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Autore: Adebaran    04/11/2015    9 recensioni
Merlino è riuscito a salvare Freya dopo che Artù l'aveva colpita con la sua spada, spezzando anche la sua maledizione. Inoltre, hanno anche un figlio: William.
Purtroppo Merlino deve tenere la loro esistenza nascosta ad Artù, finché una notte Mordred segue Merlino di nascosto e scopre la sua famiglia segreta.
Da quel giorno in poi, gli avvenimenti cominceranno a precipitare...
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Direttamente dai capitoli: Uno, tre, quattro e sei
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«E così abbiamo più di un segreto, Emrys. Chi lo avrebbe mai detto.»
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«Sei in mio potere Emrys, non c'è nulla che tu possa fare»[...]«Ho intenzione di farti soffrire come mai in vita tua»
*
«Mi chiamo William e... e… sono il figlio di Merlino.»
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«Questo è la magia, per me. Non è diversa dell'aria che respiro o del sangue che mi scorre nelle vene. Io sono una parte della magia ed essa è parte di me. Non posso semplicemente “smettere di usarla”, capite?»
«No» rispose con indolenza Artù, scuotendo la testa con aria austera e impenetrabile. Il tono del re era freddo e affilato come la lama di un pugnale. «Mi dispiace, ma non riesco a comprenderlo.»
Genere: Angst, Avventura, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Freya, Merlino, Nuovo personaggio, Principe Artù, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Hola a tutti, bentrovati!
Lo so, lo so... sono sempre in ritardo con il capitolo. Stavolta ho una giustificazione nuova, oltre l'università. Ve la dirò però a fine testo! :P
Il capitolo doveva contenere una scena in più, ma poi avevo paura che diventasse troppo lungo e ho deciso di spezzarlo. Come al solito si ringrazia Relie per la revisione, tutti i miei recensori (vecchi e nuovi) e anche coloro che leggono in silenzio ^_^
Come sempre, recensioni e opinioni sono sempre bene accette! ^^
Comunque, bando alle ciance... let's go!


Dal capitolo precedente:

«Questo è la magia, per me. Non è diversa dell'aria che respiro o del sangue che mi scorre nelle vene. Io sono una parte della magia ed essa è parte di me.» rispose il bambino guardando Artù dritto negli occhi, mentre poggiava il palmo della mano destra sul suo piccolo petto. «Non posso semplicemente “smettere di usarla”, capite?»

«No» rispose con indolenza Artù, scuotendo la testa con aria austera e impenetrabile. Il tono del re era freddo e affilato come la lama di un pugnale. «Mi dispiace, ma non riesco a comprenderlo.»

~ § ~

«Deve essere colpa del nome.»

Il tono meditabondo di Artù ruppe il silenzio in cui era caduto il campo da circa mezz'ora. Leon e Percival erano intenti a pulire le stoviglie, giacché a Will fu chiaro che non avrebbero gradito un nuovo utilizzo di magia. Il bambino aveva preferito rimanere accanto al fuoco a giocherellare con i fili d'erba, in silenzio, guardato a vista da un protettivo Galvano.
Adesso, però, tutti gli occhi erano puntanti sulla figura del re seduto, di nuovo, contro il tronco di un albero. Artù annuì tra sé e sé, ripetendo la propria oscura tesi: «Deve essere colpa del nome.»

«Sire…?» chiese Leon con un espressione confusa e perplessa, la stessa che aleggiava sui visi degli altri presenti.

«Tu ti chiami Will, no?» domandò retoricamente Artù girando gli occhi sul bambino, ignorando per il momento la richiesta di chiarimenti del compagno d'armi.

«Mi… mi sembrava che lo sapeste già, no?» Rispose William, inarcando entrambe le sopracciglia in un'espressione rassegnata. Artù Pendragon si stava rivelando molto più lento di comprendonio di quanto avesse mai immaginato.

«Sì, appunto!» esclamò il biondo, annuendo con un movimento lento. Detto ciò, però, tornò ad ad osservare davanti a sé in completo silenzio. I cavalieri si scambiarono uno sguardo a metà tra il preoccupato e il timoroso, finché la voce del bambino non tornò a farsi sentire dall'altro lato del focolare.

«E allora?»

«E allora cosa?»

«Cosa c'entra il mio nome?»

«Oh… emh...» mugugno Artù scrollando le spalle come se fosse leggermente a disagio, tornando a inquadrare la figuretta del giovane mago. Lo osservò per qualche istante ancora, prima di gonfiare il petto prendendo un profondo respiro. «L'amico d'infanzia di Merlino si chiamava Will anche lui...»

«Sì, lo so» confermo serio il bambino, annuendo con la testolina mora. Nonostante ciò, però, non riusciva a capire dove il re volesse andare a parare. «Una volta mio padre mi ha detto che mi chiamo così in suo onore.»

«Ed era uno stregone, proprio come te» rivelò infine Artù con tono cupo e l'espressione greve. Non aveva idea di come quel ragionamento gli fosse passato nella mente, ma sembrava così ovvio e illuminante. Chiaramente doveva essere colpa di quel nome. Forse avrebbe dovuto vietarlo… giusto per la sicurezza dei futuri bambini del regno, ecco.

Si aspettava di osservare la sorpresa negli occhi dei suoi cavalieri, ma non in quella del diretto interessato. Will lo guardava con la classica espressione di chi è stato preso in contropiede; la confusione si agitava libera nei grandi occhi azzurri del bambino.

«Non... non lo sapevi?»

«No» mormorò William scuotendo la testa, prima di riportare gli occhi verso le pietre intorno al falò. Sembrava che stesse cercando di evitare in tutti i modi lo sguardo del monarca. Non era affatto abituato a mentire. «Non… non me lo hanno mai detto.»

Prima che Artù potesse aprire per chiedere ulteriori -e scomode- spiegazioni, Galvano fece un passo avanti verso il fuoco, accucciandosi poco distante dal bambino.

«A proposito di nomi, noi non ci siamo neanche presentati» commentò l'uomo con il solito ghigno, indicando con un cenno del capo i compagni d'armi poco distanti. «Comunque, io son-»

«Sir Galvano. Lo so» lo interruppe lesto il bambino, allargando a sua volta un sorriso aperto e amichevole. All'espressione perplessa del cavaliere si limitò a stringere le spalle esili. «Mio padre parla sempre molto di voi, di tutti voi» precisò Will, includendo con uno sguardo sia i tre cavalieri che il cupo re. «E' come se vi conoscessimo… un po'.»

«Davvero?» domandò con curiosità il cavaliere, inarcando entrambe le sopracciglia e alzando lo sguardo verso Percival e Leon. «E cosa racconta a te e a tua madre su di noi?»

«Vediamo… che passate un sacco di tempo in taverna e che tante volte vi deve saldare il conto» replicò con tranquillità il bambino, osservando con sguardo furbo come l'espressione del cavaliere si oscurò in una piccola espressione di delusione.

«Ah...»

«Però mi ha anche detto che siete uno dei migliori spadaccini dei cinque regni; che siete l'unico che riesce a tenere testa a re Artù durante un duello...» Il tono del bambino si fece più risoluto, svestendosi nuovamente della giovane età. Allargò le piccole labbra in un sorriso, imitando quelle di Galvano che a sua volta le stava stirando verso l'alto.

«Vero, Artù non ha vita facile con me.»

«Che siete forte, leale e che, anche se non sembra, siete sempre disposto a combattere per ciò che è giusto. Ah sì… e che siete uno dei sui più cari amici.» concluse agilmente il moretto, continuando a fissare il cavaliere dritto negli occhi scuri. Occhi che brillavano, riflettendo dentro di essi il chiarore del fuoco.
William girò lo sguardo fino ad incrociare la figura di Leon, al quale mostrò lo stesso sorriso affabile e innocente che aveva animato Galvano.

«Voi, invece, siete Sir Leon» decretò il moretto con naturalezza, ricevendo uno sbigottito cenno d'assenso dal riccioluto. «Mio padre dice che siete uno dei cavalieri più anziani e più fidati dei Pendragon; che siete molto coraggioso perché avete avuto la forza di opporvi a Morgana.» Leon rabbrividì istintivamente al nome della strega, mentre la memoria tornava ai giorni in cui la Pendragon aveva preso il potere. «E che… avete affrontato un sacco di pericoli mortali, ma riuscite sempre a scamparvela indenne» soggiunse William, con il tono che sfumava sull'ironia verso il finale della frase.

«Merlino ha detto questo? Su di me?» Domandò incredulo Leon, avvicinandosi di un passo verso il falò e quindi verso il giovane mago. Non poteva credere che Merlino parlasse in quei termini di loro. Certo, sapeva che il servitore vedeva la bontà nel cuore di tutti, ma le parole del bambino -del giovanissimo mago- erano così pure e semplici da non lasciare nessuno dubbio: Credeva in tutto ciò che stava dicendo.

«Mhmh, dice anche che lo tenete sempre d'occhio perché vi preoccupate che non si curi abbastanza di se stesso o che finisca in qualche guaio.»

Una lieve risata spontanea nacque improvvisamente sulle labbra del cavaliere, che non poté fare altro che scuotere la testa. E così quella specie di... fratellino minore, aveva capito che l'osservava da lontano. Aveva dato poco credito a Merlino, decisamente troppo poco.

«E, infine, Sir Percival» disse William con sempre quel leggero sorriso sulle labbra, girando la testa fino ad inquadrare completamente la figura dell'ultimo cavaliere. «Mio padre dice che siete uno dei cavalieri più forti di tutta Albione, ma che in realtà siete molto buono e gentile; sempre disposto ad aiutare se qualcuno ve lo chiede. Inoltre, è anche convinto che non parliate tanto perché preferite ascoltare ciò che le persone hanno da dire, così riuscite a capirle.» Il tono del bambino era calmo e genuino, mentre il robusto cavaliere si limitava a ricambiarne lo sguardo da sopra le fiamme.
L'espressione di Will s'incupì improvvisamente, mentre gli occhi azzurri ricaddero verso il terreno. Le ultime parole gli uscirono più come un mormorio, rispetto alle frasi risolute di poco prima. «E che… eravate un grande amico di zio Lancillotto.»

Percival spalancò di sorpresa gli occhi chiari e la bocca, quasi boccheggiando sul nome del suo vecchio amico. Colui che mai avrebbe potuto dimenticare.
«Lancillotto? Conoscevi Lancillotto domandò con sgomento verso il bambino, piegandosi in avanti con l'ampio busto, come a volerlo raggiungere. A giudicare dallo sguardo degli altri tre uomini, non era l'unico ad esserne sorpreso.

William rialzò il viso, mostrando un sorriso fragile e triste, mentre gli occhi azzurri erano già velati di lacrime represse. La risposta alla domanda del cavaliere non ebbe bisogno di parole.
Ad interrompere il momento di intima commozione ci pensò il giovane monarca, che tornò a fissare i suoi severi occhi azzurri su William.

«Zio…» ripeté il biondo, incamerando un respiro profondo prima di buttarlo fuori nel modo più calmo possibile. «Lancillotto quindi sapeva della vostra esistenza. Merlino glielo ha detto» commentò con amarezza Artù, mentre una visibile nota di rabbia e delusione s'impossessò del suo volto. Tradito, ancora una volta.

«Oh no… in realtà… lo ha scoperto e qui-»

«Non mi interessa sentirlo. Non mi interessa sentire nulla di più» tagliò corto il re, prima di girare lo sguardo sui suoi cavalieri. «Percival a te il primo turno di guardia. Poi Galvano, io e infine Leon. Riposate, domani sarà una lunga giornata.»

Senza aspettare possibile lamentele oppure opinioni, Artù si tirò di nuovo in piedi avviandosi verso il proprio sacco a pelo.
Aveva bisogno di rimanere da solo con i propri pensieri.

~ § ~

Percival stava sorvegliando il silenzioso campo da circa un'ora, quando il rumore di alcuni passi lievi dietro di sé lo mise in allarme. Poggiò la mano destra sull'impugnatura della sua spada, voltando il possente busto così da essere pronto ad affrontare gli eventuali intrusi.
Solo che -stranamente- non c'erano banditi ad aspettarlo, bensì la figurina esile di William, svincolato fuori dal suo sacco a pelo.

«Non riesci a dormire, piccolo?» domandò il cavaliere con voce bassa e morbida. Il bambino scosse la testa con aria turbata e gli occhi azzurri dilatati sul viso pallido.

«Ho paura. Ho fatto un brutto sogno.»

«Hm. Vuoi sederti qui per un po' offrì gentilmente Percival, appoggiando la grande mano sul pezzo di tronco affianco a sé, in un cenno di accondiscendenza. Will poteva avere la magia, ma una cosa era certa: era pur sempre un bambino.

«Sì, grazie sir Percival» rispose il moretto con voce un po' esitante, accorciando in breve tempo le distanze in modo da accollarsi vicino al cavaliere.
Rimasero in completo silenzio per qualche minuto, almeno finché William non cominciò a tremare sotto il vento rigido della sera.

«Hai freddo?» chiese Percival con il solito tono calmo e monocorde, cominciando già a portare la mano destra all'allacciatura del mantello.

«I-Io un po'» ammise William con tono colpevole, stringendo le braccia intorno alla piccola cassa toracica per cercare di contenere i brividi. In men che non si dica, però, si ritrovò avvolto dentro la pregiata stoffa rossa del mantello del cavaliere.
Il moretto spalancò gli occhi azzurri con piena sorpresa e aprì la bocca per protestare, ma Percival alzò l'enorme mano, tranciando qualsiasi replica.

«Io non ho freddo, piccolo. Tienilo tu.»

William ricambiò le sue parole con un sorriso largo e limpido e si strinse per bene sotto l'ampio mantello rosso, facendo spuntare solamente il mento.

«Ho sognato che i miei genitori non tornavano mai più» confessò al cavaliere con un mezzo singhiozzo, mentre gli occhi azzurri si velarono di una patina acquosa.

«Ehi...» Percival lo richiamò rassicurante, poggiando la mano su -praticamente tutta- la schiena del bambino. «Troveremo Merlino e tua madre, puoi starne certo. Lo devo anche a Lancillotto» disse con tono più risoluto e fermo, allargando i polmoni per incamerare un profondo respiro.
Lancillotto era stato il suo più caro amico e se lui era stato disposto a rischiare per proteggere la famiglia di Merlino, Percival non avrebbe potuto fare altrimenti. William alzò il braccio destro da sotto il mantello, per passarselo sopra gli occhi umidi e cercare d'asciugarsi le lacrime.

«Mi manca» confidò a bassa voce il giovane mago senza specificare a chi si riferisse, ma il cavaliere capì al volo.

«Manca anche a me» confermò Percival senza vergogna, riportando la mano destra sopra il ginocchio. Stette in silenzio per qualche altro istante, prima di decidersi a far fuoriuscire la propria curiosità. Il tono era sempre pacato e calmo, ma stavolta gli occhi chiari erano fissi sulla figura accartocciata del bambino. «Cosa intendevi prima, quando hai detto ad Artù che Merlino non aveva rivelato nulla a Lancillotto?»

«Zio Lancillotto ha scoperto il segreto di mio padre. Lui non… non glielo ha detto» affermò William, cercando di nascondere la nota di fastidio che gli si era aggrappata sullo stomaco. Non stava propriamente mentendo: suo zio aveva scoperto l'altro segreto di Merlino, ma lui si sentiva comunque a disagio. Sua madre aveva ragione: non bisognerebbe iniziare a dire le bugie perché, con il tempo, diventa più facile che dire la verità.
In questo caso, però, non aveva tanta altra scelta.

«E come lo ha scoperto? Ha seguito Merlino?»

«Non lo so. Ero molto piccolo» rispose sbrigativamente il moretto, scrollando velocemente le spalle dentro l'ampio mantello rosso. «Sapete, mi aveva promesso che dopo Samhain mi avrebbe insegnato a usare la spada» rivelò qualche istante dopo, mentre un sorriso fragile e malinconico si allargò sul giovane viso. «N-Non… non...» La voce si ruppe definitivamente, costringendolo a rannicchiarsi con la fronte contro le ginocchia, mentre le spalle venivano scosse da lievi singhiozzi.

Percival non disse niente per qualche secondo, limitandosi a stringere le labbra una con l'altra ed a trattenere docilmente la mano sulle spalle esili del bambino. A lui non era concesso piangere, ma dentro di sé poteva avvertire lo stesso identico dolore di William. Quando il pianto del bambino si calmò, si azzardò a ritirare nuovamente la mano dalla schiena del piccolo, non senza avergli rifilato una tenue carezza.

«Non l'hai rivisto quando è tornato a Camelot?» domandò infine con cautela, cercando di avere più tatto possibile. La curiosità però lo stava spingendo a non lasciare l'argomento tanto facilmente.

«No.» William scosse la testa con veemenza, passandosi nuovamente la mano sugli occhi per pulirli dalle lacrime. Il tono e lo sguardo si fecero più duri e severi. «E poi ciò che è ritornato non era mio zio.»

Percival aggrottò entrambe le sopracciglia in un'espressione confusa e perplessa, causata soprattutto dal tono secco del bambino, così diverso rispetto a prima. «Lo so che si è comportato in modo non onorevole» cominciò adagio verso il bambino. «Però è stato com-»

«No. Non è per quello che ha fatto» lo interruppe bruscamente William, alzando gli occhi in modo da poter osservare il cavaliere dritto in faccia. «Quella… cosa...» sibilò con disgusto. «Non era zio Lancillotto. Era un'ombra evocata e comandata da Morgana. Un... un… corpo vuoto, nulla di più.»

«Cosa?!» esclamò con sorpresa Percival, trattenendosi appena dal rischio di svegliare tutto l'accampamento. Gli occhi chiari erano spalancati, fissi sul bambino più in basso. «Non non capisco. Era un… fantasma?»

«Non proprio. Morgana aveva fatto rivivere solo il suo corpo, ma non il suo spirito. Mio padre ha detto che era solo un fantoccio nelle sue mani.»

«Merlino lo sapeva?!» domandò nuovamente il cavaliere, il tono sempre più scioccato.

«Sì, è stato lui a scoprilo» confermò il giovane mago, annuendo con la testolina. Osservò per bene l'espressione del cavaliere, indovinandone la domanda silenziosa, e allora aggiunse con tono deciso: «Si era dimenticato di me e di mia madre. Zio Lancillotto non l'avrebbe mai fatto.»

«Che cosa è successo poi?»

«Mio padre ha provato a fermarlo, ma non ce l'ha fatta» spiegò il bambino con tono più triste, riabbassando di nuovo il mento sulle ginocchia. «Quando l'hanno trovato morto, l'ha sepolto nel nostro lago. Il lago è magico e il suo spirito è tornato libero dal controllo di Morgana. Nessuno lo disturberà mai più.» Raccontò velocemente il bambino, sentendo aumentare la stretta di fastidio per la nuova piccola bugia che era costretto ad inventarsi. Merlino aveva reso libero lo spirito di Lancillotto, non il lago. Era così che suo padre si sentiva a mentire tutti i giorni? Sempre così male?

«Perché non lo ha detto ad Artù? Le cose sarebbero state certamente diverse» obbiettò Percival senza tono di giudizio, lasciando spazio al bambino di spiegare perché Merlino non aveva intrapreso la strada più ovvia. Anche il tradimento di Gwen sarebbe risultato più lieve, alla luce dei nuovi fatti.

«Gli avrebbe creduto?» domandò con tono retorico William, prima di scuotere la testa. «No. Il re non gli crede mai, se non quando è troppo tardi.» Il tono si fece amaro e triste, ma non per questo meno convinto di ciò che stava affermando.

«Il re è un uomo buono. A volte sbaglia, ma lo facciamo tutti.» commentò Percival dopo qualche istante, cercando di assumere il tono più pacato possibile. Non poteva discolpare del tutto Artù, ma era altrettanto vero che era sempre riuscito a capire i propri errori. Prima o poi. «Io devo svegliare Galvano e tu dovresti dormire, piccolo.»

«Non… ancora un po', per favore?» domandò con tono implorante il bambino e Percival non poté fare altro che acconsentire con un sospiro, per poi alzarsi e muoversi verso il sacco a pelo di Galvano.

Nessuno dei due si accorse del piccolo sussulto proveniente da una figura che dava loro le spalle. Una figura che aveva capelli biondi e occhi azzurri, pregni d'incertezza e rimorso.

~ § ~

L'angusta cella era di nuovo immersa nel buio della sera quando Merlino rinvenne violentemente dall'incoscienza. Questa volta si premurò di non provare ad evocare la magia, lasciando solamente gli occhi ad abituarsi all'oscurità.
Dopo qualche istante di doloroso smarrimento, riuscì a rendersi conto che non era più appeso al soffitto, bensì seduto mollemente contro le grate dalla cella. Le manette che sopprimevano la sua magia erano ancora ben strette intorno ai polsi, ma per lo meno poteva respirare più facilmente.
Certo, pensò con un sorriso amaro, chiaramente Morgana non voleva che soccombesse troppo presto. Non gli era concesso.
Sbatté le palpebre in rapida successione, finché gli occhi non cominciarono a mostrare i vaghi contorni della cella e… una figura rannicchiata su se stessa, con lo sguardo sbarrato fisso davanti a sé.

«Freya!»

Costrinse il proprio corpo a spingersi sulle ginocchia, così da poter avanzare verso la ragazza con un visibile moto d'urgenza. Non gli importava del dolore che s'irradiava in ogni parte del corpo o del mal di testa lancinante. Niente importava oltre la figura tremante e scioccata della donna. Della sua donna.

«Freya, rispondimi! Freya!» Il tono del mago si riempì di panico e terrore quando Freya non si mosse dalla sua posizione, non dandogli cenno di averlo riconosciuto.
Per qualche miracolo, le catene erano abbastanza lunghe e la cella sufficientemente piccola da permettere al mago di raggiungere, quasi completamente, la druida. Riusciva a toccarla solamente con la punta delle dita ma, in quel momento, ciò era già una grande conquista.

«Freya, sono io. Sono Merlino. Guardami» disse con fermezza, cercando di riscuotere Freya dal trance in cui era caduta a causa della tortura di Morgana.

«Ti prego Freya. Guardarmi, sono qui con te. Guardarmi...» Implorò di nuovo Merlino, prima di emettere un singhiozzo spezzato quando Freya continuò a fissare il vuoto davanti a sé.
Il mago si passò il dorso delle mani sugli occhi, anche se il movimento gli veniva reso più difficile dalle manette. Allargò il petto in modo da incamerare un respiro più profondo, prima di buttarlo lentamente fuori, così da cercare di calmarsi. Infine, un fragile sorriso si montò sul volto pallido ed esausto.

«Bene, facciamo a modo tuo» esclamò Merlino, forzando il tono ad assumere una connotazione allegra. Si spinse ancora verso la ragazza, tirando le catene fino al limite estremo. Con grande sforzo riuscì a chiudere le dita in quelle di Freya, stringendogliele con forza.

«Ti ricordi quando ci siamo sposati? Mh?» domandò verso la moglie, ma si costrinse a rimanere con il sorriso anche quando lei non rispose. Non poteva perdersi d'animo, perché Freya aveva bisogno di lui.

«No? Bene allora te lo racconto io, va bene?» Merlino piegò la testa per osservare le proprie mani giunte con quelle della donna, quindi annuì con più decisione. «È stato due mesi dopo che ci siamo conosciuti. Ormai stava per arrivare la stagione calda e i fiori vicino al lago erano più splendidi che mai...»

Fermò il racconto per qualche istante, riportando lo sguardo sul viso di Freya. Le strinse ancora le mani fredde e tremanti, anche se lei non mostrò alcuna reazione alle sue parole.

«Io ero riuscito a procurarmi due anelli dall'orafo, inventandomi la scusa che erano per il matrimonio di sir Gerad» rivelò Merlino con un piccolo risolino, che avrebbe dovuto essere giocoso, ma che si rivelò essere un mezzo singhiozzo. Tornò ad abbassare gli occhi sulle loro mani strette. «Dovevi vedere la faccia sospettosa con cui mi ha guardato. Comunque, quando sono arrivato al lago, tu avevi intrecciato una coroncina di viole e...»

«Gigli» sussurrò all'improvviso una voce debole, tremante e appena udibile, la quale costrinse Merlino a rialzare violentamene lo sguardo sul viso della ragazza.

«Freya!» Il sorriso del mago si allargò da orecchio ad orecchio quando vide la luce di consapevolezza in fondo agli occhi scuri di Freya, mentre le stringeva le mani con ancora più forza.

«Gigli. Erano gigli...»

«Giusto, hai ragione» confermò Merlino con più entusiasmo, annuendo con il sorriso a fior di labbra. «Tu eri bellissima, io invece... per niente» provò a scherzare, provocando una lievissima risata anche in Freya.

«Ti ricordi cosa ti ho detto, quando ci siamo scambiati gli anelli? Te lo ricordi?»

«Che... mi a-avresti amato... fino al giorno della tua morte e-e oltre. C-Che ti saresti… occupato di me… non importa cosa s-sarebbe successo» rispose con fatica Freya cercando lo sguardo del marito, nella semi-oscurità della cella.

«Sì e ho intenzione di mantenere fede a quel giuramento» decretò il mago, annuendo con più vigore. «Ti prometto Freya, che troverò un modo per farti uscire di qui. Te lo prometto, oggi come allora. Ne verremo fuori, insieme.»

«Insieme.»

~ § ~

Prima di rilevare il posto di guardia davanti al fuoco e vicino a William, Galvano aveva pattugliato i confini dell'accampamento. Ufficialmente, aveva controllato che non vi fossero banditi in agguato tra i cespugli; ufficiosamente, si era assicurato che tutti gli altri cavalieri -Principessa per primo- stessero realmente dormendo.

«Allora, Percival mi ha detto che non riesci a dormire» esclamò a bassa voce Galvano, andando finalmente a prendere posto di fianco al bambino.

«Ho fatto un brutto sogno...» ammise cautamente William, ma il cavaliere annuì con espressione sapiente.

«Sì lo so, me lo ha detto. Non è ancora passato?»

William si limitò a scuotere la testa, accoccolandosi stretto nel mantello che Percival gli aveva lasciato prima di andare a dormire.

«Mh, va bene. Allora tanto vale impegnare il tempo, no?» Domandò con tono retorico Galvano, ghignando visibilmente contro l'espressione perplessa del bambino. «Quindi… Hai qualche incantesimo preferito?»

William spalancò gli occhi azzurri con sorpresa, non aspettandosi una domanda così diretta sulla sua magia. Non dopo lo sguardo gelido di re Artù.

«Io… ecco… s-sì?» rispose William con voce incerta, ma non fece in tempo a dire altro che l'espressione di Galvano s'illuminò di compiacimento.

«Ottimo! Me lo fai vedere?» chiese il cavaliere con l'entusiasmo di un bambino davanti a un regalo. Poi, però, le sopracciglia si aggrottarono in un'espressione pensierosa. «Cioè, non rischi di distruggere l'accampamento o cose del genere, vero?»

«No, no! Non crea danni» assicurò con convinzione il bambino, prima di agitarsi con disagio dentro il mantello rosso. «Perché volete vedere una mia magia? Voi non sembrate diffidente come re Artù.»

«Beh vedi, Merlino junior, ho viaggiato molto più della Principessa in questione» rispose Galvano con tono tranquillo e rilassato. L'indice della mano guantata si alzò e si posizionò proprio davanti al naso del bambino. «E se c'è una cosa che ho imparato nella mia vita è che non esiste solo bianco o solo nero; buoni o cattivi. Tu e gli altri stregoni non fate eccezione.»

Alle parole del cavaliere, un sorriso incredulo e contento si aprì sul volto di William, mentre gli occhi azzurri s'incrociarono sulla punta del dito. «I miei genitori dicono che la magia è come una spada, né buona né cattiva. Dipende solo da chi la usa.»

«Anche io la penso così» confermò Galvano, prima d'incalzare il bambino con una piccola pacca sulla spalla. «Allora, questo incantesimo?»

William annuì con aria più rilassata, prima di chiudere le mani davanti a sé. Gli occhi divennero color ambra e l'incanto uscì a bassa voce dalle sue labbra. «Gewyrc an lif»

Apparentemente non successe niente, cosa che fece alzare il sopracciglio a Galvano, ma poi il William dischiuse le mani e una piccola farfalla bianca e dorata spiccò il volo. Il cavaliere spalancò la bocca in una muta espressione di ammirazione e meraviglia, mentre il bambino seguì il volo della farfalla fino alle cime degli alberi.

«È stato...» cominciò con voce tremante Galvano, prima di ritrovarsi senza parole.

«Bellissimo» concluse per lui William, con il sorriso più puro e innocente che gli avesse mai visto addosso. «Si dice che si formi con i colori dell'anima di chi la evoca.»

«Sì, bellissimo» confermò il cavaliere, prima di avvicinarsi al bambino di un paio di centimetri. Il tono si fece ancora più basso e sospettoso, tanto che Galvano non si fece scrupolo ad osservarsi nuovamente intorno. Sembrava che dovesse esser lui quello a rivelare un segreto, ora. «E dimmi... di che colore è quella di Merlino?»

«Beh la sua è...» rispose in un primo momento il bambino, senza pensare, per poi sbarrare gli occhi quando si rese conto di ciò che stava per confessare. «N-Nessuno. Mio padre n-non ha la magia.»

«Tranquillo Will, a me puoi dirlo. Non lo rivelerò a nessuno, in realtà... lo sospettavo già da parecchio tempo» ribatté Galvano con un tono così serio e sincero che William non poté fare a meno di credergli.

«Ma… ma... come…?»

«Tuo padre ti ha mai raccontato di quando siamo andati in soccorso di Artù, nelle Terre Perigliose?»

William annuì in silenzio, ancora troppo scioccato ed esterrefatto per rispondere a parole compiute.

«Ottimo, allora posso usare la versione breve» riprese sbrigativamente Galvano, prima di iniziare il racconto. «L'uomo del ponte, quando ha visto Merlino, ha esclamato:“ Ecco che la Magia è arrivata, finalmente!” e poi quando ha visto me: “Ed ecco anche la Forza.”»

«Oooh… ma mio padre pensava che non aveste sentito nulla!» esclamò William con sorpresa, osservando il cavaliere con occhi sgranati.

«Non sono così sordo» rispose con ironia Galvano, prima di continuare. «Quando siamo tornati, Artù mi ha confidato che L'uomo del Ponte gli aveva detto che gli sarebbero serviti “Il coraggio, la magia e la forza” per portare a termine la missione. Ma che, chiaramente, si era sbagliato» spiegò verso il bambino, alzando le spalle in un moto di divertimento.

«E ora, detto tra me e te. Merlino poteva anche essere stato il coraggio, ma io ed Artù non abbiamo la magia» concluse con un sorriso da canaglia verso il bambino, godendosi la sua espressione sorpresa e divertita.

«E re Artù non ha mai…?»

«Beh, a quanto pare, la Principessa era troppo impegnata a gongolarsi con il suo nuovo Tridente.» La risata eruttò spontanea dalla labbra del cavaliere, seguita in breve tempo anche da quella del bambino. L'ilarità scemò dopo qualche istante, quando il viso di William tornò ad essere serio e confuso.

«Perché non glielo avete mai detto? A mio padre, intendo.»

«Diciamo che… volevo aspettare che fosse lui quello pronto a confidarmelo» ammise il cavaliere con un pizzico di tristezza, prima di scrollare le spalle. «Immagino che adesso non importi più. Gli parlerò quando… quando lo troveremo. Anche se, a dirla tutta, non abbiamo ancora una pista da seguire.» Il tono di Galvano si abbassò drasticamente, diventando quasi inudibile anche per il bambino stesso.

«I-Io… potrei… avere un'idea» ammise dopo qualche istante William, rialzando cautamente gli occhi verso il viso sorpreso del cavaliere. «Però non funzionerà.»

«Perché no?»

«Perché ho bisogno della volontà di re Artù e la magia. Quando lo saprà si arrabbierà e io non potrò spiegargli nulla, senza rivelare che anche mio padre è un mago. E se non lo convinco, non funzionerà mai!» Esclamò con frustrazione il ragazzino, prima di riabbassare lo sguardo verso il basso, sconfitto.

«Umh...» mugugnò Galvano con aria pensierosa, strofinandosi la mascella ispida con la mano destra. «Intanto spiegami questa idea e poi troveremo una versione… alternativa… per il re.»

«Pensate davvero che possa funzionare?» domandò William con tono incerto e un po' scettico.

«Beh Merlino junior, non è lo stratagemma che usa di solito tuo padre?» Ribatté Galvano, mentre un ghigno sornione si allargava sul viso da canaglia.

~ § ~

Per quanto la fortezza dove risiedeva Morgana fosse decadente, la strega non aveva lesinato in comodità e vizi. La tavola dove erano seduti lei e Mordred era sontuosamente imbandita, piena di delizie locali e di origine Sassone. I due occupanti si erano accomodati ai due capi opposti, a distanza di un paio di metri l'uno dall'altra.

«Sei molto silenzioso, Mordred» commentò all'improvviso Morgana , osservando il ragazzo druido da sopra il bordo della coppa di vino. «C'è qualcosa che ti turba?»

«Stavo solo riflettendo, Morgana» rispose Mordred con indolenza, girando il cucchiaio dentro il pregiato stufato di carne.

«Su che cosa?» domandò la donna leggera curiosità, assottigliando gli occhi azzurri con circospezione quando il druido esitò nel rispondere. Il tono si fece più duro e pericolosamente vicino alla freddezza che albergava nel suo spirito. «Odio ripetermi. Quindi te lo chiedo solo un'altra volta: su che cosa stavi riflettendo?»

«Merlino e… la sua donna» ammise Mordred con il solito tono monocorde, prima di tornare ad osservare la strega dritta in viso. Il dubbio permeava il suo viso. «Non capisco perché tu non gli abbia separati. Ti sarebbe più… facile… spezzare Merlino.»

«Oh caro Mordred, hai ancora molto da imparare» replicò Morgana con voce suadente, mentre la bocca le si stirava in un sorriso diabolico. «Tu credi che il dolore e la paura siano le armi più potenti per annientare una persona...»

«E non è così?»

«No, non completamente» rispose la donna, non smettendo di osservare Mordred con quel ghigno compiaciuto in viso. «Sai cosa c'è più forte della paura? Del dolore? Dovresti saperlo.»

Il druido aggrottò la fronte in un espressione pensosa e riflessiva, prima di rialzare gli occhi chiari in favore della strega. «L'amore?»

«La speranza» lo corresse con viscido compiacimento, riprendendo in mano il coltello che aveva abbandonato sul tavolo. «La speranza di riuscire ancora a salvare qualcuno che ami...» La posata oscillava sopra una mela appoggiata sul piatto d'argento. «vedendosela poi frantumare tra le dita» Il coltello calò senza pietà sulla mela, dividendola forzatamente in due pezzi, mentre il tono di Morgana divenne freddo e folle.

«Non puoi trattenere il potere di Emrys per sempre, lo sai.» obbiettò Mordred dopo qualche istante di silenzio, in cui aveva intimamente deglutito il disagio provocato dalle parole della strega. Al contrario della donna lui non amava far del male a degli innocenti, a meno che non fosse estremamente necessario.

«Hai ragione, per quello ho già mandato degli uomini a recuperare tutto ciò che mi occorre» rispose la mora con indolenza, andando ad allungare la forchetta per recuperare una metà della mela. «Nel frattempo, lasciamo che cresca in lui la speranza di salvare la sua donnicciola. Sarà sublime frantumargliela davanti agli occhi, proprio quando crederà realmente di riuscirci.»

Il pezzo di mela sparì tra le labbra velenose e i denti affilati.



Angolo dell'autrice
Bene bene... avevo detto "occhi su Galvano, no?" :p
Nel prossimo capitolo vedremo quale sarà questa idea e la "versione alternativa". Vi anticipo che sarà qualcosa di molto legato ad Arthur stesso.
Di contro anche Morgana ha il suo piano malefico. Idee sulle due cose? Provate pure a ipotizzare ^^
Anyway. Il motivo per cui sono in ritardo è che sto scrivendo una Long a due mani con Relie sempre su Merlin. Se per caso vi andasse di farci un giro, vi lascio il link qua sotto:
The Magic of Music
  
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