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Autore: Kary91    03/11/2015    5 recensioni
[Katniss!centric | Katniss/Gale | Pre & Post Saga]
“Secondo te è vero che due parallele s’incontrano all’infinito?” chiedo, indossando la mia faretra. Mi aspetto una frecciatina o per lo meno una risata, ma lui si limita a guardarmi per un po’.
Infine, si stringe nelle spalle.
“Possiamo scoprirlo” commenta poi, rubandomi una freccia.
Incocchiamo gli archi in sincrono, senza aver bisogno di guardarci o di scambiarci ulteriori spiegazioni: ecco la prova di quello che pensavo prima, guardando le nostre impronte. Non c’è mai bisogno di troppe parole, tra di noi. Ci capiamo in fretta perché pensiamo all’unisono, grazie a quanto abbiamo imparato a conoscere l’uno dell’altra.
Gale ed io; le nostre famiglie. Siamo due linee equi-distanti che mantengono sempre la medesima traiettoria.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bimba Mellark, Bimbo Mellark, Famiglia Hawthorne, Gale Hawthorne, Katniss Everdeen
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'I don't love you (but I always will); '
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«Due rette si dicono parallele quando stanno in uno stesso piano e non s'incontrano.»

Enciclopedia Treccani.

 

Parallel (Air) Lines

Senza titolo 3

 

 

Mi sono sempre chiesta come mai a noi del Giacimento vengano insegnate materie come la Geometria.

 

Non che i professori ci si dedichino più di tanto – un paio di settimane a cavallo fra la quarta e la quinta elementare – ma è una scelta piuttosto insolita, considerando che in matematica e lettura ci danno appena un’infarinatura generale. Il resto dell’orario scolastico è completamente dedicato a tutto ciò che ha a che fare col carbone, tolta l’oretta di storia settimanale.

 

Eppure, la geometria c’è sempre stata. Ricordo che a Prim piaceva molto, e che le è dispiaciuto concluderla per tornare a dedicarsi alla matematica tradizionale.

Adesso è Vick, il fratellino decenne di Gale, ad essere alle prese con forme geometriche e tipi di rette.

 

“Shhhh! Stiamo studiando!” mi accoglie la piccola Posy, non appena busso alla porta di casa Hawthorne.

 

 In effetti, trovo i tre fratelli raggruppati attorno al tavolo della cucina, quaderni e matite alla mano.

A capotavola Rory si passa la gomma di mano in mano, improvvisandosi giocoliere: il suo libro di lettura è finito tra le mani di Posy, e lo piccola lo sta sfogliando incuriosita.

 

Gale sta spiegando qualcosa a Vick, che – è evidente – sta facendo del suo meglio per ascoltarlo, ma continua a distrarsi: per lisciare le pieghe del suo quaderno, inseguire una scanalatura insolita nel legno del tavolo, controllare le acrobazie della gomma di Rory.

Mi viene da ridere, nel vedere Gale così impegnato ad aiutare suo fratello: di solito non è molto paziente quando si tratta di studiare o di seguire i più piccoli con i compiti. Fa fatica a restare chiuso in casa troppo a lungo, perfino nelle giornate fredde come questa: è strano che non sia ancora sgattaiolato nei boschi.

 

Quando mi vede scuote appena la testa e si passa annoiato una mano sulla nuca.

 

“Rette parallele” spiega, indicando Vick con il mento. “Non è difficile, ma sono a corto di esempi e questo testone non mi ascolta.”

 

“Non guardare me, non mi ricordo più niente di geometria…” metto le mani avanti, sedendomi di fronte a loro.

Posy mi salta automaticamente in braccio, trascinando con sé il libro di lettura di Rory: è vecchissimo e puzza di polvere – probabilmente apparteneva a uno dei suoi genitori – ma nessuno al Giacimento bada a queste cose; i libri di testo sono l’ultimo dei nostri problemi.

 

“Da’ qua, ci penso io a risolvere tutto!” commenta tronfio Rory, facendosi passare il quaderno di geometria; aggrotta le sopracciglia, cercando di interpretare la grafia minuta e stretta di Vick.

 

“Due rette vengono dette parallele quando conservano sempre la stessa distanza e non si incontrano mai” legge con fare pomposo, fingendosi l’insegnante di matematica della nostra scuola.

 

“Beh, ma questa è facile da spiegare! Basta pensare a due pedine degli scacchi che vanno sempre dritte, no? Tipo due pedoni.”

 

“E ti pareva che il Re Rosso non ci metteva in mezzo gli scacchi…” commenta Gale[1].

 

“Vabbè, basta che Vick abbia capito, no? Oh, Vick!” esclama Rory, sventolando una mano di fronte agli occhi del fratello minore. “Stiamo parlando con te!”

 

Vick si riscuote dal suo sogno ad occhi aperti: non ha ascoltato una parola di quello che hanno detto gli altri due.

 

Mi guarda confuso e la sua aria smarrita mi fa tenerezza: è incredibile quanto lui e Prim si assomiglino. Hanno lo stesso candore ancora infantile e una gentilezza unica.

 

“Fatemi vedere questo quaderno” mi arrendo anch’io, cercando di ignorare la vocetta di Posy, che continua a chiedermi cosa ci sia scritto nel libro che sta guardando.

 

Osservo la definizione sulle rette parallele; immagino due righe nere che corrono l’una di fianco all’altra, senza mai toccarsi; vicine, ma non fino al punto di unirsi.

Il mio sguardo incrocia quello di Gale e, nel guardarlo, la soluzione al nostro interrogativo si srotola di fronte ai miei occhi.

 

“Immagina due frecce” azzardo, facendomi passare la matita da Gale. “Due frecce che vengono scoccate da persone molto simili, con la stessa forza. Le rette parallele sono come due frecce che vengono lanciate nella stessa direzione e che non si incrociano mai.”

 

Vick insegue con il dito le traiettoria del mio disegno, ci pensa un po’ su e infine sorride.

 

“Stanno sempre una vicina all’altra, ma non si toccano. Viaggiano assieme e basta. In un certo senso si guardano le spalle” conclude, traducendo le mie parole nel linguaggio fervido della sua immaginazione. Sorrido anch’io; è un peccato che Vick si distragga così spesso: è davvero un ragazzino intelligente.

 

“Però qui c’è scritto che qualcuno pensa che le rette parallele si incontrino all’infinito…” interviene Rory, rubandomi il quaderno. “… Ahi ahi, a chi dobbiamo credere adesso?”

 

“Che cos’è l’infinito?” domanda Posy, spuntando fuori da dietro il libro di lettura.

 

“Lasciamo perdere…” conclude Gale, chiudendo il quaderno. “… Quello che Vick ha imparato basta e avanza. Tanto sono cose che non gli serviranno mai.”

 

Arruffa i capelli del terzogenito di casa e si allunga per prendere la bisaccia dall’attaccapanni.

 

“Noi andiamo a caccia!” annuncia, raggiungendomi.

 

“Vengo anch’io!” dice subito Rory, balzando in piedi.

 

Il fratello gli mette una mano sulla fronte e lo spinge indietro.

 

“Scordatelo, devi fare i compiti.”

Rory lo fulmina con lo sguardo.

 

“Come no…” borbotta, squadrando male anche me. “… Tutte scuse, vuoi solo stare da solo con lei per sbaciucchiartela per bene.”

 

Una corrente di calore mi percorre il petto e poi le guance. Sono talmente sorpresa che non apro bocca, ma Gale reagisce diversamente: afferra il fratello per la collottola e gli molla uno scappellotto sulla nuca.

Rory incassa la testa dentro le spalle, ma non ribatte: si libera dalla presa, cercando di nascondere un sorrisetto malizioso, mentre Vick, imbarazzato, seppellisce il naso nei compiti.

“E scherzavo, dai!” ride il mezzano dei tre fratelli, mentre Gale raggiunge la porta, in apparenza per nulla imbarazzato: Rory fa questo genere di battutine talmente spesso che ormai non ci fa quasi più caso.

Io lo seguo in silenzio, le guance ancora accalorate. Per quanto mi sforzi, non riesco a mostrarmi noncurante come Gale. Forse perché mi imbarazza il pensiero che altre persone possano pensarla alla stessa maniera di Rory. Detesto l’idea che la gente ci immagini intenti a pomiciare da qualche parte, perché è qualcosa che non corrisponde al vero. Io e lui siamo migliori amici, compagni di caccia e forse anche qualcosa di più, ma non nel modo in cui pensano gli estranei.

Una piccola parte di me, tuttavia, non può che essere contenta di questa convinzione generale che vede noi due già parte di un futuro congiunto: sento come le ragazze parlano di Gale ed io non voglio perdere il mio compagno di caccia. Forse è proprio questo pensiero a farmi arrossire quando Rory ci prende in giro.

Ci allontaniamo dai vicoli pieni di fanghiglia del Giacimento e tagliamo per il Prato: qui la neve è ancora candida e poco sfatta.

“Che intenzioni hai?” mi chiede Gale, quando si accorge che sto camminando all’indietro. Mi limito a scollare le spalle, le mani ben piantate nelle tasche del giubbotto da caccia di papà. Non glielo dico, ma sto pensando che il concetto delle linee parallele funziona, basta guardare le nostre impronte nella neve. Sono due file ravvicinate, l’una di fianco all’altra, che non s’ intralciano mai.

 “Allora?”

Il mio silenzio incomincia a indispettire Gale, che si è chinato per compattare un po’ di neve; prevedo una battaglia, ma non ne ho voglia, così mi affretto a rotolare sotto la recinzione di filo spinato.

“Prendi l’arco” mi convinco a parlare infine, quando arriviamo al punto in cui teniamo nascoste le armi per cacciare.

Gale appoggia la schiena contro un tronco e incrocia le braccia, guardandomi fisso.

“Perché?”

“Secondo te è vero che due parallele s’incontrano all’infinito?” chiedo, indossando la mia faretra. Mi aspetto una frecciatina o per lo meno una risata, ma lui si limita a guardarmi per un po’.

Infine, si stringe nelle spalle.

“Possiamo scoprirlo” commenta poi, rubandomi una freccia.

Incocchiamo gli archi in sincrono, senza aver bisogno di guardarci o di scambiarci ulteriori spiegazioni: ecco la prova di quello che pensavo prima, guardando le nostre impronte. Non c’è mai bisogno di troppe parole, tra di noi. Ci capiamo in fretta perché pensiamo all’unisono, grazie a quanto abbiamo imparato a conoscere l’uno dell’altra.

Gale ed io; le nostre famiglie. Siamo due linee equidistanti che mantengono sempre la medesima traiettoria.

Tendiamo il filo dell’arco e miriamo poco più in alto del nostro naso. Infine, a un mio cenno, scocchiamo assieme.

Le due frecce viaggiano in un parallelo perfetto per poi svanire alla nostra vista, ingurgitate dalle chiome degli alberi: non le sentiamo cadere.

“Dunque?” esclama dopo qualche istante Gale, le braccia incrociate sul petto. “Qual è il tuo verdetto?”

Mi stringo nelle spalle come fa sempre lui.

“Non ce l’ho: bisognerebbe chiedere alle frecce.”

“Beh, se vuoi la risposta te la do io” risponde, riponendo il suo arco. “Non esiste nulla di infinito; quindi le due parallele, linee o frecce che siano, non si incontreranno mai.”

L’aria cinica con cui mi ha risposto mi irrita, anche se non so spiegare il perché.

“Lo spazio è infinito” ribatto, guardando in alto; il cielo è a malapena visibile attraverso le fronde degli alberi. “Se le frecce fossero in grado di viaggiare così in fretta da raggiungerlo, forse si toccherebbero.”

Gale ha quel mezzo sorriso canzonatorio che esibisce sempre quando mi prende in giro. La tentazione di spintonarlo è forte, ma mi freno solo per paura di danneggiare i fili delle trappole che tiene in mano.

“Chi lo sa, magari se le due frecce ci credono veramente tanto…” scherza lui, maneggiando con sicurezza il meccanismo che sta costruendo. “Ti hanno mai raccontato la storia del calabrone che non sa di essere troppo pesante per volare[2]?”

Roteo gli occhi: quel vecchio detto è una sorta di mantra in casa Hawthorne. Probabilmente, ormai, l’avrà imparato a memoria perfino Posy.

“Ovvio che sì. Ma siccome il calabrone non lo sa, lui vola lo stesso.”

Gale mi sorride, questa volta senza quel fare beffardo che mi infastidisce così tanto.

“Forse se due rette parallele non sanno di essere destinate a non incontrarsi mai, prima o poi si incrociano.”

La sua risposta positiva mi sorprende: è strano sentirlo concordare con me. Di solito è inutile cercare di fargli cambiare idea quando pensa in maniera diversa dagli altri.

 

“Beh, allora spero che nessuno glielo dica” commento scherzando - ma nemmeno troppo.

Gale finisce di sistemare la sua trappola, lo sguardo stranamente distante.

“Mi dispiace per prima” commenta poi all’improvviso. “Con Rory” specifica, riponendo i fili di metallo nella sacca da caccia.

Colta di sorpresa dal modo improvviso con cui ha tirato fuori l’argomento, mi limito ad annuire. Sento ancora una volta le guance in fiamme, anche se non dovrebbe essere così, vista l’amicizia che lega me e Gale.

Incrocio comunque il suo sguardo e, per la prima volta da quando lo conosco, avverto qualcosa di strano nel nostro silenzio. Una morsa insolita preme sul mio stomaco, mentre cerco di decifrare la sua espressione. Ho paura che stia per fare qualcosa di completamente imprevisto, qualcosa che potrebbe portare le nostre rette a congiungersi.

Solo, non riesco a capire se voglio che accada oppure no.

La mia tensione scompare nel momento in cui Gale si alza in piedi per raccogliere la bisaccia.

“L’ultimo che arriva alla roccia va a controllare le trappole” annuncia con un sorriso sfrontato, senza darmi il tempo di reagire.

“Ehi!”

Balzo in piedi per rincorrerlo, scocciata dalla sua slealtà. Da un lato, tuttavia, non posso fare a meno di sentirmi sollevata. Questa è una situazione che conosco bene: la tensione e il calore nelle guance iniziano a svanire.

“Sei lenta, Catnip!” mi beffeggia lui, mettendosi a correre all’indietro. “Perfino Lady correrebbe più in fretta di te: andando a due zampe. Con Ranuncolo in groppa.”

Rispondo alle sue frecciatine con un gestaccio che non ha bisogno di parole, ma finisco solo per farlo ridere ancora di più. Per mia fortuna, tuttavia, guadagno terreno abbastanza in fretta: sono quasi veloce quanto lui.

Lo vedo rallentare per azzerare il vantaggio che si era preso e impreca a denti stretti quando lo strattono per la giacca, facendolo inciampare.

Ormai siamo praticamente fianco a fianco; ridiamo e ci spintoniamo, spaventando la selvaggina: non c’importa. Il bottino di caccia sarà generoso oggi, me lo sento.

Verso la fine del tratto di bosco che porta alla roccia Gale mi supera, ma non mi taglia la strada. Continua a correre in parallelo a me, solo poco più avanti.

Quando finalmente, con uno scatto, riesco a raggiungerlo, non posso fare a meno di ripensare alle nostre frecce.

Siamo due immagini speculari, due linee che sanno viaggiare assieme senza sentire per forza il bisogno di incontrarsi, di intrecciarsi l’una all’altra.

Proprio come due rette parallele: e a me sta bene così.

 

 

QUATTORDICI ANNI DOPO.

«Siamo indivisibili, Siamo uguali e fragili

E siamo già così lontani

Gocce di Memoria. Giorgia

 

Le chiamano ‘Frecce’.

 

Ho letto che questo, in passato, era il nome della Pattuglia Acrobatica di un’altra nazione[3]. La Panem di una volta aveva due formazioni aeree con nomi diversi, ma adesso, a quasi quattordici anni di distanza dalla Rivolta, è stato deciso che ‘Freccia’ sia la parola perfetta per chiamare i nostri aerei acrobatici.

Ogni anno, in occasione dell’Anniversario della liberazione dei Tredici Distretti, viene trasmessa in televisione la parata delle forze armate. È un evento che i miei figli – Haley di sei anni e Rowan di tre – attendono sempre con entusiasmo, perché adorano lo spettacolo acrobatico della pattuglia aerea del Distretto 2. Una decina di aerei, pilotati dai più abili esperti di volo acrobatico, si destreggia in picchiate e figure ad effetto, disegnando con le loro scie rosse e nere la storia della Rivolta.

Ogni anno seguo la parata assieme a Peeta e ai bambini anche se non è facile. Anche se a volte fa male ricordare che lui è lì, a tuffarsi nel vuoto con la sua Freccia, ribellandosi alla forza gravità come quel calabrone testardo di cui mi parlava sempre da ragazzo[4].

Lui è lì e seguire le sue acrobazie in diretta mi aiuta a sentire quel filo che ci legava in passato e che è ancora presente, anche se si sta allentando. Anche se la distanza che ci separa è talmente ampia da farmene dimenticare.

Cerco di non pensarci e ogni tanto ci riesco grazie a Haley e Rowan, che si scatenano ogni volta che ha inizio lo spettacolo dei piloti.

Lo stanno facendo anche adesso, gli occhi sgranati incollati al televisore.

“Guarda, mamma, guarda come vola veloce!” commenta mia figlia, piazzandosi di fronte allo schermo. Rowan le gattona davanti per cercare di vedere meglio, ma dopo qualche tentativo ci rinuncia e si alza in piedi. Con andatura goffa si mette a correre per la stanza a braccia aperte, tentando di imitare un aereo.

“Fshhhhhh!” esclama, ‘planando’ attorno al tavolo.

“Io, quando sono grande, voglio sposare un guidatore degli aerei” comunica decisa a quel punto Haley, mettendosi a saltellare. “Così poi mi porta sempre a vedere le stelle e le nuvole e me le regala tutte.”

Rowan le rivolge un’occhiata meravigliata.

“E me le regala anche a me!” decide poi, sollevando le braccia.

Haley si mette le mani sui fianchi e lo scruta impensierita.

“Solo se ti sposi anche tu una guidatora degli aerei” conclude, prima di tornare a saltellare su un piede. Rowan rimane a fissarla confuso per un po’, ma in breve tempo è tornato a gironzolare per la stanza.

Quando le prime scie incominciano a rigare il cielo del Distretto 2, tuttavia, smette di giocare per fissare assorto il televisore. Due linee rosso incandescente spezzano le nuvole a metà, pennellate da un paio di Aerei: uno dei due veicoli ha il numero quattro stampato su un fianco e sono sicura di conoscere l’identità del suo conducente[5]. So che Gale è seduto al suo interno, immerso nella libertà totale che cercava fin da ragazzino e che solo un gigante come il cielo può riuscire a dargli.

Rincorro con lo sguardo le due ‘Frecce” che viaggiano in sincrono, alla stessa distanza l’una dall’altra. Dietro di loro le due scie rosse proseguono, simili a vampe di fuoco: proprio come due frecce lanciate alla stessa velocità. Proprio come due rette parallele.

Qualcosa dentro di me s’incrina.

Il dolore e la rabbia mi strisciano dentro mentre i miei figli esultano e battono le mani.

Gli occhi mi bruciano di rabbia, perché non riesco a festeggiare con loro.

Tutto a un tratto, l’inquadratura sui due aerei s’interrompe.

L’immagine delle due scie parallele scompare prima che riesca a vedere dove stiano andando, ma non ha importanza.

Conosco già il destino di quelle due rette: non si toccheranno mai.

 

Un Anno Dopo.

«Due linee parallele s'incontrano all'infinito - e ci credono.»

Stanislaw Jerzy Lec

 

Giocano nel Prato.

La bimba con i capelli neri e gli occhi azzurri ha appena sfidato il nuovo amico a una gara di corsa.

Il maschietto con i capelli altrettanto scuri e gli occhi grigi la insegue ridendo ed è ormai sul punto di raggiungerla.

Ci sono voluti cinque, dieci, quindici anni per ritrovare quell’equilibrio che avevo perso da ragazza, in seguito agli scossoni della guerra.

Alla fine i libri di geometria avevano ragione: nonostante in alcuni casi sembrino distanti, le rette parallele sono destinate a correre sullo stesso piano, anche se probabilmente non si toccheranno mai.

La prima volta che ho incontrato Gale dopo quasi quindici anni sono stata letteralmente divorata da un terrore che pareva antico quanto la vita stessa. Solo la gioia di ritrovare il mio vecchio compagno di caccia, nascosto sotto il suo nuovo aspetto da straniero, è riuscita a domarlo.

Riconoscere l’intesa forte che sta nascendo fra i nostri figli – Haley di sette anni e Joel, di otto,– è stato più facile. Non molto, però.[6]

“Primo!” esclama Joel, lasciandosi cadere nell’erba.

Haley perde l’equilibrio e gli rovina addosso, emettendo un suono a metà fra un lamento e una risata.

“Primo di pochissimo!” precisa, agitando le dita sul collo di Joel, per fargli il solletico.

Il bambino ride, cercando di divincolarsi.

“E va bene, rifacciamo!” cede, alzandosi in piedi. Piega il ginocchio, pronto a scattare, e l’amica è subito al suo fianco, nella medesima posizione.

“Pronta, Halley?” chiede, adottando quel nomignolo speciale che appartiene solo a loro, e che fa sempre brillare gli occhi di mia figlia.

“Sono nata pronta!” ribatte lei, mostrandogli il pollice. “Anzi, prontissima!”

Ridono entrambi, prima di riprendere a correre.

Li osservo impensierita, un velo di malinconia negli occhi.

Le domande stanno appena iniziando.

Ce n’è una, tuttavia, a cui ho finalmente trovato risposta.

Gli Hunger Games, la Rivolta e quel fuoco di rabbia che ha sempre permeato l’animo di Gale ci hanno resi consapevoli del nostro destino. Sin da quando il nome di Prim è stato estratto alla sua prima Mietitura, abbiamo capito che le nostre rette parallele non avrebbero mai potuto intersecarsi.

E abbiamo smesso di crederci.

I nostri figli, però, non sanno nulla del futuro. Si limitano a correre l’uno di fianco all’altra, come le frecce che Gale ed io scagliammo quindici anni fa per provare che l’infinito esisteva.

Sono rette speculari, proprio come noi; si sostengono a vicenda e si capiscono con pochi sguardi, senza aver bisogno di parlare, né di cercarsi per percepire la presenza dell’altro.

Ma a differenza mia e di Gale, quei due ragazzini un giorno riusciranno a toccarsi: perché loro ci credono.

 

Seguo i bambini giocare ancora per qualche minuto, sorridendo quando capitombolano a terra per l’ennesima volta.

Un movimento alle mie spalle cattura la mia attenzione e non ho bisogno di voltarmi per capire chi sia appena arrivato, né a cosa stia pensando. I nostri fili funzionano ancora bene, nonostante con il tempo si siano allentati.

Le mie mani e quelle di Gale temporeggiano poco distanti, ma non si sfiorano: il tempo in cui avrebbero potuto farlo si è concluso ormai da anni.

Ascolto le risate dei nostri figli che continuano a corrersi incontro, a scontrarsi e a ridere, senza sapere che le rette parallele come loro non dovrebbero nemmeno sfiorarsi.

Eppure loro due alla fine si sono incontrati.

Mi scappa da sorridere, mentre mi volto verso di Gale.

Lui mi guarda perplesso come faceva da ragazzo, ma decido comunque di non renderlo partecipe dei miei pensieri: so che ci riderebbe sopra, adesso come un tempo.

Guardo di nuovo i nostri figli e mi ripeto quello che continuo a pensare sin da quando ho li ho visti assieme per la prima volta.

 

In fondo, alla fine, Gale ed io l’abbiamo trovato: l’infinito.

 

Note.

Questa storia era nata parecchi mesi fa per partecipare un contest sulla friendzone (*fa pat-pat sulla spalla a Gale), ma come tre quarti circa delle cose che inizio, non mi sono mai decisa a concluderla. Questa settimana, però, è saltata fuori una still Everthorne bellissima che mi ha fatto battere forte il cuoricino e mi è venuta voglia di provare a rimetterci sopra le mani. Nel contest bisognava inserire una o più citazioni della saga, ecco uno dei motivi per cui nell’ultima parte è presente quella ricostruzione dell’epilogo di Mockingjay.

L’idea mi è venuta principalmente perché sono secoli che sogno di far pasticciare qualcosa nel cielo da Gale sul suo aereo e rimuginando sulle scie bianche lasciate al passaggio di un aereo, mi sono venute in mente le rette parallele.

Per quanto riguarda le ultime due scene della storia, Rowan e Haley sono i nomi che ho scelto per i figli di Katniss e Peeta. Joel, invece, è un OC, il figlioletto che Gale ha avuto con una donna di nome Sapheen, conosciuta all’Accademia di Aeronautica Militare che ha frequentato nel D2 (lei era uno dei suoi superiori). Nel mio head-canon, quando Joel compie otto anni circa, Gale torna per la prima volta nel Distretto 12 per mantenere una promessa fatta a suo padre (e a Katniss) da ragazzo, e qui si riconcilia con Katniss. Decide infine di trasferirsi nuovamente assieme a Joel e a Johanna Mason (con cui ha una relazione) nel D12. Ma questa è un’altra storia. E niente, sto già soffrendo al pensiero di come mi si accartoccerà il cuoricino quando uscirà Mockingjay parte due. Mando un abbraccio virtuale a tutti i poveri sostenitori del nostro cacciatore/soldato preferito (e magari anche un abbraccio doppio alle fan del Fannie, che usciranno dal cinema provate come me!)

 

Laura

 

 



[1] Nelle mie storie, specialmente in Checkmate, Rory è un grandissimo appassionato di scacchi. La passione gli è stata trasmessa dal Babbo, Joel. Gli piacciono anche per via del suo nome, che significa letteralmente “Re Rosso”.

[2] "La struttura alare del calabrone, in relazione al suo peso, non è adatta al volo, ma lui non lo sa e vola lo stesso." (Albert Einstein)

[3] Ovviamente qui Katniss si riferisce alle mitiche Frecce Tricolore italiane. È davvero difficile che ne abbia sentito parlare, ma mi piaceva un sacco l’idea di chiamare anche gli aerei di Panem “Frecce”, visti i trascorsi!

[4] Nel mio head-canon, Gale si trasferisce nel Distretto 2 per frequentare un’Accademia di Aeronautica militare. Diventa prima pilota militare e, in seguito, pilota di linea.

[5] Nelle mie storie il 4 è il numero portafortuna della famiglia Hawthorne, una tradizione che i quattro hanno ereditato dal padre Joel. A conferma di questa tradizione c’è il fatto che gli Hawthorne abbiano avuto quattro figli, tutti da nomi con quattro lettere.

[6] Tutta questa parte è una rivisitazione dell’epilogo del “Canto della Rivolta”. La versione originale è la medesima: Giocano nel Prato. “La bimba con i capelli scuri e gli occhi azzurri sta ballando. Il maschietto con i riccioli biondi e gli occhi grigi si sforza di starle dietro sulle gambe paffute che muovono i primi passi. Mi ci sono voluti cinque, dieci, quindici anni per dire di sì. Ma Peeta li desiderava tanto. La prima volta che l’ho sentita muoversi dentro di me, sono stata letteralmente divorata da un terrore che pareva antico quanto la vita stessa. Solo la gioia di tenerla tra le braccia è riuscita a domarlo. Aspettare lui è stato un po’ più facile. Non molto, però. Le domande stanno appena iniziando.”

   
 
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