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Autore: Jade Tisdale    05/11/2015    1 recensioni
Seconda classificata al contest Kids of the techno divide indetto da Stareem sul forum di EFP
«C'è qualcosa che non va.»
«Uhm?»
«C'è qualcosa che non va in te» specificò, avvicinandosi alla bionda di qualche passo.
[...]
Quel bacio era molto diverso dal primo che si erano date. Era un bacio violento, aggressivo, carico di un'emozione completamente opposta all'amore.
Era un bacio di fuoco, come il nome del suo locale, come la sua anima ardente e il suo cuore in fiamme, come tutte le sue speranze e i suoi sogni bruciati.
Genere: Romantico, Science-fiction, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Nyssa al Ghul, Sarah Lance
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Kiss of Fire

 

 

Esistono luoghi in cui la vita è difficile, sotto ogni punto di vista. Luoghi in cui si farebbe di tutto pur di guadagnare qualche spicciolo e garantirsi un tetto sopra la propria testa.
Si tratta di luoghi in cui predomina la legge del più forte, luoghi in cui, ogni volta che si mette piede fuori di casa, si rischia la vita.
Sono luoghi in cui l'amore, la fedeltà, e la speranza non esistono; sono invece luoghi colmi di persone sole, spaventate e totalmente indifese.
Lo Sprawl era indubbiamente uno di quei luoghi.


Sara varcò la soglia del locale con un vuoto allo stomaco. L'odore di marijuana e whisky le invase le narici, e dovette trattenersi dal vomitare. La musica troppo alta le rimbombò nelle orecchie, provocandole fin da subito un forte mal di testa.
Iniziamo bene.
Il salone era pieno di noti miliardari residenti nello Sprawl: da Norman Frost ad Anthony Green, c'era chi si beveva un alcolico comodamente seduto al bancone, chi flirtava con la barista come stava facendo il suo vicino Andy Campbell, e chi, ancora, si scatenava nella pista circondato da diverse donne, presumibilmente escort.
Non vi erano molti locali notturni nello Sprawl -anche se, in realtà, più che un pub a Sara pareva un night club-, per questo aveva sbarrato gli occhi quando aveva scoperto che il Kiss of Fire si trovava in un vicolo nascosto a un centinaio di metri dal suo appartamento. E, ovviamente, non poteva immaginare che quei pochi ricchi dello Sprawl sprecassero i loro averi in un locale del genere.
La proprietaria era Nyssa Raatko, una donna di cui pochi avevano avuto l'onore di vederne il volto. Veniva chiamata “la donna in rosso” perché indossava sempre un abito del medesimo colore, e non si mostrava mai in pubblico senza rossetto. Giravano alcune voci in cui si diceva che fosse bellissima e letale. Non era noto, però, in che cosa fosse letale.
La sua attenzione fu catturata da un uomo con una divisa nera, in piedi di fronte ad una porta di legno vicino al bancone del bar.
Un bodyguard, probabilmente.
Si avvicinò a lui cercando di rimanere calma, ma l'occhiataccia che le riservò non fu molto d'aiuto.
«Dove credi di andare, ragazzina?»
Sara deglutì impercettibilmente: «Devo vedere la signorina Raatko.»
«Non mi risulta che stia aspettando delle visite. Levati dai piedi prima che-»
«Sì, invece» proseguì lei, aprendo appena la cerniera della borsa che aveva tra le mani per mostrargli il contenuto. «È stata lei a contattarmi. Sono Felicity Smoak.»
La guardia la squadrò da capo a piedi: i lunghi capelli biondi le ricadevano sulle spalle, facendola sembrare più giovane di quanto già non fosse. Indossava una t-shirt verde militare, logora e sbiadita: aveva i jeans bucati e strappati in diversi punti, e si capiva benissimo che non era stata una decorazione volontaria. Una persona qualsiasi l'avrebbe sicuramente mandata via a calci nel sedere, considerato che aveva l'aspetto di una ladra, o di una senzatetto.
L'uomo, infatti, inarcò un sopracciglio, non del tutto convinto. Spostò il peso da una gamba all'altra, chiedendosi se fosse il caso di far passare quella ragazza. «Seguimi» disse ad un tratto, aprendo la porta alle sue spalle.
Sara lo seguì titubante, aumentando la presa sul manico della borsa. Dopo aver camminato per una ventina di metri in un corridoio buio, i due giunsero in una stanza alquanto bizzarra.
Le pareti erano decorate con dei quadri orrendi, raffiguranti principalmente figure femminili distorte, surreali. Al centro della sala spiccavano due divani di pelle nera, in cui in uno erano seduti un uomo e una donna. Lei fumava lentamente la sua sigaretta con fare provocante e al tempo stesso digitava sulla tastiera del telefonino, mentre lui osservava silenziosamente ogni suo movimento; dietro di loro, quattro guardie del corpo scrutavano attentamente Sara.
Di fronte alla coppia, su un tavolino di vetro, vi erano numerose bottiglie di birra, tutte vuote, e un posacenere grigio.
In quella stanza non c'era lo stesso trambusto della pista da ballo, ma un piacevole silenzio. L'unico lato positivo, probabilmente.
«Signorina Raatko, c'è una donna che desidera parlare con lei» esordì il bodyguard, indicando Sara con lo sguardo. «Dice di chiamarsi Felicity Smoak.»
Fu allora che la bionda osservò con più attenzione la donna che si trovava di fronte a lei. Aveva lunghi capelli neri, che le incorniciavano perfettamente il viso: indossava un abito corto, rosso, e attillato, che delineava le sue forme, in particolare il seno prosperoso. Il colore delle sue labbra era rosso fiammante, come quello del suo abito. Era più bella di come l'avevano descritta.
«Ma certo. Va’ pure, ci penso io a lei» rispose la mora, continuando a tenere lo sguardo fisso sul suo cellulare.
L'uomo annuì lentamente e, dopo aver lanciato un'ultima occhiata a Sara, scomparve nuovamente nel corridoio.
Non appena udì il rumore della porta che si chiudeva, la donna in rosso lasciò uscire il fumo dalla sua bocca con un soffio, passando poi la sigaretta all'uomo seduto al suo fianco.
«Spero che tu sia all'altezza delle mie aspettative.»
La sua voce era suadente, profonda. Era la voce di una donna sicura di sé, autoritaria, che non si lasciava intimidire facilmente.
Sara ne rimase subito ammaliata.
Non appena la mora alzò lo sguardo, per un attimo fu come se il mondo si fosse fermato: Sara non vide altro che gli occhi nocciola di Nyssa, mentre nella mente di quest'ultima si insidiò una consapevolezza per niente spiacevole.
«Tu non sei Felicity Smoak.»
Sara deglutì ancora, mentre i battiti del suo cuore aumentavano con rapidità.
«Felicity non è riuscita a venire a causa di un problema personale» spiegò la bionda, andandosi a sedere nel divano posto di fronte alla sua interlocutrice. «Sara Lance, l'assistente di Felicity. Lieta di lavorare per lei, signorina Raatko.»
Sul volto della mora andò a formarsi un piccolo sorriso di sfida. «Bene, piccolo angelo[1]. Vediamo che sai fare.»
La bionda si lasciò andare ad un respiro profondo, dopodiché estrasse il computer dalla tracolla, poggiandolo sulle sue gambe tremanti.
«Dunque, vorrei che tu ricavassi tutti i dati riguardanti il locale, in ogni ambito: contabilità, denunce, anomalie. Qualsiasi cosa ti salti all'occhio è ben accetta.»
Sara digitò per qualche secondo sulla tastiera. «Dalla data di apertura?»
«Dalla data di apertura.»
L'hacker si portò distrattamente una ciocca di capelli dietro all'orecchio: «Motivi personali o...»
«Motivi personali, sì» rispose Nyssa, accavallando le gambe.
Sara sospirò lievemente, osservando un punto fisso nel vuoto per non incontrare nuovamente lo sguardo di Nyssa. «Mi ci vorrà più tempo» spiegò, abbassando lo schermo del pc. «Qualche ora, come minimo.»
Nyssa alzò un sopracciglio, mentre l'uomo accanto a lei stappava l'ennesima bottiglia di birra e gliela porgeva. «Te ne concederò ventiquattro» disse, prestando nuovamente attenzione al suo cellulare. «Ma se domani, a quest'ora, ti presenterai a mani vuote, scordati i miei soldi.»
Un brivido attraversò la schiena di Sara: «Mi creda, signorina Raatko. Non la deluderò.»

*

Nyssa mandò giù il Daiquiri in un sorso solo, poggiando con delicatezza il bicchiere da cocktail sul bancone. Si leccò leggermente le labbra contornate dal solito rossetto scarlatto, assaporando il dolce gusto del drink.
«Posso offrirle qualcosa, signorina Lance?»
Sara sussultò lievemente. La mora era voltata di spalle e lei era appena arrivata; pertanto, le parve molto strano che fosse riuscita a sentirla, tenendo conto del volume eccessivamente alto della musica all'interno del locale.
«No, sono a posto così» rispose l'hacker, iniziando a sentirsi a disagio. «Se non le dispiace, preferirei darle ciò che mi ha chiesto e levare le tende.»
Nyssa delineò un sorriso: «Come desideri.»
Estrasse dalla borsetta il suo cellulare, dopodiché allungo una mano in direzione di Sara: quest'ultima le porse rapidamente la chiavetta nella quale erano contenuti tutti i dati che aveva raccolto. Nyssa la inserì direttamente nella porta usb del telefonino, sotto lo sguardo confuso di Sara.
«Non credevo che la tecnologia si fosse spinta così avanti» ironizzò quest'ultima, indicando il cellulare con lo sguardo.
«Diciamo che ho apportato volontariamente qualche piccola modifica» fu la schietta risposta della donna. Sullo schermo si susseguirono una serie di dati ad una velocità elevatissima, tanto che Sara stessa, quando li aveva trovati, aveva faticato a leggerli tutti. Per Nyssa, invece, pareva quasi una cosa normalissima.
Bastarono un paio di minuti affinché la mora alzasse lo sguardo, apparentemente soddisfatta dal lavoro svolto da Sara. «Vieni con me.»
L'hacker fece come le fu detto. Imboccarono nuovamente il corridoio nascosto dietro alla porta di legno, ma questa volta, Nyssa condusse Sara in una stanza diversa rispetto a quella del giorno precedente.
C'erano scatole di alcolici ovunque, sia per terra che negli scaffali. Alcune bottiglie erano già aperte, altre completamente sigillate. E c'era un odore nauseabondo.
Era il magazzino del locale.
Nyssa si avvicinò ad un vecchio mobile impolverato. Aprì entrambe le ante, dopodiché inserì il codice nella cassaforte che si trovava al suo interno, estraendo una modesta quantità di denaro.
«Quattrocento bigliettoni, come d'accordo.»
La bionda prese le banconote senza pensarci due volte, ma la sua curiosità le impedì di tenere la bocca chiusa. «Erano trecento, e non mi hai ancora detto se sei soddisfatta o meno del mio lavoro.»
La proprietaria del pub chiuse la cassaforte con uno scatto, senza degnare di uno sguardo la sua interlocutrice. «I cento dollari sono un anticipo.»
«Un anticipo di cosa?»
«Un anticipo del tuo futuro lavoro. Se non l'avessi capito, il compito che ti ho assegnato era una semplice prova» disse, porgendo una bottiglia di birra a Sara, che quest'ultima non accettò. «Se fosse stata Felicity a presentarsi, non lo avrei fatto. Tu, invece, sei una sconosciuta per me. Avevo bisogno di valutare le tue capacità. Dovevo capire se saresti stata all'altezza del vero compito che dovevo affidarti.»
L'hacker inspirò profondamente, assimilando il significato di quelle parole. «Non ho fatto un granché.»
«Hai scovato documenti che dovrebbero essere stati eliminati anni fa, ti sei appropriata di dati protetti senza farti beccare, e sei arrivata dopo ventiquattro ore esatte con una chiavetta criptata, accessibile solamente dal mio cellulare. Questo dimostra le tue notevoli doti in campo informatico.» La donna fece una pausa, stringendo la bottiglia con entrambe le mani. «Ho contattato molti netrunners prima di giungere alla signorina Smoak, e tutti loro hanno miseramente fallito in questo piccolo test. Dovresti essere onorata del fatto che io ti abbia scelta, nonostante ti sia presentata al posto di Felicity.»
Sara incrociò le braccia, alzando il viso con fare superiore. «Nulla che io non mi sia guadagnata.»
Nyssa delineò un sorriso soddisfatto: «Vieni a cercarmi venerdì dopo la mezzanotte. Ti affiderò il tuo primo incarico» spiegò, dirigendosi verso la porta di uscita, ancora con la bottiglia in mano. Poco prima di abbandonare il magazzino, domandò: «Come hai conosciuto Felicity?»
«Potrei farti la stessa domanda» soffiò Sara, avvicinandosi a lei di qualche passo. «E, personalmente, sono veramente curiosa di sentire la tua risposta.»
Di fronte all'aria di sfida della bionda, Nyssa esitò. Allungò nuovamente il braccio nella sua direzione, deglutendo sommessamente: «Prendi la birra e va’ a casa, Sara.»

*

Era mezzanotte e un quarto. Ed era venerdì.
Sara varcò la soglia del pub con una consapevolezza rassicurante: se avesse iniziato a lavorare per Nyssa, forse sarebbe sopravvissuta. I suoi soldi l'avrebbero aiutata a vivere il più a lungo possibile, e forse le avrebbero garantito di pagare l'affitto ancora per qualche mese. Forse.
Attraversò il corridoio che portava al salottino di Nyssa stringendo tra le mani la stessa tracolla di pochi giorni prima e, non appena si rese conto della scena che stava avvenendo davanti ai suoi occhi, aumentò inconsciamente la presa su di essa.
Un uomo, diverso da quello dell'ultima volta, stava baciando in modo abbastanza animalesco il collo di Nyssa. Iniziò a scendere lentamente lungo il suo corpo, baciandone ogni centimetro di pelle, prima la spalla destra, poi sempre più giù, fino all'incavo dei seni. Fu allora che la mora si accorse della presenza di Sara, in piedi sullo stipite della porta.
Allontanò con nonchalance l'uomo, e le bastò rivolgergli un'occhiataccia per fargli capire che doveva levarsi dai piedi. Quest'ultimo le lasciò un ultimo bacio sulle labbra prima di scomparire definitivamente dalla sua visuale.
Sara si sedette di fronte a lei fingendo di non aver visto nulla: estrasse il computer dalla borsa, iniziando a digitare alcuni numeri sulla tastiera con indifferenza. «Questa volta niente guardie del corpo?» domandò, mantenendo lo sguardo fisso sullo schermo.
«Avevo bisogno di privacy» disse la mora, accendendosi una sigaretta. «E mi fido di te.»
Sara deglutì, ignorando completamente l'ultima frase. La donna in rosso accavallò le gambe, lasciando uscire lentamente il fumo dalla sua bocca.
«A Felicity sta bene che tu le abbia soffiato il lavoro?»
La bionda alzò leggermente il viso, mostrandosi totalmente impassibile. Nyssa aveva intuito qualcosa, ne era certa.
«Non ha nulla in contrario al riguardo» soffiò, scostandosi una ciocca di capelli dietro all'orecchio.
La mora annuì leggermente, portandosi nuovamente la sigaretta alle labbra. «Tu, invece? Vuoi davvero accettare questo lavoro?»
«Certo che lo voglio» rispose frettolosamente l'hacker, temendo che Nyssa l'avesse rimpiazzata ancora prima di affidarle il suo primo incarico. «Ho bisogno di questo lavoro. Ho bisogno di quei soldi.»
La donna in rosso picchiettò la sigaretta sopra al posacenere, dedicando alla bionda un sorriso malizioso. «Bene.»
«Hai cambiato idea, per caso?»
Nyssa scosse la testa. «Assolutamente no. Volevo solo assicurarmi che fossi ancora convinta.»
Sara deglutì ancora, e mai come in quel momento ringraziò il cielo per averle dato quell'opportunità.
«Per cominciare, ho bisogno che tu faccia una piccola ricerca su un uomo, Izo Shimura. Voglio i tabulati del suo conto corrente degli ultimi due anni: entrate, uscite, e qualsiasi altro movimento sospetto.»
«Alla faccia della “piccola” ricerca» ironizzò la bionda, digitando il nome dell'uomo sulla tastiera del suo portatile.
Dopo pochi secondi, sul suo volto si fece spazio un'espressione confusa. «Secondo il motore di ricerca, questo nome è inesistente in qualsiasi parte del mondo. È impossibile.»
«È possibile, invece» affermò la mora, alzando leggermente il capo. «Shimura è un tipo tosto, e non permetterebbe a nessuno di immischiarsi nei propri affari. Per evitare che qualcuno venisse a conoscenza delle sue imprese losche, ha fatto in modo che ogni informazione che lo riguardava sparisse del tutto.» Nyssa spense la sigaretta all'interno del posacenere, dedicando nuovamente un piccolo sorriso all'altra donna. «Per questo motivo dovrai accedere alla Rete[2] per scoprire qualcosa sul suo conto.»
Sara ripose il pc all'interno della tracolla, consapevole che quella sera non le sarebbe servito.
«Nyssa» esordì, indecisa se porgli quella domanda o meno. «Chi è quest'uomo?»
La donna esitò, rigirandosi nervosamente tra le mani il pacchetto di sigarette. «È un membro di un'importante organizzazione di cui non ricordo il nome, purtroppo.»
«Un membro della Yakuza[3], per caso?»
Nyssa sussultò lievemente, mentre il battito del suo cuore aumentava rapidità. Non era solita sentirsi in colpa nei confronti di qualcuno, ma in quel momento, non riuscì a mentire alla sua interlocutrice. «Sì.»
L'hacker si passò una mano tra i capelli con fare nervoso.
«Se te lo avessi detto, non avresti accettato, e io avevo davvero bisogno di qualcuno che mi aiutasse» si giustificò Nyssa, temendo che questa volta Sara avrebbe cambiato idea per davvero. «Mi dispiace. Ora, tu...»
«Non me ne vado» la rassicurò la bionda, scuotendo leggermente il capo. «Te l'ho già detto, mi servono i tuoi soldi.»
La mora si sporse leggermente in avanti, puntando i suoi occhi nocciola in quelli di Sara. «Tu sai a cosa andrai incontro, vero?»
«Rischio la vita ogni giorno mettendo piede fuori da casa mia. La Rete non mi spaventa» spiegò, con una convinzione nella voce che non le apparteneva.
«Adoro le persone determinate come te.» Nyssa accese un'altra sigaretta: questa volta, però, la porse alla donna seduta di fronte a lei, che la accettò senza troppi convenevoli.

*

Non era trascorso molto tempo dall'ultima volta che era entrata nella Rete, ma erano passati anni da quando aveva assistito ad un'infiltrazione nei sistemi informatici delle corporazioni. E questa volta aveva paura.
Sara osservò esitante la luce emanata dal suo portatile nella stanza buia. Stappò la bottiglia di birra che Nyssa le aveva regalato pochi giorni prima, ma non la bevve subito. Lo avrebbe fatto se fosse tornata indietro.
Chiuse gli occhi, e per un attimo le ritornarono alla mente le emozioni di un tempo: la velocità folle in cui tutto si muoveva all'interno della Rete, la miriade di dati che le scorrevano davanti agli occhi, l'adrenalina, l'insicurezza, la paura di essere beccata e di sentire il rumore del proprio cervello che si friggeva.
Sospirò, mandando giù un sorso di birra. Forse non ci sarebbe stata un'altra occasione per bere. O forse, se fosse stata brava almeno la metà di quanto pensasse Nyssa, sarebbe andato tutto per il meglio. E magari in passato aveva fallito proprio perché non c'era stato qualcuno che credeva in lei.

*

Sara poggiò la chiavetta sul tavolino di vetro, lanciando poi un'occhiata a Nyssa, intenta a limarsi un'unghia smaltata di rosso. La proprietaria del locale alzò lo sguardo nello stesso momento, e non appena incontrò quello di Sara, sul suo volto andò a formarsi un'espressione stupita.
«Andate via. Adesso.»
Le due guardie situate dietro alla mora si scambiarono un'occhiata confusa, ma eseguirono all'istante il volere della loro padrona.
Nyssa parlò nuovamente non appena sentì il rumore della porta che si chiudeva. «Stai bene?»
«Certo. Perché non dovrei?» domandò la bionda, andandosi a sedere nella sua solita postazione.
Nyssa non rispose in alcun modo. Si affrettò a verificare che la chiavetta contenesse tutti i dati, inserendola nella porta usb del cellulare come aveva fatto l'ultima volta.
«Per farla breve, Izo Shimura non è nient'altro che un leccapiedi. È un noto mafioso della Yakuza, certo, ma non ha fatto granché» spiegò Sara, prendendo una sigaretta dal pacchetto di Nyssa. «Tutti i soldi che sono sul suo conto, come puoi immaginare, sono sporchi. Shimura si diverte ad acquistare aziende per ridurre notevolmente il salario dei dipendenti, e tutto per fare colpo sul suo capo, un tale Toshiro Akiyama, che è-»
«Il capo della Yakuza» concluse Nyssa, abbozzando un sorriso soddisfatto.
Sara annuì, portandosi la sigaretta vicino alla bocca. «Akiyama è troppo anziano per continuare a dirigere l'organizzazione, per questo ha dato l'opportunità a quattro dei suoi uomini più fidati di giocarsi il posto di nuovo boss della Yakuza.» Lasciò uscire lentamente il fumo dalla sua bocca, creando una scia grigia circolare. «Izo Shimura, Eisen Okuda, Akira Kanagawa e, ovviamente, non poteva mancare suo figlio, Zenko Akiyama. Hanno sei mesi di tempo per dimostrare a Toshiro chi di loro è il migliore. Il resto lo trovi sulla chiavetta.»
Il sorriso sul viso di Nyssa si ampliò a dismisura, esprimendo tutta la sua riconoscenza: «I miei complimenti, signorina Lance. A quanto pare non mi sbagliavo sul suo conto.»
L'hacker, a quelle parole, mantenne la solita espressione impassibile. «A proposito di conto, sarei al verde» disse, schiarendosi leggermente la voce.
La donna in rosso abbassò lo sguardo per un attimo. «Ma certo. Torno subito.»
E, detto questo, uscì dalla stanza, lasciando Sara sola con vari pensieri e preoccupazioni.

*

Nelle settimane successive, Sara si presentò al Kiss of Fire di rado. Dopo essere entrata in possesso dei dati personali di Shimura, infatti, Nyssa le aveva proposto di presentarsi al locale sempre e solo il venerdì dopo la mezzanotte. La cifra che sarebbe spettata all'hacker sarebbe cambiata di volta in volta, in base a quante informazioni avrebbe trovato e alla loro qualità.
In questo modo, la vita di Sara divenne abbastanza monotona: dormiva di giorno e restava in piedi tutta la notte alla ricerca di dati. L'oscurità la aiutava a concentrarsi.
Ricavò numerose informazioni riguardanti Okuda, Kanagawa, e lo stesso Toshiro Akiyama, aggiornando Nyssa di volta in volta. Di Zenko, però, non c'era alcuna traccia.
Più e più volte Sara era entrata nel sistema superprotetto (per modo di dire, visto che lei vi accedeva senza lasciare alcuna traccia) della Yakuza, senza riuscire a trovare qualcosa che non andasse in lui.
Si trattava pur sempre del figlio di un boss mafioso -del più potente boss mafioso del mondo, per correttezza. Com'era possibile che non avesse precedenti? O un conto in banca prosperoso?
Invece niente. Era completamente pulito.


«Ieri notte Kanagawa è finito all'ospedale. Secondo i giornali e i media, la persona che ha tentato di ammazzarlo non ha lasciato tracce. Secondo le mie fonti, invece,» spiegò, ruotando il pc in modo che Nyssa potesse leggere ciò che c'era scritto sullo schermo, «Kanagawa ha tentato di difendersi, procurando una piccola ferita sul braccio dell'assalitore, il cui strato di pelle lesionato si trova sotto le unghie del giapponese. Ho fatto alcune analisi, e ho scovato il nome dell'aggressore: Hideko Yoshio. Una donna.»
«E che cosa voleva questa donna da Kanagawa?» domandò la mora, versando del vino all'interno di due calici.
«I soldi che le spettavano» proseguì l'hacker, accettando la bevanda. «Hideko era la sua escort abituale, ma Kanagawa doveva ancora pagarle gli ultimi sei servizi. Così è entrata di nascosto nel suo ufficio e lo ha preso a martellate su tutto il corpo, costringendolo a darle il codice della cassaforte. Kanagawa, però, non ha ceduto, e ha preferito farsi quasi ammazzare piuttosto che darle ciò che voleva.»
«Una escort molto aggressiva e un mafioso senza cervello, a quanto sembra» ironizzò Nyssa, assaporando il gusto dolce del vino appena aperto. «A proposito, perché te ne vai sempre in giro con quel vecchio pc? Non faresti prima a comprartene uno più recente?»
Sara si irrigidì di colpo. «Non ho abbastanza soldi per acquistarne uno nuovo.»
«Potrei darteli io» propose Nyssa, bevendo un altro sorso di vino.
«Questo computer ha un valore affettivo per me» disse Sara, con un tono che non ammetteva repliche. «Non ho alcuna intenzione di sostituirlo.»
La donna in rosso deglutì in silenzio, osservando l'espressione della bionda mutare di colpo. «Scusami» si limitò a dire, maledicendosi mentalmente per essere stata troppo invadente.
Sara si morse l'interno della guancia per evitare di aggiungere altro; se lo avesse fatto, sarebbe sicuramente scoppiata a piangere.


Quella notte, Sara non era riuscita a dormire. L'osservazione che Nyssa aveva rivolto al suo computer aveva fatto sì che in lei riemergessero vecchi ricordi, impedendole così di liberare la mente.
Aveva passato le ultime ore prima dell'alba a cercare altre informazioni sulle condizioni fisiche di Kanagawa -anche se era praticamente impossibile che dopo solo ventiquattro ore fosse uscito dal coma-, fino a quando il suo cellulare emise un bip.
Rimase molto scioccata nel leggere un messaggio di Nyssa, visto che non l'aveva mai contattata telefonicamente prima d'ora.
“Ho dimenticato di darti ciò che ti spetta. Passa quando vuoi.”
Era chiaro che con “ciò che ti spetta” Nyssa intendesse i suoi soldi. E Sara non ci mise molto a ricordare che, effettivamente, quella sera la donna non l'aveva pagata.
L'ora sul suo cellulare segnava le sei di mattina. Fuori il cielo era ancora scuro, ma si intravedevano i primi raggi del sole.
In fondo, non ho niente di meglio da fare si disse, alzandosi dal divano con un sospiro.


Col tempo, le guardie del corpo di Nyssa si erano abituate alla presenza di Sara nelle aree private del locale, e Nyssa stessa aveva ordinato loro di dare libero accesso all'hacker a qualunque zona del pub, in qualsiasi fascia oraria.
Per questo motivo non si stupì quando lo stesso bodyguard che le aveva sbarrato la strada la prima volta che era entrata al Kiss of Fire le disse dove si trovava Nyssa.
«È salita nel suo appartamento mezz'ora fa, subito dopo la chiusura del locale. Ti basta prendere le scale in fondo al corridoio per raggiungerla» spiegò l'uomo, indicando con lo sguardo la strada da seguire. «La signorina Raatko lascia sempre le porta d'entrata aperta, ma troverai comunque un altro uomo di guardia. Non so chi sia in turno a quest'ora. Se trovi Steve, un tizio coi baffi bianchi, probabilmente si sarà addormentato già da un pezzo. Se invece c'è Norman, un omone biondo con gli occhiali da vista, dovrebbe lasciarti passare senza nemmeno chiedere il tuo nome.»
«Grazie delle informazioni» disse Sara, non molto convinta di essere grata a quell'uomo per qualcosa.
Attraversò il corridoio come le fu detto, prendendo le scale sulla sinistra. Giunta nell'androne che conduceva all'appartamento di Nyssa, si trovò davanti un uomo seduto su una sedia di legno: russava, balbettando qualche parola insensata di tanto in tanto, e aveva i baffi bianchi.
Sara si avvicinò lentamente alla porta d'ingresso, nel tentativo di non svegliare il vecchio Steve. Bussò, e dovette attendere un paio di minuti prima che la porta si spalancasse.
Per un attimo, il respiro le venne a mancare. Nyssa indossava una vestaglia da notte beige e bianca, scollata, lunga quasi fino alle ginocchia: aveva i capelli più luminosi e fluenti del solito, segno che era uscita dalla doccia da poco.
Ed era lì, davanti a lei. In tutta la sua bellezza.
«Immaginavo saresti venuta subito» rivelò la mora, invitando l'hacker ad entrare.
Sara cercò di spostare lo sguardo da Nyssa ad un qualsiasi altro oggetto presente nel suo appartamento: si soffermò su una fotografia sbiadita su un mobile posto dietro al divano, sull'enorme orologio nero appeso al muro, sulla lampada al neon viola che illuminava la stanza, ma niente. Alla fine la sua attenzione ricadde comunque sulla snella figura dell'altra donna: quest'ultima, ad un tratto, si diresse a piedi nudi verso la stanza adiacente, facendo cenno a Sara di seguirla.
Giunta nella camera da letto, Nyssa si avvicinò a una lunga scrivania in mogano, estraendo delle banconote da un portafoglio verde. La bionda si fermò sulla soglia, ma non le sfuggì la presenza di un vecchio computer fisso sulla scrivania, all'apparenza inutilizzato da parecchio tempo.
«Ecco a te» disse la mora, porgendo il denaro all'altra donna.
Dopo aver riposto le banconote nella tasca posteriore dei jeans, Sara alzò lo sguardo, incontrando quello della donna in rosso.
Si guardarono a lungo in silenzio, l'una mettendo inconsciamente in soggezione l'altra. Dopo un tempo che a Sara parve interminabile, Nyssa parlò.
«C'è qualcosa che non va.»
«Uhm?»
«C'è qualcosa che non va in te» specificò, avvicinandosi alla bionda di qualche passo. «Da quando ti conosco non ti ho mai vista sorridere una volta. Non è normale.»
«Sei fuori di testa» soffiò Sara, trattenendo una risatina isterica.
«Io voglio aiutarti» sussurrò la mora, accarezzandole dolcemente il braccio destro. Quel lieve contatto le fece venire la pelle d'oca. «Qualunque cosa ti sia successa, io...»
«Non ho bisogno né di compassione né di amici. Voglio solo i tuoi soldi.»
«Non è vero.»
«Sì, invece.»
Nyssa puntò i suoi occhi in quelli glaciali di Sara, all'apparenza impenetrabili, ma che in realtà rivelavano inconsciamente come stavano le cose. «Non è vero.»
L'hacker si mordicchiò leggermente il labbro inferiore. Non poteva cedere proprio in quel momento, davanti a Nyssa. Non adesso.
La mora assunse un'espressione indecifrabile. Sembrava delusa, o forse era solo un modo per impietosire Sara, obbligandola così a raccontarle la verità.
Quest'ultima abbassò lo sguardo, imbarazzata. Un attimo dopo, due braccia le cinsero la vita con dolcezza.
Prima che Sara potesse capire cosa stesse succedendo, Nyssa la spinse leggermente contro al muro e un attimo dopo la baciò con le sue labbra carnose.
Il suo sapore era amaro, un misto di tabacco e vodka. La bionda si beò di quel gusto tanto insolito quanto piacevole, mentre il battito del suo cuore aumentava a dismisura.
Dopo qualche secondo, la donna in rosso si staccò da lei: iniziò ad accarezzarle dolcemente i lunghi capelli biondi, secchi e mal curati.
Fu in quel momento che Sara si rese conto di quanto lei e Nyssa fossero diverse.
La mora era splendida, sotto ogni punto di vista. La sua pelle era liscia e perfetta, e profumava di more selvatiche. Il suo appartamento era pulito e ordinato, decorato con quadri di valore e candele aromatiche. Indossava degli abiti costosi, unici, che le stavano d'incanto. Ed era bella, una di quelle bellezze che ti lasciano senza fiato, anche senza il suo rossetto rosso e il fard sulle guance.
Lei, invece, era l'esatto opposto. Viveva in un appartamento orrendo, con le pareti scrostate e i mobili di seconda mano. I suoi abiti erano macchiati e rovinati, e la sua pelle diafana era ricca di cicatrici. Non aveva un cattivo odore -fortunatamente il rubinetto della vasca da bagno funzionava quasi sempre-, ma non poteva nemmeno permettersi un deodorante o un profumo, visto che spendeva quasi tutti i suoi soldi per pagare l'affitto e le bollette. E poi, se alla fine della settimana le avanzava qualcosa, andava a comprare una cesta di pane al forno sotto casa, altrimenti rimaneva a stomaco vuoto per diversi giorni.
Sara era povera, e all'apparenza sarebbe potuta sembrare una criminale. Eppure, nonostante la diversità sociale, Nyssa continuò ad accarezzarle i capelli, pettinandoglieli con le dita come se fossero la più meravigliosa delle cose.
«Sei così bella» sussurrò poco dopo la mora, baciandole dolcemente la guancia destra.
E Sara, al sentirla pronunciare quelle parole, iniziò a piangere in silenzio, nascondendo il viso nell'incavo del suo collo.
«Non è vero» balbettò, lasciandosi sfuggire un singhiozzo.
Nyssa la strinse forte a sé, lasciandosi andare ad un sorriso sereno. Al contempo, Sara decise di godersi quel momento di pace che, pensò, non si sarebbe più verificato.

*

«Facciamo il punto della situazione» disse Nyssa, osservando attentamente i dati sul suo cellulare. «Kanagawa è ancora in coma, e le probabilità che si risvegli sono poche. Akiyama ha licenziato Okuda l'altro giorno perché non lo riteneva all'altezza del suo titolo. Quindi gli unici rimasti in gioco sono Shimura e l'erede della famiglia Akiyama, ma di quest'ultimo non si sa ancora nulla, giusto?»
«Sì, è così» rivelò Sara. «Ho fatto di tutto, Nyssa. Mi sono infiltrata nel database della Yakuza, nei vecchi dossier dell'FBI, ma il suo conto corrente è praticamente a zero e tutte le informazioni che lo riguardano sono letteralmente inesistenti, non trovo nemmeno la sua data di nascita. È come se Zenko fosse un fantasma» sbuffò, passandosi le mani tra i capelli. «Ma prima o poi lo troverò.»
La donna in rosso le dedicò un'occhiata severa. «Ti consiglio di lasciar stare. La Rete può diventare un luogo pericoloso se vi si accede con troppa frequenza.»
Sara inarcò entrambe le sopracciglia: «Che ne sai tu?»
Nyssa aprì un poco la bocca, ma non ne uscì alcun suono. Spostò invece lo sguardo sullo schermo del suo cellulare, ignorando spudoratamente la domanda della bionda.
Si leccò appena il labbro superiore; si era dimenticata di mettersi il rossetto.
«Ho fatto male ad assumerti» soffiò, scuotendo leggermente il capo. «Avrei dovuto cacciarti il primo giorno che ti sei presentata. Avrei dovuto cercare Felicity.»
L'hacker deglutì. «Cosa stai cercando di dirmi?»
La mora sospirò, incontrando gli occhi di ghiaccio di Sara, che la scrutavano attentamente. «Non posso permettere che ti accada qualcosa. Conoscendoti, andresti in capo al mondo pur di trovare qualcosa che riguardi Zenko, e se le sue informazioni sono davvero così protette,» si bloccò per un paio di secondi, pensando attentamente alle parole da usare «se tu le trovassi, potresti...»
«Morire?»
Questa volta fu Nyssa a deglutire. Non ebbe il coraggio di annuire.
«Anche se mi succedesse qualcosa, non sarebbe colpa tua.»
«Sono stata io ad offrirti questo lavoro.»
«Ma sono stata io a decidere di accettare» le rammentò Sara, alzando un poco la voce. «Ricordi le mie parole, vero? Io ho bisogno di soldi. Se mi licenzi, allora-»
«Ti darò tutti i soldi di cui hai bisogno» disse Nyssa, con un tono di voce estremamente basso. «Ma ti prego, cerca di non metterti nei guai.»
Sara scosse leggermente la testa, affranta. «Se al mio posto ci fosse stata Felicity, ti saresti comportata allo stesso modo?»
La donna in rosso si strinse nelle spalle, abbassando lentamente il viso. «No.»
Sara assimilò il significato di quelle parole in poco tempo. C'era qualcosa dentro di lei che la stava consumando lentamente, qualcosa che stava trattenendo per sé da troppi anni: la rabbia.
Si alzò in piedi e iniziò a camminare per la stanza con le braccia incrociate. Poi, dopo non molto, l'ira ebbe la meglio su di lei: sferrò una serie di pugni contro al muro, e le sue nocche iniziarono a bruciare fin da subito.
Malgrado ciò, continuò a colpire la parete, fino a quando le sue mani si riempirono di sangue e Nyssa le prese fra le proprie con fare preoccupato.
Sara la allontanò con uno strattone, dedicandole un ultimo sguardo prima di correre via. La lasciò sola in quella stanza che, senza di lei, a Nyssa parve più buia e silenziosa del solito.


Sara infilò le mani fasciate nelle tasche della giacca. Dopo quanto avvenuto al pub, era tornata a casa per medicarsi le nocche, ma era tornata subito in strada per un motivo sconosciuto anche a lei.
Forse aveva bisogno di fare una passeggiata per schiarirsi le idee. O forse il suo subconscio la stava pregando di ritornare al Kiss of Fire, cosa che non avrebbe fatto.
Cercò di evitare a tutti i costi la strada che conduceva al locale, dirigendosi così dalla parte opposta.
Camminò per un tempo che le parve interminabile -secondi, minuti, ore, non avrebbe saputo dire da quanto tempo era uscita-, attraversando la piazza del mercato e l'ospedale, giungendo così in un quartiere abbastanza lontano dal centro.
Si fermò all'inizio del vecchio ponte abbandonato, stringendo le mani sul parapetto. Fu allora che la vide.
All'inizio aveva faticato a riconoscerla. Era lontana, nascosta nell'oscurità, e ai suoi occhi apparve come una semplice figura nera.
Ma poi, dopo un paio di minuti, l'aveva individuata.
«Laurel?» sussurrò, incredula che fosse davvero lei.
In quello stesso istante, un tuono attirò l'attenzione della bionda. Per i successivi secondi, tutti ciò che vide fu un lampo squarciare minacciosamente il cielo: non si era nemmeno accorta che stava piovendo già da un po', e che i suoi vestiti erano praticamente fradici.
Quando si voltò, Laurel non c'era più.
Dannazione.
Sara iniziò a correre più veloce che poté, imboccando la strada più breve per tornare a casa. Scivolò un paio di volte a terra, ma non se ne curò: doveva rientrare al più presto. Quando pioveva, lo Sprawl diventava un luogo pericoloso, più di quanto già non fosse.
Ad un tratto, Sara fu bloccata per le spalle da qualcuno: dovette sbattere le palpebre diverse volte per mettere a fuoco il viso di quel qualcuno.
«Nyssa?»
La diretta interessata si scostò una ciocca di capelli bagnati dal viso, constatando che la voce che aveva pronunciato il suo nome era proprio della persona che stava cercando. «Sara.»
Le due si scambiarono una lunga occhiata, bloccandosi nel bel mezzo del marciapiede.
«Non è un bene che una donna ricca gironzoli per lo Sprawl in piena notte, coi suoi abiti costosi e una borsa di pelle.»
La donna in rosso strinse istintivamente la borsetta tra le proprie mani, a disagio.
«Che cosa vuoi?» chiese la bionda, ergendo nuovamente il suo scudo di acidità e sfacciataggine.
Nyssa prese un respiro profondo prima di parlare.
«Voglio sapere che cosa ti è preso. Voglio sapere che fine ha fatto Felicity Smoak, e voglio sapere perché ti ostini a rischiare la vita ogni giorno per una come me.»
«Vuoi sapere troppe cose.»
La pioggia cadeva cristallina, senza sosta; piccole gocce si insidiarono fluidamente tra i capelli delle due ragazze, già grondanti fino alla radice.
Nessuna delle due se ne preoccupò: continuarono a guardarsi con insistenza, come se una stesse aspettando che fosse l'altra a cedere.
E, con molta sorpresa di entrambe, fu Sara a compiere il primo passo.
«Non è sicuro restare qui. Andiamo a casa mia, prima che qualcuno ci spari.»


Non appena la porta d'ingresso fu aperta, essa emise il suo scricchiolio abituale, ma Sara non se ne preoccupò. Avrebbe mostrato a Nyssa il luogo in cui viveva, anche se era meno accogliente del suo appartamento.
Si immaginava un commento sulle pessime condizioni della casa, una battuta acida o altro, ma Nyssa rimase in silenzio e si accomodò su una sedia di legno in cucina. Sara si sedette davanti a lei.
«Non ho nulla da offrirti, se non un bicchiere d'acqua e un gabinetto con lo sciacquone funzionante.»
La donna in rosso non riuscì a nascondere un sorriso; la bionda, al contrario, cercò di mascherare al meglio le proprie emozioni. Il solo pensiero che una donna ricca fosse entrata in quella topaia che lei chiamava casa la rendeva nervosa.
«Lavoro per te da quanto? Tre mesi?» esordì dopo poco Sara, esitante. «Eppure è come se non ti conoscessi affatto.»
«Non sai niente di me, così come io non so niente di te» rispose la mora, in tono pacato. «E forse è arrivato il momento di sapere chi è realmente l'altra, non credi?»
L'hacker deglutì, osservando distrattamente le fasciature macchiate di rosso sulle sue nocche.
«Avanti,» sbuffò, lasciando andare entrambe le mani sul tavolo, «chiedimi quello che vuoi sapere.»
Nyssa sorrise ancora, e la sua domanda non tardò ad arrivare. «Cosa ti ha spinta a diventare un hacker?»
La bionda socchiuse un poco gli occhi. I ricordi le invasero la mente prima che potesse bloccarli, e in un attimo il peso sul cuore che si portava dietro da oltre un decennio si ampliò a dismisura.
«Avevo tredici anni quando è morta.»
Lasciò la frase così, a metà, senza un senso logico.
In realtà, per lei aveva senso.
In sei parole erano racchiusi il suo passato, la sua storia, e il suo dolore.
Nyssa aspettò qualche minuto prima di rompere quel tranquillo silenzio.
«Chi è morta?» domandò, sporgendosi leggermente in avanti.
Sara si portò una ciocca di capelli dietro all'orecchio, come d'abitudine. «Mia sorella.»
Nyssa deglutì, cominciando a sentirsi a disagio. «Come si chiamava?»
«Laurel» soffiò la bionda, mordicchiandosi nervosamente il labbro inferiore. «È morta davanti ai miei occhi.»
La mora fece un respiro profondo, consapevole di aver toccato un tasto dolente. «Cosa le è successo?» osò, pregando con tutta sé stessa che Sara non si arrabbiasse per la sua impertinenza.
La donna, al contrario, iniziò a raccontare ciò che era accaduto con un tono di voce piuttosto calmo.
«All'epoca le multinazionali avevano preso il potere da pochi anni, ma la delinquenza nello Sprawl si era diffusa già da un bel pezzo. Molte persone, spaventate, si erano trasferite all'interno delle corporazioni, ma i miei genitori avevano deciso di non farlo.» Fece una breve pausa, iniziando a giocherellare con un filo della sua benda. «Mio padre era un poliziotto, e amava il suo lavoro quasi quanto amava la sua famiglia. Era convinto che sarebbe riuscito a far tornare questa città la stessa di un tempo, garantendo protezione a chi ci viveva. Ma la sua era solo un'illusione.»
Un singhiozzò le morì in gola, e Nyssa intuì che qualcosa non andava. Non piangere si ripeté mentalmente l'hacker, cercando di non lasciare che le emozioni prendessero il sopravvento su di lei.
«Io e mia sorella eravamo fiere di lui e del suo coraggio, e lo appoggiavamo. Mia madre, invece, era spaventata. Voleva andarsene da qui» spiegò, mentre la sua voce si faceva sempre più acuta. «Lei stessa ci aveva vietato di uscire di casa senza la sua presenza, ma io, come ogni ragazzina stupida e cocciuta che si rispetti, scappavo di nascosto durante la notte solo per il gusto di infrangere una regola. E Laurel, nonostante non disobbedisse spesso, non mi avrebbe mai permesso di gironzolare per lo Sprawl da sola. Così, dopo la mezzanotte, uscivamo dalla finestra della nostra camera e camminavamo fino al ponte abbandonato. Era il nostro posto preferito perché non c'era nessun'altro nei dintorni, e potevamo parlare senza essere disturbate. Una notte, però, scoprimmo troppo tardi di non essere sole.»
Sara iniziò a piangere in silenzio; nel giro di poco, le sue guance si inumidirono e le si formò un nodo alla gola. Nonostante ciò, la ragazza non si scompose, e continuò a parlare come se niente fosse.
«C'erano tre uomini con dei coltelli. Volevano derubarci» sussurrò, deglutendo sommessamente. «Così, gli abbiamo dato tutto ciò che avevamo, ma poi uno di loro... ha provato a violentarmi. Laurel gli ha tirato un pugno in pieno viso non appena lui mi ha messo una mano sotto alla maglietta. E subito dopo, gli altri due hanno cominciato a picchiarla, prima calci e pugni, poi le hanno tirato i capelli fino a strapparglieli. Dopo non molto, il ragazzo che mi aveva toccata ha iniziato a torturarla con il coltello. Lei non ha neanche provato a difendersi, ed io me ne stavo lì impalata a fissarla. Avrei voluto fare qualcosa, ma non riuscivo a muovermi. Era come se le mie gambe fossero paralizzate, e...»
Nyssa prese le mani di Sara tra le proprie, iniziando ad accarezzarle le nocche bendate con delicatezza. «Basta. Non dire altro» soffiò, con gli occhi lucidi. Era troppo da sentire. Anche per una come lei.
Ma Sara non la ascoltò.
«A volte mi capita di ritornare al ponte e di vederla. So che è solo un'illusione creata dal mio subconscio, ma lei sembra così reale... ancora oggi, se chiudo gli occhi, vedo il suo volto pieno di lividi e riesco a sentirla urlare disperatamente il mio nome. Ed io, sciocca, avevo interpretato le sue grida come una richiesta di aiuto, quando invece, voleva che scappassi.» Tirò su col naso, avvertendo il peso sul cuore affievolirsi man mano che le parole le uscivano di bocca. «Sono tornata a casa, e ho detto ai miei genitori quello che era successo. Quando siamo tornati al ponte, il corpo di mia sorella non c'era più. Mio padre si è tuffato nel fiume, e dopo più di un'ora l'ha trovata. Le avevano tagliato la gola.»
Un brivido attraversò la schiena di Nyssa, che aumentò inspiegabilmente la presa sulle mani della bionda. Nello stesso istante, quest'ultima si rese conto del contatto che aveva stabilito con la donna; ritrasse in fretta le mani con fare imbarazzato, dopodiché si asciugò le guance coi palmi.
La donna in rosso attese che l'hacker si riprendesse quasi del tutto prima di porle un'altra domanda.
«Che fine hanno fatto quei bastardi?»
«Non ne ho idea. Non li ho mai trovati.»
«E i tuoi genitori?»
Sara puntò i suoi occhi in quelli nocciola di Nyssa. «Dopo la morte di Laurel, hanno voluto che ci trasferissimo all'interno delle corporazioni per garantire maggiore sicurezza a tutti e tre. Io mi sono rifiutata di partire con loro. Credevo ancora che lo Sprawl potesse essere salvato» svelò, arricciando leggermente il naso. «Non mi hanno mai incolpata esplicitamente per la morte di mia sorella, ma era ovvio che la pensassero così. In fondo, anche se sono stata io a dirgli che non volevo andarmene, loro se ne sono andati comunque. Mi hanno abbandonata qui, ed io sono rimasta sola col mio senso di colpa.»
«Non è stata colpa tua» affermò Nyssa, scuotendo leggermente la testa.
«Lo so» ammise Sara, stringendosi nelle spalle. «Ma se incolparmi per tutti questi anni gli ha messo l'anima in pace, allora non posso che essere felice per loro.»
Nyssa sospirò, passandosi distrattamente le mani sulle braccia: aveva la pelle d'oca. Si diresse verso la credenza, dalla quale estrasse un bicchiere di vetro; dopo averlo riempito d'acqua, lo porse alla bionda, che la ringraziò con un gesto del capo.
«Eri piuttosto piccola. Come hai fatto a sopravvivere da sola?» chiese poi.
«Proprio perché ero giovane, è stato facile trovare lavoro. Per quasi sei anni ho lavorato come cameriera in un ristorante giapponese, e in quei sei anni sono riuscita a racimolare abbastanza denaro per affittare questo appartamento» spiegò, poggiando il bicchiere ormai vuoto sul tavolo. «Ma il sogno che io e mia sorella condividevamo, ovvero salvare lo Sprawl, c'era ancora. Da grande Laurel voleva diventare un hacker professionista, perciò credo di aver inseguito questa strada per esaudire il suo desiderio. Per il suo ultimo compleanno, mio padre le aveva regalato un computer, lo stesso che ora utilizzo io. Non so come se lo sia procurato, visto che non ce lo saremmo potuti permettere, ma quando Laurel ha scartato il suo regalo, è scoppiata a piangere dalla gioia. Mi aveva promesso che mi avrebbe insegnato ad usarlo, e che un giorno saremmo entrate insieme nella Rete.»
Ecco perché è così importante quel vecchio pc, per lei pensò la mora, dandosi mentalmente della stupida per non aver capito il valore che quel portatile aveva per Sara.
«Sapevo che all'interno del computer c'erano tutte le ricerche e i piani di Laurel, ma non conoscendo la password, non avevo idea di come accedere. Fortunatamente, pochi mesi dopo la morte di mia sorella, conobbi Felicity. È stata lei ad insegnarmi tutto quello che so. Ed è stata lei a prendersi cura di me dopo che i miei se ne sono andati.»
Nyssa annuì, schiarendosi un poco la voce. Si soffermò su quanto le aveva raccontato Sara, provando una stretta al cuore; nel giro di poco, anche i suoi ricordi la pregarono di essere svelati.
«Mio padre è... morto quand'ero ancora una bambina» esordì, attirando la completa attenzione di Sara. «È stato un duro colpo, perché lui era un abilissimo hacker, e noi vivevamo coi soldi che lui rubava ad un vecchio mafioso. Non è mai stato beccato dalle autorità, e ha fatto il possibile per insegnarmi tutte le sue abilità fin da piccola. Dopo la sua morte, mia madre si è presa cura di me fino ai quindici anni. Lei non aveva alcuna dote e probabilmente non aveva mai toccato un computer in vita sua. Lavorava come barista al Kiss of Fire: il vecchio gestore era un uomo ricco, e per un po’ siamo andate avanti senza problemi.» Abbassò lo sguardo senza ragione, lasciandosi andare ad un pesante sospiro. «Negli ultimi tempi, prima che mia madre mi lasciasse, scoprimmo che il proprietario era malato e che aveva dovuto spendere quasi tutti i suoi risparmi per curarsi. Per questo motivo, fu costretto a notevolmente lo stipendio di mia madre. Vivevamo nel magazzino, che il vecchio ci aveva gentilmente offerto dopo che mio padre ci aveva lasciate, e avevamo a malapena abbastanza denaro per garantirci un pezzo di pane. Qualche volta rubavamo delle bibite dagli scatoloni. Poi, una mattina, mia madre non si svegliò più.»
Nyssa pronunciò l'ultima frase con un pizzico di amarezza nella voce. Era strano parlare del suo passato con qualcuno.
Non lo aveva mai fatto.
 «Non ho mai scoperto cos'avesse. Probabilmente era malata e non ha voluto dirmelo per non farmi preoccupare. Poi, il proprietario mi ha assunta al suo posto e ha cercato di prendersi cura di me come una figlia. Tre anni dopo, purtroppo, mi ha lasciata anche lui.»
Sara aprì un poco la bocca, con fare stupito. Non avrebbe mai immaginato che una donna come Nyssa avesse avuto un passato così tormentato, probabilmente più del suo.
«Come hai fatto ad ottenere il pub?» chiese poi, incuriosita.
«Il vecchio non aveva parenti, perciò aveva designato me come sua erede. Mi ha lasciato il locale, l'appartamento al piano superiore e abbastanza soldi da permettermi di vivere senza un lavoro, visto che aveva un secondo conto corrente segreto.»
«Ma allora, perché hai deciso di non chiudere il Kiss of Fire?»
Un piccolo sorriso delineò il volto della mora. «Perché mi serviva come copertura.»
La bionda inarcò un sopracciglio, più confusa di prima. A quel punto, Nyssa constatò che era giunto il momento di svelare il suo segreto.
«Ero un hacker anch'io, Sara. E come te, dopo la morte di mia madre, il mio unico desiderio è stato quello di rendere lo Sprawl un posto migliore» rivelò.
Sara assimilò il significato di quelle parole col fiato sospeso. «Non riesco a crederci.»
«Credici, invece» ironizzò Nyssa. «Se avessi saputo che anche tu avevi i miei stessi ideali, sarei stata più diretta fin dal principio.»
La bionda annuì lievemente, deglutendo. «Quindi, se eri un hacker... cosa ti è successo?»
Il cellulare di Sara emise un tintinnio, ma nessuna delle due se ne preoccupò.
«Qualche anno fa, un noto esponente della mafia italiana ha tentato di distruggere lo Sprawl tramite un terremoto fittizio.»
Sara ruotò leggermente la testa di lato. «Cordelli? Sì, ricordo che la notizia aveva fatto il giro del mondo. Cordelli voleva eliminare tutti gli abitanti dello Sprawl per motivi tutt'ora ignoti. Ed è stato un hacker rimasto anonimo ad evitare che ciò accadesse.»
La donna in rosso abbassò istintivamente lo sguardo. Fu allora che Sara capì.
«Sei stata tu» sussurrò, sbarrando gli occhi per lo stupore. Quella consapevolezza s'insidiò in lei piacevolmente, quasi fosse orgogliosa del gesto della donna. «Tu hai salvato milioni di vite... compresa la mia.»
Nyssa congiunse le mani sul tavolo. «Ho salvato lo Sprawl, ma mentre lo facevo, ci ho quasi lasciato le penne. Ho perso la vista e l'udito, e il mio sistema nervoso è stato danneggiato[4]. Da allora non mi è più stato possibile accedere alla Rete.»
«E... come hai fatto a recuperare l'uso dei sensi?»
Nyssa sospirò, torturandosi nervosamente una pellicina sull'indice destro. «Innesto artificiale ai timpani e occhi bionici ad alta tecnologia. Posso sentire il tuo respiro a lunga distanza, e posso leggere un libro come quello ad una velocità molto elevata» spiegò, indicando un tomo situato sopra una mensola. Avrà avuto più di cinquecento pagine.
Sara annuì lievemente, riuscendo finalmente a capire da dove provenissero le notevoli capacità uditive e visive di Nyssa, ma fu comunque incapace di nascondere il suo stupore. «Figo. Immagino che quindi non ti sfugga mai un pettegolezzo sul tuo conto.»
La donna in rosso fece una piccola risata. «Magari. Purtroppo, anche se la mia vista è più che perfetta, il mio udito è abbastanza limitato. Molte volte i chips risultano danneggiati e a malapena riesco a sentire la voce di una persona seduta di fianco a me.»
La bionda si strinse nelle spalle. «Potrei modificare i chips, se vuoi. Potrei provare a migliorarli...» sussurrò, le guance lievemente arrossate.
Nyssa annuì, delineando un sorriso. «Mi piacerebbe molto.»
Il cellulare dell'hacker emise nuovamente un tintinnio; la ragazza diede una rapida occhiata allo schermo, per poi porre una domanda a Nyssa.
«Chi ti ha aiutata a recuperare la vista e l'udito?»
La mora abbassò ancora lo sguardo, a disagio. «Felicity Smoak.»
Nella stanza calò il silenzio. L'unico rumore udibile era quello emesso dalle lancette dell'orologio da muro, e nessuna delle disse una sola parola per qualche minuto.
Entrambe avevano bisogno di riflettere.
«Eravamo amiche d'infanzia. I nostri padri erano degli abilissimi hacker, ed erano partners. Io e Felicity, da bambine, passavamo molto tempo insieme, ma poi, poco dopo la morte di mio padre, lei si trasferì con la famiglia in un'altra zona dello Sprawl. Non ci siamo più riviste.» Nyssa accavallò le gambe, e deglutì. «Poi, subito dopo aver bloccato il terremoto, ho iniziato a stare male. Mi scoppiava la testa e non potevo fare nulla, perché non riuscivo né a sentire né a vedere niente, e nessuno conosceva la mia vera identità. Dopo diverse ore, qualcuno ha inserito due oggetti simili a delle cuffiette nelle mie orecchie. Fu allora che sentii la voce di Felicity. Era venuta ad aiutarmi non appena aveva capito che ero stata io a compiere quel gesto. Nei giorni successivi mi aiutò a recuperare la vista e creò questi chip per il mio udito, dopodiché, scomparve di nuovo.» Sul suo volto andò a formarsi un'espressione malinconica. «Lei è morta, non è vero?»
Sara rifletté un paio di secondi prima di rispondere. «Sì.»
Un sorriso amaro contornò le labbra di Nyssa. D'altronde, se lo aspettava.
«Felicity voleva salvare lo Sprawl, proprio come noi. Grazie agli appunti di mia sorella, avevamo un sacco di informazioni, codici e password che ci permisero di accedere a qualsiasi database. Ci infiltravamo nella Rete e ribaltavamo i piani dei governi, fermavamo attacchi terroristici, scambi di droghe. Era rischioso, ma continuavamo a farlo perché la paura di essere beccate era l'unica cosa che ci faceva dimenticare i problemi della vita reale» ammise. «Negli ultimi anni, però, Felicity era diventata strana. Spesso scompariva per giorni senza farmi avere sue notizie, e quando tornava, aveva un sacco di informazioni. Un paio di anni fa, mentre cercava di entrare nel database della Yakuza, si è imbattuta in un black ICE[5]. Le avevo detto che era presto, che non eravamo pronte per compiere un simile passo, ma lei non mi ha ascoltata. Io me ne sono rimasta in disparte, e quando il suo corpo ha cominciato a tremare, ho fatto il possibile per cercare di evitare che se ne andasse... ma ormai era già morta.»
Nyssa poté scorgere nei suoi occhi una solitudine immensa, accompagna dal rimpianto di non essere riuscita a salvare le persone a cui teneva. Esattamente ciò che provava anche lei.
«Più tardi ho scoperto che, quando Felicity scompariva, lavorava temporaneamente per alcuni sicari. Cancellava i dati riguardanti i loro crimini in ogni database esistente e gli riempiva il conto bancario in cambio di informazioni che noi non riuscivamo a trovare. E, grazie a ciò, scoprii che si era fatta un nome. Per questo ho deciso di approfittare della sua fama. Nessuno sapeva che era morta, e il mio obiettivo era quello di fare il suo stesso gioco. Per un po' ha funzionato, ma poi tu hai capito che non ero Felicity e ho temuto il peggio. Fortunatamente, però, mi hai assunta, e le informazioni che ricavavo per te, in parte, sono servite anche a me.»
«Oh.» Sulle labbra di Nyssa si formò un sorrisetto malizioso. «Quando si dice unire l'utile al dilettevole.»
Sara alzò lo sguardo, incontrando quello di Nyssa. Aveva ancora gli occhi lucidi e, probabilmente, stava trattenendo le lacrime a fatica.
Per un attimo, a Sara venne l'impulso di stringerla tra le proprie braccia, di cullarla e di rassicurarla. Ben presto quel pensiero diventò un bisogno quasi impellente, e Sara -non seppe bene come- si ritrovò a cavalcioni sopra di lei, abbracciandola con fare amorevole.
La mora trattenne il respiro per un paio di secondi, scioccata. Il battito del suo cuore aumentò a dismisura, tanto che anche Sara riuscì a percepirlo.
Si beò di quel contatto stringendo a sua volta la bionda, depositando dolcemente le mani sulla sua schiena e iniziando ad accarezzargliela lentamente.
Avrebbe voluto piangere, ma la stretta calda e rassicurante di Sara fece sparire tutti i pensieri tristi e il dolore che provava.
Le baciò appena l'incavo del collo, facendola rabbrividire. Sara si scostò da lei nello stesso istante, dedicandole un'occhiata malinconica.
«Come fai a vivere così? Come fai a vivere con la consapevolezza che tutte le persone che amavi sono morte? Come fai ad andare avanti se le hai viste andare via davanti ai tuoi occhi? Come fai ad avere questa forza? Io non ci riesco.»
Sara alzò le spalle, come se la risposta alle sue domande fosse scontata. «Ho ancora te.»
Nyssa inspirò, sentendo qualcosa dentro di sé, all'altezza del cuore, farsi improvvisamente caldo. Stava per dire qualcosa quando, ad un tratto, il cellulare di Sara emise il terzo tintinnio.
L'hacker lanciò una rapida occhiata allo schermo, senza dargli troppa attenzione.
«Dovresti vedere di cosa si tratta. Magari è importante» azzardò Nyssa, cogliendo nello sguardo di Sara un pizzico di preoccupazione.
La bionda allungò il braccio sul tavolo, prendendo il telefonino con la mano destra.
«Cos'è?» domandò la donna in rosso, incuriosita quanto preoccupata.
Sara sospirò, a disagio. «Qualche giorno fa, ho attivato una scansione automatica sui vari documenti della Yakuza, inserendo il nome di Zenko come principale elemento di ricerca. Quando sono tornata a casa per medicarmi, il mio cellulare ha scovato un file criptato nella cartella contente l'identikit dei membri della Yakuza, ma ci è voluta più di un'ora per esaminare tutti i file.»
«E ci sei riuscita senza accedere direttamente alla Rete?»
L'hacker iniziò a scorrere con l'indice sulla tastiera del cellulare. «Diciamo che ho creato un programma che mi permette di accedervi ovunque io mi trovi. Tramite un microchip che ho impiantato nel braccio destro, dotato di una connessione bluetooth, il mio cellulare accede alla Rete e scova tutto quello di cui ho bisogno in automatico, senza che sia io a dovermene occupare. E, ovviamente, blocca gli ICE prima che infettino il dispositivo» disse con fierezza, continuando a leggere i dati sul telefonino. «Finalmente l'ho trovato»
Nyssa osservò ogni movimento di Sara col fiato sospeso, consapevole che ciò che aveva trovato sarebbe stato decisivo per la loro missione. Lo sguardo sconfortato della bionda, però, non era un buon segno.
«Zenko vuole distruggere lo Sprawl» rivelò, e il suo cuore perse un battito. «Ha progettato una spedizione militare tra due mesi. Bombarderanno l'area e ci uccideranno tutti.»
Nyssa soppesò a lungo sulle parole della bionda, ma nella sua mente vi era solo un miscuglio di parole, ricordi e sofferenze.
No. Non di nuovo si ritrovò a pensare, sentendo gli occhi inumidirsi.
Ma, un attimo dopo, le mani di Sara strinsero con forza le sue.
«Ce la faremo» sussurrò, baciandole dolcemente le nocche. «Salveremo lo Sprawl, Nyssa, te lo prometto. Tu lo hai già fatto una volta. Questa volta tocca a me.»
Nyssa deglutì, e questa volta le lacrime iniziarono a scivolarle sulle guance per davvero.
«No, non puoi farlo. Non puoi rischiare la tua vita in questo modo, te l'ho già detto.»
«E da quando ti preoccupi della mia salute?» ironizzò la bionda, posando con cura le mani sulle sue guance bagnate.
«Da quando ho capito di amarti» soffiò Nyssa, esasperata. «Ora capisci perché non volevo che rischiassi la vita per una come me? Lo capisci, Sara? Lo capisci?»
«Lo capisco» rispose la bionda, in tono pacato. «Quello che invece devi capire tu, è che io voglio rischiare la mia vita per te. Lo voglio con tutta me stessa.»
Nyssa osservò i suoi meravigliosi occhi di ghiaccio per un paio di secondi prima di baciarla.
Quel bacio era molto diverso dal primo che si erano date. Era un bacio violento, aggressivo, carico di un'emozione completamente opposta all'amore.
Era un bacio di fuoco, come il nome del suo locale, come la sua anima ardente e il suo cuore in fiamme, come tutte le sue speranze e i suoi sogni bruciati.
Sara la lasciò fare senza opporsi, permettendole di sfogarsi su di lei, di liberare tutto l'amore e tutta la sofferenza che provava sul suo corpo, sulle sue labbra, sulla sua anima.
Nessuna delle due seppe esattamente come si ritrovarono nel letto dell'hacker, nude, una stretta nelle braccia calde all'altra.
Tutto ciò che Sara sapeva, era che dopo anni si sentiva nuovamente al sicuro.
Tutto quello che Nyssa sapeva, era che finalmente aveva trovato la felicità.
Entrambe sapevano di amarsi, e questo bastava.
Nyssa continuò a baciare le labbra di Sara fino a farle mancare il respiro, e quest'ultima la assecondò. Fu in quel momento che la bionda capì in che cosa Nyssa fosse definita letale: in amore.
Poteva ucciderla con uno sguardo da quanto era bella, poteva farla sentire inferiore nonostante fosse una ragazza modesta, e poteva distruggere la sua barriera di emozioni con il suono soave della sua voce. Sara non si era mai sentita così debole e forte al tempo stesso.
Quella notte, tutto ciò che le circondava cessò di esistere. Lo Sprawl, il denaro, la Rete, il Kiss of Fire, la Yakuza, il mondo, le persone, la vita.
Quella notte, in quella stanza, c'erano soltanto loro due. Il resto non contava.
Quando Sara constatò che Nyssa l'aveva baciata fino all'alba, non riuscì a non esserne felice. Un sorriso -il primo che mostrava alla sua amata- le contornò le labbra.
E Nyssa poté giurare di aver visto il suo riflesso, in quel sorriso.













[1] Nel cyberpunk, gli hacker vengono chiamati angeli, netrunners o deckers.
[2] La Rete è una realtà virtuale in cui sono racchiuse tutte le informazioni e tutto si muove ad una velocità folle.
[3] Nell'universo cyberpunk, la Yakuza è la potente mafia giapponese
[4] L'idea non mi appartiene, ma è tratta dal personaggio Case del romanzo “Neuromante”.
[5] L'ICE è un programma di sicurezza che protegge dati digitali da violazioni da parte di hacker. I black ICE sono in grado di uccidere l'hacker stesso.

   
 
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