XII
Un
fiore nero. Una sorta di
giglio scuro, rilucente di scintille d’argento, gli era stato
poggiato sul
petto. Un ultimo regalo, un ultimo saluto, adagiato su quel corpo ormai
senza
vita. Il corteo avanzava lentamente lungo le vie di lava del regno del
Fuoco.
Il vulcano più alto dell’impero di Vehuya li
attendeva. Onore riservato
solamente a pochi. Al principe bastardo, Elehcim, era stato concesso il
privilegio di avere come ultima dimora quel vulcano.
“Non
era così che doveva
andare, fratello mio” mormorò Kire, in piedi a
fianco del gemello morto.
Elehcim
pareva quasi
sorridere. Sembrava sereno, avvolto da un letto di fiori neri con punte
d’argento ed accenni rosso sangue, mentre era trasportato
lungo il sentiero dai
suoi compagni. Mezzosangue di tutto il pianeta erano giunti fin
lì per lui e
questo stupì Kire. Aveva sempre creduto di non appartenere a
nessuna razza, a
nessun popolo, ma ora, inaspettatamente, non sapeva spiegarselo, si
rendeva
conto che il suo pensiero non era corretto.
Loro,
sanguemisto, erano come
una grande famiglia. Loro, incroci della natura, meritavano di vivere
esattamente come i sanguepuro. Loro, i malvoluti ed i reietti, erano
più uniti,
più forti.
La
Creatrice cosa avrebbe
deciso? Li avrebbe fatti uccidere tutti? Poteva impedire la loro
nascita, se
erano tanto sbagliati! Perso in quei suoi pensieri, Kire
sospirò. Non avrebbe
potuto far nulla. Gli Dèi erano contro ogni suo possibile
intervento o
interferenza alla missione d’evocazione.
Si
sentiva davvero impotente.
Non poteva tentare di fermare i prescelti perché le
divinità stesse li
proteggevano. Aspettare. L’unica cosa che era in grado di
fare era aspettare…e
stare a vedere.
Forse
quelli erano gli ultimi
mesi d’esistenza che restavano, a lui ed ai suoi compagni.
Forse aveva ragione
suo fratello: Asteria era condannata, sarebbero morti tutti.
Gli
Dèi a cosa servivano? A
niente! Perché unirsi ai cori che gli altri mezzosangue
intonavano, come
estremo saluto ad Elehcim? Silenzio. Nessuna recita, nessuna canzone,
nessuna
voce voleva sentire. Solo l’immenso silenzio. Ed era questo
che voleva
sentissero le divinità. Niente preghiere, niente suppliche,
niente lodi per
loro. Silenzio. Voi per me non esistete, mormorava Kire, vi ho viste ma
è come
se non fosse successo. Voi non ascoltate, non lo avete mai fatto,
allora perché
sprecare fiato e fatica? Silenzio. Silenzio. SILENZIO!! Gridava dentro
di sé,
mentre tentava di sciogliere quel nodo che aveva in gola.
Deglutì. Non riusciva
a piangere.
“Non
trattenerti. Lascia un
ultimo messaggio a tuo fratello” si sentì dire.
Era
Neziar, colui che gli
aveva fatto da padre.
“L’ultimo
messaggio che ho
dato a mio fratello è stato ben diverso. Lui ora non
c’è, non può sentirmi e
non potrà sentirmi più. Le ultime parole che mi
ha rivolto sono state di
maledizione, di odio, e le mie di rimprovero e disprezzo. Non ci
sarà un’altra
conversazione fra di noi” sibilò Kire.
“Non
ti fa sentire meglio?”.
“Parlare
da solo? No”.
“Figlio
mio…”.
“Anche
se mi hai cresciuto, e
te ne sarò per sempre grato, tu non sei mio padre”.
“Lo
so. Vehuya è tuo padre, e
non te l’ho mai nascosto”.
“No,
neppure lui lo è”.
“Sei
figlio degli Dèi?”.
“AHAH…no,
certo che no! Sono
figlio di una puttana e di un traditore, biologicamente, nulla di
più. A
nessuno sento di dover rivolgere le parole "padre" o
"madre", mi spiace”.
“Non
lo hai mai fatto, non mi
aspetto che inizi ora, questo è certo”.
Neziar
capì che il giovane non
avrebbe più parlato e tornò ad unirsi al coro dei
sanguemisto. Ormai il corteo
era giunto sulla cima del vulcano-madre. Il corpo fu deposto
delicatamente,
accanto a lui la lava scorreva lungo le pendici ed il magma ribolliva
borbottando nel cratere. Kire intravide, quasi con fastidio, che Vehuya
era fra
la folla.
“Vuoi
dire qualche parola?”
sussurrò Danjell, rivolto al capo dei mezzosangue.
Non
ricevette risposta. Era
sceso un silenzio inquietante, d’attesa. Fu
l’imperatore a parlare,
raggiungendo il figlio con inaspettata agilità, data
l’età avanzata.
“Tu
non lo conoscevi” gli
sibilò Kire “Non osare aprir bocca”.
“Io
lo conoscevo perché era
parte di me” rispose l’uomo, rimanendo serio e
calmo.
“IO
lo conoscevo. Era parte di
ME, non di te! Era il mio gemello, siamo nati dallo stesso, minuscolo,
germe di
vita. Stesso codice genetico, stesso sangue, stessa vita
e…”.
“…e
diverso destino, ragazzo”
lo interruppe il padre adottivo Neziar.
“Come?!”
si stupì il giovane,
non aspettandosi quella frase.
“Parla.
Dì qualcosa per la
nostra razza e per Elehcim. Fa che le tue parole restino nel cuore dei
presenti
e che il pensiero del tuo gemello non muoia mai. La vita è
solo un soffio ma,
se qualcuno lo ricorderà, in realtà nessuno
morirà mai”.
“Un
ricordo è diverso dalla
sua presenza. Il tuo ragionamento non ha senso!”.
“Se
non vuoi parlare, allora
richiama l’energia del vulcano e guidalo nella sua ultima
dimora”.
Kire
rimase in silenzio,
qualche istante. I mezzosangue lo fissavano, in silenzio.
“Non
piangete” iniziò il
gemello vivente “Di certo è il gesto
più ipocrita e falso che si può fare ad un
funerale. Soprattutto al suo funerale. Elehcim è sempre
stato un gran testardo
ed è stata proprio la sua testardaggine a portarlo alla
fine. Era un insieme di
contraddizioni, frustrazioni e rabbia, che ha incanalato il
più possibile nella
direzione giusta. Purtroppo, ad un certo punto, queste emozioni erano
così
forti e dominanti da riuscire a sopire la voce razionale del suo
cervello. Lo
sconforto, la gelosia, la follia, hanno sostituito ciò che
un tempo era mio
fratello. Era arrivato al punto di sperare ed attendere la fine di
Asteria ed
io non lo avevo mai compreso, fino ad ora. Adesso, invece, mi sono reso
conto
che, dopotutto, se la vita su questo pianeta deve continuare come ora,
è
davvero meglio che tutto termini. Noi non siamo la colpa della
sofferenza di
Asteria. Noi, mezzosangue di varia generazione, ci siamo sempre stati.
Non
abbiamo scelto di essere al mondo. Non abbiamo deciso di nascere ma
siamo stati
generati, chi da sanguepuro e chi da sanguemisto, e poi abbandonati.
Siamo
vissuti nascosti, celati agli occhi di chi ci voleva morti, ed ora
veniamo
accusati. Se qualcuno merita l’estinzione, ora, quelli sono
loro. Coloro che ci
hanno creati e poi rinnegati. Purtroppo gli Dèi li
proteggono e perciò non
possiamo fare altro che aspettare e sperare. Mio fratello, Elehcim, mio
gemello
speculare, non vedrà la fine di tutta questa storia. Che
questo sia un bene o
un male lo vedremo, lo vedrà chi verrà dopo di
noi, se qualcuno verrà…”.
Guardava
Vehuya con odio
malcelato, anche se l’imperatore restava in silenzio, a capo
chino.
“…io
non odio i prescelti” riprese
Kire “Nonostante tutto ciò che mi hanno fatto, io
non li odio. E non dovreste
odiarli neppure voi. Non odio mio fratello che, diciamocelo,
è andato un po’ a
cercarsela questa sua fine. Ma era questo ciò che voleva
perciò, vi ripeto, è
inutile piangere. Non è stato un incidente, non è
stata un’ingiustizia. Ha
combattuto ed è stato sconfitto. Non credo potesse chiedere
di meglio, quel
testone. Non piangete. Sorridete per lui. Era ciò che
voleva. Il destino, la
vita, gli ha concesso questo ultimo regalo ed è inutile
esserne tristi. Lui non
avrebbe pianto per voi…è un atto
inutile”.
“Ad
alcuni di noi fa stare
meglio. Versare qualche lacrima ci libera da un peso”
commentò Arual.
“Credo
che lui preferisca un
applauso, ed un brindisi in suo onore” sorrise, calmo, Kire,
ed iniziò a
battere le mani.
Tutti
i sanguemisto seguirono
quel suo gesto, mentre il fuoco vivo del vulcano attivo iniziava ad
avvolgere
il corpo di Elehcim e portarlo lentamente nel suo ventre magmatico.
†††
“Che
immagine toccante…”
commentò Kaos, con sarcasmo, sgranocchiando uno snack con
indifferenza e
distacco.
“Non
dovresti usare quel tono
in mia presenza. Mi dà fastidio” disse Dharam, Dio
del Fuoco.
“Sai
quanto me ne frega se a
te dà fastidio, ragazzino?!” sbottò il
Dio oscuro.
“Quanto
sei antipatico”.
“Quanto
siete infantili!”
interruppe entrambi Vereheveil, Dio patrono del regno della Luce.
“Cerchi
rogne, nano
svolazzante?” ringhiò Kaos.
“Non
ho paura di te, pallone
di fuliggine ambulante!”.
“E
piantatela!” li rimproverò
Heronìka, con un tono che non ammetteva repliche.
Le
divinità erano riunite nel
loro mondo parallelo ed osservavano ogni avvenimento del pianeta.
“Ci
siamo tutti! Incredibile!”
si stupì Xoduzz, Dio elettrico.
“No.
Ti correggo” ci tenne a
precisare Vereheveil “Mihael è assieme al gruppo
dei prescelti, il nostro
collega della Terra è nel suo luogo proibito in attesa e
poi…manca lui!”.
“Lui
manca sempre! E mancherà
sempre!” borbottò Loreatehenzi.
“È
già un grande risultato il
fatto che tutti, tranne chi voi sapete, siamo uniti per la buona
riuscita
dell’evocazione” parlò, in tono da
discorso ufficiale, Dharam.
“Capirai…”
ghignò Kaos.
“Sei
sempre il solito!” rise
Xoduzz.
“Diciamo
che è un buon modo
per scacciare la noia. Per me la Creatrice verrà evocata e,
una volta ascoltato
il problema, dirà "arrangiatevi" e tornerà a
farsi i cazzi suoi
altrove” commentò l’Oscuro.
“Tu
ed il tuo pessimismo!”
notò Heronìka, Dea dell’Acqua.
Enrikiran
era l’unico che non
parlava. Restava per i fatti suoi, suonando il suo strumento di
ghiaccio. Loreatehenzi,
suo fratello minore, Signore dell’Aria, lo tormentava ma
senza risultato.
“Certo
che…noi Dèi dovremmo
essere più neutrali. Questa volta, invece, siamo
spudoratamente dalla parte di
qualcuno. Sicuri che sia giusto?” domandò
Vereheveil.
“Noi
riusciamo a comprendere
l’insieme delle cose. Il tutto. Anche i mortali capiranno,
poi, che le nostre
scelte sono le più giuste per gli universi. Ora alcuni di
loro ci disprezzano,
è vero, ma vedrete che verrà il giorno in cui
torneranno a porgerci la mano” rispose
Dharam.
“Ne
sei certo? Per me fai le
cose a caso…” commentò Kaos, sempre
mangiando porcherie di vario genere e
riempiendo di briciole il pavimento.
“Sei
tu quello che fa le cose
a caso!” esclamò, infastidito, il Dio dei fuochi.
“Ovvio!”
sorrise, soddisfatto,
l’Oscuro.
“Ma
cosa perdo tempo a parlare
con te?! Tanto non capisci niente! Sei un Dio inutile!”.
“Hei,
bello! Con chi credi
parlare? Io c’ero prima di te, lo sai? C’ero prima
di tutti voi, perfino prima
della Creatrice stessa!”.
“E
non credi che sia ora di
andare in pensione, vecchio rincoglionito?!”.
Heronìka
ruotò gli occhi al
cielo. Era molto stupita del comportamento del collega di Fuoco.
Normalmente
era di buon umore, sereno, e poco propenso alla rissa. La tensione
però
s’avvertiva. La tensione e la consapevolezza che molte cose
potevano cambiare
da un momento all’altro, una volta evocata la Creatrice.
Evidentemente tutti i
presenti percepivano questa sensazione e si sfogavano con nervosismo.
Era
palpabile l’inquietudine fra gli animi dei presenti. Del
resto, loro erano Dèi,
abituati ad avere tutto sotto controllo con un buon margine di
preveggenza, non
avvezzi ad avere dinnanzi un muro di incertezze e punti di domanda. E
di certo
non erano abituati a vedere il destino di qualsiasi cosa in mano a dei
semplici
mortali.
“L’attesa
mi distrugge…”
protestò Xoduzz, rigirando la testa all’indietro
“…e sì che sono in vita da
millenni e l’eternità di certo non è
mai stata un problema”.
“Potresti
mandare un messaggio
al Dio del Tempo. Non so in quale pianeta sia stato messo, ma forse un
salto lo
può fare da queste parti” ironizzò
Loreatehenzi.
Sospirarono,
all’unisono.
Nella loro mente centinaia di domande e dubbi. Se fossero intervenuti
loro
prima, sarebbe stato necessario il viaggio e tutto il resto? Inutile
pensarci.
Guardarono verso il basso. Il funerale stava giungendo al termine. Era
uno
spettacolo triste, lo sapevano, ma allo stesso tempo erano consapevoli
che per
ogni morte c’era una vita. E per ricordare la vita spostarono
lo sguardo verso
l’imponente albero dei reali della Terra.
†††
“Congratulazioni”
disse
Zameknenit, inchinandosi davanti alla regina di quel regno.
Midir,
sovrana della Terra,
stringeva fra le braccia il suo primogenito. Il suo consorte, in piedi
accanto
a lei, guardava entrambi con orgoglio. Lei era seduta, avvolta da fiori
colorati e profumatissimi, dono di amici e parenti per festeggiare il
lieto
evento. Era un bambino bellissimo, con la pelle verde tipica del suo
popolo,
avvolto da una copertina che lo faceva assomigliare ad un prezioso
frutto
racchiuso in un baccello morbido. Ed effettivamente era prezioso quel
bimbo.
Era il principe ereditario di quel regno, tanto desiderato dai genitori
e dal
popolo. Aveva i capelli verdi della stessa tonalità del
padre e gli occhi viola
della madre. Se ne stava tranquillo, sonnecchiando pacifico, facendosi
cullare.
“Grazie,
Signore dell’Aria”
parlò il re della Terra, inclinandosi in avanti leggermente.
Midir
era commossa. Davanti a
sé aveva quasi tutti i sovrani di Asteria, cosa che non
accadeva mai se non
alle convocazioni dei Signori di Est ed Ovest. C’era
Ozymandias, re
dell’Oscurità, con un piccolo sacchetto di pietre
preziose come dono al
neonato. Rocana, sovrana del Ghiaccio, assieme al marito ed ai figli
maschi,
parlava allegramente con Nerektan, la regina dell’Acqua.
Taranis, re
dell’Elettricità, sorrideva e non riusciva a stare
fermo. Friedrik, anziano
sovrano della Luce, si guardava attorno ammirato. Infine Jovihann, la
Signora
del Metallo, era presente ma se ne stava in disparte, persa nei suoi
pensieri.
Sapeva che, in quello stesso momento, Vehuya era al funerale di uno dei
suoi
figli. Eranoranhan, capo della Roccia, non aveva potuto presiedere a
quella
presentazione ufficiale del piccolo principe ma aveva mandato una
lettera di
felicitazioni, spiegando che era costretto a letto in quel periodo.
“Mi
sembra incredibile.
Vedervi tutti qui è una specie di sogno che si
avvera” parlò Midir “Vi
ringrazio per i doni e per i sorrisi. Mai prima d’ora era
successo un incontro
come questo e sono davvero felice che mio figlio possa essere stato
d’aiuto per
aprire le porte alla diplomazia”.
I
reali si fissarono, chi con
convinzione e chi con titubanza.
“Mi
dispiace che il mio
diretto avversario, l’imperatore Vehuya, non sia
presente” parlò Zameknenit
“Sarei stato ben lieto di discutere con lui”.
“Non
può nascere la pace fra i
regni in un solo giorno” affermò Friedrik
“Ma già il fatto che ognuno di noi
sia qui in questa occasione, senza dare alcun cenno di voler litigare,
direi
che è un notevole passo avanti!”.
“Notevolissimo!”
sorrise
Nerektan.
“Vorrei
che ci fosse la mia
cara amica Idisi” mormorò Midir “Colei
che aveva previsto la nascita di questo
bambino e che ora sta percorrendo le vie di Asteria su ordine dei
Signori
dell’Est e dell’Ovest. Tutti voi avete una persona
a voi cara, o comunque
vicina, in quella missione…”.
“Per
me è un grande sollievo
poter condividere la mia preoccupazione con altre persone che sono
tormentate
dalla stessa angoscia” annuì il sovrano della Luce
“La paura di non veder
tornare la persona a cui abbiamo affidato la chiave,
l’inquietudine
dell’incertezza, la debolezza che si percepisce nella magia
del pianeta…”.
“L’ultima
che ha avuto notizie
dirette del gruppo è stata Jovihann, mi
sembra…” iniziò Ozymandias, fissando la
regina metallica che, però, non rispose a quello sguardo.
“Dopo
quanto successo nel suo
regno…” mormorò Rocana
“…quei mezzosangue ed i loro
attacchi…chissà quanti
morti fra il suo popolo!”.
“Beh,
io avevo proposto di
eliminarli tutti, quegli incroci, ma mi avete bloccato!”
protestò Taranis.
“Perché,
come sempre, agivi
d’impulso! Lascia che sia la Creatrice a sbrigarsela, senza
macchiarti di
inutili colpe!” lo zittì Nerektan.
“Tutti
noi abbiamo già delle
colpe, qua dentro” sbottò Jovihann “Se
non avessimo abbandonato ed ignorato
quelle creature dal sangue bastardo, non ci avrebbero odiato al punto
da
attaccarci”.
“Fermi
un attimo!” si stizzì
Ozymandias “Hanno attaccato il tuo regno, non il mio o quello
di qualcun altro!
Ciò significa che hanno dei conti in sospeso solamente con
te o la tua gente,
oppure hanno colpito a caso, tentando di bloccare i dieci viaggiatori
da noi
scelti ed amplificando il terreno d’azione. Il loro
è solamente un tentativo di
autoconservazione. Non vogliono che la Creatrice li uccida e cercano di
uccidere loro per primi…”.
“Pur
a malincuore, mi trovo in
accordo con il Signore dell’Oscurità”
disse Zameknenit.
“È
per colpa delle decisioni
affrettate ed azzardate che siamo giunti al punto in cui siamo
ora” insistette
la regina del Metallo.
“A
proposito di decisioni
affrettate…il tuo amante, Vehuya, dove si
nasconde?” interruppe Ozymandias,
senza capire i vaneggiamenti di colei a cui rivolgeva la domanda.
“Non
sono affari tuoi!”
rispose, malamente, la sovrana metallica.
Detto
questo, si alzò di
scatto dall’angolino in cui stava tranquilla e fece per
andarsene. Il re
dell’Oscurità, ghignando, allungò un
piede e la bloccò, calpestandone l’ombra.
“Lasciami!”
protestò la
bloccata, dimenandosi “Leva il tuo dannato piedone dalla mia
ombra all’istante!”.
“Se
no cosa mi fai?
Sentiamo…”.
“Non
siamo qui per litigare!”
si intromise il re della Luce, frapponendosi tra i due.
“Quanto
sei noioso, Friedrik”
sbuffò Ozymandias, alzando il piede e lasciando andare
Jovihann.
“Non
siamo qui per trovare un
colpevole a quanto sta accadendo! Siamo qui per rimanere uniti, come
gli Dèi ci
chiedono” continuò il rappacificatore.
“Gli
Dèi potrebbero risolvere
i loro casini da soli, invece che tormentare noi!”
sbottò l’Oscuro.
“In
effetti…” concordò
Taranis, alzando un sopracciglio.
“Oh
no, non cominciamo!”
bloccò tutti la regina dell’Acqua “Non
si litiga oggi, ok?”.
Midir
sorrise e si rilassò.
Era già pronta ad portare al sicuro la sua creatura, se
necessario.
“Sono
dalla tua parte,
Nerektan. Oggi non si litiga. Dovremmo imparare a fidarci
l’un l’altro ed
aiutarci. La situazione necessita collaborazione, non odio!”
parlò Friedrik.
“Ci
sono delle creature di cui
è difficile fidarsi” sibilò Zameknenit,
guardando solo di sfuggita il sovrano
dell’Oscurità.
“Per
caso, la butto là, ce
l’hai con me?” sibilò Ozymandias,
inclinando gli occhi argento.
“E
con chi altro? Sei tu
quello che trama sempre alle spalle di tutti!”.
“Cerchi
rogna? Perché se è
così, ti avviso, io ho l’esercito più
forte del pianeta e sto un attimo a fare
un culo così a tutto il tuo regno di piumati
arcobaleno!”.
“Questo
è tutto da dimostrare,
essere informe!”.
Ozymandias
divenne più grosso
e minaccioso. Zameknenit non si impressionò e si
limitò a fissarlo, incrociando
le braccia, sfidandolo con i suoi profondi occhi blu. Alzò
la testa, mentre il
Signore dell’Oscurità aumentava di dimensioni,
superandolo di diversi
centimetri.
“Piantala,
Ozy!” lo bloccò
Friedrik, accentuando la sua luce lentamente, costringendolo a
retrocedere,
borbottando bestemmie.
“Vaffanculo,
Fridy!” fu la
risposta, alquanto seccata, dell’Oscuro.
“Che
bambini…” scosse la testa
Taranis.
“Ma
se tu sei il peggiore di
tutti!” rise Midir.
“Non
è vero!” piagnucolò il re
dell’Elettricità, mettendo il broncio.
“Siamo
tutti nervosi perché
abbiamo persone a noi vicine che sappiamo stanno rischiando la
vita” cercò
giustificazioni la regina dell’Acqua.
“No,
il nuvolone qui a fianco
è sempre così!” sbottò
Jovihann, riferendosi ad Ozymandias.
“Ma
perché mi rompete tutti
quanti le palle?! Comunque sì, è vero, sono
sempre così ma…mia figlia è
là
fuori e, se permettete, sono preoccupato esattamente come voi. Specie
sapendola
in compagnia di certa gente di certe razze…”.
“Sono
sicura che se la sta
cavando benissimo, se ha preso anche solo una minima parte del tuo
carattere!”
rise Rocana.
“Non
ne dubito ma…mi son
giunte strane voci all’orecchio…”
parlò il re dell’Oscurità.
“Dove
hai le orecchie tu,
scusa?” ironizzò Zameknenit, agitando le sue,
piccole ed a punta, fra i ciuffi
rossi della sua singolare pettinatura.
“Vuoi
che strappi le tue?! Ad
ogni modo, dicevo…mi son giunte strane voci su
un’inopportuna vicinanza fra mia
figlia e tuo fratello, caro Zameky”.
“Anch’io
pensavo fosse
sbagliato, all’inizio…” parlò
il sovrano dell’Aria, ricordando la festa al suo
palazzo “…ma poi, dopo che si sono baciati,
io…”.
“Si
sono cosa?! Chi ha baciato
chi, o chi ha baciato cosa?! Mi riferivo a ciò che mi
avevano detto su un’isola
ed un salvataggio…”.
“Ah…quindi
non eri a
conoscenza del fatto che tua figlia e mio
fratello…”
“Tranquillo.
Nel mio regno non
mi è sembrato avessero più niente a che fare fra
loro” intervenne Jovihann,
sempre con lo sguardo rivolto lontano.
“E
meno male! Ci mancherebbe
altro…avere per genero quello sfigato di
Aherektess…”.
“Non
è uno sfigato! È il mio
gemello!” protestò Zameknenit.
“Appunto!
La mia povera
bambina…chissà cosa le passava per la
testa!” sbottò Ozymandias.
“A
mio avviso, sarebbe stata
un’ottima cosa, invece” parlò Taranis, a
sproposito come sempre.
“Ma
chiudi il becco!” lo zittì
l’Oscuro.
Il
re dell’Elettricità si
indispettì e tirò su la coda, come fa uno
scorpione, caricandola di luce
elettrica e preparandosi a colpire chi aveva di fronte.
“Vi
prego, non nel mio
palazzo!” li ammonì Midir.
“Qui
ci vorrebbe Vehuya.
Darebbe fuoco ad un po’ di questo inutile
verde…” affermò il re Oscuro,
irritato perché a quanto pare era divenuto il capro
espiatorio e la vittima
sacrificale su cui i reali stavano scaricando ogni loro tensione.
“Ed
io che credevo di
rilassarmi un po’…” mormorò
Friedrik.
“Siamo
senza speranza…”
sospirò Nerektan.
“Mi
auguro che i nostri
ragazzi si stiano comportando in modo diverso” le rispose
Rocana.
†††
“Non
fare la bambina!
Muoviti!” tuonò Kassihell.
Reishefy
incrociò le braccia,
offesa, e si girò dall’altra parte. Da giorni
attraversavano il regno della
Terra sui suoi alberi, l’unico modo per avanzare senza
rimanere bloccati nel
suo intrigo di radici e liane. In quel momento, quasi tutto il gruppo
era
riuscito a passare da un grosso albero ad un altro, ognuno con un suo
metodo,
ed attendeva la principessa dell’Elettricità. Lei
era rimasta sull’altra pianta
e si rifiutava di avanzare.
“Sono
stanca!” protestò,
pestando i piedi.
“Lo
siamo tutti,
rompicoglioni! Muovi il culo e salta di qua!”
ringhiò il Fuoco.
“Così
non otterrai mai
niente…” sussurrò Idisi.
“Dici?
Stai a vedere…o viene
di qua oppure la lasciamo lì. In ogni caso avrei vinto
io!” rispose Kassihell,
prima di rivolgersi di nuovo a Reishefy “Senti, piccola pigna
lagnosa, noi ora
proseguiamo. Se non vuoi restare indietro, ti consiglio di saltare.
Altrimenti
resta pure dove sei, addio! Sono stufo di perdere tempo con
te!”.
Detto
questo si girò e fece
segno al gruppo di fare lo stesso.
“Sei
proprio uno stronzo…”
ridacchiò Mihael, il Dio protettore del Metallo, loro scorta.
“Avevi
forse un’idea
migliore?”.
“Sinceramente
no…”.
Reishefy
dapprima non si
mosse, convinta che non la lasciassero lì. Dopo un
po’, però, notando che il
gruppo si allontanava, spalancò gli occhi dalla sorpresa.
“Ma
come?!” si stupì “Mi
lasciate davvero qui? No! Fermi! Brutti bastardi! KASSIHELL!!! BRUTTO
OMINO
FLAMBÈ!! NON OSERAI PER DAVVERO FARMI QUESTO??!!!”.
Scoppiò
a piangere, sentendosi
tradita da coloro che riteneva suoi amici. Urlò a vuoto per
alcuni minuti e poi
si arrese all’evidenza. Doveva per forza raggiungerli.
Piagnucolando ed
inveendo, contro ignoti e conoscenti, saltò
sull’albero dove già si erano
allontanati gli altri. Si mise a correre, sempre urlando e piangendo.
Quando li
raggiunse, il resto della compagnia la ignorò.
“Siete
proprio degli stronzi”
sibilò l’Elettricità
“Soprattutto tu, Kassy!”.
“Non
chiamarmi Kassy!”
protestò il Fuoco.
“Per
caso "Testa di
cazzo" ti va meglio come soprannome?”.
“Decisamente…”.
La
ragazzina non disse altro,
sconcertata da quella risposta.
I
viaggiatori camminavano
lungo l'intricato insieme di rami e foglie che componevano le strade
della
Terra. Sotto di loro il vuoto e le liane. Il vento sibilava fra gli
altissimi
tronchi decorati a festa, con nastri e campanelli, per festeggiare la
nascita
del principe. Idisi guidava il gruppo senza parlare, con la chiave
verde a
forma di albero ben in vista legata al suo collo. Per lei era semplice
avanzare
in quell’intreccio legnoso. La Roccia, al contrario, guardava
fisso in aria per
evitare di pensare al fatto di essere sospeso nel vuoto. Più
di una volta
rischiò di cadere, fino a quando Thuwey, il più
alto del gruppo, non decise di
andargli davanti. In questo modo, Mattehedike poteva osservare la testa
del suo
compagno di viaggio e non correre rischi. Efrehem, circondato dai fiori
colorati di quel mondo, sospirava girando la testa verso Hanjuly,
notevolmente
più agile di lui nell’andare avanti. La treccia
bionda di lei rimaneva sospesa,
fra un salto all’altro, per qualche istante, ed il giovane
rappresentante della
Luce l’ammirava, rilucente e delicata. Più volte
la principessa del Ghiaccio lo
aiutò lungo il cammino, porgendogli la mano, ed ogni volta
il cuore di lui
partiva, battendo all’impazzata. Si chiese spesso come
facesse lei a non
accorgersene. Rifletté sul fatto che il viaggio ormai stava
per concludersi,
quell’avventura giungere al termine. Avrebbe mai trovato il
coraggio di dirle
quello che provava? Si disse che, forse, era meglio fare finta di
nulla. Una
come lei non lo avrebbe mai voluto. Era così
bella… Lei era alta, bionda, con
quei due occhi azzurro chiaro come il ghiaccio, quello sguardo
così freddo ed
allo stesso tempo profondo, che faceva sognare, quella forza e
quell’abilità
nel combattere, coraggiosa ed ingegnosa. Sapeva farlo ridere, cosa
difficile, e
lo stupiva sempre con nuove idee e stratagemmi. Era perfetta. Radiosa,
magnifica, intraprendente, bellissima… Sentì un
tuffo al cuore quando si girò a
guardarlo. E strinse i pugni, arrabbiato con la natura, sapendo di
essere più
basso di quasi una testa rispetto alla principessa del gelo.
Girò le antenne
rosse all’indietro. Solo Lehelin era più bassa di
lui in quella missione e la
cosa lo irritava tantissimo! Inoltre, la principessa
dell’Oscurità poteva
modificare il suo aspetto e divenire ben più alta. Lui era
basso e rimaneva
tale. Odiava essere così, con quelle strane antenne, quel
ciuffo nero di
capelli quasi sempre in faccia, le spalle stette, il corpo mingherlino
e gli
occhi esageratamente grandi. Amava il suo cervello, quello
sì, ma dubitava di
poter far colpo su di lei con quello. Di certo Mattehedike, con i suoi
bicipiti, o Thuwey, con la sua altezza di quasi due metri, lo battevano
in
tutto. Sospirò e tentò di non pensarci. Non era
l’unico ad avere migliaia di
pensieri in testa. Thuwey, da quando gli era stato detto di essere in
realtà il
figlio di Jovihann, era piuttosto confuso. Era da anni, ormai, che non
sognava
di avere una madre. Mai avrebbe desiderato, poi, essere di sangue
reale. Fissò
Kassihell. Pure lui non sapeva in quale direzione indirizzare i suoi
pensieri.
La faccenda dei gemelli, il comportamento di suo
padre…ricambiò lo sguardo di
Thuwey, senza dire una parola. Al suo fianco, Lehelin ascoltava
solamente la
voce della sua testa, ignorando del tutto gli altri nove compagni di
viaggio. Aherektess
la fissava, preoccupato. Avrebbe voluto dirle “Un soldo per i
tuoi pensieri” ma
preferì non indagare, intimorito da una sua possibile
reazione negativa. Enki
ed Hanjuly parlavano fra loro, consapevoli che erano le uniche due che
ancora
non avevano il loro oggetto proibito. Mihael chiudeva il gruppo, con un
gran
rumore d’armatura e lo sguardo attento.
“Ormai
manca poco alla dimora
del Dio della Terra” parlò Idisi
“Perlomeno…la cartina che ho del mio regno
dice così!”.
“Anche
voi sentite sempre più freddo
o è solo una mia impressione?” domandò
Kassihell, rabbrividendo leggermente.
“Ora
che me lo fai notare, è
vero. Fa sempre più freddo, man mano che
avanziamo” concordò Enki.
Le
dimore dei nativi e la loro
presenza si faceva sempre più rara e gli alberi sempre
più spogli.
“Dici
che sia un buon segno?”
mormorò Efrehem ad Idisi.
“Non
ne ho idea” ammise lei
“Non sono mai stata da queste parti”.
Stava
scendendo la notte. Il
gruppo decise di fermarsi, evitando di affrontare il gelo che pareva
sempre più
pungente. Molti scesero dagli alti tronchi, raggiungendo i fiumi
limpidi che vi
scorrevano al di sotto. Idisi procurò del cibo, raccogliendo
frutti o cacciando
con un rudimentale arco che si costruì in pochissimo tempo.
Si addormentarono
piuttosto soddisfatti, cullati dal movimento delle fronde al vento e
dai canti
degli uccelli notturni.
“Lehelin…sei
sveglia?”
sussurrò Hanjuly.
“Certo.
Io non ho bisogno di
dormire, ricordi?” rispose la principessa
dell’Oscurità.
“Posso
parlarti?”.
“Sì.
Ma forse è meglio se ci
allontaniamo dal gruppo. Non li svegliamo!”.
Le
due compagne scesero lungo
il tronco fino ad un ramo basso. Sotto di loro scintillava la luce
argento di
un fiume illuminato dagli sposi della notte. Lehelin lasciò
ciondolare i piedi
e ne sfiorò la superficie, ammirandone le onde che si
espandevano dal punto da
lei toccato.
“Cosa
ti preoccupa, Han?”.
“Vorrei
chiederti un
consiglio”.
“Di
che tipo?”.
“Hem…tipo
discorso da donna a
donna su certe questioni sentimentali”.
“E
vieni a chiedere consiglio
a me?! Lo hai visto cosa è successo con Aherektess. Ti
sembro forse la persona
adatta a dare consigli in merito?”.
“Secondo
me, sì. E poi…Enki
non mi risulta sappia la differenza fra maschio e femmina, a mio
avviso, mentre
Reishefy è una gran pettegola, mi metterebbe in
imbarazzo”.
“Idisi?
È di certo più
esperta. È sposata!”.
“Sì,
ma…lei risponde sempre ad
una domanda con un’altra domanda. Mi darebbe quelle risposte
vaghe che dà
quando legge le carte…”.
“Ho
capito. E va bene…vedrò se
ti posso aiutare. Sinceramente, non credo”.
“Riguarda
Efrehem”.
“Il
principe con le antenne?
Dimmi pure…”.
“Tu…cosa
ne pensi di lui?”.
“In
che senso?”.
L’Oscurità
non guardava negli
occhi la sua interlocutrice e continuava a seguire con lo sguardo i
pesci che
nuotavano nel fiume ed i loro colori smorzati dalla notte.
“Credi
che uno come
lui…disprezzi una come me?”.
“Disprezzi?
Perché mai
dovrebbe disprezzarti?”.
“Perché
lui è così
intelligente, preparato e logico. Sono certa che più di una
volta ha pensato
che io sia una stupida…”.
“Credo
lo abbia pensato in
generale, rivolto a tutto il gruppo. Tu ti senti stupida?”.
“No.
Ma, rispetto a lui, lo
sono”.
“Rispetto
a lui quasi tutti lo
sono. È del regno della Luce, dove la conoscenza
è il tratto fondamentale. Il
suo scopo, in questa missione, è usare le sue
rotelle”.
“Lui
è talmente logico e
calcolatore…che credo che se gli parlassi d’amore
lui mi risponderebbe che è
un’invenzione, una semplice reazione biologica finalizzata
alla continuazione
della specie!”.
“Probabile…”.
“Lui
è così affascinante. Non
sta tutto il tempo ad osservarmi le tette, non fa commenti inopportuni
sul mio
corpo e su cosa ci farebbe, non sbava quando passo! Mi tratta come una
persona
in grado di ragionare, non come una bambola di porcellana da pettinare!
Questo
mi piace…ma ho paura che un comportamento del genere riveli
solamente che non
gli interessano le donne come me”.
“A
chi non interessa una donna
come te? Intendo dire…sei molto bella e sei intelligente, lo
hai dimostrato
quando hai escogitato alcune strategie che ci hanno permesso di
avanzare in
questa missione. Sei simpatica, solare e, soprattutto, nonostante la
natura ti
abbia donato tutto questo, non guardi noi altre ragazze
dall’alto in basso”.
“In
realtà lo faccio”
ridacchiò Hanjuly “Perché siete tutte
più basse di me!”.
“Temi
che Efrehem possa
respingerti?”.
“Lui
è sempre così curioso,
ricorda ogni cosa, impara le lingue con una tale
facilità…”.
“Tu
controlli il tuo elemento
magnificamente, sai combattere meglio della maggior parte di noi e sai
sempre
trovare qualche bella parola per chi è triste o
arrabbiato”.
“Sì
ma questo a cosa può
servirmi?”.
“A
sopravvivere, cazzo!
Efrehem lo abbiamo salvato ed aiutato quante volte?! Sarà
anche un genio ma non
sa stare al mondo!”.
“Dici
che abbia qualche
possibilità con lui?”.
Lehelin
scoppiò a ridere: “Ma
se ti viene dietro da mesi, lui e le sue antennine rosse!”.
“Davvero?!”
si stupì la
principessa del Ghiaccio.
“Ma
sì, certo!”.
Hanjuly
fissò la sua
consigliera in modo strano. Non credeva alle sue parole.
“Han…se
tu fossi una di quelle
donne con in mente solo il trucco, le scarpe ed i vestiti
all’ultima moda,
allora non avresti speranze con lui. Ma non sei così,
perciò ti consiglio di
tentare”.
“Dici
che questo farà
ingelosire gli altri maschietti del gruppo?”
ridacchiò la bionda.
“Questo
è sicuro!”.
“E
come credi che possa fare?
Io sono abituata con i ragazzi del mio regno. Il loro modo di fare con
me è
inequivocabile e, alla fine, diventano così fastidiosi che
li mando via! Anche
perché di me apprezzano solo il corpo e non fanno altro che
criticare il mio
carattere ed il mio modo di fare. Devo ammettere che non mi
è mai capitato di
corteggiare qualcuno”.
“Beh…in
questo non posso
esserti di grande aiuto. Prova a lanciargli piccoli segnali. Una
gentilezza, un
lieve contatto con la mano per vedere come reagisce,
complimenti…ma sempre con
sincerità perché credo sia in grado di percepire
quando qualcosa è detta col
cuore o tanto per occupare il vuoto di una conversazione. Non
mentirgli,
fingendo interesse per ciò che ti racconta quando in
realtà non te ne frega
niente, e cerca di non trattarlo come un bambino. Magari tu vuoi fare
la tenera
usando dei nomignoli, chiamandolo "piccino" o cose del genere, ma
credo che questo vada a toccare quelle corde interne che lui ritiene
stonate”.
Hanjuly
annuì.
“E
cerca di percepire i
segnali d’assenso di Efrehem” aggiunse Lehelin.
“Lo
farò. Grazie…”.
“I
miei sono suggerimenti
puramente teorici. Come ben sai, non è che io abbia ottenuto
un granché dal
punto di vista sentimentale nella mia vita”.
“Sarai
la prima a saperlo, se
dovessi riuscire nel mio intento. Ora torniamo su dagli altri. Fra poco
sarà
giorno…”.
“Hei!
Thuwey! Dov’è Hanjuly?”
sussurrò Efrehem, svegliandosi e non vedendola.
Il
Metallo aprì pigramente un
occhio e gemette, infastidito: “Sarà andata in
bagno, rilassati” rispose,
sbadigliando.
“Da
sola?! Ma è pericoloso! È
pieno di bestie feroci qua in giro!”.
“Quella
se le mangia le bestie
feroci, sta tranquillo. E poi…non è da sola.
Anche Lehelin se n’è andata a
spasso”.
“Lo
fa sempre. Hanjuly,
invece, non si allontana mai…”.
“Dormi!
Vedrai che tornerà
subito” brontolò Thuwey, e si rigirò
dando la schiena alla Luce.
Efrehem
si mise in ginocchio,
alzandosi dal suo giaciglio. Era davvero infastidito
dall’atteggiamento
irresponsabile dei suoi compagni di viaggio. Si guardò
attorno e vide che
Aherektess, appollaiato sull’ultimo ramo più alto
dell’albero, lo fissava con
aria interrogativa.
“Dovresti
rilassarti,
piccoletto” gli suggerì, a bassa voce.
Dopodiché,
allungò un braccio
alato verso la Luce e gli porse la mano. Efrehem si alzò in
piedi e l’Aria lo
fece sedere al suo fianco, su quel ramo sospeso nel vuoto, sfruttando
la magia
del suo elemento. Con i piedi penzolanti nel nulla, i due si fissarono,
per
qualche istante. L’alba era vicina, già il cielo
iniziava a tingersi di
sfumature colorate. I capelli blu di Aherektess splendevano, mossi
dalla
brezza, ed i suoi occhi rossi erano puntati su Efrehem, che tentava di
restare
calmo nonostante l’altezza e la sensazione di disagio nel
sentirsi osservato.
“Qual
è il problema, lumino?
Cosa ti preoccupa?”.
“Mi
preoccupa il fatto che
Hanjuly non è con il resto del gruppo”.
“E
allora? È grande abbastanza
per andare in giro senza la supervisione di un adulto, sai?”
ironizzò
Aherektess, ghignando.
“Sì…ma…”.
“Senti…so
che ti piace quella
femmina e non posso darti torto. È bellissima, anche se
decisamente mi spaventa
quando si arrabbia. È una guerriera, sa come farti del male
fisico”.
“Anche
psicologico, se è per
questo…”.
“In
quello è più brava
Lehelin”.
“Non
posso darti torto”.
“Se
vuoi fare colpo su di lei,
devi lasciar perdere la tua razionalità per un attimo e
lasciarti andare. Non
pensare troppo alle conseguenze”.
“Ma,
se le conseguenze
dovessero risultare negative per me, mi sentirei un idiota!”.
“Questo
è un rischio che devi
correre”.
“Tu
lo hai corso?”.
“Sì…”.
“E
come ti sei sentito quando
non hai ottenuto niente?”.
“Un
cretino. Ma ne è valsa la
pena!”.
Efrehem
fissò chi aveva a
fianco con aria scettica.
“Lanciale
dei segnali,
principe della Luce. Sorridile, falle dei complimenti, valle vicino e
stai
attento ad ogni suo messaggio. Non puoi restartene fermo ed aspettare
che le
cose cadano dal cielo! Datti una mossa, se vuoi cambiare
qualcosa!”.
“E
se non volessi cambiare?
Intendo dire…adesso io e lei andiamo d’accordo, ci
divertiamo e sono felice
quando mi rivolge le sue attenzioni. Se le dicessi quello che sento,
temo possa
cambiare tutto…in peggio! Potrei farla allontanare, e la
cosa mi
dispiacerebbe”.
“Fa
come meglio credi. Usa il
cervello e pesa i pro ed i contro. Scegli la strada che riterrai
migliore, più
produttiva. Mettila in questi termini, se ti è
più semplice”.
“Non
so quanto fidarmi dei
tuoi suggerimenti. Mi pare che, per quanto ti riguarda, non siano stati
molto
efficaci”.
Aherektess
storse la bocca, in
un ghigno divertito. Girò gli occhi verso il basso, senza
rispondere.
“L’amore,
a mio parere,
piccoletto, è come uno strumento a corde, un’arpa,
dentro di noi. Suona la sua
musica. Il nostro cuore fa vibrare quelle corde. Se la persona che
abbiamo di
fronte sa come far sì che quello strumento sia melodioso e
che ogni corda
vibri, allora saprai che è una persona speciale, per il tuo
cuore e per la tua
musica”.
“E
se non vibrano tutte le
corde di questa fantomatica arpa interiore?”.
“Non
emetterà lo stesso suono,
non sarete in perfetta armonia. Le note stonate si faranno sentire,
presto o
tardi, com’è successo con me e Lehelin. Ascolta la
musica dentro di te…”.
Efrehem
ricordava il discorso
che gli aveva rivolto il Dio Enrikiran. Era molto simile.
Sospirò.
“Soppeserò
i pro ed i contro.
Per ora è meglio che ci limitiamo a ripartire”
mormorò, sorridendo.
Sirona
era sorta all’orizzonte
ed illuminava la compagnia. Stavano iniziando a svegliarsi. I capelli
biondi di
Hanjuly rispuntarono in mezzo ai prescelti. Sorridendo, sciolse la
treccia ed
iniziò a pettinarli con cura. Efrehem le sorrise,
guardandola dall’alto ramo in
cui ancora stava. Lehelin sgattaiolò silenziosamente.
Aherektess le lanciò una
sola occhiata, prima di volare guidando il principe della Luce con la
mano.
Idisi
fece riprendere il
cammino, con calma e sorridendo. I viaggiatori si erano avvolti in
mantelli e
stoffe percependo il freddo sempre più pungente. Solamente
Hanjuly si sentiva
totalmente a suo agio. Proseguiva a fianco di Kassihell, alla sua
destra. Sulla
sinistra del Fuoco si era messo Efrehem. Luce e Ghiaccio continuavano e
fissarsi ed a conversare, senza esporsi troppo l’un
l’altro sfruttando la
presenza centrale di Kassihell. Questi ruotò gli occhi al
cielo, tentando di allontanarsi
dal loro cianciare insensato. Thuwey sorrise vedendo quella scenetta.
Reishefy
non si accorse di nulla come sempre e si mise a canticchiare, senza
motivo.
Enki guardava il cielo sereno, di buon umore. Mattehedike sbadigliava,
ancora
assonnato. Aherektess volava, stanco di usare i piedi e Lehelin lo
osservava
sorridendo. Il Dio del Metallo si sgranchiva le braccia giocherellando
con
l’enorme spada a distanza di sicurezza dalla compagnia. Ormai
i rami su cui
camminavano erano del tutto spogli e non si vedeva anima viva. Solo
qualche
uccellino variopinto che canticchiava svogliato. Ad un tratto,
l’intreccio
legnoso terminò. Idisi si fermò ed
invitò i viaggiatori a guardare davanti a
loro. Un meraviglioso albero solitario si ergeva poco distante. Per
raggiungerlo
dovevano scendere dalla notevole altezza su cui si erano fatti strada.
La
pianta era verde chiaro, rilucente, maestosa. Attorno a lei scorrevano
due
fiumi che, per il freddo, si erano ghiacciati.
“Quello
è il luogo proibito?”
domandò Hanjuly.
“Da
ciò che mi indica la
cartina che ho fra le mani, sì” le rispose Idisi.
“Allora,
in questo caso, direi
che tocca a me” sorrise la principessa del Ghiaccio.
“Stai
attenta” le raccomandò
Efrehem.
“Non
ti preoccupare…” lo
rassicurò lei, sorridendo.
Estrasse
la sua arma dalla
sacca che aveva sulla schiena. Grazie a lei, scese agilmente lungo il
legno
nodoso, afferrandosi alle liane ed ai rami secchi. Arrivò a
terra e sentì sotto
di sé il suo elemento. Avanzò agilmente, mentre
gli altri nove viaggiatori la osservavano
dall’alto, vedendola piccolissima e distante. Hanjuly li
salutò con la mano e
tutti risposero, augurandole la buona fortuna. Quell’albero
era il luogo
proibito e la principessa gelata vi entrò senza paura,
pronta ad affrontare
qualsiasi prova.
†††
Aherektess
si girò di scatto,
sentendo un rumore. Mihael aveva fatto lo stesso da tempo, ma aveva
preferito
non allarmare la compagnia. Sfoderò la spada e
ringhiò.
“Non
fatemi del male. Non
voglio farvi niente. Sono disarmato” era Kire, che
alzò le mani in segno di
resa e mostrando la sua volontà di pace.
L’Aria
abbassò le sue armi e
lanciò un’occhiata a Kassihell e Thuwey.
“Cosa
ci fai qui?” domandò il
Fuoco.
Kire
abbassò il cappuccio e
guardò la compagnia: “Voglio solo
parlare” rispose, tranquillo.
“Non
è che vuoi fregarci?”
sbottò Mattehedike “Non è che
è un’imboscata?”.
“Sono
solo. Nessuna imboscata.
I miei compagni sono lontani da qui”.
“Come
possiamo fidarci di te?”
insistette la Roccia.
“Non
potete. Non so che farci
e non so come darvi torto”.
Kassihell
e Thuwey si
fissarono. Enki si era messa alle spalle di Idisi, non volendo esporsi
a quella
creatura di difficile interpretazione. Aherektess spiccò il
volo e fece un giro
di ricognizione, per verificare se dicesse la verità, se
fosse effettivamente
da solo.
“Io
non credo stia mentendo”
disse Efrehem.
“Grazie.
Voglio solo parlare.
Concedetemelo, per favore” parlò Kire.
“A
che scopo?” volle sapere
Mattehedike.
“Possiamo
fidarci?” domandò
Thuwey, rivolto al Dio della sua gente.
Mihael
annuì, anche se non
sembrava molto interessato alla cosa. Osservava la sua ombra cornuta e
la
doppia proiezione del mezzosangue, ghignando.
“Di
cosa vuoi parlare?”
domandò Idisi.
“Voglio
parlare con lei”
rispose Kire, guardando Lehelin “Se il grande Mihael me lo
concede”.
“Cosa
c’entro io?!” ridacchiò
il Dio “Fai quello che vuoi. Ricordati che, se le fai del
male, io son qua per
ucciderti…”.
Aherektess
si girò di scatto
verso la principessa dell’Oscurità, preoccupato.
“Sta
tranquillo” sorrise lei
“Cosa vuoi sapere, Kire?”.
Il
sanguemisto chinò la testa,
chiedendo se fosse possibile poterle parlare da sola. Lehelin
annuì, piuttosto
confusa da quella richiesta. Non aveva timore di quell’uomo,
lo fissò come se
lo conoscesse da tempo, e fece un cenno con il capo. Kire le porse,
signorilmente, la mano e lei si fece condurre lontano dal gruppo.
“Ma
siete sicuri che sia il
caso? Non è pericoloso?” si preoccupò
Aherektess.
“Sta
tranquillo. Corre meno
rischi di te!” ridacchiò Thuwey.
“Ti
fidi così tanto di quel
tuo fratellino acquisito?”.
“Neanche
un po’. Ma so che
Lehelin non la puoi distruggere tanto facilmente, e tu dovresti
saperlo. Lei ha
imparato a difendersi da sola da questo mondo”.
“Tu
non la conosci”.
Thuwey
non disse altro. Mihael
fece segno al gruppo di rilassarsi. Avrebbe voluto andare a trovare il
suo
collega, nel luogo proibito della Terra, ma preferì restare
accanto ai
viaggiatori, attento ad ogni movimento sospetto che potesse
compromettere
quella missione.
†††
Dopo
aver superato un’ampia
cavità del tronco, Hanjuly entrò nel luogo
proibito. Profumava di bosco e
natura. L’ambiente era interamente di colore verde, in varie
tonalità. Guardò
ai suoi piedi e vide dei piccoli binari che si intrecciavano sul
pavimento
d’erba. Si incuriosì e sorrise quando vide che, da
dietro una colonna in legno
attorcigliato, un piccolo trenino laccato si faceva strada verso di
lei,
sbuffando. Si chinò per osservarlo e lo guardò
allontanarsi. Dopo pochi
secondi, notò molti altri trenini in quel luogo, che si
incrociavano senza
toccarsi. I percorsi delle rotaie erano intricati e contro ogni legge
di
gravità, alcuni attraversavano il soffitto. Quando un
piccolo convoglio le
passò accanto alla caviglia, non resistette alla tentazione
di raccoglierlo. Lo
prese fra le mani e lo rigirò, osservandone i dettagliati
particolari. Non
aveva mai visto una cosa del genere, esattamente come non aveva mai
visto un
treno nella realtà. Ci si narravano leggende, su mitici
collegamenti fra le
capitali, ma ciò accadeva talmente tante Ere addietro da
renderne difficile la
credibilità. Quando fu soddisfatta, ripose la locomotiva sui
binari e la vide
allontanarsi, felice. Non passò molto tempo prima che si
accorgesse del danno
che aveva provocato. Scombinandone la tempistica, il trenino da lei
osservato
andò ad incrociarsi con un altro suo simile e si
scontrarono. Questo provocò
una reazione a
catena e, nel giro di
pochi minuti, si creò un ingorgo pazzesco. Sbuffando, le
piccole locomotive
alzarono un denso fumo nero, fra i fischi ed i rumorini metallici.
Hanjuly mormorò
un “Ops!” imbarazzato. Andò verso
l’ingorgo, tentando di rimediare, senza
risultato perché sempre più convogli giungevano
in quel punto, intasando le
rotaie. Il Ghiaccio imprecò e ne congelò
qualcuno. Poi si chinò sul punto
centrale del danno ed iniziò a dividere quei giocattoli.
“Signorina…che
state facendo?”
si sentì chiedere.
Alzò
lo sguardo e sorrise,
imbarazzata. Un Dio altissimo, interamente vestito di verde, la fissava
con
aria di rimprovero. Aveva i lunghi capelli marrone chiaro piuttosto
spettinati,
come uno che era appena stato buttato giù dal letto.
“Stavo
dormendo…” infatti
disse “…e, al mio risveglio, trovo questo casino
ed una strana donna che tocca
le mie cose”.
“Domando
scusa. Io…volevo solo
guardarne uno da vicino. Non volevo creare tutta questa
confusione…” balbettò
Hanjuly, imbarazzata.
La
divinità sospirò. Allungò
una mano e la situazione parve sistemarsi, temporaneamente.
“Hai
idea di quanto tempo mi
ci è voluto per creare questo percorso e per fare in modo
che non si
scontrino?” sbottò il Dio.
“Scusi…”
mormorò il Ghiaccio,
chiedendosi dentro di sé se una divinità non
potesse impiegare in modo più
costruttivo ed utile il suo tempo.
“Cosa
ci fai qui?” riprese a
parlare il signore di quel luogo, con calma.
“Io
sono la principessa del Ghiaccio…”.
“Lo
so”.
“…e
sono qui per avere il mio
oggetto proibito”.
“Ah…dunque
i dieci viaggiatori
prescelti sono già giunti fino a qui…”.
Hanjuly
annuì.
“Io
sono Gibrihel, Dio della
Terra, dei viaggi e delle comunicazioni. Tu…”.
“Io
sono Hanjuly, piacere di
conoscerla”.
“Bene,
July…dopo avermi
scombinato il setting, cosa pensi di fare?”.
Lei
non capì cosa intendesse
dire. Si era messo seduto, evocando un trono di legno e foglie verdi.
Al suo
fianco scintillava una spada molto simile a quella di Mihael.
“Tu
vieni dal regno del
ghiaccio…” parlò, congiungendo le mani
davanti al viso “…governato da
Enrikiran, giusto?”.
“Esatto”.
“Il
fratello maggiore del mio
caro amico Loreatehenzi…”.
“Sono
tutti amici suoi, a
quanto pare…pure Mihael parla bene del Dio
dell’Aria!”.
“Mihael!
Viaggia con voi, se
non sbaglio. Siamo vecchi e cari amici, fin da bambini, io e lui. Lo
eravamo
ancor prima di conoscere la Creatrice e venir assegnati alla squadra di
controllo di Asteria, tanto e tanto tempo fa”.
La
principessa fissò quel Dio
con aria interrogativa. Non sembrava più vecchio di
lei…ma doveva esserlo per
forza!
“Io
pensavo fosse stata la
Creatrice ad idearvi!” si stupì.
“In
realtà, da quel che ne so,
siamo stati bambini assieme. In posti diversi, ma quando sono nato di
certo non
aveva il potere di generare un bel niente. Nessuno di noi
Dèi di Asteria è
stato creato dalla Creatrice, anzi! Alcuni sono perfino più
vecchi di lei, e di
parecchio!”.
“Questo
non lo sapevo…”.
“Lo
so, ma sono quelle cose
che voi mortali non dovreste sapere ed
invece…vabbè…torniamo a noi! Immagino
tu
voglia l’oggetto proibito…”.
“Mi
piacerebbe, in effetti…”.
“Ed
in cambio, cosa prevedi di
darmi?”.
La
mortale rimase di nuovo in
silenzio, senza sapere cosa dire.
“Voi
che cosa desiderereste?”
domandò, dopo un po’.
“Quello
che vuoi. Qualcosa di
tuo o anche di altri, non mi interessa. Sono un Dio, direi che almeno
un’offerta mi sia dovuta, giusto?”.
La
principessa rifletté per
qualche istante. Poi impugnò la sua arma. Premendo un tasto,
ne fece apparire
la lama. In un attimo, senza pensarci troppo, si afferrò la
lunga treccia
bionda e la tagliò di netto, serrando gli occhi.
“Nella
mia cultura, fra la mia
gente…” parlò, dopo un paio di profondi
respiri “…i capelli sono un potente
simbolo magico, soprattutto per le donne. Tagliarli significa
rinunciare a
qualcosa di estremamente prezioso ed io ve li dono, Dio
Gibrihel”.
Tese
fra le mani ciò a cui
aveva rinunciato, restando con uno strano taglio a caschetto. La
divinità
sorrise. Si alzò e prese quel dono con delicatezza. Poi si
voltò e lo depose in
terra, ai piedi del trono che si era creato. In un istante, la treccia
iniziò a
brillare, divenne tutt’uno con il terreno ed al suo posto
crebbe un nuovo
fiore, dello stesso colore di quei capelli con punte azzurrine, il
nastro che
li teneva legati. Hanjuly guardò quella pianta, ammirata.
Anche Gibrihel
sembrava soddisfatto.
“Potevi
donarmi ciò che
volevi…” parlò, tornando a sedersi
“…la tua arma, la collana che indossi, il
mantello che hai nella sacca, la tua
verginità…”.
“Ma
quale verginità?!”
ridacchiò la mortale.
“Facevo
per dire…” ghignò il
Dio “Potevi donarmi un oggetto non tuo, andando a cercarlo in
giro per il
pianeta, ma hai scelto di separarti da un simbolo, da parte della tua
bellezza,
da qualcosa che faceva parte di te ed a cui tenevi molto. Questo ha
fatto sì
che crescesse una pianta magnifica dal tuo regalo e questo mi rende
molto
soddisfatto”.
Hanjuly
sembrava stupita da
quella reazione: “Mi darete, dunque, l’oggetto
proibito?” domandò, titubante.
“Ma
certo”.
Gibrihel
guardò un ultimo
istante il neonato ed enorme fiore. Poi rivolse la sua attenzione al
suolo.
Stendendo la mano, il terreno si sollevò. In mezzo a tutto
quel verde, emerse
una specie di disco,
un piatto, con un
buco centrale. Il Dio lo tenne stretto, infilando l’indice in
quella cavità e
bloccandolo con il pollice appoggiato sul bordo esterno.
“Questo
è tuo, July” disse,
facendole segno di avvicinarsi.
Hanjuly
prese il disco nello
stesso modo in cui glielo aveva affidato la divinità.
“Che
cos’è?” domandò,
rigirandoselo fra le mani.
“Al
momento opportuno lo
saprai” rispose Gibrihel.
“Non
posso avere un indizio?”.
“No.
Ora và, fuori dai piedi.
Devo riordinare i miei trenini, fare un giretto da Xoduzz per
rilassarmi un po’
con il suo casco e poi tornare a dormire”.
La
principessa del Ghiacciò
annuì. Mise il disco al sicuro nella sua borsa ed
uscì, dalla cavità da cui era
entrata, senza guardarsi indietro.
†††
“Come
mai desiderate tanto
parlarmi in privato, signor Kire? E perché proprio con
me?” domandò Lehelin,
seduta su un ramo accanto al sanguemisto.
“Voi,
principessa oscura,
siete stata colei che ha posseduto mio fratello…”.
“Si,
esatto. Cosa posso fare
per Voi, signor Kire?”.
“Datemi
del tu, vi prego!”.
“Allora
la cosa dev’essere
reciproca”.
Lei
ridacchiava ma lui capì al
volo che lo faceva per l’imbarazzo, non perché
fosse di buon umore.
“Ti
spavento, Lehelin?”.
“No.
Ma sono stata nella testa
di tuo fratello per un lasso di tempo sufficiente da provare un certo
disagio a
conversare con te…”.
“È
proprio di questo
avvenimento di cui voglio parlare. Quelli della mia razza, che
possiedono parte
di sangue d’Oscurità, so che sono in grado di fare
cose straordinarie con la
mente e le ombre. Non oso nemmeno immaginare cosa sia in grado di fare
tu, che
sei la più forte del tuo popolo. Seconda solo a tuo padre
Ozymandias”.
“Mi
sarebbe difficile
descrivertelo, in effetti…”.
“Ci
tengo a farti sapere che
stimo tuo padre. È il più grande guerriero di cui
abbia mai sentito narrare,
fin da bambino…”.
“Stai
tentando di adularmi,
signor Kire? Perché non funzionano certe tecniche con
me…”.
“Parlami
di mio fratello. Cosa
passava per la mente a quel testone rabbioso nelle sue ultime ore? Io
sono,
ero, il suo gemello e avrei dovuto comprenderlo, ma mi sono perso
qualche passaggio,
temo. Se tu fossi così gentile da raccontarmi cosa hai visto
dentro di lui…”.
“Lui
ti voleva bene, se è
questo che vuoi sapere”.
“Davvero?”.
“Sì.
Ci teneva a te”.
“Ma
non dovevo contare poi
molto, se aveva un così assoluto desiderio di
morire…”.
“Non
è così. Ammetto di non
poterti dare molte spiegazioni…la sua testa era talmente
complicata e piena di
pensieri, contraddizioni e confusione da rendere molto complessa una
sua
interpretazione”.
“Non
mi serve
un’interpretazione. Solo sapere perché ci tenesse
così poco alla vita…”.
“Vuoi
chiederglielo di
persona?”.
“In
che modo?”.
“Dentro
di me, da qualche
parte, so di poter recuperare qualche particella della sua essenza.
Sforzandomi, con l’aiuto dell’oggetto proibito,
sono certa di poter fare in
modo che sia lui stesso a parlare con te. Non durerà a
lungo, sfrutta il tempo
a tua disposizione al massimo perché poi non
potrò più richiamarlo davanti a
te, la sua essenza verrà consumata”.
Kire
la fissò con ammirazione,
con grandi occhi tondi e confusi. Non sapeva cosa esattamente volesse
fare
quella creatura dell’Oscurità.
“Parlagli
come se fosse quel
giorno, come se non sapessi cosa lo attende, perché
ciò che io posso evocare
non sa nulla oltre al momento in cui i nostri corpi si sono
separati” parlò
Lehelin, mentre il sanguemisto la fissava sempre più confuso.
“Chiudi
gli occhi” ordinò lei.
Lui
obbedì, poco convinto.
Sentì l’Oscurità sfiorargli la mano e
la sua presenza farsi sempre più vicina.
Trattenne il respiro.
“Bum!”
si sentì dire, in un
soffio, all’orecchio.
Riaprì
gli occhi rossi e
trasalì. Davanti a lui c’era suo fratello Elehcim.
Lo stava fissando con
curiosità, muovendo solo leggermente le orecchie a punta.
“Che
cazzo ci facciamo qui,
Kire?” ridacchiò, dondolando sospeso nel vuoto.
Il
gemello era rimasto senza
parole.
“Sei
tu? Sei davvero tu?”
domandò.
“Hai
bevuto, Kire? Ancora non
ti arrendi all’evidenza che l’alcol non lo
reggi?”.
“Come
stai?”.
Elehcim
lo fissò sconcertato.
“Vuoi
metterti a parlare del
tempo, anche? Non abbiamo delle conversazioni più
intelligenti da fare? Tipo
pensare a come fermare la missione dei prescelti
che…”.
Kire
lo zittì abbracciandolo.
“Ma
cosa ti sei fumato?!
Brutto coglione, lasciami andare! Hai battuto la testa?!”
protestò Elehcim.
“Tu
ci tieni a me, fratello
mio?” domandò Kire.
“Che
domanda è?!”.
“Rispondimi
sinceramente”.
“Mi
spiazzi con questa
domanda…”.
“RISPONDI!”.
“Ovvio
che ci tengo a te,
brutto idiota! Sei il mio fratello gemello!”.
“Allora
perché…”.
“Perché
non mi interessa del
mio destino? Perché non temo l’idea della
morte?”.
“Sai
darmi una risposta?”.
“Sinceramente…no.
Il fatto è
che sono stanco”.
“Stanco
di vivere?”.
“No,
stanco di combattere.
Combattere per ottenere ogni cosa per poi restare con nulla in mano,
come
accade a noi sanguemisto. Ci odiano tutti, ci spaccano le balle
continuamente…ed io posso anche fare a meno di sorbirmi
tutto questo. Non mi
dispiacerebbe avere un po’ di silenzio”.
Kire
sorrise. Il silenzio era
la stessa cosa che desiderava pure lui.
“Sono
stanco, Kire. Mi sento
molto strano. Come se qualcosa si stesse spegnendo, pian piano, dentro
di me”.
“Passerà
tutto con una buona
dormita” mormorò il fratello, capendo che la magia
dell’Incantatrice stava
svanendo.
“Ricordi
quando eravamo
piccoli?” ridacchiò Elehcim, appoggiandosi
all’albero con la schiena e
socchiudendo gli occhi “Quanti casini combinavamo, ricordi?
Povero
Neziar…badare a noi, piccole pesti, dev’essere
stato un bel problema!
Poveretto!”.
“Già!
Ti ricordi quella volta
che lo abbiamo svegliato dandogli fuoco alla coperta?!”.
“Come
dimenticarlo?! Ci siamo
divertiti un sacco….”.
“Sì,
e le abbiamo anche
sentite un sacco! Ci ha messo in punizione per mesi!”.
“Poi
quando gli abbiamo detto
che la maestra era morta per non andare a scuola? Avevamo
un’aria talmente
triste che ci ha creduto!”.
“Si
è sentito molto meglio
dopo averci sculacciato per ore!”.
“Eravamo
tremendi…”.
“Siamo
tremendi!”.
I
due gemelli scoppiarono a
ridere, ma Kire notò la stanchezza profonda di Elehcim.
“Ho
bisogno di dormire…”
sussurrò il rievocato, socchiudendo gli occhi.
Il
fratello non voleva
lasciarlo andare, ma sapeva che non aveva scelta.
“Non
ti preoccupare,
gemellino…” sussurrò Elehcim, con la
testa ciondolante e gli occhi chiusi “…tu
ed io saremo sempre uniti e, qualunque cosa accada, saremo una cosa
sola, come
eravamo nei primi secondi d’esistenza”.
Kire
sorrise, con gli occhi
rossi lucidi e tremanti. Non riuscì a trattenersi e
tornò ad abbracciarlo,
mentre il fratello gli poggiò la testa sulla spalla e smise
di respirare.
“Ora
puoi lasciarmi” mormorò
Lehelin, riprendendo il suo solito aspetto.
“Grazie…”
sussurrò Kire,
lasciandola andare solo dopo qualche minuto.
Sul
volto di lui, scese una
lacrima di colore argento come il metallo e rovente come il fuoco.
“Ora
devo andare…” continuò
l’Oscurità “…i miei compagni
mi aspettano”.
“Sì.
Hai ragione…vai pure…”.
Lei,
sorrise, alzandosi. Lui
non disse nulla.
“Spero
ti sia stato utile quel
piccolo attimo…” disse Lehelin.
“Più
di quanto immagini…”.
“Bene.
Ne sono lieta. Ora devo
andare”.
Kire
la salutò con un cenno della
testa e l’Oscurità si allontanò,
guardandosi indietro per un paio di volte,
notando che pure il mezzosangue faceva lo stesso.
†††
“Cosa
hai fatto ai capelli?”
domandò Thuwey, notando la pettinatura a caschetto di
Hanjuly.
“Storia
lunga…” sorrise lei.
“Stai
benissimo così” le disse
Efrehem.
Il
Ghiaccio arrossì.
“Hai
l’oggetto proibito?”
volle sapere Enki.
“Sì.
Nella borsa”.
“Fantastico…possiamo
proseguire! Ormai ci resta un solo regno” affermò
Kassihell, soddisfatto.
“Lasciamola
riposare un po’,
no? Ne avrà bisogno!” propose la Luce.
“Non
ne ho bisogno…ma grazie
per la premura” si affrettò a dire Hanjuly.
“Figurati…”.
Lehelin
ricomparve ed il
gruppo capì che erano pronti per riprendere il cammino.
“Dove
sei stata?” le domandò
il Ghiaccio.
“Storia
lunga”.
Sorridendo,
i viaggiatori
scesero lungo il tronco ed oltrepassarono il luogo proibito. Sapevano
che il
confine con il regno della Roccia era poco distante.
“Cosa
voleva quel
mezzosangue?” domandò Thuwey a Lehelin,
“Com’è
andata con il Dio della
Terra?” fu la domanda di Enki ad Hanjuly.
Entrambe
diedero risposte
piuttosto vaghe. Non avevano voglia di perdersi in inutili discussioni.
La
principessa del Ghiaccio guardò Efrehem. Lui
ricambiò quello sguardo. Presero
un profondo respiro e si avvicinarono fra loro.
“Devo
parlarti” si dissero,
all’unisono.
Il
resto del gruppo capì e si
allontanò, sorridendo. Luce e Ghiaccio scoppiarono a ridere.
“Cosa
devi dirmi?” parlò lei.
“Prima
tu!” rispose lui.
Si
fissarono, senza parlare.
Lei si girò a guardare l’orizzonte.
“Questo
posto è davvero bello.
Le luci in questo mondo sono così magiche
e…”.
Lui
le andò accanto,
ascoltandola, ma non poté resistere. La prese per un fianco
e la baciò,
sentendo con gioia che la principessa ricambiava.