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Autore: White_Converse    04/11/2015    1 recensioni
Dal testo:
"Erano i primi mesi della loro convivenza quando John Watson capì di essere preso totalmente dal suo coinquilino, dalla sua vita, che abbracciava inevitabilmente anche quella del reduce di guerra.
Si sentiva legato a lui in un modo assolutamente malsano, ma anche inevitabile.
Fu quando tornò dall’ambulatorio quella piovosa sera di Novembre che capì che a Sherlock Holmes dava molto di più che un aiuto con l’affitto o con le bollette o una fidata compagnia sulla scena del crimine o un’amicizia estremamente stretta."
___2273PAROLE___!JOHNLOCK!___
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: questi personaggi non mi appartengono,
ma sono proprietà della BBC e di Sir. Arthur Conan Doyle;
questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.


#ilsilenziodelleparole


Erano i primi mesi della loro convivenza quando John Watson capì di essere preso totalmente dal suo coinquilino, dalla sua vita, che abbracciava inevitabilmente anche quella del reduce di guerra.
Si sentiva legato a lui in un modo assolutamente malsano, ma anche inevitabile.

Fu quando tornò dall’ambulatorio quella piovosa sera di Novembre che capì che a Sherlock Holmes dava molto di più che un aiuto con l’affitto o con le bollette o una fidata compagnia sulla scena del crimine o un’amicizia estremamente stretta.

Lui gli dedicava ogni momento della sua assolutamente non-più-tanto-normale vita.
Lo contemplava in silenzio, lo ammirava nascondendo il volto tra le pagine ingiallite di un libro.
Guardava il suo viso pallido, dagli zigomi sporgenti e spigolosi come se fosse l’ultima opera esistente del più rinomato degli artisti e ne coglieva ogni singolo particolare;
cercava in ogni modo di far incrociare i loro occhi, sfruttava ogni situazione per unire l’azzurro ghiaccio delle iridi del detective con le sue, di un blu intenso, e pensava che non esistesse nulla di più bello al mondo degli occhi di Sherlock, che la loro bellezza superasse quella del cielo turchese delle campagne inglesi.

Inizialmente aveva pensato che queste sue accortezze fossero dovute alla necessità di sapere quanto più possibile su quell’uomo, con cui si era trovato a risolvere degli omicidi pochi mesi prima, a ridere dopo una corsa sconsiderata, a salvargli la vita e a ridere ancora su una scena del crimine.

La risata di Sherlock era rarissima, sincera e preziosa, John si era ritrovato ad essere geloso di quel suono, a volerlo custodire solo per se, ad udirlo il più possibile quando erano, solo loro due, rintanati nel loro appartamento.

John non aveva dato peso a tutte queste piccole cose che faceva per il consulente investigativo, gli risultavano solo gratificanti… in un certo senso si sentiva e sapeva di essere l’unico a cui Sherlock si mostrava per com’era veramente.

Qualcosa di più di un sociopatico-iperattivo, qualcosa di più di un freddo cervello parlante, a lui Sherlock si mostrò come un amico.
Almeno così pensava perché quella sera di Novembre capì che tutti quei gesti non erano dettati da semplice amicizia, ma da qualcosa di incredibilmente più forte, di assolutamente totale, pericoloso in certi versi e John adorava il pericolo, lo venerava, si era reso conto che era una costante che non poteva mancare nella sua vita.


La pioggia scendeva copiosa dal cielo scuro, illuminato da improvvisi lampi, l’unico suono, oltre clacson e campanelli tipici della frenesia della città, era il fragore di qualche tuono.

John era riuscito a ripararsi da quell’improvviso temporale sotto il balcone di un edificio, non riusciva a chiamare un taxi, le auto nere sfrecciavano incuranti della sua figura sicuramente già con qualche passeggero a bordo.
Era uscito dall’ambulatorio più di un’ora fa e non era ancora riuscito a rincasare, si trovò a chiedersi se Sherlock fosse in qualche modo preoccupato, ma subito scacciò quel pensiero dalla sua mente.

Per sua fortuna vide un taxi fermarsi proprio davanti ai suoi occhi e una vecchietta scendere, seguita da quello che probabilmente era il marito, che la riparava con un ombrello nero e le schioccò una bacio sulla guancia dopo aver pagato il tassista: quella scena lo mise di buon umore, anche perché aveva finalmente trovato un taxi e poteva tornare in Baker Street.

Corse nel riparo del veicolo scuro e dopo aver dato l’indirizzo all’autista si accomodò sul sedile lasciando che la calma che un’altra giornata di lavoro fosse finita lo cullasse, ma a riscuoterlo fu la consapevolezza che una volta tornato a casa avrebbe dovuto affrontare una delle stranezze del suo coinquilino e il pensiero non lo turbava affatto, anzi lo rassicurava che la sua vita non sarebbe mai stata monotona.
'Almeno finché vivrete insieme'. Gli ricordò il suo subconscio.

Lui non ci fece caso, non aveva mai pensato al futuro, la sua teoria era quella di vivere giorno per giorno, di preoccuparsi di vivere ‘alla settimana’, si preoccupava solo dei problemi imminenti.

La corsa delle goccioline sul vetro del taxi lo tenne distratto per un po’, si incantò a guardare i giochi luminosi che le luci di strada creavano nel colorare le gocce d’acqua.

Quando l’auto si fermò John si rese distrattamente conto di essere arrivato, diede la mancia all’uomo alla guida e raggiunse di corsa la porta, la pioggia non cessava di scendere e il dottore cercava disperatamente le chiavi in una delle tasche del suo giubbotto, quando le trovò entro velocemente, ma ormai era zuppo, totalmente bagnato.
Si tolse dunque la giacca a vento e salì le scale felice di essere finalmente a casa.

“Sherlock?” chiese il biondo affacciandosi alla porta del salone, viaggiando verso la cucina, dove trovò il consulente investigativo impegnato in uno dei suoi strambi esperimenti.

“Oh, salve John” lo salutò il moro con un sorriso, il cuore del medico fece le capriole e si ritrovò con una mano sul petto ‘non è un infarto… spero’ disse tra se e se.

“Stai bene?” chiese Holmes
“Si… si sto bene”
“Sei tutto bagnato” disse mentre si alzò per avvicinarsi al coinquilino.
“Acuta osservazione” lo derise il biondo.

Quale forza aliena li fece avvicinare in quel momento, è ancora un punto interrogativo, ma Sherlock stava accarezzando il volto di John che chiuse gli occhi a quel tocco tanto delicato quanto inaspettato.

Il consulente investigativo ritrasse velocemente la mano e si rintanò in cucina.

“Preparo la cena” disse senza guardare John in faccia, era tanto imbarazzato e John un po’ deluso e curioso dal fatto che si fosse offerto di cucinare sospirò un ‘okay’ e salì al piano di sopra per cambiarsi.

Sempre quella sera mentre cenavano accadde qualcosa, che di straordinario non aveva nulla, ma sono le inaspettate conseguenze di una cosa quotidiana a stravolgerci.

Quotidiana era per loro la chiamata di Lestrade che chiedeva il loro aiuto, o meglio quello di Sherlock, per un caso che ai suoi occhi pareva irrisolvibile, ecco quella volta Greg chiamò mentre Sherlock metteva i piatti di ravioli fumanti sul tavolo.
John era appena sceso , i capelli ancora un po’ umidi di doccia, una canotta nera stretta a coprirgli il petto e dei pantaloni di tuta grigi.

“Okay verrò, troverò qualcosa che a voi stupidi è sfuggito e il caso sarà risolto”
“Cosa?”
“Capisco… grazie Lestrade” e riattaccò abbassando lo sguardo sul tavolo, non si era reso conto che John fosse lì.

Il dottore aveva ascoltato parte della conversazione e si ritrovò a chiedere spiegazioni a Sherlock, non era mai stato tanto incuriosito da qualcosa quanto da quella stramba telefonata.

“Era Greg?” chiese.
“Si” Sherlock teneva ancora gli occhi fissi sul tavolo.
“Ti ha chiamato per un caso?”
“Più o meno...” in quel momento il consulente investigativo alzò lo sguardo e si trovò improvvisamente spiazzato
 “Emh… diciamo che il caso è già stato risolto” si ricompose balbettando malamente.

‘E’ così bello’ ricacciò quel pensiero nel suo Palazzo Mentale per poter rispondere alle domande di John.

“E allora cosa vuole?”
“Un consiglio”
“Su cosa?”
“Su…” Sherlock guardò John e quest’ultimo si avvicinò cercando il suo sguardo.

Il ghiaccio allora si scontrò con l’oceano e separarli divenne impossibile.

“Su Harriet Watson” rispose Sherlock abbassando la testa.

John si sentì mancare, l’aria gli era improvvisamente sembrata pesante.

“Cos’è successo?” chiese ansimando.
Sherlock sospirò.
“Metterò tutto apposto sarà stato un errore di quegli idioti…”
“Sherlock cos’è successo?!” chiese John frustrato.
“Harry è stata beccata su una scena del crimine con una bottiglia insanguinata” rispose Sherlock tutto di un fiato cercando di non far pesare al dottore quella cosa.

“Ha ucciso qualcuno” quella di John era un’esasperata affermazione.
“Innocente fino a prova contraria” Concluse Sherlock mente indossava sciarpa e cappotto.

“Vengo con te”
“Meglio di no… se qualcuno ha incastrato Harry potrebbe avercela con lei per qualche motivo e non voglio farti diventare l’ostaggio di qualche assassino”
“Sei seriamente convinto che un assassino mi convinca a rimanere in casa mentre tu sei lì fuori a rischiare la vita per Harry?”

“No, ma non immagini quanto vorrei che fosse così” Sorrise e John con lui.


Salirono sul taxi diretti all’indirizzo che Lestrade gli aveva dato, era un parcheggio sporco che si affacciava sul Tamigi.

Una sagoma segnata di bianco indicava il luogo dove il cadavere era stato trovato.

“A quanto pare Harry è stata trovata ubriaca mentre camminava sul marciapiede e un agente incuriosito l’ha fermata, dopo aver visto la bottiglia sporca di sangue ha dato l’allarme e ha trattenuto la ragazza.
Appena arrivata una pattuglia le ha fatto il test dell’alcool ed è risultata ubriaca ai limiti del possibile, una seconda pattuglia è andata a perlustrare la zona ed hanno trovato il corpo di William Troy un dentista di buona famiglia con una moglie e un figlio alle spalle.
Il sangue sulla bottiglia rotta che aveva Harry è risultato essere del dentista.”concluse Greg.

Sherlock si guardò velocemente intorno e in men che non si dica trovò un capello rosso, il filtro di una sigaretta fumata da qualche ora.
“Quelle non so come ci siano sfuggite” Si giustificò Lestrade.

“Mia sorella è in carcere con un’accusa di omicidio e tu non sai come ti sia sfuggito un dannatissimo capello rosso!?” Urlò John.

Non gli era mai capitato prima d’ora di perdere il controllo con Scotland Yard, ma ora capiva cosa Sherlock intendeva per idioti, ancora più strano fu il fatto che proprio il consulente investigativo gli chiese di calmarsi assicurandogli che tutto si aggiusterà, che è stato evidentemente un errore.

Dopo soli trenta minuti John si sentiva incredibilmente sfinito, non ne capiva il motivo, infondo stavano venendo a galla prove concrete dell’innocenza di Harry.

Erano le dieci di sera quando Harriet Watson fu scarcerata ed abbracciata dal fratello.
Ringraziò calorosamente Sherlock che le rispose con meno affetto, ma le risposte acide che lo caratterizzavano non arrivarono e John ne fu felicemente sorpreso.

“Dobbiamo pedinare Kyle Hiddeton” Disse Sherlock una volta che riaccompagnarono Harry a casa sua.
“L’assassino?”
“Probabile”
“Cosa c’entra Harriet?”
“Probabilmente è stata solo sfortunata, ma per sicurezza ti prego di tornare a Baker Street”
“Stai ancora cercando di convincermi a non venire perché potrebbe essere rischioso?”
“Si”
“Sai che non mi convincerai in nessun modo?”
“Lo so”
“Bene andiamo”

Camminarono per il centro di Londra, il cielo era tornato sereno e le stelle erano visibili, la luna illuminava i vicoli sperduti della città le cui strade erano attraversate solo da qualche barbone, tutte le persone con un minimo di senno si ritrovavano rintanate nelle loro case o in qualche locale al riparo dal freddo pungente, ma i due amici non ne avevano ed erano lì a scorrazzare come adolescenti scapestrati per le strade di Londra.

Camminavano ormai da una buona mezz’ora, John non era sicuro se stavano inseguendo qualcuno, ma Sherlock pareva così calmo e concentrato e non aveva voglia di rompere il silenzio che si era instaurato, gli risultava alquanto piacevole.

Arrivarono davanti un’abitazione in mattoni rossi con grandi finestre in vetro coperte da pesanti tendaggi e una porta verde ad indicare l’entrata, Sherlock si nascose dietro un cassonetto in un vico di fronte la casa e John lo seguì a ruota.

Quello era il momento più odiato: aspettare.
L’adrenalina che ancora pulsava nelle vene non dava pace e la noia diventava assurdamente insopportabile, ma quello era l’unico momento in cui Sherlock non si lamentava per la noia, in quei momenti era incredibilmente concentrato e regnava un religioso silenzio come se l’intera città fosse in accordo con lui.

John alzò gli occhi al cielo ed ammirò le stelle, ricordava di quando qualche mese prima, durante il grande gioco con Moriarty, Sherlock gli aveva mostrato un altro pezzettino di se, che anche lui era umano e, a parere del soldato, era la persona più umana che abbia mai incontrato.

“Già è davvero bello” Era stato Sherlock a parlare, aveva gli occhi puntanti verso il cielo stellato.

Il medico non sapeva cosa rispondergli, così si limitò ad annuire e di nuovo ci fu il silenzio, ma questa volta era diverso, questo era rumoroso, suonava di parole non dette, di frasi mancate, di tutto quello che hanno provato e che ancora provano, quei due uomini rannicchiati dietro un cassonetto a guardare il cielo mentre aspettano di risolvere un crimine.

Era tutta una pazzia, ma non ci pensò molto John quando prese Sherlock per la spalla e lo fece voltare, di nuovo i loro occhi si incastrarono tra di loro e le loro labbra fecero il resto, sfiorandosi dapprima timorose di fare qualcosa di sbagliato, poi più sicure, desiderose di far capire quello che provavano.

Tutto intorno era silenzioso ed era il solo battito dei loro cuori a fare da sottofondo, mai melodia era suonata più dolce.

John e Sherlock non si dissero nulla quella sera, rimasero lì in silenzio a lasciare che fossero le emozioni a guidarli.



"Quelle cose che avrebbe voluto dire, ma che non è riuscito a dire... le dica adesso"
“No, mi dispiace non posso
” 

John non poteva dire all’analista quello che, invece, avrebbe voluto dire a Sherlock, è passato un anno da quando si sono baciati per la prima ed ultima volta, John la ricordava bene quella sera di Novembre, silenziosa, piena di parole non dette, ricordava quell’unico e semplice bacio,che insieme a tutti i ricordi che aveva di quell’uomo, gli hanno impedito di sfociare nella pazzia dopo la morte di Sherlock.
Ricordava di quando si sono separati imbarazzati, di quando, dopo aver catturato l’assassino dai capelli rossi, sono tornati a casa silenziosamente.
Non si dissero nulla, il giorno dopo, quel bacio, fu come dimenticato nella vita che condividevano, ma nella loro privacy lo ricordavano, lo sentivano ancora il sapore di quel contatto, la melodia dei loro cuori e il silenzio di quelle parole.




Angolo dell’autrice.
Probabilmente ora mi odierete per questa OS eccessivamente lunga per i miei standard…
Se nella quarta stagione non avrò un bacio tra questi due *anchelarespirazioneboccaaboccamivabene*, mi toccherà trovare altri mille modi per farli baciare, questo è il primo che mi è venuto in mente, è idealmente ambientato nei primi sei mesi della loro convivenza poco dopo “The Great game”.
La parte dell’omicidio non ha molti particolari, perdonatemi ma non sono Sir Arthur Conan Doyle, neanche lontanamente purtroppo TmT
Non so se Sherlock possa risultare OOC, ma ne dubito dal momento che ho dato maggiormente voce a John.
Spero che vi sia piaciuta, se è così, o meno, non abbiate paura di lasciare una recensione, che mi rende sempre felice ^.^
A presto


White_Converse xx
  
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