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Autore: Fragolina84    04/11/2015    0 recensioni
Sequel di "Makani"
La nebbia ti fa sembrare strane e aliene anche cose che conosci benissimo. Inoltre, ti confonde, ti stordisce. Così come confonderà Nicole che, ad un certo punto, si renderà conto di essere persa nella nebbia, smarrita.
Ma, e questo è certo, sotto la nebbia c’è sempre il sole che prima o poi scalderà l’aria e la farà salire, cosicché Nicole tornerà a vedere con chiarezza ciò che la nebbia nascondeva.
Genere: Azione, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Steve McGarrett
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'I miei Five-0'
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Nicole si rende conto che quel lavoro non è come gli altri,
ma ormai siamo alla resa dei conti.
La cavalleria è in arrivo e, entro le prime ore del mattino successivo,
Steve attaccherà Isla Niebla per tirarla fuori da quell'impiccio.
A Nicole resta da scoprire se Elliot è tenuto prigioniero.
Buona lettura!

 

Il mattino seguente, Nicole si svegliò nel suo enorme letto e notò con sgomento che erano le dieci passate. Aveva perso parte della mattina, ma aveva un disperato bisogno di riposare.
Il pomeriggio e la sera precedenti, Rafael si era comportato in maniera impeccabile, eludendo qualsiasi accenno alla sua situazione, evitando in tutti i modi di forzarla a fare qualcosa che non volesse. E, nonostante avesse intercettato qualche sguardo un po’ più che amichevole, quando l’aveva accompagnata nella sua stanza si era accontentato di un bacio sulla guancia.
Nicole si sentiva terribilmente in colpa. Sapeva di averlo incoraggiato e si vergognava di se stessa perché era felicemente sposata eppure non aveva avuto nessun rimorso mentre lui la baciava e ricordava con turbamento la stretta allo stomaco che aveva provato ogni volta che Rafael l’aveva baciata. Tentava di giustificarsi, dicendo a se stessa che stava facendo il proprio lavoro, ma sapeva bene che non era del tutto vero: baciare Rafael le era piaciuto e non poteva negarlo. Avrebbe dovuto parlarne con Steve non appena quel lavoro fosse finito.
Il led di segnalazione del suo Galaxy lampeggiava, segno che c’era un’e-mail che doveva essere letta. Era di uno dei suoi finti colleghi, sicché veniva da Steve. Il suo cellulare la decriptò: diceva che avrebbero attaccato entro le due del mattino successivo. Avrebbero recuperato prima lei, poi avrebbero assaltato il bunker, liberato Elliot (sempre che fosse lì) e sarebbero fuggiti fino alla nave appoggio che, favorita dall’oscurità, si sarebbe avvicinata il più possibile.
Era evidente che più tempo passavano sull’isola, più sarebbero stati in pericolo. Era di vitale importanza che Nicole riuscisse a capire qualcosa in più sul bunker in mezzo alla giungla e per farlo aveva bisogno di fare un’altra escursione.
Si alzò, indossò una vestaglia e uscì, in cerca di Rafael. Uno dei bodyguard la scortò fino al suo studio: indossava camicia e pantaloni di lino ed era a piedi nudi, perfettamente rilassato.
«Dormito bene?» le chiese, chinandosi per sfiorarle la guancia con le labbra.
«Dormito troppo, direi».
Lui rise: «Non devi timbrare il cartellino qui. Mi spiace soltanto che non hai visto lo spettacolo della nebbia. Stamattina era incantevole».
Nicole accennò con il capo alla sua scrivania: «Tu però sei al lavoro».
«Purtroppo, raramente riesco a fermarmi. Anzi, speravo che rimanessi a letto un po’ di più, cosicché riuscissi a sbrigare le mie faccende e poi sarei stato tutto tuo».
Non era sicura che ci fosse malizia nell’ultima parte della frase, ma fu contenta di aver lasciato il cellulare in camera e Steve non avesse sentito.
«Ho poltrito anche troppo» esclamò con un sorriso. «Se non ti spiace, vado a cercarmi qualcosa da mangiare e poi vado a farmi una corsetta».
«Fa’ pure. Come fosse la tua isola» mormorò. «E comunque, la colazione ti sta aspettando nel salone».
Quando fu pronta, partì di corsa come il giorno prima. Non appena fu sicura di essere fuori vista, si avvicinò progressivamente al bunker. Stavolta, invece di aggirarlo per arrivare all’ingresso, salì la collina finché trovò ciò che cercava: una presa d’aria.
S’inginocchiò, lanciando un’occhiata in giro per essere sicura che nessuno la stesse osservando, e sganciò la piccola borsa che aveva portato con sé. Estrasse il cavo video in fibra ottica e lo srotolò, collegandolo al piccolo tablet con cui stava scansionando il condotto d’areazione per verificare che non ci fossero sensori. Quando fu sicura che la conduttura fosse libera, infilò cautamente il cavo all’interno di essa, mentre le immagini venivano rimandate sul tablet. Arrivò quasi al limite della lunghezza del cavo prima di riuscire a vedere l’interno.
La piccola telecamera montata sul cavo le mostrò quello che pareva un magazzino, con provviste accatastate e grosse taniche d’acqua. Quando girò la fibra e inquadrò l’altro lato, vide che erano ammonticchiate casse con diciture in cirillico. Non conosceva il russo, ma il 7.62 stampigliato non lasciava molti dubbi sul fatto che contenesse dei kalashnikov.
Scattò alcune foto ed estrasse in fretta il cavo: lì non c’era nulla che potesse farle capire se Elliot era tenuto prigioniero. Si mosse con circospezione, tenendo l’orecchio a qualsiasi rumore, finché trovò un secondo condotto. Ripeté la procedura finendo stavolta in una sala di controllo. Due uomini – di spalle rispetto alla telecamera – sedevano di fronte a una consolle piena di monitor sui quali campeggiavano immagini della casa e dell’interno del bunker.
Fece diversi scatti anche lì e stava per far uscire il cavo quando notò un’immagine su uno dei monitor e zumò. In una delle stanze del bunker, c’era un prigioniero. Sedeva per terra, addossato al muro, e indossava una semplice maglietta bianca e un paio di informi pantaloni scuri.
Non poteva vederlo in viso perché teneva la testa appoggiata sulle ginocchia, ma la corporatura corrispondeva con quella di Elliot. Fortunatamente, il monitor su cui campeggiava l’immagine, segnalava anche la stanza da cui proveniva, quindi riuscì ad orientarsi rispetto a dove si trovava in quel momento. Ritirò la fibra ottica e si spostò di nuovo, tenendosi bassa per sfuggire ad un eventuale osservatore.
Era abbastanza ovvio che l’uomo nella cella era un prigioniero quindi, che fosse Elliot o meno, andava liberato, ma voleva essere sicura che fosse lui. La stanza in cui era bloccato era dalla parte opposta rispetto al magazzino che aveva ispezionato qualche attimo prima. Considerò che doveva esserci una conduttura d’areazione anche su quel lato, che probabilmente dava proprio sulla cella. Quando la trovò, usò di nuovo la fibra ottica e si ritrovò proprio nella piccola prigione.
Mentre era impegnata a muoversi all’esterno, l’uomo si era spostato, coricandosi su una brandina che, unita ad una sedia d’acciaio era l’unico arredo della stanza. Mise a fuoco il suo viso e sussultò: era Elliot, ma era stato brutalmente picchiato. La maglietta era sporca di sangue che prima non aveva visto perché era rannicchiato sul pavimento e un occhio era gonfio e bluastro. Aveva anche altri lividi sulle braccia e sul viso, che dovevano avere ormai qualche giorno, e il labbro inferiore con una crosta evidente.
Avrebbe voluto mandargli un qualche messaggio, ma non aveva modo di fargli sapere che era a pochi metri da lui, né che Steve e gli altri sarebbero arrivati a liberarlo entro poche ore. Inoltre, ogni secondo che passava lì, metteva lei e l’intera operazione in pericolo, quindi si affrettò a ritirare il cavo e a riporlo nella borsa, insieme al tablet.
Scese il pendio con cautela e riprese il sentiero, sbucando sulla spiaggia dove si era fermata il giorno prima. Rilevò le coordinate GPS, decisa a mandarle a Steve. Poi prese a correre sul serio: aveva perso un bel po’ di tempo nell’esplorazione del bunker e non voleva dare motivo ai bodyguard di pensare male. Quando arrivò sulla veranda, ansimante ma in perfetto orario rispetto al giorno prima, Rafael non era ad aspettarla.
Entrò nella propria stanza e, pochi istanti più tardi, il telefono sul comodino squillò.
«Il signor Machado chiede di raggiungerlo sulla torre tra mezz’ora» le rese noto Maria.
Nicole ringraziò e riattaccò. Aveva notato subito la torre a base circolare quando era arrivata, anche perché quel braccio della casa si protendeva sulla spiaggia, come un dito puntato verso l’oceano, e svettava diversi metri sopra il tetto della dimora.
Innanzitutto inviò tutti i dati a Steve, con un’e-mail criptata. La risposta non si fece attendere: Steve e i Seals erano già a bordo della nave appoggio. L’orario dell’attacco non era cambiato, ma avendo avuto la certezza che Elliot era nel rifugio blindato avrebbero estratto prima lui e poi lei.
Nicole si preparò, indossando un vestito lungo, colorato e svolazzante che sapeva sarebbe piaciuto a Rafael – tanto per farsi perdonare per averlo respinto – e, snobbando l’ascensore, prese le scale che portavano alla sommità della torre.
Quando arrivò lassù, rimase – per l’ennesima volta in quei pochi giorni – a bocca aperta. Le alte finestre davano l’impressione che l’intera parete fosse fatta di vetro, appena oscurato per rendere la luce del sole non fastidiosa per gli occhi. Data l’altezza, la vista era ininterrotta in ogni direzione, mostrando tutta la bellezza dell’oceano e di quell’isola smeraldina in mezzo alle acque, come una piccola Atlantide privata.
Nicole notò appena il tavolo preparato per due, affascinata dal panorama che si apriva davanti a lei. Non lo sentì arrivare dietro di sé finché lui non le circondò la vita con le braccia, chinando la testa per baciarle la spalla nuda. Nonostante tutto ciò che aveva detto a se stessa, non poté impedirsi di fremere al contatto con quelle labbra morbide.
Lui equivocò, pensando che fosse infastidita dal suo approccio, e fece per scostarsi mormorando delle scuse, ma Nicole lo trattenne.
«È piacevole» disse, stupendosi di nuovo quando si accorse che era la verità, e appoggiandosi a lui. «La vista da qui è meravigliosa».
«Confermo» replicò lui, che però non stava guardando il panorama bensì lei.
Rimasero immobili per un po’, finché lui le baciò di nuovo la pelle liscia della spalla. La fece voltare e la prese per mano, scostandole poi la sedia perché si accomodasse al tavolo. Il pranzo fu servito subito e la donna si concentrò sul proprio piatto, per paura di soccombere a quegli occhi scuri.
Rafael se la prese comoda: come aveva promesso quel mattino, intendeva dedicarsi soltanto a lei e quando lo faceva, diventava irresistibile. Nonostante fosse un delinquente nel senso peggiore del termine, aveva una personalità aperta e affascinante, e sapeva come conquistare una donna, tanto che Nicole si ritrovò a ridere delle sue battute con una facilità che la lasciava spiazzata.
Terminato il pranzo, scesero di sotto e Rafael l’accompagnò nel giardino botanico dove Nicole osservò rapita tutte le varietà di orchidea presenti. Non era difficile capire cosa stava facendo Rafael: il giorno prima, quando l’aveva respinto, aveva soltanto accantonato i suoi progetti su di lei e ora stava facendo di tutto per sedurla, riuscendoci piuttosto bene, dovette ammettere.
A sera, dopo cena, sedettero sul divano in pelle del salone. Nicole si accomodò con le gambe ripiegate sotto di sé, più per cercare di mettere più distanza tra lei e Rafael che per altri motivi. Ma lui sedette comunque vicinissimo alla donna, troppo vicino.
Di nuovo, riversò tutto il suo magnetismo su di lei che ben presto dimenticò ogni preoccupazione, salvo quando guardò l’ora e scoprì con sgomento che era già passata l’una e mezza. Entro meno di mezz’ora, Steve avrebbe attaccato l’isola con i suoi compagni e una sorta di nervosismo la colse.
Rafael se ne accorse e pensò di nuovo che fosse per la sua vicinanza. Stavolta però non si ritrasse: appoggiò una mano allo schienale e si tese su di lei, allungandosi per prendere il telecomando dello stereo. Il calore del suo corpo l’avvolse, attraversando il sottile tessuto di cotone della maglietta. Era vicinissimo, in quel momento.
Afferrò il telecomando e premette un pulsante senza guardare: l’impianto cominciò a diffondere una musica sommessa, contribuendo a rendere ancor più languida l’atmosfera. Rafael le accarezzò la guancia.
«Ti prego» sussurrò, vicinissimo alle sue labbra. «Non respingermi, stavolta».
Avrebbe dovuto farlo: doveva assolutamente allontanarsi da quella specie di incantesimo che le aveva gettato addosso e che le faceva desiderare di tradire Steve. Aveva la salivazione a zero e si umettò le labbra per dirgli che non poteva farlo, che era troppo presto. Ma lui notò il gesto e non resistette, coprendo quell’ultima esigua distanza che li separava.
Il bacio sgretolò in fretta tutta la sua determinazione accuratamente costruita. Spazzò via ogni pensiero razionale, mentre gemeva e il suo corpo cercava istintivamente il contatto con quello di Rafael. Lui, se pure era sorpreso per quell’accoglienza, non lo diede a vedere: la circondò con un braccio, facendola scivolare sul divano finché l’ebbe sotto di sé.
La baciò con dolcezza, quasi fosse timoroso di spaventarla, ma la lussuria aveva ormai debordato oltre la ragione e capì che la donna voleva di più. Abbandonò la sua bocca, spostandosi sul collo, scivolandoci sopra con la lingua, mentre un gemito roco le faceva vibrare la gola. Nicole era completamente fuori controllo, ma quando Rafael le posò la mano sul fianco, facendo risalire un po’ la canotta che indossava, si riscosse con un sussulto.
«Tranquilla» mormorò Rafael, «non ti farò del male, credimi».
Ma che stava facendo? Doveva togliersi da quella situazione, immediatamente. Di certo Steve stava ascoltando la loro conversazione e, dato che il Galaxy era posato sul tavolino lì accanto, non doveva essergli sfuggito nemmeno uno dei gemiti che lei aveva emesso.
La mano di Rafael risalì ancor più sotto il top, avvicinandosi pericolosamente al suo seno e Nicole si irrigidì.
«Rafael, ti prego» sussurrò, mentre premeva velocemente la finta ametista del suo anello.
La sua preghiera bastò a fermare la sua mano, ma non la tolse. La spostò invece sul suo ventre, in una lenta carezza di cui sentì l’eco più in basso, nella reazione del suo corpo traditore.
«Lasciati andare, querida» sussurrò e lei dovette fare appello ad ogni stilla di forza per non ascoltare ciò che il suo corpo pretendeva.
Mentre cercava freneticamente una risposta da dargli che potesse spiegargli quegli improvvisi sbalzi d’umore, sentì vibrare qualcosa contro la coscia. Rafael si sollevò appena e prese il cellulare dalla tasca dei pantaloni, mentre lei faceva di tutto per evitare di notare come la stoffa tirasse sul davanti.
«Dimmi» disse semplicemente.
Dietro le spalle di Rafael c’era un grande orologio a muro e Nicole vide che mancavano dieci minuti alle due. L’attacco non doveva essere ancora iniziato, ma udì chiaramente la risposta che ricevette al cellulare: «Abbiamo problemi sul lato nord».
«Iago, prendi gli altri e cercate di capire cosa sta succedendo» rispose Rafael con la massima tranquillità.
Nicole non capì la replica di Iago perché Rafael si scostò, alzandosi in piedi. «Non credo di aver chiesto la tua opinione, Iago» disse con voce tesa e secca. «Ora andate» concluse, chiudendo la comunicazione e rimettendo il telefono in tasca.
Si alzò anche lei, abbassando il top a nascondere l’ombelico. «Qualcosa non va?» domandò.
«Niente di preoccupante, tesoro» sussurrò, avvicinandosi con indolenza. «Noi, piuttosto: dov’eravamo rimasti?»
Nicole indietreggiò perché lo scintillio che gli vedeva negli occhi non le piaceva per nulla. Significava guai e il tempo ormai scarseggiava. “Problemi sul lato nord” voleva dire una sola cosa: i Seals avevano anticipato l’attacco rispetto a quanto previsto.
La donna fece ancora un passo indietro, sorridendogli timidamente. «Lo sai che per me è difficile, Rafael» sussurrò.
«Vuoi che ti dica cosa so, invece?»
Non seppe mai cosa voleva dirle perché la notte si accese di luce arancione. Nicole voltava le spalle alla vetrata ma vide quel bagliore specchiarsi negli occhi di Rafael che si contrassero per la sorpresa e, forse, la rabbia.
Il boato di un’esplosione fece tremare i vetri che comunque non s’infransero. Rafael la oltrepassò velocemente, affacciandosi alla finestra.
«Ma che diavolo sta succedendo?» chiese retoricamente.
Nicole aveva un’occasione d’oro: Rafael le voltava le spalle e lei aveva l’opportunità di immobilizzarlo, in attesa che Steve arrivasse con i rinforzi. Se lo conosceva – e lo conosceva meglio di quanto conoscesse se stessa – si sarebbe precipitato da lei non appena messo in salvo Elliot.
Si mosse con cautela, credendo che l’attenzione di Rafael fosse tutta concentrata su quanto succedeva nella giungla, da cui ora provenivano spari e grida. Ma non poteva sbagliarsi di più: notò il ghigno riflesso sul vetro ed ebbe appena un istante per alzare le braccia e parare il colpo.
Rafael si era voltato con un movimento veramente fulmineo, abbattendo il braccio sinistro contro la sua spalla. Nicole non si era aspettata una reazione e non era ben puntellata. Il colpo, diretto alla sua testa, la prese fortunatamente sulla spalla e il braccio alzato in difesa, facendola cadere.
Si rialzò più in fretta che poté, prima che lui l’aggredisse di nuovo. Il braccio le doleva terribilmente ma riusciva a muoverlo in modo normale, quindi il colpo non l’aveva danneggiata come Rafael aveva sperato.
Tenne le mani sollevate davanti a sé, in guardia, mentre lui sogghignava e faceva un passo verso di lei.
«Il tuo maritino è finalmente arrivato a salvarti?» domandò Rafael, sibilando come un serpente. «Cosa dirà quando saprà che hai fatto la puttanella con me?»
Dalle sue parole, Nicole intuì che fino a quel momento aveva giocato con lei. Il suo braccio saettò quasi fosse animato di vita propria, colpendolo con un forte schiaffo. La testa di Rafael schizzò da una parte, ma il sogghigno non abbandonò la sua bocca.
Nicole aveva usato il destro menomato dalla mazzata subìta poco prima e ora lo colpì di nuovo, con il sinistro stavolta, spaccandogli il labbro contro i denti.
Il sapore del sangue lo fece infuriare, che era ciò di cui Nicole aveva bisogno. Si avventò su di lei, caricando come un toro infuriato. Per lei non fu difficile scostarsi e lasciare che lui colpisse lo schienale del divano con il fianco.
Nicole lanciò un’occhiata fuori, notando alcune figure scure muoversi al limitare del bosco di palme, ma non ebbe molto tempo per osservarle, perché Rafael si avventò di nuovo su di lei. Usò di nuovo i pugni, cercando di colpirla alla testa, da vigliacco quale era in realtà. Nicole sollevò il braccio per parare ma, sebbene mancasse di qualsiasi allenamento, Rafael era forte e colpì di nuovo con inaspettata violenza. La donna barcollò, cercando di riprendere l’equilibrio, ma Rafael le fu addosso prima che ci riuscisse. L’afferrò per il collo, sbattendola violentemente contro il muro.
«Credevi davvero che invitassi una sconosciuta sulla mia isola, Nicole?» le domandò a bruciapelo chiamandola con il suo vero nome, continuando a stringerle il collo, togliendole il respiro. «Ho fatto ricerche su di te, tesoro. E non è stato difficile capire che non eri chi dicevi di essere».
Nicole cercò di graffiargli il viso, ma Rafael si scostò, continuando a tenerla stretta. Sentiva le forze venire meno mentre i suoi polmoni reclamavano disperatamente ossigeno. Altre immagini passarono davanti ai suoi occhi e il viso di Rafael si trasformò in quello di Tony Alvarez che anni prima l’aveva bloccata nello stesso modo.
In seguito, Steve le aveva insegnato come liberarsi, ma la stretta ferrea di Rafael le stava togliendo troppe forze e non riusciva a coordinare i movimenti per fermarlo.
«Se vorrà portarti via di qui, il comandante McGarrett dovrà raccogliere il tuo cadavere» sibilò Rafael, prima di voltare bruscamente la testa, osservando qualcosa al di là del vetro.
Nicole girò lo sguardo in quella direzione, notando una ragnatela di crepe sulla finestra. Nonostante la visione che cominciava a restringersi, vide Steve dall’altra parte della parete di vetro, illuminato dalle fiamme che si stavano sviluppando nel bosco. Teneva alto il suo fucile d’assalto Heckler & Koch, sparando nel tentativo di abbattere la finestra e raggiungerla. Le finestre erano a prova di proiettili però, e resistettero al suo assalto.
La distrazione fu comunque sufficiente per sbilanciare Rafael e Nicole sapeva che era la sua unica possibilità. Alzò il braccio sinistro e lo calò con forza su quelli tesi di Rafael, spezzando la presa che ancora aveva sulla sua gola. Aria fresca e benedetta arrivò nei suoi polmoni attraverso la gola dolorante, dandole nuova forza.
Rafael riprese l’equilibrio, mentre Steve continuava a tempestare di colpi lo stesso punto della finestra. Nicole riuscì a colpirlo con il gomito, due volte, in pieno viso. La soddisfazione che provò nel sentire il suo naso che si rompeva, eruttando sangue che andò a sporcargli ulteriormente la camicia di lino bianco già macchiata di rosso, fu sopraffatta dalla certezza che era finita. Non aveva energie per altro che scivolare a terra, mentre vedeva Rafael alzarsi in piedi tenendosi il naso che colava sangue.
La sovrastò, mentre Nicole cercava di strisciare via a quattro zampe e di prepararsi ai colpi con cui di certo avrebbe infierito su di lei. Rafael infatti la colpì con un calcio al fianco che la fece rotolare supina.
«Ti ammazzo, puttana» disse con voce nasale, il viso ormai ridotto ad una maschera di sangue. Alzò la gamba per abbatterla su di lei, mirando allo stomaco indifeso. Nicole si rannicchiò istintivamente, ma Rafael non terminò mai l’azione.
La finestra dietro di lui andò in frantumi, cadendo a terra come un velo e la spalla destra di Rafael esplose in una nuvola di sangue e tessuto. Il colpo lo fece cadere a terra, mentre urlava per il dolore. Nicole alzò lo sguardo: Steve era appena fuori dal vano della finestra, il fucile puntato verso la direzione dove, un attimo prima, c’era Rafael.
Accanto a lui, la donna vide Dean Cooper. Entrambi si precipitarono dentro, calpestando con i piedi calzati di stivali i frammenti di vetro sparsi sul pavimento. Dean puntò la propria arma su Rafael: «Se formuli anche il solo pensiero di muoverti, ti faccio saltare il cervello, è chiaro?»
Il gangster doveva aver perso tutta la sua boria perché non disse nulla e rimase sdraiato sul pavimento, limitandosi a piagnucolare tenendosi la spalla ferita.
Steve s’inginocchiò sulla moglie, circondandole delicatamente la nuca con una mano e aiutandola a sollevarsi un po’.
«Nicky, stai bene?» domandò in un sussurro. Lei annuì, non fidandosi della propria voce. «Ce la fai ad alzarti?»
Quando annuì di nuovo, Steve le circondò la vita con il braccio e l’aiutò ad alzarsi in piedi, tenendola stretta a sé. Mason e Sam li raggiunsero correndo in quel momento: «Siamo pronti a partire, comandante» disse il primo, rivolgendosi a Steve.
«Elliot?» domandò Nicole, la voce roca per i danni riportati alla gola che stava già iniziando a illividirsi.
«Sta bene, è al sicuro con Alex e Johnny». Nel frattempo, Dean aveva immobilizzato Rafael, bloccandogli le mani dietro la schiena, incurante dei lamenti di dolore che emetteva. Steve lanciò uno sguardo ai segni delle sue dita sul collo della moglie e in un impeto di rabbia estrasse la pistola, afferrò il malvivente per il colletto della camicia e lo sbatté senza troppi complimenti contro il muro, proprio dalla parte della spalla lesionata.
«Se anche potessi perdonarti per averle messo le mani addosso» ringhiò, puntandogli la pistola alla tempia mentre quello rantolava di dolore, «averla picchiata non depone a tuo favore». Rafael sogghignò, orrenda visione con il volto coperto di sangue, ma l’espressione gli tornò immediatamente seria quando la canna della pistola premette ancor di più contro la sua testa. «Coraggio, testa di cazzo, sono vicinissimo a farti schizzare il cervello sulla parete».
«Non puoi» borbottò Rafael, ma la paura gli trasudava da tutti i pori.
«Hai ragione: non posso» confermò Steve. «Ma c’è una cosa che posso fare: sbatterti in prigione, dove marcirai per il resto dei tuoi giorni».
Lo strattonò, spingendolo verso Mason e Sam che attendevano appena fuori della finestra distrutta. «Recupero la roba di Nicky e sgomberiamo. Ci vediamo ai gommoni».
Senza perdere tempo, Nicole, Steve e Dean attraversarono la casa. Nessuno dei numerosi domestici si azzardò a farsi vedere. Giunti nella stanza di Nicole, infilarono velocemente le sue cose in valigia e Dean se la caricò addosso.
«Ce la fai a correre?» le chiese Steve.
«Sono ok. Andiamo» replicò la donna, che in quei pochi istanti si era ripresa.
Il terzetto si avviò. Le fiamme partite dal bunker sotterraneo dove fino a poco prima era tenuto Elliot rischiaravano la notte, innalzandosi al di sopra delle cime delle palme. A quella luce, Nicole vide due corpi distesi a terra, davanti alla casa. Dovevano essere le guardie del corpo di Rafael che avevano tentato di bloccare i Seals e dovevano essersi trovate in un inferno di fuoco.
Mason e il suo compagno erano già partiti, ma erano rallentati da Rafael che puntava i piedi e faceva di tutto per perdere tempo sicché ben presto, Steve e gli altri li raggiunsero. Erano nel folto degli alberi: sul lato destro divampava l’incendio che rendeva il loro lato sinistro ancor più buio.
Caddero nell’imboscata a piedi pari, principalmente perché pensavano di aver ridotto al nulla ogni resistenza e non si aspettavano di essere attaccati. Steve vide le fiammelle degli spari davanti a sé e gridò. Mason e Sam si gettarono fuori dal sentiero e si appiattirono sul terreno, tenendo giù anche Rafael. Steve tirò giù Nicole che sussultò, forse per la sorpresa e il rude trattamento.
«Rispondete al fuoco» urlò Steve. «Resta qui» sussurrò alla donna e rotolò un paio di volte su se stesso, fermandosi ventre a terra con il fucile imbracciato.
Il cecchino appostato non era molto furbo perché sparò di nuovo alle ombre, rivelando con chiarezza a Steve la sua posizione. L’uomo lo inquadrò nel mirino sebbene rimanesse basso per evitare di essere illuminato dal baluginio delle fiamme. Appena fu allineato, Steve sparò e vide la testa dell’uomo schizzare all’indietro e il corpo afflosciarsi fra i cespugli.
Si alzò e corse piegato in due, zigzagando per rendere le cose difficili ad un secondo cecchino che fosse eventualmente appostato, anche se gli spari erano arrivati tutti da quell’unico punto. Controllò in fretta la situazione e si riunì con Dean nei pressi del corpo dell’uomo ucciso.
La giungla era libera da entrambe le parti, segno che quell’uomo era solo.
«C’è mancato poco» commentò Dean.
«Nel mio caso si può dire che io non ci sia più abituato, ma quanto a te?» domandò Steve. «Stai invecchiando anche tu, Cooper?»
«Leviamoci dalle palle, e poi ti farò vedere io quanto sono invecchiato!» esclamò.
Ripresero il cammino e, sebbene Steve notasse una preoccupante incertezza nel passo di Nicole, lei continuò imperterrita finché non sbucarono sulla spiaggia. La guidò verso il gommone con a bordo Alex, che la aiutò a salire. Sul fondo, sotto una coperta termica, Elliot mosse appena la testa nella sua direzione.
Nicole si chinò su di lui e sorrise: «Stai bene?».
Lui annuì cautamente e mormorò un’unica parola: «Grazie».
Gli accarezzò la testa mentre Steve spingeva in acqua l’imbarcazione e saliva a bordo. Alex avviò il motore e, seguiti dall’altro gommone, si allontanarono dall’isola, verso la nave appoggio.
Steve sedette accanto a Nicole e abbassò lo sguardo su Elliot. «Stai comodo lì, fratello?» disse, sogghignando. «Piacevole la vacanza a Isla Niebla?»
Elliot fece una smorfia e borbottò qualcosa a proposito del fatto che Steve non avrebbe dovuto infierire mentre non era in grado di difendersi. McGarrett rise, ma si azzittì di colpo quando Nicole attirò la sua attenzione.
«Credo che abbiamo un problema» sussurrò la donna. Solo allora lui vide che si stava tenendo il fianco sinistro e quando scostò la mano, non fu difficile capire che quella sostanza luccicante che la imbrattava era sangue.
L’afferrò al volo prima che si accasciasse in avanti. La tenne fra le braccia, sollevando il top che indossava per esaminare la ferita.
«Alex, ho bisogno di luce» disse, mentre Nicole ansimava nel suo abbraccio. Alex staccò la torcia dalla propria arma e illuminò il ventre della donna, che risultò essere coperto di sangue, liquido che sgorgava da un foro scuro appena sotto le costole.
Steve la tastò con cautela sulla schiena, cercando il foro d’uscita per capire che traiettoria avesse seguito il proiettile, ma la donna scosse la testa.
«È ancora dentro» boccheggiò Nicole, irrigidendosi mentre il gommone beccheggiava sulle onde.
«Alex, metti le ali a questo coso» ringhiò Steve, tenendo più salda Nicole, tentando di salvaguardarla dalla maggior parte degli scossoni.
«Ho freddo, Steve» sussurrò lei ad un certo punto e l’uomo le mise addosso una coperta che non bastò a fermare i tremiti che presero a scuoterla. Sapeva che era la perdita di sangue ad indebolirla in quel modo.
«Tranquilla, ok?» le mormorò vicinissimo al viso, furente con se stesso per averla messa in pericolo e per l’espressione di dolore che le animava il viso. «Te la caverai, Nicky. Andrà tutto bene».
«Fa male» sussurrò lei.
«Lo so» replicò Steve. Gli avevano sparato diverse volte e non aveva dimenticato il dolore bruciante di un proiettile nel corpo. Gli occhi di Nicole si fecero pesanti e chiuse le palpebre, facendo ricadere la testa all’indietro. Steve la scosse con delicatezza. «Non puoi lasciarti andare, Nicky» ordinò, mentre lei si riscuoteva.
«Sono così stanca».
«Resta sveglia, piccola. Resta con me» disse, continuando a ripetere quella litania finché non giunsero in vista della nave. Avvisati del loro arrivo, il medico di bordo e due assistenti erano già presso la murata e avevano calato una barella per issare sul ponte Nicole.
Poi la portarono nella sala operatoria allestita all’interno e a Steve non rimase altro da fare che attendere. E pregare.
  
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