Storie originali > Storico
Segui la storia  |       
Autore: heysassenach    05/11/2015    1 recensioni
L'amore tra fratelli.
L'odio tra rivali.
Una città sull'orlo della catastrofe.
[Medici/Pazzi]
{Ho modificato titolo e descrizione, perché non ero soddisfatta. Se vi va, lasciate una recensione c:}
Genere: Drammatico, Introspettivo, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Rinascimento
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Firenze, A.D. 1477
Aveva sempre detestato l'inverno. Il cielo costantemente cupo lo rendeva triste, malinconico, sebbene non lo desse certo a vedere. Agli occhi di tutti lui era sempre stato il principe della gioventù, la perfetta antitesi di suo fratello, che con il suo sguardo spesso corruciato sembrava sempre contemplare verità sconosciute ai suoi simili. Anche lui, Giuliano, spesso si sentiva oppresso, schiacciato da preoccupazioni più o meno futili. Ma il suo viso non tradiva mai le sue emozioni: era diventato un maestro a nascondere agli altri le tempeste che lo laceravano nel profondo, che non gli davano tregua nemmeno la notte, quando insonne si rigirava tra le coperte come fossero fatte di ortiche. Nessuno, nemmeno un uomo acuto come suo fratello riusciva tuttavia a indovinare cosa gli passasse nella mente. C'era solo una persona che lo aveva stupito a tal proposito, riuscendo a fiutare anche la minima ombra di un pensiero negativo dietro quel sorriso sornione che amava indossare a guisa di maschera. E infatti, quella mattina, come tante altre, gli occhi azzurri di Agnolo Poliziano lo scrutarono con un misto di curiosità e preoccupazione. 
Giuliano liquidò la sua tacita domanda con la stessa rapidità con cui l'aveva colta. «Non è niente», disse palesando un improvviso interesse per le briglie del suo destriero. 
«Potrai ingannare quei perdigiorno dei tuoi amici, Giuliano, ma io non sono altrettanto ottuso». Si concesse una pausa, probabilmente per compiacersi di come quella frase fosse suonata alle sue stesse orecchie, e poi riprese: «Quindi, sputa il rospo».
Giuliano non riuscì a trattenere una risata. Appollaiato sul suo ronzino, con le guance arrossate per il freddo e il berretto calcato in testa più del dovuto, il giovane poeta aveva quasi un'aria comica. «Ma come la fai tragica», lo schernì, dando di speroni, «da quando le mie vicende interiori sono diventate così interessanti?».
Poliziano avvampò, spronando il ronzino per stare al passo.  «E comunque, se ti preme saperlo, si è trattato solo di un brutto sogno». 
«Bene», replicò il poeta, poco convinto, «vediamo di sbrigare al più presto questa faccenda, allora. Chi è che dobbiamo ricevere?» 
Giuliano si guardò intorno con aria annoiata. «Un ambasciatore del re di Napoli», rispose, scrutando Piazza della Signoria alla ricerca dei colori blu e oro. 
Poliziano parve sorpreso. «Pensavo che Lorenzo si sarebbe occupato personalmente di un ambasciatore tanto importante», osservò, portando anch'egli la sua attenzione sulla piazza ancora semideserta. 
«Evidentemente non lo è abbastanza. E tu, amico mio, non sei abbastanza informato sulle attività di mio fratello». Giuliano sorrise all'occhiataccia offesa lanciatagli dall'amico, e riprese: «È partito stanotte per Pisa. Ha lasciato me a sbrigare le sue faccende, mentre lui se ne va in... vacanza». La sua voce tradì un'ombra di invidia: starsene rinchiuso in uno studio a ricevere noiosi ambasciatori di pessimo umore a causa del lungo viaggio, era l'ultimo dei suoi desideri. 
«Avrà il suo da fare anche lì, ne sono certo», replicò distrattamente Poliziano, aggrottando le sopracciglia per mettere a fuoco un puntino lontano. Giuliano ne seguì lo sguardo, e lo vide. 
Si faceva strada lungo la piazza, fendendo di quando in quando i piccoli gruppetti di cittadini che incontrava nel suo cammino. Aveva un portamento nobile, il naso dritto e gli occhi feroci. E non era solo. Giuliano si lasciò sfuggire un'imprecazione tra i denti. Era una vera e propria parata regale, con tanto di cavalieri corazzati, stendardi e cavalli bardati. Notò che Poliziano li guardava con tanto d'occhi, la bocca semiaperta per la meraviglia. Poi lo sentì bisbigliare: «Un ambasciatore, eh?». Ma la bocca di Giuliano era asciutta, completamente incapace di articolare una qualsiasi parola di senso compiuto. Come aveva potuto ignorare una cosa tanto...grande? Come un fulmine a ciel sereno si palesò davanti ai suoi occhi il messaggio, ancora perfettamente arrotolato, che aveva dimenticato sulla scrivania. Lorenzo, dal canto suo, negli ultimi giorni era stato troppo occupato nelle sue faccende, e doveva aver omesso quel piccolo particolare. Come al solito. 
Ma doveva tenere fede a sè stesso, doveva gestire la situazione. Si fece avanti con il solito sorriso sornione stampato in faccia, Poliziano attaccato alle calcagna come fosse la sua ombra. 
«Benvenuto nella nostra umile città, mio signore», annunciò, chinando la testa a mo' di saluto. Ciocche di boccoli neri gli caddero davanti agli occhi, e lui se li ravviò con noncuranza. Non appena il suo sguardo si posò nuovamente sui suoi inattesi ospiti, tuttavia, riuscì a cogliere distintamente il disgusto nei loro volti. «Altezza», lo corresse un ometto alla destra del capo corteo, scoprendo una fila di denti giallognoli ed irregolari. Con un altro cenno del capo, Giuliano ripetè: «Altezza». L'uomo taciturno lanciò uno sguardo di sufficienza alla grande piazza, come se fosse trovato lì per caso. Giuliano lo studiò: doveva avere circa trent'anni, quindi non poteva essere lui il re, ma era sicuramente uno dei suoi figli. Il maggiore, probabilmente. Portava abiti in broccato finissimo con i colori tipici della sua casata, una miriade gigli d'oro su sfondo blu che ne ornavano il farsetto. Il mantello era rosso, immenso, e foderato di ermellino. Giuliano non potè fare a meno di lanciare uno sguardo al proprio abbigliamento volutamente spartano, e immaginare quanto potesse apparire misero agli occhi di uno sconosciuto. 
Poiché sua Altezza appariva ancora troppo disgustato per proferire parola, l'ometto continuò: «Sua Altezza reale il principe Alfonso duca di Calabria, figlio primogenito e prossimo nella linea di successione di Re Ferrante I del casato di Aragona», gracchiò con aria di superiorità l'ometto dai denti gialli, lanciando un'occhiata piena di ammirazione al suo signore, che per contro, non gli dedicò più attenzioni di quante ne avrebbe dedicato a un moscerino che gli ronzava intorno. I suoi occhi neri come il carbone si soffermarono anzi su Giuliano, truci e indagatori. Poi, abbandonando ogni forma di convenevole, Alfonso osservò, secco: «Voi non siete Lorenzo de' Medici».
Numerose possibili risposte poco carine vorticarono nella mente di Giuliano, ma, per una volta, non cedette all'impulso di dire ciò che pensava senza riflettere. «No, vostra Altezza. Mio fratello è fuori città». 
Se anche la notizia lo aveva turbato, il volto severo di Alfonso non tradì alcuna emozione. Dopo una manciata di secondi, che a Giuliano parvero ore, disse semplicemente: «Devo tenere udienza con messer Lorenzo, e con nessun altro». Giuliano strinse le redini fino a provare dolore, poi sfoderò il più affascinante dei sorrisi. «Vogliate attendere il suo ritorno, allora. Nel frattempo, se vi compiace, potrete sistemarvi a palazzo Medici». 
Lo sguardo perennemente preoccupato di Poliziano incontrò il suo. E nuovamente, sembrò rispondere alla sua tacita domanda altrettanto silenziosamente. Se c'era una cosa in cui Giuliano de' Medici era sicuro di riuscire, era l'arte di sapersela cavare. E lui non avrebbe mandato a monte i piani della Signoria, e tradito la fiducia di suo fratello, a causa della sua inesperienza. 

-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Il duca freddo e taciturno conosciuto la mattina, si era rivelato, nel corso delle ore successive, decisamente insopportabile. Giuliano invidiò la calma e la diplomazia di suo fratello, che certamente avrebbe saputo come gestire i continui capricci di Alfonso, ma soprattutto maledì sè stesso per non averlo semplicemente spedito a Pisa da Lorenzo. Poiché non lo riteneva degno delle sue regali attenzioni, Alfonso gli si rivolse il meno possibile, rispondendo con parole vuote ad ogni sua domanda, e troncando ogni tentativo di sostenere una conversazione in grazia di Dio. Non aveva voluto nemmeno accennare al motivo della sua visita, né agli -a suo dire- importantissimi e segretissimi affari cui urgeva comunicare a Lorenzo. 
Il pranzo si era rivelato una tortura. Nonostante le dispense fossero state completamente svuotate per tale inattesa occasione, Alfonso mangiucchiò appena un po' di pasticcio di montone. Giuliano, dal canto suo, si abbuffò più del solito, giusto per tenere la bocca piena -una buona scusa per non dover rivolgere più la parola a quell'odioso principe. Si rifiutava di credere che quell'uomo fosse vuoto e arido come dimostrava di essere, ma poi gli tornarono in mente le voci che aveva sentito su di lui: che non aveva anima, che era il Diavolo sotto mentite spoglie e via dicendo. Baggianate, chiaramente, ma questo non cambiava le cose. L'antipatia doveva essere reciproca; Giuliano notò inoltre che Poliziano li studiava entrambi con aria ansiosa, come se si aspettasse di vederli arrivare alle mani da un momento all'altro. Ma non sarebbe successo. 
Ogni sua certezza era crollata, e il giovane Medici non sembrava più tanto sicuro delle sue innate capacità persuasive. Poteva affascinare fanciulle e giovani ingenu che lo vedevano come un modello da seguirei, ma il duca era un osso duro. Nel pomeriggio, congedatosi con sommo sollievo dagli ospiti partenopei, Giuliano si ritirò nelle sue stanze: l'unico luogo dove poter pensare, o eventualmente scrivere una disperata lettera di aiuto, pregando che giungesse a Pisa prima che accadesse qualcosa di irreparabile. 
Non badò neanche ai riccioli che  puntualmente gli ricadevano davanti agli occhi, tanta era la foga con cui scriveva. Quando ebbe finito, le mani costellate di macchioline di inchiostro, si lasciò sfuggire un respiro sollevato. I suoi occhi scorsero per l'ennesima volta le parole scarabocchiate alla meglio sul foglio. 

 

Caro fratello,
Sebbene mi dispiaccia deludere le aspettative che nutri nei miei confronti, temo di aver bisogno del tuo aiuto. Non mi sognerei mai di chiederti di sostenere un viaggio tanto lungo per questioni futili, proprio adesso che immagino tu sia ancora in viaggio, ma devo farlo. 
Questa mattina è giunto nella nostra città quell'ambasciatore di Re Ferrante che, nella mia ingenuità, mi ero preparato a ricevere. Ebbene, non era un ambasciatore qualsiasi, ma il duca di Calabria in persona, che ho persuaso a sistemarsi a Palazzo Medici, poichè nessun'altra sistemazione mi sembrava all'altezza di un uomo tanto viziato e abituato a un lusso ben maggiore di quello che noi potremmo mai offrire; ma si rifiuta di comunicarmi il motivo della sua visita. Afferma, non concedendomi nemmeno di conversare di cose non legate al mondo della politica, di voler parlare solo con te e di non avere niente da comunicare né a me, né a nessun altro. C'è forse qualche affare di cui sono stato tenuto all'oscuro? Certamente ti renderai conto di quanto la situazione sia scomoda, dal momento che questo principe sembra tanto testardo quanto arido nell'animo. Tuttavia, penso, e spero, che tu sarai in grado di gestire anche un animo tormentato come il suo: del resto, la diplomazia è quella dote che ti eleva al di sopra di tutti gli altri uomini. Io non sono portato per queste cose, e lo sai bene, ma non voglio deludere le tue aspettative, e fino a quando non riceverò tue notizie, tenterò con ogni mezzo in mio possesso di estorcere a quest'uomo tanto strano informazioni in merito a ciò che desidera comunicarti. Naturalmente, se vorrai, sarò ben disposto ad indirizzare la comitiva a Pisa: non voglio crearti disturbo, per quanto necessario. 
Un abbraccio ai miei nipoti e alla cara Clarice, 
tuo sempre fidato Giuliano.

 

Aveva appena apposto il sigillo alla lettera, chiudendola con lo stemma dei Medici che svettava maestoso anche sulla ceralacca, quando un lieve bussare alla porta lo distrasse per un momento dalle sue preoccupazioni. «Avanti», ordinò, senza neanche voltarsi. 
Del resto, non aveva bisogno di voltarsi per capire che quella che aveva appena fatto il suo ingresso nella stanza poteva essere solo una persona. «Cominciavo a temere che non ti avrei vista, oggi», la salutò, continuando a tenere lo sguardo sulla lettera, la mente piena di domande.
Quando posò gli occhi su di lei, però, ogni sua preoccupazione venne sostituita da un'incontenibile gioia. Fu come se un sole gli si irradiasse nel petto, come se il suo cuore fosse stato sostituito da una fiamma viva ed inestinguibile. Era quello l'amore? 
La ragazza se ne stava immobile, meditabonda, il viso rischiarato da un debole sorriso. Non indossava abiti di foggia nobile, e Giuliano immaginò che se il duca di Calabria l'avesse vista girovagare nei dintorni, l'avrebbe sicuramente cacciata via. Del resto, nobile non lo era affatto, anzi. Era la figlia di un carrozzaio, un pover'uomo la cui attività aveva certamente visto tempi migliori. Non avendo avuto figli maschi, quella fanciulla era la sua unica erede, la sua unica ricchezza. 
Giuliano ricordava la prima volta che si era imbattuto in lei. Era passato meno di un anno, ma sembravano passati secoli. 
Si era a maggio, a quel tempo, e i giovani signori della città strepitavano per celebrare la festa di Calendimaggio, l'arrivo della primavera. In tale occasione tutti loro avrebbero dovuto scegliere la dama più bella, e vincerne il cuore appuntando un mazzolino di fiori sotto la loro finestra. Ma a Giuliano non interessava più, l'amore. Anzi, lo fuggiva, dal momento che, a suo dire, il suo cuore era morto con l'unica dama che gliel'aveva portato via. Era passato appena un anno da quando gli occhi di Simonetta Vespucci si erano chiusi per sempre, e ciononostante lui non voleva rassegnarsi a quell'evidenza. Perciò, quel giorno, nonostante l'indole festaiola che spesso ostentava in compagnia, era stato restio a prendere parte ai festeggiamenti. Se n'era rimasto tutto il tempo in disparte, le immagini che scorrevano sotto ai suoi occhi come fossero appartenenti ad un'altra dimensione. Gli schiamazzi, le grida, e le risatine frivole delle fanciulle non erano riusciti a dissipare quella sorta di torpore che permeava ogni singola fibra del suo corpo. Si era finalmente convinto a rincasare, dopo aver assistito all'ennesima scalata di una finestra da parte di uno dei suoi amici, quando, passando per la Via Larga, una piccola folla aveva attirato la sua attenzione. E malgrado la cosa fosse più che normale, in una giornata come quella, non aveva potuto fare a meno di avvicinarsi, non curandosi affatto di portarsi una scorta. 
Oltre le teste degli spettatori, Giuliano era riuscito a scorgere molto distintamente la chioma di capelli corvini, scintillanti alla luce rossastra del tramonto. Lei danzava, danzava con un tale trasporto che Giuliano si era chiesto se effettivamente avesse preso coscienza del semicerchio di persone che stavano ad osservarla. Solo quando il Saltarello era sfumato in uno scrosciante applauso, la fanciulla si era concessa un timido inchino, insieme con la sua compagna di danza. Entrambe avevano fiori intrecciati nei capelli, che ricadevano morbidi sulle spalle, e indossavano abiti modesti. Ma lui non se ne era curato minimamente. Era rimasto fortemente colpito da una scena tanto semplice e ordinaria in quel contesto, e aveva messo da parte ogni forma di buonsenso. Da quel giorno in poi, il suo cuore aveva ricominciato a battere. Era stata una rinascita: le veglie notturne, i corteggiamenti, le arrampicate fino alla finestra della camera. Era determinato a vincere il cuore di Fioretta, e c'era riuscito. E ora, mesi dopo, nel grembo di lei cresceva il suo erede. 
«Ho visto parecchi soldati giù nel cortile», esordì la ragazza abbandonandosi su uno scranno, «che cosa ci fanno? Non sembravano fiorentini». Giuliano stette un po' ad osservarla lisciarsi le gonne con noncuranza, come incantato. Poi il pensiero dei soldati del duca di Calabria e dei suoi soldati tornò dolorosamente a colpirlo come un fulmine a ciel sereno. 
«Lorenzo ha lasciato la città la notte scorsa, e ora mi ritrovo a fare i conti con il figlio del re di Napoli», disse tutto d'un fiato, mascherando con somma maestria ogni suo turbamento dietro un sorriso rassicurante. Fioretta, dal canto suo sgranò gli occhi, sorpresa. «E come pensi di fare?».
Giuliano si strinse nelle spalle, i dubbi che lo travolgevano ancora una volta. Aprì la bocca per rispondere, ma prima che dalle sue labbra affiorasse un qualsiasi suono, un volto fece capolino dalla porta. Non aveva sentito bussare. 
«Mio signore». Da che aveva memoria, Piccarda aveva sempre servito la sua famiglia. Era una donna sulla cinquantina, i capelli grigi raccolti in un'acconciatura alquanto spartana. Tenne lo sguardo ostinatamente lontano dalla fanciulla che sedeva sullo scranno: Giuliano sapeva bene che la donna, come altri della servitù, giudicavano la sua relazione con una popolana oltre che sconveniente, pericolosa. «Messer Iacopo de' Pazzi chiede di vedervi. Dice che è urgente».
Giuliano trasse un respiro carico di rassegnazione. Qualcuno aveva proprio deciso che le cose per lui non sarebbero andate bene, quel giorno. Dopo il duca, ora si preparava ad affrontare anche il capostipite di una casata risentita dalle scelte politiche di suo fratello. 
«Grazie, Piccarda. Lo riceverò subito». 
Strinse i pugni fino a farsi male. Avrebbe risolto anche quella questione, con le buone o con le cattive. O almeno fu questo il suo pensiero, mentre varcava la soglia dell'accogliente studio per addentrarsi nell'ignoto.



 
Angolo autrice:

Sono tornata, /per vostra sfortuna/ con un altro capitolo. Credetemi, non so come ho fatto a concepirlo, ed è probabile che me ne pentirò presto. Anche questo capitolo è abbastanza introduttivo: il mio obbiettivo è quello di presentare uno dei personaggi cardine della vicenda, ovvero Giuliano, che è un personaggio molto ben definito nella mia testa (al contrario di Lorenzo, che mi sta veramente facendo entrare in crisi perché una personalità così complessa penso di non averla mai vista). Il duca di Calabria non è proprio una cosa campata per aria, dato che il re di Napoli [SPOILER] prenderà anche lui parte alla congiura, e in qualche modo volevo inserirlo. Se siete arrivati fino a qui apprezzo il vostro coraggio e vi ringrazio, mi farebbe un immenso piacere sapere cosa ne pensate. Ogni critica è ben accetta, si può sempre migliorare. Alla prossima c:

 

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: heysassenach