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Autore: Viviane Danglars    22/02/2009    5 recensioni
Ichigo è un investigatore, ha un cliente e un “caso” da risolvere.
Non è pulito, non è delicato e non finisce bene.
[ Respirò a fondo nell’aria ancora fresca della mattina, senza aprire gli occhi. Non ne aveva bisogno per visualizzare il luogo dove si trovava; sapeva com’era fatta la ringhiera di ferro che sentiva premergli, fredda, contro le reni. E sapeva che, sotto di lui, c’erano numerosi piani e poi soltanto l’asfalto, non liscio né propriamente grigio, ma sicuramente duro.
Numerosi piani di poveracci e disperati, prostitute e drogati, ubriaconi e malati e, sopra di loro, lui: Renji Abarai, con i suoi tatuaggi, le mani robuste infilate nelle tasche, la maglietta lisa che profumava della lavanderia di Momo e i capelli rossi raccolti in una coda spettinata.
]
~ [Liberamente ispirato al film Million Dollar Hotel.]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Kuchiki Rukia, Kurosaki Ichigo, Renji Abarai
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Incompiuta
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Capitolo nono.
Kiss and tell




[ Fever - the heat of the night.
Dreamer - stealer of sighs…
One public face in a private limousine;
flash photograph it's the only light you see.
No secret life, there's no secret you can steel;
your lips are moving, but I will never know what they mean …
Kiss and tell
Money talks - and love, it burns
Kiss and tell
Give and take - we live and learn
Kiss and tell, we never lie
Kiss and tell, eye for an eye
Kiss and tell, blood on a nail … ]




In un’altra zona della città, anche qualcun altro continuava a lavorare alla propria scrivania. Uryuu Ishida, però, non era decisamente il tipo da lasciarsi andare a considerazioni men che professionali. E poi odiava il fumo. Lo odiava perché gli ricordava suo padre.
Era ancora alla sua scrivania, ma lui era seduto davanti ad un computer acceso da una luce azzurrina, la mano protesa in avanti alla sua destra e pronta a sollevare la cornetta del telefono. Si aspettava che Orihime lo chiamasse; lo faceva spesso, per sapere come stava, e quando sarebbe tornato. In realtà era una scusa per rallegrarlo un po’, ed Uryuu lo sapeva. Per questo ci sperava.
Quella sera Orihime non aveva ancora chiamato, ma lui ne era un po’ sollevato, perché se l’avesse sentita avrebbe dovuto ammettere che stavolta non sapeva quando sarebbe tornato a casa. Sicuramente molto tardi.
In quei giorni, il lavoro non smetteva mai. Lanciando un’occhiata all’ufficio del capo, Ishida sospirò, ricordando quale ne era il motivo: da quasi una settimana, tutta la centrale era in subbuglio giorno e notte.
Il diretto superiore di Uryuu non voleva lasciarsi sfuggire quell’occasione per “ritentare il colpo”. Proprio quello al quale erano andati così vicino solo pochi anni prima. Yoruichi Shihouin era tornata in Giappone; Yoruichi Shihouin, erede della famiglia Shihouin, uno dei clan riuniti sotto il comando dell’Inagawa-kai, il più importante gruppo yakuza di Tokyo.
L’Inagawa-kai era diffusissimo, di grande rilevanza in tutto il Giappone, e contava almeno trecento diversi clan come suoi sottoposti. Tra questi, i più importanti erano gli Shihouin e i Fon, ben radicati a Tokyo, e attivissimi sul territorio della città.
Era stato proprio grazie agli Shihouin che negli ultimi anni la yakuza aveva spostato il proprio raggio d’azione, dal gioco clandestino alla droga e alla prostituzione. Il potere e il denaro ricavato da quell’operazione compiuta nell’ultimo decennio aveva rinforzato enormemente l’influenza dell’Inagawa-kai, e come risultato la sua promotrice, Yoruichi, era stata investita di una carica molto importante all’interno dell’organizzazione, tanto da diventare lei per prima un personaggio di spicco, insieme al suo clan.
Ripensandoci, Uryuu strinse i denti con particolare amarezza dopo una giornata di lavoro duro e forse inutile. Quell’intraprendente mossa di scacchi era costata la vita a qualche migliaia di persone; l’intuizione di Yoruichi Shihouin, infatti, era stata tanto cinica quanto geniale. In Giappone, un paese molto legato alle proprie tradizioni, alcune mode erano difficili da importare. Ma non tra i ragazzi più giovani, alla ricerca di novità e libertà, proiettati spesso verso l’Occidente.
Yoruichi, lei per prima membro di una famiglia ricca e in vista, ragazza popolare, di carattere forte sin da quand’era a malapena ventenne, aveva istruito gli Shihouin e i Fon ad avviare il mercato della droga tra i giovanissimi, quando nessuno se lo aspettava.
A quel tempo, Uryuu, Ichigo e Chad facevano le superiori, e avevano ambizioni e sogni da liceali. Avevano amici, piccoli impegni, l’inizio di una vita tra le mani. Ma la loro scuola non era stata un’eccezione, quando le cose avevano iniziato ad andare male: i tre ragazzi avevano visto moltissimi loro amici perdere la salute, il futuro, la vita per colpa dell’ambizione di un gruppo di criminali.
Avevano perso tutte quelle cose proprio quando cominciavano a prenderci confidenza.
Anziché la festa dei diplomi, di quel periodo Uryuu ricordava i funerali.
Anche per questo avevano finito con lo scegliere quel genere di lavoro. Per questo Ichigo perdeva sempre la calma quando si parlava di Yoruichi Shihouin e Chad teneva d’occhio chi entrava nel suo negozio di armi. Per questo Uryuu era corso ad informare il suo superiore – per lui, una specie di mito – che Shaolin Fon si era fatta vedere a Karakura, e sempre per questo ora l’intera centrale si dava da fare fino a tardi nella speranza di trovare un appiglio, un indizio per procedere.
Nell’intera faccenda c’era più idealismo di quanto gli piacesse ammettere; lui era un ragazzo giovane ma serio, coi piedi per terra, non un esaltato o un fanatico. Ma Uryuu sperava, nonostante tutto, e sperava ancor di più perchè sapeva che anche il suo capo era coinvolto in quell’indagine. Ammirava la rettitudine di quell’uomo e non si stupiva che gli stesse tanto a cuore mettere le mani su quell’assassina di Yoruichi Shihouin.
Quello che Uryuu non sapeva era che c’erano molte altre ragioni oltre alla passione per la giustizia, che tenevano sveglio Kisuke Urahara durante la notte.
Sul tavolo del commissario erano sparsi una quantità di diversi documenti, molti dei quali portavano firme che lo disgustava vedere. C’erano poi analisi, risultati, test, dichiarazioni, appunti, e foto. Le foto erano la cosa che, in quella tarda serata in ufficio, apparentemente simile a molte altre, in verità gli ostacolavano più di tutte la concentrazione.
Le foto - spesso sfocate, scattate in situazioni tra le più rischiose – ritraevano uomini e donne armati, locali e ambienti affollati, incontri tra membri di spicco della società di Tokyo, macchine dai vetri oscurati. Lei compariva di rado, sempre sfuggente, un suo braccio, una spalla, un profilo lontano, i suoi occhi dorati che luccicavano nell’obiettivo.
Era ridotto a vederla così, in foto. L’aveva vista al telegiornale quando la televisione aveva dedicato numerosi servizi al ritorno in Giappone di quella ragazzina sconsiderata, di quella donna capricciosa e dispotica che giocava con la vita dei suoi sottoposti e di chiunque le facesse comodo, pur di ottenere quello che voleva.
Perché Yoruichi Shihouin otteneva sempre quello che voleva.
L’aveva vista scendere dalla macchina, l’aveva vista all’aeroporto, circondata dalle sue guardie, il cappotto sul viso, l’espressione beffarda perfino allora, lui ne era certo. E non aveva potuto fare altro che stringere con forza il telecomando, nella cucina asettica del suo appartamento da scapolo troppo grande e troppo vuoto, e fissare lo schermo dove lei sfuggiva ai flash dei fotografi e a lui.
Poteva guardarla finché gli pareva, nelle foto, in tv, o nel dannato annuario scolastico vecchio di quindici anni, dove lei sorrideva già esattamente come la trentenne fatale che sarebbe diventata; poteva guardarla fino a morirne, ma non l’avrebbe presa.
E invece era proprio prenderla, quello che dovevano fare.
Quattro anni prima, ce l’avevano quasi fatta. Erano vicinissimi, così vicini che ad Urahara sembrava di poterla toccare, così vicini che non era più possibile sbagliarsi… e invece era stato un errore, un’illusione, un tradimento. Ancora una volta. Lei era riuscita a scappare – lei scappava sempre - e per quattro anni non avevano più sentito parlare di lei.
Lui si era ridotto a sentire la sua mancanza, come il più completo dei cretini, solo per provare un colpo al cuore, e anche da qualche parte più in basso, quando aveva saputo che stava tornando. Di nuovo quasi alla portata delle sue dita.
Era più che un cretino. Era patetico.
Era un poliziotto innamorato di una criminale, e neanche una qualunque, incontrata per caso troppo tempo prima. E come nella più classica delle storie, lui cercava davvero di rimanere fedele al suo dovere, ma lei era qualcosa di più della giacca, della cravatta, del distintivo; lei nella sua pelle scura, nei suoi fianchi lisci, nei suoi occhi di oro liquido era molto più consistente di quanto non lo fosse lui nella sua camicia spiegazzata, nei capelli troppo lunghi, nelle mani nervose.
Lei stava molto meglio calata nel suo ruolo di assassina e carogna, di quanto lui non stesse nel suo di poliziotto integerrimo, capo di numerosi sottoposti.
Yoruichi era sontuosa e superba, figlia di una famiglia che non doveva mai chinarsi di fronte a nessuno – nemmeno alla yakuza; Yoruichi si era fatta strada da sé, ancor più di quanto suo padre e il padre di suo padre avessero mai fatto – e lui, Kisuke? Di origine provinciale e povera, aveva studiato sodo e lavorato duramente per ottenere infine il suo attico a Tokyo e il completo elegante, nessuno dei quali aveva il minimo senso o c’entrava alcunché con lui.
E tutte le volte in cui si erano fugacemente incontrati, lei non aveva cessato di rimarcarlo.
Si era presa tutto, tutto quello che lui voleva dare, tutto quello che lui poteva dare e anche qualcosa di quello che non poteva.
E lui non era mai riuscito a fermarla. Nemmeno a farla rimanere un istante di più, figuriamoci arrestarla. Anche se ci aveva provato, ci aveva provato davvero; ma come si poteva, quando tutti remavano così palesemente contro, quando il prefetto era notoriamente un amico degli Shihouin, quando persino la televisione trasformava una criminale in una donna affascinante agli occhi degli spettatori?
Tutti quanti sapevano che Yoruichi Shihouin meritava quanto di più grave la condanna potesse risultare, e tutti quanti sapevano che non sarebbe mai arrivato il momento in cui la dovesse scontare. Yoruichi era intoccabile.
Dannazione, se lo era. Kisuke lo sapeva benissimo: quando ricordava come era sentirla addosso a sé, gli sembrava di avere toccato il fuoco, anziché pelle umana.
Si erano incontrati pochissime volte, per la maggior parte sentivano l’uno dell’altro attraverso i giornali, la televisione; ma a Kisuke sembrava di conoscerla da sempre, e sapeva che anche lei, anche lei lo conosceva come se potesse seguirlo con quei suoi occhi da dea, attraverso i muri, attraverso qualsiasi distanza.

Yoruichi appoggiò le dita sul bordo superiore della portiera e si issò agilmente fuori dalla macchina, voltando il capo per guardarsi attorno. Tanto il locale quanto la strada erano circondati da uomini massicci, vestiti uniformemente di nero, i colletti e i polsini accuratamente disposti per coprire i segni sulla pelle che rivelavano l’appartenenza alla yakuza; i tatuaggi grandiosi e ricchi di simboli che riconoscevano un membro dall’altro.
Quasi tutti quegli uomini portavano sull’avambraccio, intrecciato agli animali mitologici e agli scenari epici che dovevano ripercorrere attraverso l’inchiostro le caratteristiche del combattente, la mezzaluna circondata dalle quattro stelle degli Shihouin, tracciata in nero indelebile quanto la loro fedeltà. Erano alcuni degli uomini migliori tra quelli dei quali Yoruichi disponeva.
Gli eventi di qualche anno prima le avevano insegnato ad essere prudente.
Soifon richiuse la portiera e le si accostò, lo sguardo duro che setacciava in fretta le vicinanze, la mano vicina alla pistola e alla wakizashi che nascondeva sotto gli indumenti.
Yoruichi sorrise e le posò una mano sulla spalla. Diversamente dalle persone che erano con lei, vestiva all’occidentale, quasi non temesse di essere riconosciuta – come se non fosse già abbastanza inconfondibile di suo.
- Rilassati, Shaolin – le sussurrò divertita. Le spalle dell’altra si sciolsero subito, mentre la donna rivolgeva uno sguardo dubbioso alla padrona.
- Seguimi, - la incitò Yoruichi con un mezzo sorriso. – Andiamo a divertirci. Se non tirerai fuori la spada per la prima mezz’ora, forse riuscirai a distrarti un po’ anche tu. -
E la precedette verso l’entrata del Nocturne.
Se al padrone di casa non piaceva quel dispiegarsi di forze, non lo diede a vedere. Accolse l’ospite sulla porta nella migliore delle tradizioni, e le fece strada verso l’interno del locale con tranquillità, quasi un pacato divertimento di fronte al sospetto con il quale Soifon studiava l’ambiente illuminato di luce violetta, la mortale efficienza delle cameriere dai vestiti attillati, il viavai di clienti cui l’illuminazione e la pianta originale del locale donavano sagome confuse e volti nascosti.
- Ha quasi una sua classe, la tua piccola bettola – commentò Yoruichi, senza preoccuparsi di tenere un tono di voce basso, anzi premurandosi che Aizen la sentisse bene al di sopra della musica.
Lui si voltò e inarcò garbatamente un sopracciglio, verso la donna che lo seguiva pochi passi più indietro. – Ho fatto fruttare la fiducia che avevate riposto in me, - rispose senza scomporsi.
La musica ritmata li divideva. Soifon e gli uomini di lei fendevano la folla lanciando in giro occhiate aggressive.
Yoruichi rise, continuando a guardarsi attorno. – Intendi dire che hai fatto fruttare i soldi che ti avevo dato. Ma non è male, eh… è stato un buon investimento, - ribadì annuendo. – Ne sono contenta. -
Aizen si fermò indicandole una saletta privata, arredata di nero e di pelle come il resto del locale, ma visibilmente più lussuosa, e soprattutto isolata dalla massa di bevitori, ballerine e prostitute con clienti. La musica ora giungeva loro fortemente ovattata. L’uomo indicò un divano a muro mentre Soifon entrava insieme a loro.
- Rimani qui, Shuuhei. – Yoruichi si voltò appena verso gli uomini che la seguivano, facendo ondeggiare la coda di capelli dai riflessi violetti, e bloccandoli tutti fuori dalla porta, ad eccezione della sua fedelissima.
- Faccio portare da bene – propose Aizen, rivolgendo un impercettibile sguardo alla seconda donna.
Yoruichi si sedette. – Soifon è la mia guardia del corpo – spiegò. – Va dove vado io. Siediti, Soifon, berrai con noi. -
L’altra obbedì dopo un breve inchino. Aizen non commentò oltre, ma rimase in piedi.
Passò un breve istante di silenzio, durante il quale Yoruichi accavallò le gambe e appoggiò il gomito sullo schienale del divano, prendendone possesso tranquillamente. Poi la porta si aprì di nuovo ed entrò un uomo vestito di scuro, i capelli chiari, seguito dal vassoio delle bevande.
Sulla soglia, lo si vide esitare mentre l’uomo che Yoruichi aveva chiamato Shuuhei gli rivolgeva un’occhiata ravvicinata, il corpo a fargli da ostacolo, e infine si ritraeva.
La porta si richiuse.
- Gin Ichimaru – lo presentò Aizen, con un ampio movimento della mano verso il nuovo arrivato. – Il mio socio. -
- Ah, un volto nuovo – commentò Yoruichi, posando le labbra sul suo bicchiere. Soifon indurì l’espressione e nessuna delle due fece il minimo gesto di ripagare le presentazioni.
- E’ un grande onore – ribatté Gin dal canto suo. Non sembrava minimamente intimidito, e anzi riuscì a mettere nella voce un sottilissimo tono di scherno che fece inarcare il sopracciglio a Yoruichi. Fortunatamente, la cosa non ebbe seguito.
La donna terminò di bere e si sporse in avanti per posare di nuovo il bicchiere sul basso tavolino. Si guardò attorno ancora una volta e infine dichiarò, allegramente: - Bene, Sousuke! Eccomi qui. Hai detto che volevi incontrarmi. Era per offrirmi da bere? -
- No, naturalmente. – L’interessato sorrise conciliante. – Entrambi abbiamo modi migliori per impiegare il nostro tempo, non è così? -
L’altra gli rivolse un cenno come a concedergli ragione.
- Vi ho contattato per un altro motivo, nobile Yoruichi, un motivo che spero si rivelerà vantaggioso per tutti noi… -
Un altro cenno della mano. Stavolta, seccato. – Lascia perdere il “nobile Yoruichi” e vieni al sodo. – La donna roteò gli occhi, annoiata. Gin sorrise divertito.
Aizen, se mai ne aveva avuto uno, superò brillantemente il momento di difficoltà e chiarì: - Come desiderate. Bene, avete visto quello che è diventato il Nocturne: un locale di successo, sempre più conosciuto, strategicamente situato all’interno della città e sede di incontri tra diversi… partiti, potremmo dire… -
- Mh – commentò Yoruichi, scettica.
- Finora Gin ed io, - un modesto gesto verso il socio, al quale seguì un altrettanto modesto cenno di ringraziamento da parte di Gin – abbiamo lavorato in proprio e realizzato tutto questo da soli. – Aizen parlava con calma, come se fosse totalmente padrone della situazione, con una voce calda e suadente da oratore, o imbonitore: - Abbiamo ottenuto questi risultati, e ciò è ottimo, ma il giro d’affari potrebbe diventare tutta un’altra cosa se potessimo godere dell’appoggio del clan Shihouin… -
- E io cosa ci guadagno? – chiese Yoruichi senza mezzi termini, l’angolo sinistro delle labbra sollevato di poco. Guardava l’altro con una dichiarata espressione di sfida, che tuttavia Aizen seppe ricambiare con una certa eleganza.
- Il posto ha delle potenzialità, so che l’avete notato. Gli introiti sono buoni, ma potrebbero diventare straordinari con un piccolo aiuto, e una cospicua percentuale… -
- … ah-ha. – La donna lo interruppe agitando una mano e portandosi alla bocca lo stuzzicadenti corredato di due olive. – Parliamoci chiaro, Sousuke. Ne ho quanti ne voglio di locali come questi, non ho certo bisogno del tuo. Se ben ricordi è un altro il giro che mi interessa ed è sempre di quel giro che abbiamo parlato l’ultima volta… quando io ti ho elargito quella consistente somma di denaro che – e qui sollevò divertita una mano per indicare la stanza che li circondava – tu hai utilizzato per la realizzazione del tuo paradiso privato. -
L’uomo incassò senza battere ciglio, eppure passò qualche istante prima che rispondesse. – Sì. -
- Come sai, al momento i nostri interessi si stanno spostando – continuò Yoruichi, calcando in maniera significativa sul “nostri”. – Questo quartiere e la sua frequentazione sono la base di partenza ideale. Mi auguro che tu abbia lavorato su questo aspetto della questione almeno quanto sulla pelle dei tuoi divani. -
Un breve cenno d’assenso, il sorriso di nuovo al suo posto: - Certamente. – Sousuke Aizen era impossibile da prendere in contropiede.
L’altra lo incitò, spazientita: - E i risultati? -
- Un buon giro di ragazze – sintetizzò l’altro, scambiando uno sguardo con Gin, che annuì impercettibilmente – che fanno capo al locale ma non solo. Alcune di loro sono straniere, la maggior parte provinciali. La clientela è di buona estrazione, il guadagno pressoché netto. Per quanto riguarda l’altra questione, abbiamo molti piccoli lavoratori in proprio nel quartiere. Con i giusti fondi sarebbe possibile creare una rete interessante, dirigere le energie nella direzione giusta… -
- Sì, è la tua specialità, no? – commentò Yoruichi, ma era di nuovo allegra, evidentemente la risposta l’aveva soddisfatta. – Raccogliere disgraziati in giro e metterli assieme in qualche maniera perché diventino qualcosa di utile a te. Bene, fallo per me e potrei decidere di darti quei fondi che chiedi… ma devi farlo seriamente – concluse. Lasciò ricadere lo stuzzicadenti nel bicchiere. – Perché diavolo metti solo due olive nel Martini? -

Uryuu non era ancora tornato, ed Orihime si rigirava nel letto, inquieta. Dalla piccola finestra arrivava la luce dell’esterno e si proiettava sopra la testiera del letto. La ragazza tentava di addormentarsi, ma senza Uryuu al fianco le era impossibile; lui era così caldo, così sicuro e solido, che riusciva quasi a costringerla a dormire.
Ma Uryuu non c’era. Era fuori, a lavorare. Per se stesso, ma anche per lei. Per l’affitto, per l’acqua, per il gas. Per quella bella, piccola mansarda che condividevano e che lui aveva scelto al posto del suo economico monolocale quando avevano deciso di vivere assieme.
Uryuu non c’era, lavorare fino a tarda notte, e lei, Orihime, nel loro letto, nella loro casa, pensava ad un altro.
Gli occhi di Ulquiorra. Le labbra livide di Ulquiorra quando aveva aperto la bocca e aveva detto “Mi ricordo di te”.
Lui si ricordava di lei.
Era possibile? Possibile davvero?
Era così possibile che non riusciva a smettere di pensarci. Gli occhi di Ulquiorra, i capelli di Ulquiorra che gli sfioravano il collo, la sua pelle sottile e pallida, le sue mani dalle unghie dipinte di smalto nero rovinato.
E la sua voce. Era stata la prima volta che l’aveva sentita. Ora Orihime non riusciva a smettere di ripensarla, ripercorrerla con la mente, quasi che la voce di Ulquiorra rotolasse ora sul suo palato, soffiasse sulla sua pelle.
Era una voce adulta, più adulta di quanto si aspettasse, asciutta, distaccata, ma con qualcosa di vibrante sotto la superficie, qualcosa che le seccava la gola.



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Noticine…
Allora, eccomi dopo circa un mese (?) con l’aggiornamento. Mi scuso per aver fatto aspettare i pochi (ma buoni *O*) fedeli lettori. Ç_ç Ci sono stati di mezzo vari casini. E’ una fisima mia credo, ma mi serve una certa serenità anche per aggiornare con calma e costanza…
Spero che questo capitolo vi piacerà (e stupirà un po’?). Quello che mi piace è la sensazione di dare un’apertura alla storia, rendendola più… mh, sfaccettata? Con l’inserimento di nuovi personaggi che si muovono su livelli diversi dai primi. La spiegazioncina sulla mafia giapponese non è inventata ma bensì frutto di una ricerchina (XD) e quindi è quella che è.

@belialcross: Grazie mille, direi decisamente che non merito addirittura complimenti entusiastici... XD ma sono molto felice che la storia ti piaccia! E' una grande soddisfazione. <3

@Ino_Chan: Mia fedelissima çOç Wah, quanto ti ho fatto aspettare >< Allora, grazie millissime. Sono felice che si capisca la battuta sul mondo delle botte nei vicoli (XD), che Hisana appaia distante e soprattutto che ti piaccia la fine! Ero tutte cose che speravo di aver reso bene, specie la conclusione visto che è un po' vaga... :p

@AllegraRagazzaMorta: Se ti consola Orihime non quadra neanche a me, XD Ma sono contenta che ti piaccia Ichigo... considerando il fottio di personaggi che ho infilato in questa cosa, temevo lui si "perdesse di vista", quindi ho cercato di caratterizzarlo usando una specie di suo POV in questo capitolo. XD

@Erre: Benvenuta! Una nuova lettriceh! *o* Allora, grazie infinite. Sono contenta che la storia ti piaccia *_* Ora ti ho fatto aspettare un pochino, ma ecco finalmente l'aggiornamento... xD
   
 
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