Valerio s’era spaventato, aveva cercato di mantenerla ma senza riuscirci. Puntò quindi la torcia verso di lei, per aiutarla a rialzarsi.
Ciò che sentì dopo furono soltanto le urla della ragazza.


 
Avete presente quella sensazione strana che vi fa aprire gli occhi, di notte, quasi sempre, tra le tre e le quattro del mattino?
Bene. Perché se vi svegliate verso quell’ora è quasi sempre perché quella persona che c’è nel vostro armadio vi sta guardando.


 
Yellow era sporca di sangue. Era inciampata in una gamba, messa lì, solitaria, svuotata dal liquido ematico. Era diventata cibo per il bosco, per i piccoli insetti che, lentamente, corrodevano la pelle, penetravano la carne e ne bevevano il sangue.
Yellow era con le ginocchia in una pozza di sangue, schizzatole poi sul volto, in bocca, nei capelli.
Aveva affondato le mani in quel rosso.
“Calmati!” esclamò Valerio, inorridito. Vedeva la ragazza iperventilare. L’afferrò per le spalle e la sollevò per poi scuoterla. Vedeva i suoi occhi pieni di lacrime sgorgate, cadute nere sulle guance, pendere poi dal profilo sottile del suo ovale.
“Calmati!” ripeté lui, stringendola poi tra le sue braccia. Gli occhi della ragazza rimanevano spalancati, le mani ritratte sotto il petto ed il respiro rotto e discontinuo.
“Stai calma...” disse, mettendole una mano sulla testa, ormai chiazzata di rosso.
Yellow gettò tutto fuori con un sospiro lungo e rigenerante, quindi vide l’uomo puntare il fascio di luce verso l’arto. Pareva strappato dal corpo con violenza, tranciato con sdegno e noncuranza per il dolore altrui.
“Dov’è il corpo?” fece Yellow, singhiozzando.
Valerio muoveva la luce velocemente, cercando con lo sguardo il corpo a cui apparteneva quella gamba.
“Dove diamine s’è cacciato...” disse, guardandosi attorno, mentre Yellow continuava a tremare. Analizzò la gamba e poi s’accorse d’una striscia di sangue che ammaccava l’erba alta e s’addentrava verso una serie di alberi secchi, in fila tasti d’un pianoforte.
Valerio s’addentrò nel bosco, seguito da una Yellow incerta. Lei lo vide affondare i passi nell’erba secca mentre la puzza di sangue rappreso s’univa a quella d’umido del sottobosco, costringendola nuovamente a trattenere i conati.
Dieci passi e trovarono il corpo, crocifisso sui rami d’un leccio, bruciato parecchi anni prima per via d’un incendio; difatti tutt’intorno il terreno era secco, annerito, ed i Pokémon del bosco stavano bene attenti ad avvicinarvisi.
Il corpo, orfano della gamba destra, era rimasto appeso sui rami appuntiti, due dei quali trafiggevano i bicipiti dell’uomo, ancora cosciente; perdeva sangue, quello, dal moncherino che aveva al posto della coscia.
Noivern era davanti a lui, tracciava una linea con l’unghia appuntita che diventava rossa di sangue, proprio sulla guancia dell’uomo. Yellow spalancò gli occhi, l’aveva riconosciuto: l’uomo era un cameraman.
Noivern affondò l’unghia nella guancia dell’uomo, scendendo e disegnando una linea perfettamente parallela con quella della mandibola, scarnificandogli di fatto la guancia e mostrando i denti, ormai pieni di sangue.
Yellow si vomitò sulle scarpe e Valerio continuò a guardare quello spettacolo di macabra bellezza.
Mentre l’uomo urlava, ancora stranamente vivo, effettuò la stessa asportazione della guancia sinistra, e poi salì, cavando via l’occhio.
Il sangue si riversò dall’orbita fin sulla lingua scoperta dell’uomo, che urlava come un ossesso.
L’unghia dell’uomo entrò lentamente nella pupilla destra e la estrasse lentamente. Dopo l’ultimo, forte urlo, l’uomo s’accasciò e perse le forze.
Noivern lanciò un grido sinistro, spingendo l’uomo contro il ramo che aveva alle spalle, che penetrò nel suo corpo e lo perforò, uscendo dallo stomaco.
Il Pokémon non si limitò al volto, ma prese a martoriare anche il torace dell’uomo, scarnificandolo e mostrando le fasce muscolari, mentre il poco sangue rimasto in corpo defluiva fuori dalla ferita nello stomaco. Strappò a morsi pettorali ed addominali, seguiti poi dagli intestini, che ricaddero con un tonfo sinistro e viscido sul terreno bruciato.
Valerio guardava inorridito la scena mentre il Pokémon strappava polmoni e cuori con voracità, lacerando con le unghie gli organi interni.
L’uomo era totalmente esanime, il sangue era sparso ovunque lì attorno ed il corpo morto dondolava crocifisso sui rami, cullato dal vento.
Yellow si risollevò, con gli occhi in lacrime. Singhiozzò e vide il Pokémon voltarsi verso di loro, allargando le ali e ruggendo.
“Cazzo, Yellow! Fuggi!” urlò Valerio, spingendola indietro; lei inciampò e rimase con i fondelli tra i rametti secchi mentre vedeva il Pokémon avversario avventarsi contro l’Ispettore.
Poi una voce stoppò tutto, anche Noivern.
 
Fermati”.
 
Un uomo apparve alle spalle dell’uomo crocifisso, camminando lentamente. Yellow si sorprese della calma dell’uomo, affondava i piedi nudi nel sangue, noncurante delle spine dei rovi che gli tormentavano le piante. Indossava maglia e pantalone nero e portava lunghi capelli corvini.
La pelle era candida e gli occhi chiarissimi, capaci di riflettere la luce della luna anche se nascosta da nuvole dispettose.
Le labbra erano violacee e le mani erano sporche di sangue.
La sua bellezza era tanta quanto la sua macabrezza.
“Stai fermo” ripeté, e Noivern eseguì. L’uomo lo raggiunse, carezzandolo, noncurante del sangue dell’uomo che ancora grondava dalle fauci del Pokémon.
Valerio prese la sfera di Pidgeot e s’avvicinò, lentamente. “Chi sei?” domandò.
“Puoi chiamarmi Hulrog, e lui è Druid”.
Valerio tentennò. “Cosa diamine... cosa diamine sei?”.
Hulrog avanzò lentamente, portandosi ad un paio di metri dal Capopalestra di Violapoli. “Sono soltanto una persona sola. Una persona che ha freddo, in notti come questa. Una persona che si risveglia con la fame di ottenere. E Druid m’aiuta”.
“Sei deviato!” urlò quello, con i battiti che acceleravano.
Hulrog sorrise. “Avanti... Vuoi dirmi che non hai mai voluto provare l’ebbrezza di stringere tra le dita un cuore che ancora batte, spremere fuori la vita che porta, sentire lentamente l’anima allontanarsi dal corpo...” sorrideva quello, leccandosi le dita insanguinate.
Valerio era sconvolto. “No! E tu sei un folle! Devi venire con me!”.
Hulrog sorrise nuovamente e portò le mani ai fianchi. “Non posso. C’è ancora tanto da fare, questa notte è magica ed io devo approfittare di tutto questo...”.
“Di che stai parlando?”.
Hulrog annuì, mantenendo sempre vivo il sorriso insanguinato che indossava sul volto. Sporse la testa oltre la figura di Valerio e sorrise. “E quella bella bionda?”.
“Lasciala stare?!” urlò lui.
A quelle parole il cuore di Yellow parve fermarsi. Una parte di lei avrebbe voluto scappare ma un’altra, quella più responsabile, doveva rimanere accanto a Valerio. Tuttavia, rimanere per terra, impaurita, accanto ad una pozza di vomito, beh, quello era controproducente.
Le gambe però non si muovevano; era la paura a muovere tutto.
“Mi piace. La ucciderò per ultima”.
“Non la ucciderai, tu! Saremo noi a sconfiggere, te e quel Noivern demoniaco!”.
“Chi? Druid? Lui fa soltanto ciò che gli dico. Quando l’avete sfruttato per quel film è stato parecchio ferito... Pokémon come lui, con la sua fierezza e forza, non dovrebbero essere reclusi in una sfera... Non dovrebbero fare gli attori. Questo Pokémon è un assassino nato”.
“Ha ucciso due persone...”.
“Fino ad ora sì. E ne ucciderà altre”.
Valerio fece due passi indietro, guardando Yellow, ancora profondamente terrorizzata ed immobile, per terra. Quando tornò a guardare in avanti il volto di Hulrog era a meno di venti centimetri dal suo. Il suo dito affilato penetrò la carne al di sotto del mento, da cui sgorgò una grande quantità di sangue.
“Lo senti?” domandò quello, imbevendo la mano nel rosso del corpo dell’uomo. “Senti com’è caldo? Lo senti quest’odore di ciò che è vivo?”.
“Valerio!” urlò Yellow, ripresasi dallo choc. SI sollevò in piedi, vedendo la mano dell’amico perdere le forze e lasciar cadere la sfera di Pidgeot. “Lascialo stare!”.
“No. Dovrà capire anche lui la bellezza della morte. La poesia della vita che se ne va, Yellow...”.
“Come sai il mio nome?” impallidì quella.
“Lo so, non è questo che importa...”. Hulrog squarciò il collo di Valerio, che ricadde senza forze ai suoi piedi. Il tetro lo scavalcò e s’avvicinò lentamente a quella. Yellow indietreggiò lentamente, terrorizzata e con le lacrime agli occhi, quando urtò un albero con la schiena.
Spalle al muro, non poté più indietreggiare ed Hulrog le si parò davanti; la mano era ancora grondante del sangue di Valerio e lei la vide poggiarsi sulla sua gola, a tracciare una linea con lo stesso liquido rubino. Il dito, come una penna, tracciò un’altra linea che comprese la giugulare, il mento e le labbra della ragazza.
Yellow aveva il sangue di Valerio sulla bocca. Immobile, non riusciva più a fuggire né a dire niente, rassegnatasi ai progetti dell’antagonista che la vedeva come un semplice cadavere, sacco di pelle ed organi e sangue.
“E tu? Tu conosci la bellezza della morte?”.
La bionda rimase ferma, sentendo la lingua di quello sferzarle il collo, e poi il mento; poggiò le labbra sulle sue e la baciò, riempiendola di un terrore macabro e sinistro.
Leccò il sangue dalla sua bocca, Hulrog, e s’allontanò dal suo viso, sorridente.
“Quell’uomo conoscerà il sapore del sangue altrui. Verrà con me, ed insieme torneremo a prenderti, quando sarà il momento giusto”.
Fu così che Druid caricò il corpo sanguinolento di Valerio e si mise in volo, mentre l’anima scura di Hulrog sparì, lasciandola sola nel bosco, davanti ad un cadavere dilaniato ed una pozza di sangue.
 
 
   
 
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Pokemon / Vai alla pagina dell'autore: Andy Black