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Autore: MaiaWarren    03/11/2015    3 recensioni
Maia Warren è una ragazza diciassettenne di Seven Sisters, un quartiere nella periferia di Londra, dove risiede insieme a suo fratello e a sua madre. Maia è cresciuta come un’adolescente introversa e insicura essendo sempre stata vittima di bullismo da parte dei suoi compagni, invidiosi principalmente della sua straordinaria intelligenza. Inoltre ha perso tragicamente suo padre, assassinato in dubbie circostanze, e per questo diffida degli altri ed è spesso paranoica. La sua vita trascorre abbastanza tranquilla cercando di lasciarsi alle spalle il dolore del passato concentrandosi principalmente sulla scuola, sulla famiglia, e passando il tempo con la sua migliore amica, Audrey Lambert, che oltre a starle vicino essendo una dei pochi che l’ha sempre accettata per come è, cerca anche di conquistare il cuore del ragazzo più ambito fra le adolescenti del luogo, Christopher. L’apparente equilibrio che sembra aver finalmente raggiunto nella sua vita, è però destinato a non durare a causa di strani eventi che si verificheranno, a partire dai suoi ambigui sogni, alle visioni, e alla conoscenza della misteriosa Elektra, grazie alla quale comincerà a prendere piena consapevolezza di se stessa e degli uomini delle stelle …
Genere: Introspettivo, Science-fiction, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Avevo finito il mio cappuccino da un pezzo ma facevo finta di continuare a bere proprio per poter osservare la sua prossima mossa. Come se non bastasse, il caso volle che il mio tavolo era collocato in una posizione perfetta per adempiere a questo compito, né troppo lontano né troppo vicino, ed era ulteriormente coperto anche da un comodo divisorio che mi permetteva di non farmi beccare dal soggetto in questione. Era la prima volta che sprecavo tutte quelle energie per esaminare attentamente quello che era effettivamente un estraneo, quindi non potei fare a meno di pormi un interrogativo, cioè che cosa mi spingeva a comportarmi in quel modo. A volte davvero non riuscivo a capirmi nemmeno io, e questo era grave. Raramente se non mai, fino ad allora, mi ero interessata a qualcun altro che non fossi stata io o le poche persone a cui ero affezionata.
Per fortuna uno squillo improvviso dal mio cellulare mi riportò alla mente i miei principali doveri. Risposi. «Si?»
«Sono io.» Era Audrey, finalmente si era fatta viva. Di solito preferiva conversare con i messaggi ma forse con questa chiamata aveva deciso di darmi qualche spiegazione sul perché non si era presentata.
«Ah si, dimmi.» Feci la vaga, volevo che fosse lei la prima a intraprendere quel discorso.
«Ma dove sei?!» Aspetta, ma non avrei dovuto chiederglielo io?
«Che domande, sono allo Starbucks Coffee!»
«Come, sei ancora li? Sbrigati o non farai in tempo ad entrare, rischi di rimanere fuori!»
«Cosa?! Ma che ore sono?!?»
«Mancano cinque minuti al suono della campanella, e sono tutti qui fuori tranne te, muoviti!»
«Arrivo subito!» Riattaccai.

Fantastico, rischiavo di arrivare tardi il primo giorno di scuola, e tutto per colpa di un tizio che nemmeno conoscevo. Per prima cosa mi ero distratta guardando lui e il modo in cui si metteva in mostra, quindi anche se indirettamente, la colpa era sua. Oltretutto il fatto che lui non si fosse preoccupato neanche un po’ dell’orario o di arrivare tardi a scuola mi aveva ingannato, e mi aveva fatto supporre che fosse ancora presto, mentre invece ero nei guai fino all’osso.
Mi catapultai come una forsennata fuori dal locale e corsi lungo lo stesso percorso che avevo imboccato per arrivare li, ma al doppio della velocità che avevo impiegato all’andata. Per poco non ci rimasi secca. Riuscii ad entrare miracolosamente un minuto prima che Mrs Trivett chiuse il portone d’ingresso, con tanto di ramanzina sul fatto che la prossima volta mi avrebbe lasciato fuori, che dovevo impostare la sveglia a un orario decente e blah, blah. Non persi tempo ad ascoltare nemmeno una singola parola di quello che disse, tutti noi d’altronde eravamo abituati al suo caratteraccio, era una di quelle classiche donne che stava affrontando la fase post divorzio dal marito e sovente ne approfittava per scaricare le sue frustrazioni contro il poveraccio di turno. Si può dire che quello era il suo pane quotidiano. Chi aveva un briciolo d’intelligenza la lasciava blaterale, se solo le avessero dato corda avrebbe scatenato la terza e la quarta guerra mondiale.

Allontanatami alla svelta da quella scocciatrice, intrapresi l’ultima delle mie fatiche, perlomeno di quella giornata, per riuscire ad entrare in classe prima che Mr Lloyd pronunciasse il mio cognome durante l’appello. E grazie al cielo ce la feci. A quanto pare essere l’ultima in ordine alfabetico sul registro mi dava qualche vantaggio. Ad ogni modo, inutile dire che quando aprii di scatto la porta senza più fiato nei polmoni, con la coda sciupata, e il viso umido, dal volto di Mr Lloyd trapelò tutt’altro che un atteggiamento di comprensione nei miei confronti. La sua  espressione mi parve talmente severa, resa ancor più intimidatoria dalle sue sopracciglia irsute, che cercai subito un escamotage convincente per non farmi mandare in presidenza. Nel mentre mi accorsi anche che l’adrenalina mi aveva fatto dimenticare di bussare alla porta prima di entrare, quindi se non avessi trovato alla svelta qualcosa di persuasivo, non mi sarei salvata la pelle.
«Mi scusi per il ritardo Mr Lloyd, ma disgraziatamente credo di non aver sentito la sveglia, sono ancora in tempo per entrare?» Dissi riuscendo a cacciar fuori un tono di voce più mortificato possibile. Ignorai le risatine soffocate in sottofondo di Penny Ainsworth e i suoi fedeli tappetini, Lucy Harlow e Kim Jerkins. Normalmente faceva parte di quel gruppetto di imbecilli anche tale Ethan Baker, ma mentre quelle tre ridevano, lui questa volta se ne stette inaspettatamente tranquillo. Per fortuna intervenne Mr Lloyd con una sonora manata sulla cattedra per metterle a tacere, ma dallo sguardo che mi lanciò subito dopo sembrava voler dire tutto, fuorché qualcosa di buono. Prima di proferir parola fece un profondo respiro, com’era sua abitudine quando doveva esprimere un giudizio negativo durante la correzione di un compito scritto e solo adesso capivo la sensazione che si provava. Non avendo mai preso un voto inferiore ad A in nessuna verifica, era innegabilmente una cosa che dovevo ancora sperimentare sulla mia pelle, ma lo avevo sempre sentito raccontare da tutti coloro che avevano ottenuto dei pessimi risultati in uno dei suoi compiti. Finalmente potevo comprendere la loro inquietudine,  in effetti Mr Lloyd con quei suoi modi da intransigente e austero uomo accademico riusciva a metterti in soggezione come pochi altri sapevano fare. Dopo qualche secondo, che a me parvero ore, ruppe il silenzio.
«Signorina Warren, lei sa benissimo che non tollero nessun tipo di infrazione del regolamento scolastico, per di più presentandosi a quest’ora lei ha deliberatamente mancato di rispetto sia a me, sia al buon nome che questa scuola si porta dietro da innumerevoli secoli. In altre circostanze non ci avrei pensato due volte a mandarla immediatamente in presidenza, ma per oggi voglio essere clemente e chiuderò un occhio sulla faccenda, visto che lei è sempre stata un’alunna esemplare e fin’ora non mi ha mai dato modo di dubitare della sua parola. Ma che non si ripeti mai più, io non sono il tipo di persona che tratta di lusso un allievo solo per i voti che ha, apprezzo molto di più la correttezza e il rispetto, piuttosto che un buon rendimento scolastico senza valore. Ora, la prego di prendere posto dove meglio desidera, così mi permette di cominciare la lezione.» Detto ciò, lanciò uno strano sguardo accusatorio nei confronti di Penny, o almeno così mi parve. Forse mi aveva concesso la grazia di poter entrare per non darla vinta a lei, perché sarebbe stata più che felice se mi avrebbero punita o sbattuta fuori dall’aula. Non so quanto questa mia supposizione potesse avere un fondamento, ma dopotutto Mr Lloyd aveva dimostrato molte volte quanto non sopportasse i gradassi.
«La ringrazio signore, prometto di fare in modo che non si ripeta più.» Nel mentre notai che l’unico posto libero che c’era era, naturalmente, quello vicino ad Audrey, che mi fece un cenno quando guardai nella sua direzione. Me lo aspettavo, nessun’altro a parte lei mi sopportava. In un modo o nell’altro tutti erano stati manipolati da Penny, che era praticamente la mente di quella classe, composta da un mare di pecore che seguivano il branco delle “idiote alfa”. Dopo tutto questo tempo io stessa faticavo a capire cosa avessi fatto di tanto sbagliato da meritarmi un simile trattamento.

Dopo aver preso posto vicino alla mia amica, passammo la prima parte della giornata ad ascoltare il discorso di buon augurio che ci rifilavano tutti gli anni i professori. Una noia mortale, ma almeno serviva a rassicurarti quel poco che bastava.

CONTINUA CON LA TERZA PARTE DEL 1° CAPITOLO. 
   
 
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