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Autore: Oliver_11    02/11/2015    3 recensioni
"Le sue labbra tumide e dischiuse mi attirano in un vortice di passione e desiderio che non avevo mai provato prima" Miles raggiunge la stanza 43. Ad aspettarlo ci sarà un Colonnello "fuori uso" e un'Alaska semplicemente mozzafiato...
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alaska
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Merda! Non posso credere che ho appena fatto cadere una boccia di Strawberry Hill. Alaska mi uccide. Abbiamo comprato tre bottiglie giusto un paio d’ore fa e si era raccomandata con me di non fare casini al momento di nasconderle sotto il Grande Sasso, poco più avanti della Fossa del Fumo. Accordo riuscito a metà. Era un’operazione che facevamo sempre mezz’ora prima di cena, perché era il momento in cui tutti gli studenti abbandonavano i campi della Culver Creek per dirigersi in sala mensa e abbuffarsi di bufrito. Generalmente le nascondevamo insieme, ma nel parcheggiare la macchina il Colonnello aveva bucato, così era rimasto insieme ad Alaska a cambiare la gomma. Ed ecco che entro in scena io. Sono sempre stato un incapace nei lavori pratici, quindi  per non intralciare il lavoro dei due esperti mi viene affidato il compito sciagurato di seppellire il tesoro.    Non ho avuto serie difficoltà a nascondere le bottiglie, se tralasciamo l’incontro con l’Aquila. Okay, non posso tralasciarlo, perché ho effettivamente perso dieci anni di vita.
Quando l’ho visto  e quando lui mi ha visto credevo di morire. Tagliava l’erba, quel maledetto. Piuttosto strano visto che è uno metodico e il campo da calcio viene ripassato ogni mattina alle dieci in punto dal suo taglia erba centenario. Ho affrettato il passo, nascondendo la busta con le bottiglie dietro la schiena sperando che l’agonia finisse il prima possibile. Non ero tanto preoccupato per il rumore che facevano le bottiglie nel loro cozzarsi inevitabile, perché l’Aquila era a circa trenta metri da me e il motore del taglia erba sputava ciuffi verdastri facendo un chiasso assordante. Temevo tuttavia che alzasse lo sguardo, da un momento all’altro, nella mia direzione.
Con il mento appoggiato sul petto procedevo a ritmo di marcia, tra l’erba incolta alta mezzo metro, quella che introduce al bosco. Era un traguardo che mi pareva lontanissimo, ma che in realtà distava solo pochi passi. Con la coda dell’occhio osservavo le mosse dell’Aquila e intanto il mio cuore era pronto a sfondare la cassa toracica. Mancavano gli ultimi dieci passi alla salvezza e inebriato dal successo a portata di mano non mi ero accorto che il taglia erba aveva smesso di ruggire.
Si leva un grido lontano
-Ehi tu, laggiù!-
Preso dal panico lascio cadere la busta che si affloscia a terra.
Metto le mani in tasca  e mi giro cercando di sembrare il più disinvolto possibile. L’Aquila è sceso dal taglia erba e mi lancia il suo Sguardo della Paura.
-Cosa stai combinando? Lo sai che è ora di andare in mensa-
-Signore, ha ragione, sto cercando il portafoglio. Arrivo subito!- Non l’avessi mai detto. Per diffidenza o forse perché vuole darmi una mano nella ricerca eccolo che si avvicina di passo spedito verso di me. Non diciamo cazzate, vuole solo finirmi.
Mi sposto istintivamente dal punto in cui ho lasciato la busta e afferro con la mano sinistra il portafoglio dalla tasca posteriore dei miei shorts, pronto a buttarlo per terra nel momento in cui l’Aquila avesse abbassato lo sguardo. Mentre rifletto sulla mia tattica sento il sudore zampillare da ogni ghiandola del mio corpo.
L’Aquila è a una decina di metri e sta per dire qualcosa, quando improvvisamente una ragazzina dai lunghi capelli biondi, forse del primo anno, sbuca dal viottolo sterrato che porta ai dormitori e gli viene in contro in un mare di lacrime.
-Signore, signore, deve venire subito nella mia stanza! Qualcuno è entrato e ha riempito il mio letto di scarafaggi! Sono dappertutto!-
-Miseria! Sempre con questo scherzo idiota! Ah, ma se li prendo…Vedranno come faccio presto a chiamare le loro famiglie. Stupidi ragazzacci! E tu invece sbrigati a trovare quel dannato portafoglio! Faremo i conti un’altra volta noi due, ragazzo- E si allontana con le sue lunghe leve, biascicando imprecazioni contro ogni ragazzo sulla faccia della terra. Dietro di lui la ragazzina, visibilmente scossa da singhiozzi . Alla Culver ogni matricola cade vittima dei più insopportabili scherzi elaborati da quelle menti malate del quinto anno. Ma mai come in quel momento sono stato grato per uno di quegli scherzi bastardi.
Superato il momento più agghiacciante della mia vita, ho nascosto le bottiglie sotto il Gran Sasso e sono filato di corsa in mensa.
 
Ed eccomi qui, con lo stomaco pieno di bufrito, le scarpe zuppe di Strawberry Hill e una serie interminabile di balle da inventare per difendermi dall’assicurata incazzatura di Alaska. Sono stato stupido lo ammetto. Due secondi fa ho tirato via le bottiglie dalla busta per assicurarmi che non si fossero danneggiate dopo l’incontro con l’Aquila, e nel maldestro tentativo di appoggiarle su un vecchio ceppo, ecco che me ne è caduta una.  Mi avvio verso i dormitori, elaborando una scusa credibile per il mio danno. Senza essere troppo originale decido di fare un buco nel sacchetto di plastica. In questo modo avrei potuto rigirare la frittata e dare la colpa ad Alaska che in negozio aveva ostinatamente voluto una singola busta.
-La busta non ha retto. Meno male che ne bastava una, cervellona!- Un po’ di enfasi non avrebbe fatto  male. Okay, piano assicurato, guaio scampato.
Mentre mi sforzo di mettere a punto i dettagli del mio alibi di ferro sono già arrivato di fronte alla stanza 43. Attraverso la porta sento lo scroscio violento della doccia e un miscuglio di risate accompagnate da una canzone in sottofondo. Con le bottiglie in entrambe le mani e il sacchetto infilato nella tasca degli shorts, mi chino e apro la maniglia con il gomito.
Il Colonnelo è sul mio letto, piegato in due con il volto paonazzo e preso da una ridarella che sembra non avere fine. Ha fumato, chiaramente, e ha acceso il getto della doccia a mille  perchè il vapore dell’acqua si mescolasse col fumo.
Alaska è in piedi, al centro della stanza, e si muove lentamente sulle note di “Who did that to you”. Mi dà le spalle, non si è ancora accorta della mia presenza. John Legend continua con il suo pezzo e lei continua a ballare. I capelli raccolti nell'elastico bordeaux, il braccio alzato a tempo con la musica e il bacino che ondeggia a destra e a sinistra. La maglietta bianca le arriva alla vita lasciando intravedere due piccole fossette sul fondo schiena. A un certo punto si gira e me la ritrovo di fronte. Mi guarda con i suoi occhi verdi mentre una ciocca le ricade sul viso. Appoggia il bicchiere di merlot che tiene nella destra e continua a fissarmi. Scioglie i capelli con un movimento lento. Le mani si mescolano ai boccoli castani e il bacino prosegue la sua danza. Si avvicina a me e sto letteralmente bruciando dalla voglia di possederla. Appoggio distrattamente le bottiglie sul tavolino da caffè e Alaska mi afferra le mani.
-Non mi aspettavo che bevessi senza di me- abbozzo con voce rotta.
-Shhh, vieni qui e stai zitto-
Ci separano pochi centimetri, e i suoi grandi occhi verdi si spostano rapidamente dai miei alla mia bocca. Le sue labbra tumide e dischiuse mi attirano in un vortice di passione e desiderio che non avevo mai provato prima. La afferro per i fianchi e incontro le sue labbra. Sono incredibilmente morbide e hanno impresso il sapore del merlot. Le sue mani sul mio petto mi spingono verso il letto e nel giro di un istante è sopra di me. Prende l’elastico per capelli dal polso e sistema la sua criniera. Dio quanto adoro i suoi capelli. Caotici, come il suo modo di vivere. Mi perdo nel verde ghiaccio dei suoi occhi e continuo a baciarla, sulle labbra e sul collo. Un piccolo gemito tradisce il suo controllo su di me, così divento fuoco e in un movimento fluido e deciso sono sopra di lei tra le sue gambe. Sono pronto a sfilarle la maglietta quando sento le sue mani sul mio volto.
-Vai alla grande tesoro, ma non mi reggo più- Sorride leggermente prima di chiudere gli occhi e crollare.
Non capisco. “Vai alla grande, tesoro” e poi si addormenta? Non è possibile, deve essere uno scherzo. Alaska è la regina degli scherzi, mi vuole stuzzicare, è chiaro.
-Alaska, ci sei?- E le punzecchio una guancia col dito.
Brontola qualcosa, prima di girarsi su un fianco e di riprendere a russare.
Dall’altra parte della stanza il Colonnello ronfa profondamente, abbracciato a un cuscino, con un braccio a penzoloni che sfiora la moquette. Solo adesso vedo accanto alla mano del Colonnello, due bottiglie vuote di merlot. Le avevamo prese un paio di giorni fa, e Alaska aveva deciso di scolarsele tutte questa sera. E’ l’unica spiegazione a questo crollo improvviso.
Perché mi fai dannare in questo modo, Alaska Young? A che gioco stai giocando? Io non capisco, non c’è un filo logico in tutto quello che fai. Possibile che con te sia come cercare di afferrare il fumo?
Sposto le mie gambe dalle sue e mi stendo al suo fianco. Una ciocca le ricade sul viso e si adagia sulle labbra dischiuse. Il respiro regolare  sposta la ciocca avanti  e indietro. Il suo corpo è immobile. Io la guardo, con la consapevolezza che i miei occhi non avevano mai indugiato su tanta bellezza prima d’ora.

 

   
 
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