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Autore: Rowelence    03/11/2015    0 recensioni
«Qui siamo molto lontani dalla società. Le catene che vincolano gli uomini e le donne in città si spezzano in un luogo come questo. Qui, tutte le regole create dall’uomo appaiono insensate, prive di un vero scopo. È il luogo adatto per chi vuole essere libero».
Genere: Introspettivo, Malinconico, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il caldo abbraccio del piumone, la sensazione del morbido cuscino sotto la testa e le sue palpebre che con lentezza si chiudevano: erano questi gli ultimi istanti di cui Michele serbava memoria. Eppure perché ora che riapriva gli occhi non vedeva il buio della sua stanza? Tutto intorno a lui vi era luce, così bella e pura da non sembrare vera. I suoi piedi nudi non poggiavano su un freddo pavimento, bensì su un soffice tappeto d'erba che si estendeva a perdita d'occhio. Quando guardò in alto non vide un soffitto, ma un cielo terso, colorato con una splendida sfumatura di azzurro. Osservando l'orizzonte scorse delle colline di varie dimensioni. Sembravano vicine e al tempo stesso infinitamente lontane.

«Ma dove mi trovo?», chiese senza rivolgersi a nessuno in particolare.

Tutto lasciava presuppore che si trattasse di un sogno, eppure era troppo realistico per esserlo. Le sensazioni che provava istante dopo istante erano vere. Il solletico dell'erba, la carezza del vento gentile che soffiava verso est, il tepore del sole: nulla di tutto ciò poteva essere finto. Inoltre, non ricordava di essere mai riuscito a fare dei ragionamenti così chiari all'interno di un sogno. Si ricordò un libro sui sogni lucidi che aveva letto alcuni mesi prima e cercò di riportare alla mente la parte riguardante i test di realtà.

Accidenti, non me ne ricordo nemmeno uno, pensò con sgomento.

Non poteva certo contare su una memoria di ferro. Spesso doveva segnare gli appuntamenti più importanti su un block notes per non dimenticarseli. Determinato a non rassegnati, chiuse gli occhi e fece del suo meglio per ripescare il contenuto del libro dal fiume dei ricordi.

Un momento...Uno dei test di realtà aveva qualcosa a che fare con le mani. Anzi, con le dita. Ma certo, ora ricordo! Devo contare il numero delle mie dita!

Secondo l'autore del libro, nei sogni capita spesso di avere meno di dieci dita. Contarle può essere un ottimo modo per capire se si è all'interno di un sogno o meno. Michele guardò le sue mani e con grande attenzione iniziò a contare le dita. Giunto alla fine del conteggio, realizzò che ogni singolo dito era al suo posto. Provò a contare altre tre volte e il risultato fu sempre il medesimo.

«Pare proprio che questo non sia un sogno», disse con una buona dose di stupore nella voce. Quando si sentiva disorientato gli capitava spesso di parlare da solo, il che talvolta lo portava a mettere in dubbio la sua sanità mentale.

Una risata femminile, proveniente da un punto imprecisato alle sue spalle, riempì il silenzio. Era una risata allegra e gentile, per niente intenzionata a canzonarlo. Michele sobbalzò e si affrettò a voltarsi. A pochi passi di distanza da lui, si trovava una giovane donna dall'aspetto gradevole. Il suo viso gentile era incorniciato da dei lunghi capelli neri raccolti in una coda di cavallo. Indossava dei vestiti semplici, privi di inutili fronzoli e di abbellimenti superflui. Eppure anche una camicetta bianca ed una gonna beige lunga fino al ginocchio sembravano risplendere se indossati da lei. Per qualche strana ragione, anche lei era a piedi nudi.

«E perché mai tutto questo dovrebbe essere un sogno?». Nella sua voce pacata non vi era la minima punta di derisione. Vi era anzi una genuina curiosità.

Michele rimase in silenzio per alcuni istanti. La presenza della donna suscitava in lui delle sensazioni forti. Non si trattava del classico colpo di fulmine e nemmeno della mera attrazione fisica. Era qualcosa di differente, di indecifrabile. Credeva di aver già provato una sensazione simile nella sua vita, tuttavia non ne serbava il ricordo.

Che cosa significa tutto questo?

Non riuscì a darsi una risposta e decise che, per il momento, la cosa migliore da fare era conversare con lei.

«Io non ho la più pallida idea di come sono arrivato qui. L'ultima cosa che ricordo è il buio della mia camera da letto. Se non si tratta di un sogno, mi piacerebbe proprio capire dove mi trovo».

La sconosciuta si limitò a sorridere. Accorciò di poco la distanza che li separava e Michele poté così sentire il profumo che indossava. Si trattava di un'essenza floreale delicata e piacevole all'olfatto. Ero sconcertante come ogni aspetto di lei lo facesse sentire a suo agio.

«Sei in collina. Qui l'aria è buona e c'è quasi sempre un clima piacevole».

«Un po' vaga come risposta...Di colline ce ne sono tante!»

«Ma solo in questa siamo presenti io e te. Non credi che la renda speciale?»

«...C-Credo di sì».

Per quanto tutto fosse realistico, Michele continuava a trovare l'intera situazione surreale. Le frasi di quella donna sembravano appartenere ad un altro tempo, ad un'epoca più gentile e meno frenetica.

«Qual è il tuo nome?»

«Uhm, vediamo...Per oggi puoi chiamarmi Viola».

«Come sarebbe a dire "per oggi"? Vuol dire che domani avrai un nome diverso?»

Viola si sedette a gambe incrociate sull'erba e con un gesto invitò Michele a fare lo stesso.

«Non lo escludo. Da quando sono qui non mi piace tenere lo stesso nome troppo a lungo. Se i vestiti possono essere cambiati, perché non si può fare lo stesso con i nomi?»

«Se tutti cambiassero nome per capriccio la società piomberebbe nel caos».

«Qui siamo molto lontani dalla società. Le catene che vincolano gli uomini e le donne in città si spezzano in un luogo come questo. Qui, tutte le regole create dall'uomo appaiono insensate, prive di un vero scopo. È il luogo adatto per chi vuole essere libero».

Michele osservò il panorama circostante. Dal punto in cui era seduto il mondo intero non sembrava altro che un'infinita distesa di cielo ed erba. Viola aveva ragione: che senso aveva applicare le regole del vivere comune in un paradiso senza nome come quello?

«Mi trovo d'accordo con te».

Viola accolse quelle parole con uno dei suoi sorrisi pieni di gentilezza.

«Mi fa piacere. È bello essere d'accordo su qualcosa. Dunque che nome scegli per oggi? Se hai bisogno di un po' di tempo per pensarci sono disposta a concedertelo».

«Mi chiamo Michele. E non solo oggi...Michele è il nome che uso tutti i giorni».

La donna chinò la testa verso il basso. Michele la vide giocherellare con alcuni fili d'erba. Per qualche momento l'unico rumore fu il lieve sibilo del vento. Poi Viola sollevò il capo e si protese verso di lui. Il ragazzo la vide scrutare il suo volto con attenzione, quasi come se fosse intenzionata a memorizzarlo.

«C-Che stai facendo?», chiese in un tono che tradiva tutto il suo imbarazzo. Si sentiva il volto in fiamme e non era sicuro di riuscire a sopportare quella situazione ancora per molto. Per sua fortuna, Viola ritornò a sedersi normalmente poco dopo.

«Come sospettavo», disse col tono di chi aveva appena risolto un mistero.

«Potresti darmi una spiegazione? Non mi piace essere fissato senza motivo».

«Vedi, Michele, in questo momento non sei tu a sognare. Sono io che sono nel bel mezzo di un sogno».

Lo affermò con tale sicurezza che per poco non convinse anche lui. Solo dopo aver riflettuto per bene sulle sue parole, capì quanto fosse illogica una simile affermazione.

«Cosa te lo fa pensare?»

«Semplice: da queste parti non vive nessun Michele. Inoltre sono piuttosto sicura di non aver mai visto la tua faccia prima d'ora. In questo momento io sto sognando e tu non sei altro che un frutto della mia immaginazione».

«Che sciocchezza! Io esisto davvero e se questo deve proprio essere il sogno di qualcuno allora è il mio!»

«Quindi stai dicendo che sono io a non esistere? E allora per quale motivo ricordo alla perfezione tutti gli anni che ho vissuto? Nella mia testa ci sono memorie, esperienze da raccontare ed i volti delle persone a me care. Quanto devo raccontarti di me per dimostrare la mia esistenza?»

«Tutto quello che c'è nella tua testa c'è anche nella mia. Io sono reale tanto quanto te e se non mi credi, perché non provi a contarti le dita?»

Sul viso di Viola comparve un'espressione perplessa.

«Per quale motivo dovrei contarmi le dita?»

«Si tratta di un test di realtà. Nei sogni capita spesso di guardare la propria mano e di notare delle dita mancanti. Se conti le tue dita e noti che ci sono tutte vuol dire che non stai sognando e che io esisto davvero».

Senza chiedere ulteriori informazioni, Viola iniziò a contarsi le dita. Michele provò una strana stretta allo stomaco. Era forse paura quella che stava provando?

Non posso crederci. Questa situazione è così assurda che sto iniziando a dubitare della mia stessa esistenza!

«...Otto, nove e dieci. Pare proprio che siano tutte al loro posto».

«Visto? Ora ci credi che sono reale?»

«Sì! E questo mi rende davvero felice!»

Non si trattava solo di una frase di circostanza. Anche un osservatore poco attento avrebbe compreso subito che la giovane donna provava una genuina felicità. Nel suo sguardo, Michele lesse una grande gioia e un altro sentimento che non riuscì ad identificare. In cuor suo sapeva che quella felicità era mischiata a qualcosa di differente, anche se il suo cervello non riusciva a dare un nome a quello strano fenomeno.

«Ma se siamo entrambi reali, allora che cosa significa tutto questo? Come ho fatto ad arrivare in questo luogo? E tu come hai fatto a trovarmi in questo spazio immenso?»

Senza rispondere alla sua domanda, Viola si avvicinò di nuovo a lui e questa volta lo cinse in un abbraccio pieno di affetto. Quel gesto sembrava così naturale e giusto che Michele non provò il minimo stupore e non tentò nemmeno di protestare. Senza sapere come e perché, si ritrovò a piangere lacrime di gioia. La donna gli accarezzò i capelli con una mano e gli sussurrò all'orecchio che tutto andava bene.

«Tu ed io stiamo sognando assieme. Siamo due persone reali che si sono addormentate e sono scivolate nello stesso sogno. Tu sogni questo luogo, ai tuoi occhi così perfetto, ed io sogno te, Michele. Presto ci sveglieremo, eppure tutto questo non svanirà. Resterà per sempre nelle nostre menti e nei nostri cuori. Nemmeno la morte potrà cancellare il nostro incontro».

Ormai per Michele non era più importante dare una spiegazione logica a quel che stava vivendo. Tutto quel che contava era restare il più a lungo possibile tra le braccia di Viola e respirare il suo profumo fino ad inebriarsi. Il tepore del corpo della donna era la prova tangibile di quanto lei fosse reale, una stupenda creatura di carne ed ossa, così perfetta da sembrare un frutto della fantasia.

«Non voglio più separarmi da te. Mai più».

Proprio quando Michele cercò di pronunciare quelle parole, le tenebre calarono sulla collina e Viola si dissolse nel nulla. Poco dopo, una luce accecante avvolse ogni cosa. Era arrivato il momento di svegliarsi.

 

Michele sedeva sul letto con lo sguardo perso nel vuoto. Non poteva credere di aver sognato tutto. Si sentiva nauseato e le sue mani tremavano. Chiuse gli occhi, visualizzò nella sua mente la collina e poi li riaprì. Niente. Era ancora nella sua camera, intrappolato nella squallida quotidianità. Provò altre volte ad aprire e chiudere gli occhi, ma il suo desiderio di vedere le mura della stanza sgretolarsi e rivelare l'accesso alla collina non si concretizzò.

«No! Non è giusto!».

Trattenne a stento le lacrime. Voleva tornare sulla collina, abbracciare Viola e provare di nuovo quella sensazione di gioia immensa. In tutta la sua vita non si era mai sentito così felice. Le emozioni che aveva provato nel sogno facevano impallidire quelle che provava nella sua grigia e monotona esistenza, fatta di ultimi esami da preparare, di lavori part time mal pagati e di relazioni occasionali prive di passione. Rispetto ai vivaci colori del sogno aveva la sensazione di vivere in un mondo in bianco e nero.

Perché non posso fare a cambio? Perché non può essere questa vita il sogno?

In un ultimo disperato tentativo di negare la realtà, Michele provò a contarsi le dita. Quando vide che erano tutte al loro posto si sentì un perfetto idiota.

 

Quando il cellulare squillò, Michele si trovava disteso sul divano a guardare la televisione. In realtà le immagini del televisore sfilavano davanti ai suoi occhi con i loro colori sgargianti e le loro luci spettacolari, ma lui le vedeva a malapena. Il ricordo di quel sogno così reale continuava a tormentarlo da quella mattina e non era riuscito a scacciarlo in nessun modo. Nella sua mente riviveva di continuo la surreale conversazione con Viola, stando ben attento a non dimenticare nessuna frase. Voleva inciderle a fuoco nella sua mente, in modo che non potessero mai abbandonarlo. Gli squilli del cellulare si fecero largo a fatica nella sua mente affollata e dovettero ripetersi sei volte prima di indurlo a rispondere.

«Pronto?»

«Ciao, sono io. Chiamo giusto per sentire come stai, visto che è da un po' che non ti fai sentire».

La persona all'altro capo del telefono era Laura, la madre di Michele. Di solito non gli dispiaceva parlare con lei, però in quel momento non ne aveva per niente voglia. Forse l'unica cosa di cui quel giorno aveva davvero voglia era addormentarsi di nuovo.

«Ciao. Non mi lamento, sta andando tutto più o meno come al solito».

«Bene. Ti senti pronto per il prossimo esame?»

«Sì. Penso proprio che lo passerò senza problemi».

Non era del tutto vero. Anche se col ripasso era a buon punto, non si sentiva comunque abbastanza preparato. Non che fosse una novità; da quando aveva iniziato l'università non si era mai sentito davvero pronto prima di un esame. Autovalutarsi non era per niente il suo forte.

«Quindi per un giorno puoi anche staccarti dai libri, no? Perché domani non vieni a trovarmi?»

In quel momento, Michele si sentì in colpa. Da quando viveva da solo nell'appartamento non era andato a trovare sua madre tanto spesso quanto avrebbe dovuto. Poteva dare la colpa ai suoi impegni finché voleva, ma non poteva nascondere a se stesso che spesso non era andato a trovarla per mera pigrizia. Si disse che era arrivato il momento di rimediare.

«Certo, mi sembra un'ottima idea. Ho un po' di cose da raccontarti».

«Splendido! Allora a domani. Ti aspetto per pranzo».

«Tranquilla, non tarderò».

Fu una telefonata breve, come tante altre che aveva avuto con lei in passato. Laura, proprio come il figlio, non amava perdersi in chiacchiere inutili al telefono e preferiva affrontare le conversazioni importanti faccia a faccia. Eppure, per quanto breve, quella conversazione aveva in qualche modo scacciato il torpore che il ragazzo aveva indossato come un vestito troppo stretto per tutto il giorno. La tristezza e la malinconia non lo avevano ancora abbandonato, perlomeno però la sua mente non era più annebbiata. Con rinnovata lucidità ripensò al sogno, cercando di riviverlo con maggiore distacco. Ripensò all'abbraccio con Viola e a quello che poteva significare. Il contatto con la donna non aveva suscitato in lui alcun desiderio carnale e durante il sogno non aveva mai desiderato che l'abbraccio si trasformasse in qualcosa di diverso, di meno puro. Desiderava Viola, ma non in quel modo. I sentimenti che provava per lei erano sinceri, incontaminati. Non c'era nessun interesse in quell'amore, nessun secondo fine. Era un sentimento immacolato, quasi inconcepibile per un adulto sporco dei mali del mondo.

Io sono tanto sporco quanto gli altri. Perché sono in grado di provare un simile sentimento?

Durante il sogno Viola aveva suscitato in lui una strana nostalgia, quasi come se in un passato lontano si fossero già incontrati. Eppure dubitava che fosse possibile. Per quanto la sua memoria non fosse del tutto affidabile, riteneva impossibile che l'incontro con una persona così speciale potesse svanire. Si fece strada in lui un'ipotesi differente, ben più strana e suggestiva. Forse l'incontro con Viola era avvenuto per davvero, ma in un altro tempo e in un'altra vita. Forse nel sogno non aveva fatto altro che rivivere il momento più importante di una delle sue vite passate, così perfetto da sopravvivere al tempo e al ciclo delle resurrezioni.

Scosse la testa, quasi divertito da quell'idea così assurda. Non gli sarebbe per niente dispiaciuto scoprire di avere ragione, però dubitava che esistesse un modo per accertarsene. Aveva davvero senso cercare di dare una spiegazione a quel che aveva sognato? Non poteva limitarsi ad accettarlo per quel che era? Un sogno stupendo, più intenso e realistico di tanti altri, da conservare con cura tra le sue memorie più belle e da ricordare con affetto nei momenti più bui.

Sì, forse è la cosa migliore da fare.

Dopo aver preso quella decisione si sentì più leggero, come se si fosse liberato di un peso eccessivo che per qualche ora era stato costretto a portare con se. Passò il resto della giornata sui libri di testo e quando arrivò il momento di andare a letto si limitò ad augurarsi dei sogni piacevoli. Non nutriva alcuna speranza di rivedere Viola e forse fu proprio per questo che quando all'improvviso la vide dinnanzi a lui il suo cuore saltò un paio di battiti e un urlo pieno di stupore uscì dalle sua labbra.

 

Era ritornato sulla collina. Non sapeva né come né perché, eppure era lì. Come la notte precedente, il clima era piacevole e nessuna nuvola copriva il cielo. Vicino a lui, Viola era intenta a dipingere su una tela di grandi dimensioni. Con pennellate eleganti, riempiva ogni spazio bianco con colori vivaci. Stava disegnando il paesaggio che si trovava di fronte a lei, eppure alcuni particolari differivano dalla realtà. Quando Michele glielo fece notare, lei rise.

«Non voglio dipingere il paesaggio che vedono tutti. Voglio dipingere il paesaggio che vedo io».

L'ennesima risposta criptica. Il ragazzo sorrise, ormai abituato a certe stranezze.

«Vedi, io penso che ognuno di noi veda la realtà in modo diverso. Un quadro può suscitare sensazioni forti in una persona e lasciarne un'altra del tutto indifferente. Per quanto in molti siano convinti del contrario, la bellezza non è, e non sarà mai, oggettiva. Per me lo stesso vale anche per la realtà. Perché non siamo liberi di affermare che per noi il cielo è verde senza essere presi per pazzi? I sentimenti che proviamo trasformano il mondo attorno a noi e io disegno sempre osservando il mondo attraverso il filtro delle mie emozioni. Non esiste una realtà unica, ne sono certa».

Il modo in cui Viola viveva e pensava lo affascinava. Era così diversa da tutti gli altri, libera com'era da ogni prigione mentale costruita dalla società. Con le sue parole e le sue azioni rompeva le catene, spezzava le barriere e restituiva alla parola libertà l'originario candore. Voleva imparare a vivere come lei.

«Non voglio rovinare questo nostro secondo incontro, però non posso fare a meno di chiedermi come sono tornato qui. Non fraintendermi, rivederti mi rende felice. Ho passato tutto il pomeriggio a desiderare di poterti incontrare di nuovo, ma ho anche cercato di dare una spiegazione al sogno. Tu hai detto che noi siamo due sconosciuti che si sognano a vicenda, eppure io non credo che sia così. Io sono convinto di averti già incontrata».

Cercò di studiare la reazione della donna a quelle parole. Non notò alcun cambiamento nel suo atteggiamento. La sua mano continuava a dipingere senza esitazione e da dove si trovava non poteva vedere il suo volto.

«Se ci fossimo già incontrati, non dovremmo ricordarlo?»

«Forse l'incontro è avvenuto in un periodo che non possiamo ricordare, in una vita diversa da quella che stiamo vivendo».

«No, lo escludo»

«Eh? E perché?»

«Non credo nelle vite passate. C'è solo la vita che viviamo giorno dopo giorno ed è così preziosa proprio perché è limitata e irripetibile. Quando si muore finisce tutto. Sarebbe troppo facile cambiare corpo e lasciarsi alle spalle il proprio passato. Ben più difficile è accettare la morte come fatto inevitabile e definitivo. Io credevo di esserci riuscita, ma...».

Un'esitazione. Lei che sembrava sempre così sicura delle proprie parole aveva esitato. La danza della sua mano si era fermata, il pennello sospeso a pochi centimetri dalla tela.

«Viola? Che succede?»

Lei scosse la testa, come per dire che era tutto a posto. Michele capì subito che non era sincera e ne ebbe l'assoluta conferma quando vide il pennello scivolarle dalle dita. Viola cadde sull'erba e iniziò a tossire. Si coprì la bocca con una mano, ma non bastò per impedire al sangue di tingere l'erba di rosso. Michele si affrettò ad avvicinarsi a lei. Non sapeva come comportarsi in quella situazione di emergenza e si sentiva più spaventato che mai. Restò comunque al suo fianco per tutto il tempo e fece del suo meglio per mantenere la calma. La crisi durò per due lunghi, interminabili, minuti. Quando finì, Viola chiese, con una voce così flebile da non sembrare la sua, una mano per rimettersi in piedi. Michele la aiutò ad alzarsi e così facendo realizzò quanto il corpo della donna fosse scosso dai brividi.

«Reggiti pure a me»

«Ti ringrazio...»

Viola affondò il suo volto impaurito nel petto del giovane e lui la cinse a se con dolcezza. Quando la sentì piangere, le accarezzò i capelli e le sussurrò che andava tutto bene. Voleva darle tutto il conforto possibile. Era spaventato, confuso e pieno di domande, però in quel momento sapeva di dover essere forte. Lei aveva bisogno di lui e tanto bastava per mettere a tacere ogni dubbio. Passarono un tempo impossibile da calcolare in quella posizione. In un luogo immutabile come quello non esistevano testimonianze dello scorrere del tempo. L'infinita eternità poteva trascorrere senza lasciare la minima traccia.

Dopo quel lungo silenzio, il suono della voce di Viola sembrò strano, quasi estraneo a quel mondo in cui regnava il silenzio. «Grazie per essermi rimasto vicino. Se la mia malattia avesse allontanato anche te, temo che non sarei più riuscita a riprendermi dal dolore».

«Non potrei mai allontanarmi da te».

«Prima o poi dovrai farlo. Questi sogni condivisi non dureranno per sempre».

«I-Io...Non voglio pensarci. Che cosa stavi per dire prima?»

«Quando?»

«Prima della crisi».

Viola si liberò dall'abbraccio e si voltò a fissare l'orizzonte. Il suo corpo era ormai libero da ogni tremore e poteva restare in piedi senza l'aiuto di nessuno. Michele la vide muovere qualche passo con la consueta leggerezza.

«Non era nulla di importante».

«Però lo sembrava».

«Le apparenze ingannano. E questa collina ne è l'esempio lampante».

Perplesso, Michele si guardò attorno. Si era forse lasciato sfuggire qualcosa? Scrutò il paesaggio circostante con attenzione, prendendosi tutto il tempo necessario. Non vide nulla di diverso dal solito.

«Non capisco. Questo luogo sembra un paradiso».

Viola si voltò di nuovo verso di lui. Sul suo viso vi era un sorriso diverso dal solito. Era privo della consueta gentilezza e Michele non vi lesse altro che amarezza.

«Precisamente», si limitò a dire la donna.

«Non capisco».

«È molto semplice. Per te questo luogo è un paradiso, ma per me non è altro che un inferno camuffato».

«Dici sul serio? Eppure mi sembravi felice qui».

«In tua presenza lo sono. Quando sono sola faccio del mio meglio per esserlo e qualche volta ci riesco anche. Si tratta però di brevi momenti, lunghi al massimo una decina di minuti. Poi il ricordo di quello che mi sono lasciata alle spalle torna a lacerarmi il cuore e non mi è possibile provare altro che tristezza, rabbia e rimorso». Le lacrime ripresero a solcare il volto di Viola e lei non fece nulla per fermarle. Girò più volte su se stessa, guardandosi attorno con disperazione.

«Ho sempre sognato di vivere in un posto come questo, ma ora che sono qui non vorrei fare altro che andarmene. È la mia prigione dorata».

Si fermò ed indicò un punto all'orizzonte

«La città che mi sono lasciata alle spalle è laggiù. Da qui è impossibile vederla, eppure io so che è lì. È brutta, sporca e caotica, ma darei qualunque cosa per essere lì».

Michele si avvicinò a lei e la prese per mano. «Andiamoci ora. Andiamoci assieme», affermò in tono deciso.

Un sorriso sincero illuminò per un breve istante il viso rigato dalle lacrime di Viola. «Sarebbe bello, ma non abbiamo tutto questo tempo. Tra non molto ci sveglieremo e torneremo entrambi alle nostre vite. Inoltre, tornarci in un sogno non sarebbe la stessa cosa».

«E allora tornaci per davvero! Tornaci nel mondo reale. Perché non puoi lasciarti alle spalle questa collina, se la odi tanto?»

Viola lasciò andare la mano del ragazzo e raggiunse il punto in cui il suo sangue aveva tinto l'erba di rosso. Si inginocchiò e con un gesto pieno di rabbia strappò una manciata di fili d'erba vermigli per poi lanciarli in aria. Si voltò verso Michele con occhi al tempo stesso tristi e furenti.

«Ormai il mio tempo è finito».

Non appena i fili d'erba toccarono terra, l'oscurità avvolse ogni cosa.

 

Questa volta, il ritorno nel mondo reale fu meno traumatico, forse perché il sogno era stato meno idilliaco. Se il primo incontro con Viola era stato pieno di gioia e di altre sensazioni positive, lo stesso non si poteva dire del secondo. Michele aveva percepito sulla propria pelle la rabbia, la paura e la tristezza della giovane donna. L'aveva vista tossire sangue e piangere lacrime piene di rimpianti, testimonianze tangibili di tutta la sua umanità. Non era una divinità perfetta, come era apparsa ai suoi occhi nel primo sogno, bensì una creatura mortale con tutti i suoi dubbi e le sue debolezze.

Lei è imperfetta, come me e tutti gli altri esseri umani. Ed ora che lo so, la amo ancora di più.

Sentiva la necessità di aiutarla a fuggire dalla collina e di portarla nella città in cui desiderava vivere. Voleva restituirle almeno una parte della gioia che lei era stata in grado di donargli. Non era sicuro di poterlo fare, però. Lei era malata e, stando alle sue parole, la sua vita era agli sgoccioli. Anche se fosse riuscito a portarla in città, sarebbe davvero servito a qualcosa? Si disse che la risposta a quella domanda doveva essere "no".

Lei vorrebbe tornare in quella città per vivere la vita che la malattia le ha rubato, non per vederla un'ultima volta prima di morirle. Mostrarle il luogo in cui non potrà mai trascorrere la vita che aveva progettato non sarebbe una gentilezza, ma una crudeltà.

Se voleva aiutarla doveva pensare ad un altro modo per farlo. Lei aveva detto che in sua presenza si sentiva davvero felice, eppure questo non le aveva impedito di ripensare alle sue sfortune. Realizzò che il gesto più bello che poteva fare per lei era aiutarla a distrarsi e a divertirsi. Doveva impedirle di continuare a tormentarsi, almeno per tutta la durata del sogno.

 

Verso mezzogiorno, Michele suonò alla porta della casa in cui aveva trascorso l'infanzia. Sua madre e suo padre lo accolsero con calore e lo invitarono ad accomodarsi. All'interno della casa ebbe la sensazione di essere tornato indietro nel tempo; tutto era come se lo ricordava e ogni stanza era colma di ricordi felici. Il pranzo fu molto allegro e ricco di chiacchiere. Michele raccontò ogni aneddoto divertente che aveva vissuto nell'ultimo periodo e lo stesso fecero i suoi genitori. Quell'atmosfera rilassata lo fece sentire in pace col mondo e di colpo la sua esistenza sembrò meno grigia. Per tutta la durata del pranzo non ripensò mai a Viola e al sogno.

Dopo aver mangiato il dolce, Michele si alzò da tavola per andare in bagno. Mentre attraversava il corridoio, la sua attenzione venne catturata da un quadro appeso alla parete. Su una tela di grandi dimensioni, l'artista aveva raffigurato un paesaggio bucolico usando solo colori accesi.

«Non è possibile...», mormorò incredulo. Lui aveva già visto quel quadro e non riusciva proprio a capire per quale motivo si trovasse lì.

Non posso sbagliarmi, è proprio il quadro che stava dipingendo lei! Che diavolo sta succedendo?!

Tornò di corsa in cucina e rimase in piedi a fissare i suoi genitori senza dire nulla. Ora che si trovava di fronte a loro non sapeva proprio da che parte iniziare.

«C'è qualcosa che non va?», chiese sua madre.

«Q-Quel quadro...».

Suo padre, Guglielmo, aggrottò le folte sopracciglia.

«Di quale quadro stai parlando?»

Michele si concesse alcuni secondi per calmarsi. Indicò poi il corridoio che conduceva al bagno e disse: «Sono certo di aver già visto il quadro che raffigura la collina da qualche parte».

Laura sorrise. «Non credevo che la tua memoria fosse così buona! In effetti quel quadro era appeso nel salotto della nostra vecchia casa».

Della vecchia casa, il ragazzo si ricordava ben poco. Si erano trasferiti quando lui aveva solo quattro anni e nella sua memoria esisteva solo qualche immagine confusa di quel posto, nessuna delle quali aveva a che fare col quadro.

«Tua madre lo ha ritrovato in soffitta qualche giorno fa e ha deciso di appenderlo in corridoio», spiegò Guglielmo con la sua voce profonda.

«Capisco. Per caso sapete chi lo ha dipinto?»

Il volto di entrambi i genitori si rabbuiò. All'improvviso sembravano a disagio.

«Sì, lo sappiamo», ammise Laura, rompendo il pesante silenzio.

«Per favore, ditemi di chi si tratta. Io ho bisogno di saperlo».

Si rese conto che quella richiesta doveva suonare strana alle loro orecchie. Eppure anche il loro atteggiamento era quantomeno bizzarro. Perché quell'argomento li metteva così a disagio?

«È stata Giulia a dipingerlo. Lo abbiamo ricevuto alcuni mesi dopo la tua nascita».

«Giulia? Intendi forse...?»

Michele non riuscì a terminare la domanda. Il peso di quella rivelazione lo aveva travolto come un'onda anomala ed ora stava naufragando nel mare dei suoi pensieri. Nella sua mente ogni singolo tassello stava andando al suo posto e un mosaico complesso ed affascinante stava prendendo forma.

Quando Laura annuì, ogni suo dubbio si trasformò in certezza e l'intensa luce della verità lo abbagliò.

 

Seduto a gambe incrociate sull'erba della collina, Michele attendeva l'arrivo di Viola con il cuore in gola. La paura di aver scoperto la verità troppo tardi attanagliava le sue viscere in una morsa di ferro. Temeva che la vita della donna fosse già giunta al termine e che quell'attesa fosse inutile. A dargli coraggio ci pensava la parte di lui convinta che la sua capacità di arrivare sulla collina fosse collegata alla vita di Viola. Finché riesco ad arrivare qui significa che lei è viva. Sì, deve essere per forza così. Per forza!

Si aggrappò a quella convinzione con tutte le sue forze, certo che se l'avesse lasciata andare l'oscurità sarebbe tornata a prenderlo. Dopo quella che gli sembrò un'eternità, Viola arrivò. Era più pallida che mai e la sua vitalità era ridotta ad un debole sorriso.

«Sei tornato a trovarmi...», disse con voce flebile. Vederla in quelle condizioni era doloroso, tuttavia Michele fece del suo meglio per mostrarsi forte e allegro. Si alzò da terra con un sorriso stampato sul volto, si avvicinò a lei e la abbracciò.

«Sono tornato per raccontarti una storia», le sussurrò all'orecchio.

«È una bella storia?»

«La migliore».

Entrambi si sedettero a gambe incrociate sull'erba.

«È la storia di una donna di nome Giulia».

Michele fissò Viola negli occhi e, come aveva previsto, vi lesse un grande stupore. Fece finta di nulla e riprese a raccontare.

«Giulia era una giovane pittrice di grande talento. I suoi quadri erano molto apprezzati e le permettevano di guadagnare abbastanza per condurre una vita più che dignitosa. Condivideva la passione per l'arte col suo fidanzato Davide. Insieme erano molto felici e non desideravano altro che sposarsi e dare vita ad una famiglia. Quando Giulia scoprì di essere incinta, entrambi furono al settimo cielo e diedero una festa per celebrare l'evento con i loro amici. Purtroppo, la loro felicità non durò a lungo. Alcune settimane dopo, Davide perse la vita in un terribile incidente stradale. Quando Giulia apprese la tragica notizia, lo shock fu tale da farle perdere i sensi. Si risvegliò in un ospedale, dove i medici la sottoposero a vari esami. Fu proprio lì che ricevette un'altra notizia orribile: la malattia con cui conviveva da qualche anno era peggiorata e le sue speranze di guarigione erano scarse. Inoltre, anche la vita del bambino che portava in grembo era in pericolo. I medici le consigliarono di trasferirsi in un luogo in cui l'aria era più pura, in modo da incrementare le speranze di guarigione. Lei seguì il loro consiglio e andò a vivere in una piccola città in collina. I medici dell'ospedale locale la aiutarono ad affrontare la gravidanza nel migliore dei modi e fu anche merito loro se riuscì a dare alla luce un bambino sano e forte».

Sentì un nodo alla gola e si concesse una breve pausa. Guardò di nuovo gli occhi di Viola e vide che ora erano colmi di lacrime. Sentì anche i suoi occhi inumidirsi, ma cercò di resistere. Non era ancora arrivato il momento di piangere.

«Vorrei tanto poter concludere la storia col classico "e vissero per sempre felici e contenti", ma non farei altro che distorcere la realtà. Anche se il parto era andato nel migliore dei modi, la malattia di Giulia era comunque peggiorata e le sue aspettative di vita erano di pochi mesi. Avrebbe voluto trascorrere gli ultimi mesi di vita con suo figlio, ma si sentiva sempre più debole e priva di forze. In quelle condizioni non poteva prendersi cura del piccolo come avrebbe voluto. A malincuore decise di affidare il bambino ad una coppia di amici fidati che sapeva si sarebbero presi cura di lui. Giulia iniziò quindi a trascorrere le sue giornate solitarie dipingendo i magnifici paesaggi della collina. Rifugiarsi nell'arte era l'unico modo che conosceva per affrontare quelle giornate piene di dolore. Al pomeriggio riusciva in qualche modo a tenere occupata la mente, ma di notte i suoi demoni tornavano sempre a tormentarla. Eppure una notte accadde qualcosa di diverso. Una notte lei chiuse gli occhi e si ritrovò nel sogno più realistico di tutta la sua vita, durante il quale incontrò un ragazzo molto simile a Davide. Quando scoprì il suo nome, capì che si trattava di suo figlio. Il nome del ragazzo era Michele».

Viola non riuscì più a trattenere le lacrime. Afferrò le mani di Michele e le strinse nelle sue.

«Viola è un bel nome, ma non è il tuo. Il tuo nome è Giulia e....Sei mia mamma».

«N-Non credevo che ti avrei mai sentito chiamarmi "mamma". È meraviglioso. È tutto meraviglioso».

«Perché non me lo hai detto subito?»

«Non volevo che il nostro primo incontro fosse triste. Non è stato facile fare finta di nulla quando ho scoperto la tua identità, ma ho cercato di essere il più allegra possibile e di mostrarti il lato migliore della mia personalità. Ho fatto del mio meglio per trasmetterti tutto il mio amore per la vita e per la libertà, anche se temo di aver rovinato tutto mostrandomi debole durante il secondo sogno».

«Non hai rovinato nulla, credimi. Il ricordo che avrò di te sarà sempre positivo. Non potrei mai pensare male di una donna straordinaria come te».

Giulia sorrise. «Non so chi abbia esaudito il mio desiderio di incontrarti, ma non potrò mai ringraziarlo abbastanza. Sapere che crescendo diventerai un ragazzo sensibile ed intelligente mi permette di lasciare questa vita con un rimpianto in meno. Assomigli così tanto a Davide...Se potesse vederti sarebbe orgoglioso di te».

«M-Mamma...».

Sentendola pronunciare quelle parole, Michele non riuscì più a trattenere le lacrime. Anche poche ora prima, quando Laura e Guglielmo gli avevano raccontato la triste storia di Giulia, aveva pianto a lungo.

«Non volevo separarmi da te quando pensavo che il tuo nome fosse Viola e ora che so qual è la verità quel desiderio è ancora più forte. Vorrei poterti incontrare in sogno ogni notte».

«Anch'io. Ma purtroppo sento che questa sarà la mia ultima notte».

«...No. Non è possibile...»

Giulia lo abbracciò di nuovo. «Ho un ultimo desiderio egoista: restami vicino fino alla fine e cerca di essere forte. Non lasciarmi da sola proprio ora».

«N-Non lo farò».

«Grazie. Sei quanto di più bello potessi desiderare. Se sono con te, non c'è nulla che non possa affrontare con serenità. Neanche la morte».

Il silenzio calò sulla collina. Madre e figlio restarono abbracciati senza dire nulla per un tempo indicibile. Il suono dei loro cuori era tutto ciò di cui le loro orecchie avevano bisogno. C'erano molte cose che avrebbero potuto chiedersi a vicenda, eppure non sentivano il bisogno di farlo. Tutte le cose importanti erano già state dette. Quando Giulia aprì bocca e pose fine al silenzio, Michele capì che era giunta la fine.

«Sento che è arrivato il momento».

Trattenendo a stento le lacrime, il ragazzo annuì. La sua promessa di essere forte rischiava di infrangersi da un momento all'altro. Giulia si alzò e Michele la imitò.

«Grazie per aver reso queste ultime notti così speciali. Ti voglio bene, Michele, e te ne vorrò sempre».

«A-Anch'io ti voglio bene, mamma. Non ti dimenticherò mai».

«Lo credo bene. Una persona come me non si incontra certo tutti i giorni».

Sul volto di Giulia apparve il sorriso gentile che Michele aveva imparato ad amare. Vedendolo, anche lui riuscì a sorridere con sincerità. Giulia si voltò ed iniziò a camminare verso nord. Michele la osservò senza fare nulla. In cuor suo, sentiva che in quel momento non doveva seguirla. La vide mettere un piede dopo l'altro fino a quando, senza alcun preavviso, il suo corpo si dileguò nel nulla. Solo allora, Michele permise alla tristezza di impossessarsi di lui. Si lasciò cadere sull'erba e urlò a pieni polmoni tutta la sua sofferenza. Strappò con rabbia diverse manciate di ciuffi d'erba e concesse a tutte le sue lacrime di irrorare il terreno. Quando sentì di essersi sfogato abbastanza, si rimise in piedi e con occhi arrosati dal pianto osservò il magnifico paesaggio che lo circondava.

«Ora capisco appieno il discorso della gabbia dorata. Senza di te, questa collina non ha nulla di speciale».

Nauseato da quel che vide, decise di chiudere gli occhi. Quando li riaprì si ritrovò nel suo letto.

 

Nei giorni successivi, Michele non sognò più la collina. Più il tempo passava e più il dolore per la perdita di sua madre si attenuava, permettendo ad altri sentimenti di emergere. Solo dopo diverse settimane riuscì a comprendere appieno quanto fosse stato meraviglioso poter condividere quei tre sogni con Giulia. Non solo aveva avuto la fortuna di incontrare la sua madre biologica, ma era anche riuscito a trascorrere dei momenti splendidi assieme a lei.

Presto o tardi la tristezza passerà, ma i ricordi positivi resteranno per sempre nel mio cuore.

Giulia era riuscita a trasmettergli una buona dose del suo amore per la vita ed ora le sue giornate sembravano meno grigie. Riusciva a godersi sempre di più le piccole cose che aveva sempre dato per scontate e gli sembrava di vedere il mondo con occhi diversi.

Una mattina, si svegliò di buon ora per andare a correre. Sentendo l'aria frizzante del mattino accarezzargli il viso si sentì più vivo che mai e una domanda bizzarra affiorò nella sua mente. Che nome potrei usare oggi?

 

  
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