Titolo: Augenblick
Personaggi:
Sissi/Franz
Prompt ©Gloria
Venegoni:
Sovrannaturale (ispirazione Orgoglio, Pregiudizio e Zombie): il loro
primo
incontro avviene perché entrambi a caccia sulle montagne
bavaresi. Ma non le
prede non sono selvaggina.
Generi: Introspettivo,
Romantico, Sovrannaturale
Contesto:
L’Ottocento
Avvertimenti:
Palese OOCità
Note: Non ho mai letto
“Orgoglio, Pregiudizio e Zombie”, ma spero di aver
rispettato quelle che
suppongo siano le linee di base del libro e la sua atmosfera, insieme
alla
realtà storica dei personaggi descritti. In ogni caso mi
sono ispirata
parecchio ai film di Romy Schneider per le atmosfere e la descrizione
di certe
scene.
Il titolo, “Augenblick”
è un termine tedesco che letteralmente significa “in un batter d'occhio”; ossia indica un
momento decisivo nel tempo
che è fugace, ma emozionante e incredibilmente significativo.
__________________________
Augenblick
“Pensa
sempre a questo: quando nella vita avrai dolori o preoccupazioni, va'
come ora
ad occhi bene aperti per il bosco,
e da ogni albero, da ogni cespuglio, da ogni fiore e da ogni animale la potenza di Dio ti verrà incontro dandoti forza e consolazione.”
e da ogni albero, da ogni cespuglio, da ogni fiore e da ogni animale la potenza di Dio ti verrà incontro dandoti forza e consolazione.”
[La principessa Sissi,
1955]
Aveva solo nove anni
quando ne vide uno per la
prima volta – accadde nei fitti boschi di Possenhofen, verso
le montagne, in un
punto talmente celato della foresta da nascondere persino la visuale
sul lago.
Come suo solito, aveva
disubbidito agli ordini di
suo padre; e invece di rimanere come le era stato detto con sua madre e
i suoi
sei fratelli [1], aveva preso con sé il suo cucciolo di
terrier e una lanterna,
e si era poi precipitata fuori dal castello, incurante del sole che
scivolava
rapidamente oltre le montagne privando la terra di luce. Non temeva di
aggirarsi da sola per i vasti territori che componevano la tenuta:
conosceva
alla perfezione ogni angolo di giardino, ogni svolta del terreno, ogni
albero e
ogni arbusto, e sapeva quale sentiero avevano preso suo padre e i suoi
amici
per andare a caccia.
L’eccitazione
di quella sua bravata, tuttavia, si
spense ben presto non appena la bambina si accorse che il sentiero
andava via
via restringendosi fino a sparire quasi nel nulla, che tra le fronde
degli
alberi le civette non tubavano placidamente, che ogni singolo rumore
pareva
essere stato inghiottito dall’oscurità e che non
si udivano, come ella credeva,
le voci della compagnia di suo padre né l’abbaiare
dei loro cani da caccia. Il
suo cucciolo si irrigidì all’improvviso, rizzando
le orecchie, lanciò due bassi
latrati e si gettò nella vegetazione senza guardarsi
indietro, lasciandola sola
– e fu allora che la piccola Sissi iniziò ad avere
paura.
Si strinse addosso il
proprio cappottino e sollevò
la lanterna all’altezza dei suoi occhi, cercando di gettar
luce su un debole
percorso sterrato che si snodava tra cespugli pungenti; non osava
alzare la
voce per richiamare indietro il suo cane o cercare di attirare
l’attenzione di
suo padre, perché più volte il duca le aveva
intimato di rimanere in silenzio
quand’era fuori a caccia, in modo da non spaventare le prede
e rendere vani gli
appostamenti – e in ogni caso c’era qualcosa, in
quella notte, che le bloccava
il fiato in gola e le ghiacciava il sangue nelle vene, a lei che non
aveva mai
avuto paura di niente e di nessuno.
D’un
tratto, nel silenzio, udì il frusciare di un arbusto; data
l’assenza di vento e
i nervi che la bambina già aveva a fior di pelle, essa si
fece immobile come una
statua, e osò muovere appena soltanto gli occhi per cercare
di capire che cosa
avesse prodotto quel rumore.
«Papi?»
Sussurrò delicata, il suo piccolo cuore
che le martellava ferocemente in petto.
Tuttavia non fu suo
padre a emergere dal
sottobosco: fu una creatura mai vista prima, neppure nei suoi incubi
peggiori,
che non pareva appartenere a nessuna realtà conosciuta. Era
pallida, emaciata e
alta, seppur rimanesse curva su sé stessa, come se non
tollerasse il suo stesso
peso – capelli grigi e sottili ricadevano su occhi
giallognoli e vitrei,
ricoperti da un velo biancastro, pelle raggrinzita e viscida pendeva da
un
volto scheletrico e senza vita, e in alcuni punti – buon Dio!
– pareva
staccarsi come i pezzi di montone che suo padre lasciava ai cani ed
essi
maciullavano affamati. Una bocca spalancata in un verso sordo mostrava
una
chiostra di denti marci, e vestiti vecchi e infangati ricoprivano a
stento
membra che parevano troppo pesanti per muoversi normalmente. La
creatura si
mosse lentamente verso di lei e lei si limitò a fissarla con
occhi spalancati –
più sbigottiti che terrorizzati, forse – fino a
quando non osò sollevare le
braccia verso di lei e allungare mani da dita arcuate come a volerla
ghermire.
A quel punto Sissi
lanciò uno strillo lancinante
nell’aria della notte, volse i tacchi e fuggì via,
correndo a perdifiato in
mezzo al bosco senza badare a dove andava né dove metteva i
piedi, desiderando
soltanto andarsene quanto prima da lì, mettere il
più distanza possibile tra
lei e il mostro, e possibilmente rientrare a casa sana e salva.
Ma non aveva fatto i
conti con l’asperità del
terreno: un sasso o un affossamento le fece perdere
l’equilibrio, e la bambina
precipitò per terra raschiando mani e ginocchia, lasciando
rotolare via la
lanterna che fortunatamente non si spense. Cercò di
rialzarsi, ma dovette
essersi slogata una caviglia, perché anche solo muovere un
passo le procurava
fitte terribili che la portarono a zoppicare; e dietro di lei sentiva
gli
ansiti del mostro, i suoi gemiti gutturali, lo strisciare dei suoi
passi grevi
sul terreno umido.
Poi, qualcosa le si
strinse intorno al collo del
piede, afferrandoglielo in una morsa terribile e usandolo come leva per
tirarla
indietro; erano le dita della creatura – Sissi
sentì il viscidume della sua
carne, lo scricchiolio delle sue ossa, il gelo della sua pelle
– e d’istinto
urlò di nuovo, urlò più forte,
urlò fin quando le sue urla non vennero
inghiottite dal rumore roboante di uno sparo e la stretta del mostro su
di lei
si allentò. Esso crollò su sé stesso
in un groviglio di membra disordinate,
scivolando a terra come una marionetta alla quale erano stati
bruscamente
recisi i fili, e Sissi gattonò via, piangendo e
singhiozzando, senza osare
guardarsi indietro.
E subito dopo si
ritrovò cullata tra braccia calde
e confortanti, con il naso premuto contro il bavero del cappotto di suo
padre,
le lacrime inghiottite dalla stoffa ruvida, il capo gentilmente tenuto
dal
palmo della sua mano e i suoi morbidi capelli castani gentilmente
accarezzati.
La voce pacata di suo padre consolò la bambina, e mentre i
suoi compari si
occupavano di far sparire i resti del mostro, e i cani riprendevano a
guaire e
abbaiare, e tutt’intorno a loro la foresta riprendeva a
emettere il suo brusio
notturno, Sissi si addormentò tremante stringendo il collo
del duca – il suo
sonno invaso da incubi che non avrebbe mai smesso di avere.
*
Adesso, sette anni dopo
[2] e con un severo
addestramento alle spalle, la giovane Sissi si aggirava per conto suo
per i
boschi di Bad Ischl, con il confortevole peso del fucile che le pendeva
sulla
schiena e un abbigliamento maschile che avrebbe fatto storcere il naso
a sua
madre molto più di quanto non facesse la sua missione
– di cui la donna era
misericordiosamente all’oscuro. Ancora ripensava a quanto era
stato difficile
convincere la duchessa Ludovica a portarla con sé in Austria
– in verità le
importava poco partecipare al genetliaco dell’imperatore, e a
quella che
sarebbe dovuta essere l’occasione che ne annunciava il
fidanzamento con sua
sorella Nenè. Ciò che invece l’aveva
portata a supplicare sua madre era stato
un telegramma che era arrivato poche settimane prima a suo padre, e che
lo
avvisava della presenza di alcune creature
nel territorio di Gmunden [3].
Suo padre, il duca
Massimiliano, aveva altri
affari a cui badare tra Monaco e Possenhofen, e non gli era possibile
allontanarsene né per accorrere alla richiesta di aiuto del
telegramma né per
rispondere al severo invito dell’arciduchessa Sofia sua
cognata. Così, padre e
figlia avevano fatto in modo che la duchessa Ludovica e la figlia
maggiore
Elena portassero Sissi con loro a Ischl, senza oltre specificare quale
fosse il
motivo che aveva portato la giovane ribelle a voler partecipare di sua
spontanea volontà a un qualsiasi evento organizzato dalla
madre
dell’imperatore.
Sorridendo appena sotto
il cappellino che le
proteggeva gli occhi dal caldo sole pomeridiano, Sissi
lanciò un’occhiata alle
proprie spalle per accertarsi nuovamente di non essere stata seguita, e
quando
il sentiero la condusse sul punto più alto del pendio
svoltò bruscamente a
sinistra e si immerse nell’ombra del sottobosco.
Le sue orecchie erano
tese e pronte a udire il
minimo cambiamento insolito del vento o della natura che la circondava;
il
borsello che portava a tracolla era stato riempito con proiettili
d’argento,
due pugnali corti avevano trovato spazio all’interno dei suoi
stivali e dei
bracciali di cuoio le circondavano gli avambracci in caso qualche
creatura
avesse tentato di aggredirla o morderla mentre lei era occupata a
difendersi.
Non era la prima volta che andava a
caccia, ma era la prima volta che si trovava da sola in un
territorio non
familiare – e doveva davvero sforzarsi di tenere a freno la
sua eccitazione per
evitare di fare qualche sciocco errore.
In ogni caso, si
trovava nel posto giusto. Le
indicazioni che le aveva dato suo padre erano abbastanza precise
–
evidentemente il duca aveva già avuto modo di visitare la
zona in passato – e
vista la conveniente lontananza dal centro abitato Sissi avrebbe potuto
fare
quel che voleva in caso avesse incontrato la creatura. Ormai sapeva per
esperienza che esse non si limitavano ad uscire dalle loro tane
soltanto con il
calar delle tenebre – quelle erano sciocche superstizioni
inventate da qualche
contadino che confidava di poter essere al sicuro
fintantoché il sole fosse
stato alto nel cielo – ma soltanto quando erano affamate; e
vista la scarsità
di attacchi negli ultimi giorni, qualsiasi cosa si nascondesse nei
boschi di
Ischl stava soltanto aspettando che qualche preda le si presentasse
davanti.
Vista la calura del
pomeriggio e l’apparente
tranquillità del luogo, Sissi decise che non ci sarebbe
stato nulla di male nel
riposarsi per un poco prima di proseguire con la sua avanscoperta.
Trovata una
pietra sufficientemente larga da fungere da sedile, la giovane vi prese
posto
con un sospiro, allungando le gambe davanti a sé e
alleggerendosi dal peso del
fucile e della borsa; posati i bagagli per terra accanto a lei, si
levò il
cappello e lo usò per sventolarsi. Da quell’altura
riusciva a vedere l’intera
vallata – il paese abbarbicato lungo il fiume, i campi, le
montagne che
scivolavano e parevano sfiorare la superficie del lago e il cielo tanto
azzurro
e terso nella giornata estiva da far somigliare l’intero
paesaggio a un
maestoso dipinto.
La sua pace, tuttavia,
venne bruscamente
interrotta da un improvviso e delicato fruscio subito seguito dallo
scricchiolio di quelle che sembravano suole di scarpe sui rametti e
l’erba
secca del sottobosco. Senza perdere tempo, Sissi saltò in
piedi e si armò
rapidamente: imbracciò il fucile, si accucciò
dietro il grosso sasso sul quale
era seduta e puntò l’arma in direzione dei rumori,
il dito guantato sospeso
sopra il grilletto, pronto a premerlo al minimo accenno di pericolo.
Il rumore si fece
più vicino, e Sissi trattenne il
respiro: vide un’ombra scura aggirarsi tra gli arbusti e la
tenne sotto tiro, e
quando raggiunse il limitare del bosco socchiuse gli occhi,
sfiorò il
grilletto–
«Per
l’amor di Dio, mettete via quell’arma!»
Con un ansito sorpreso,
la ragazza spostò immediatamente
il dito dal grilletto. Abbassò il fucile senza distogliere
lo sguardo dal
giovane appena sbucato da dietro gli alberi, considerando rapidamente
la sua aitante
figura e il suo abbigliamento prima di decidere che era innocuo
– umano,
soprattutto – e che non rappresentava alcuna minaccia; un
cacciatore,
probabilmente, a giudicare dal fucile che a sua volta egli portava in
spalla.
Un
aristocratico a caccia, si corresse con un lieve roteare di
occhi. Se c’era un’altra
persona nei boschi, Sissi non avrebbe di certo potuto continuare con la
sua, di
caccia; per cui mise via la propria arma, si rizzò in piedi,
si spolverò i
calzoni e afferrò la borsa per rimettersela a tracolla
– il tutto senza degnare
lo sconosciuto di una sola parola o di una seconda occhiata, dato che
non aveva
alcuna intenzione di essere riconosciuta e di sorbirsi
chissà quale terzo grado
da parte di sua madre, o peggio, di Nenè.
«Un
momento!» La richiamò lui con un aggrottare
della fronte e un tono vagamente indignato. «Ve ne state
andando senza neanche
scusarvi, o spiegare che cosa ci fate qui, e armato?»
«Potrei
domandare la stessa cosa a voi», borbottò
Sissi ostinandosi a dargli le spalle. Oh, non aveva proprio intenzione
di
perdere tempo a giustificarsi con il primo nobiluomo arrogante che
passava…
Il giovane si
lasciò scappare uno sbuffo assai
poco aristocratico. «Avete idea di dove siete? Questo
è terreno di caccia
dell’imperatore», sottolineò con tono
autoritario, raggiungendola con due
rapide falcate.
«Credete che
non lo sappia?» Sbottò lei, facendo
l’errore di voltarsi per meglio affrontarlo.
Nel vederla bene in
viso, l’uomo irrigidì: sul suo
volto passò una rapida processione di emozioni –
confusione, perplessità,
sconcerto e persino irritazione, finché non decise di
adottare quella che
sarebbe potuta sembrare una sorta di divertita ammirazione.
«Ma voi siete una
donna», mormorò, constatando l’ovvio.
Sissi
mugugnò un assenso. «Una donna che va di
fretta», specificò, cercando di oltrepassarlo.
«Ora, con permesso–»
«No,
aspettate un attimo», insisté lui,
afferrandola istintivamente per un braccio.
Sissi prese un profondo
respiro, contò fino a
dieci, si voltò verso di lui e si sforzò di
ignorare la sua poco galante presa
sul proprio avambraccio. «Sì, desiderate
qualcosa?» Domandò con finta dolcezza.
Egli inarcò
un sopracciglio, e un angolo delle sue
labbra si allungò verso l’alto. «Se non
volete essere trascinata dai gendarmi,
mi direte qui e ora che cosa ci fate, armata e vestita da uomo, in
mezzo a
questi boschi. Dubito che siate uscita per una passeggiata, visto che
vi siete
allontanata così tanto dal sentiero.»
«Molto
acuto», si complimentò Sissi, cercando di
divincolarsi dalla sua presa. Ma lui accentuò la stretta,
inarcando anche
l’altro sopracciglio come a voler sottolineare la sua
serietà, e lei dovette
capitolare. «Sono a caccia?» Tentò, con
un tono più interrogativo che
affermativo.
«A
caccia», ripeté sarcastico lo sconosciuto.
«E
di che cosa?»
Per qualche strano
motivo, la sua domanda – o lo
strano tono insinuante con cui era stata posta – la mise
sulla difensiva. «Voi che cosa state
cacciando in questo
periodo dell’anno?» Ribatté seccamente.
Il giovane la
fissò a lungo, come se sperasse di
trovare la risposta alle sue curiosità negli occhi di lei; e
forse qualcosa
dovette trovarla, perché all’improvviso
rilasciò con gentilezza la presa sul
suo braccio, accennando un mezzo sorriso di scusa e indietreggiando di
un
passo. «Forse le nostre prede sono le stesse»,
mormorò, così piano che Sissi
fece quasi fatica a distinguere le parole.
Sbattendo le palpebre,
lei decise di ricambiare
quel lieve spiraglio di sincerità.
«Forse», acconsentì. «Suppongo
dipenda dal
tipo di proiettili che usate.»
Lui la fissò
come se non credesse ai propri occhi.
«Argento?» Offrì a mezza voce.
Lei rilasciò
un respiro che non si era accorta di
aver trattenuto. «Argento», confermò
debolmente.
Stavolta, quando lo
sconosciuto le prese la mano,
lo fece con un gesto estremamente gentile. «Sarei molto
curioso di conoscere la
vostra storia, signorina», propose con un cenno del capo e un
sorriso complice.
«Il vostro nome, se mi è permesso
chiedere?»
Ricambiando con fare
indeciso il suo sorriso, la
ragazza sospirò e concesse «Potete chiamarmi
Sissi.»
*
Al suo rientro a Ischl,
dopo aver fatto una
deviazione all’ufficio del telegrafo per mandare un rapido
telegramma a suo
padre e avvisarlo del fatto che per il momento non aveva trovato nulla
di
interessante e che pertanto la sua missione era ancora in corso, Sissi
dovette
subire l’ennesima strigliata da parte di sua madre che si era
accorta
dell’uscita segreta della figlia – «Per
l’amor di Dio, Sissi, sei andata a pesca?
Come devo fare con te? Corri a
rinfrescarti, sembri una contadina! Cosa direbbe la
zia…» – e, come se ciò non
fosse di per sé sufficiente, fu persino costretta a mettersi
in ghingheri per
partecipare alla festa di compleanno dell’imperatore, dato
che una delle dame
invitate aveva dovuto disdire all’ultimo momento e bisognava
riempire un posto
vacante tra cena e balli.
Era rimasta pensierosa
per tutto il tragitto – sua
madre e sua sorella troppo eccitate in vista dell’incontro
con l’imperatore
nonché futuro sposo di Elena per prestare attenzione allo
strano umore di Sissi
– ritornando con la mente a ciò che era accaduto
quello stesso pomeriggio tra i
boschi austriaci. Il giovane cacciatore – Franz,
offrì la sua mente confusa in
un qualche tentativo di aiutarla – era stato
l’emblema stesso della gentilezza
e della cavalleria; avevano chiacchierato a lungo e di ogni cosa, a
partire da
ciò che entrambi facevano per proteggere la loro casa da
quei mostri che la
minacciavano per finire in discorsi più vari ed estesi,
coprendo in poche ore
quanti più argomenti possibili – come se temessero
che quella sarebbe stata
l’unica volta in cui sarebbe stato loro possibile
incontrarsi, e volessero
utilizzare al meglio il tempo che era stato loro concesso.
Sollevando lo sguardo
sulla villa imperiale di
Ischl, Sissi non dubitava che non avrebbe più rivisto il
giovane e affascinante
Franz, poco importava che il proprio cuore le facesse capriole in petto
ogniqualvolta i suoi pensieri tornavano a lui.
*
Quando il ciambellano
scandì ad alta voce il suo
nome – «La duchessa di Baviera, Elisabetta Amalia
Eugenia di Wittelsbach» –
Sissi prese fiato, raddrizzò la schiena e raggiunse la porta
cercando di
mostrarsi il più elegante possibile; non voleva mancare di
rispetto a sua zia o
disonorare sua madre o sua sorella con comportamento men che regale.
Sfortunatamente, i suoi
eccellenti propositi
rischiarono di svanire nel nulla, tremando violentemente come una
fiamma spinta
dal vento, quando i suoi occhi si posarono su quello che doveva essere
l’imperatore e che restava dritto al centro della sala con la
madre al suo
fianco, in attesa di accogliere le sue ospiti, e che altri non era che
il
giovane cacciatore di creature non-morte che aveva conosciuto giusto
quel
pomeriggio nel bosco.
Impallidendo fino a
perdere ogni traccia di sangue
in viso, Sissi si sforzò di mantenere
un’espressione impassibile – malgrado
avesse notato uno sguardo similmente sorpreso sul volto
dell’imperatore – e,
seguendo l’esempio della sorella, raggiunse il suo fianco
tenendo gli occhi
chini e si esibì in un profondo inchino, pregando ogni santo
che conosceva di
evitarle figure eccessivamente imbarazzanti davanti
all’intera corte. Che cosa
le avrebbero fatto se avessero scoperto che aveva quasi sparato
all’imperatore?
«Mia cara
cugina», salutò la voce gentile di Franz
– oh Dio, come aveva fatto a non capirlo solo dal nome, e dal
suo
atteggiamento? Era davvero così stupida? – non
appena le fu di fronte. Lei vide
dapprima la punta delle sue scarpe, poi l’orlo dei suoi
candidi pantaloni
bianchi, e infine una mano guantata apparve davanti al suo campo
visivo, e a
lei non rimase che prenderla seppur a malincuore.
«Avreste
dovuto dirmi che eravate l’imperatore»,
gli sussurrò all’orecchio con voce spezzata,
mentre egli l’aiutava a rialzarsi
dal profondo inchino come richiedeva l’etichetta.
Franz le
dedicò un sorriso talmente delicato da
apparire invisibile a chiunque non si fosse trovato a una distanza
più
ravvicinata. «E voi avreste dovuto dirmi che siete mia
cugina, Sissi», replicò
sul medesimo tono.
«Vi prego,
non ditelo a mia madre», lo supplicò
frettolosamente, notando le occhiate perplesse e forse appena
infastidite che
stava ricevendo contemporaneamente da sua madre, sua sorella e
dall’arciduchessa Sofia – evidentemente quel breve
scambio di convenevoli tra
lei e l’imperatore non rientrava nel cerimoniale di corte.
Franz Joseph
accennò un lieve inchino col capo,
sollevando la mano inguantata di Sissi verso di sé
finché la sua bocca non
aleggiò allusivamente a pochi centimetri dal palmo.
«Le mie labbra sono
sigillate», fu la sua mormorata e solenne promessa. Ma il
luccichio che apparve
nei suoi occhi smascherò una certa divertita scaltrezza, che
la giovane non fu
del tutto certa di apprezzare. «Tuttavia, ora siete in debito
con me.»
Stava ancora sbattendo
le palpebre, sconcertata e
con le gote più rosee del solito, quando
l’imperatore venne condotto via
dall’arciduchessa verso sua sorella Elena affinché
la scortasse a cena,
privandola così del privilegio di rispondergli a tono. E
Sissi suppose che le
sorprese per la serata non dovevano ancora essersi concluse, se si
doveva
considerare la breve occhiata sorniona che il giovane monarca le
riservò da
sopra la spalla prima di allontanarsi con sua sorella.
Ignorando lo
sguardo pensieroso che le rivolse sua
madre, Sissi la seguì pacatamente verso la sala da pranzo
– uno strano brivido
lungo la schiena come unico presentimento.
-.-.-.-.-.-.-.-
One-shot:
3287 parole.
-.-.-.-.-.-.-.-
[1]
Nel 1846 Elisabeth ha
nove anni; ha tre fratelli maggiori e tre minori, l’ottavo
genito morto neonato
e gli ultimi due fratelli non ancora nati.
[2]
Nel 1853 Elisabeth e
Franz Joseph si incontrano per la prima volta a Ischl per la festa di
compleanno di quest’ultimo; all’epoca lei ha appena
16 anni, mentre lui è un
giovane imperatore di 23.
[3]
Distretto di Gmunden,
Alta Austria. Nella cittadina di Bad Ischl si trova la Kaiservilla,
residenza
estiva di Franz Joseph, regalatagli nel 1850 dalla madre.