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Autore: karter    06/11/2015    4 recensioni
Quanto tempo era passato dall'ultima volta che era stata a Osaka? Troppi anni. Aveva dimenticato i contorni della sua città natale che nonostante la sua assenza era andata avanti, ormai dimentica di quella figlia che era stata costretta ad andar via troppo presto. A quel pensiero una lacrima tentò di sfuggire al suo controllo, ma venne subito rimandata indietro. Non era più la bambina fragile che non sapeva affrontare il mondo senza l'ausilio di suo fratello e nemmeno la ragazzina indifesa che non sapeva badare a se stessa. Era cresciuta e maturata tanto in quel periodo e ora a diciassette anni era una donna forte e coraggiosa. Perciò si impose di sorridere e dandosi lo slancio si lasciò cadere giù dal muretto. Era rimasta a oziare fin troppo, era tempo di agire e lo avrebbe fatto immediatamente.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Heiji Hattori, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Io Avrò Cura Di Te Perché Tu Sei Un Essere Speciale <3 '
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Ritrovarsi






Il sole era alto nel cielo e con i suoi raggi illuminava quella calda giornata di fine maggio. Una brezza leggera scuoteva le fronde degli alberi, cullando i leggiadri petali che lasciavano il loro nido e si disperdevano nel mondo con una danza soave. In questo scenario di quiete e tranquillità, una ragazza dai lunghi capelli rossi se ne stava seduta su uno dei muretti fuori dall'aereoporto a contemplare il mondo circostante.
Quanto tempo era passato dall'ultima volta che era stata a Osaka? Troppi anni. Aveva dimenticato i contorni della sua città natale che nonostante la sua assenza era andata avanti, ormai dimentica di quella figlia che era stata costretta ad andar via troppo presto. A quel pensiero una lacrima tentò di sfuggire al suo controllo, ma venne subito rimandata indietro. Non era più la bambina fragile che non sapeva affrontare il mondo senza l'ausilio di suo fratello e nemmeno la ragazzina indifesa che non sapeva badare a se stessa. Era cresciuta e maturata tanto in quel periodo e ora a diciassette anni era una donna forte e coraggiosa. Perciò si impose di sorridere e dandosi lo slancio si lasciò cadere giù dal muretto. Era rimasta a oziare fin troppo, era tempo di agire e lo avrebbe fatto immediatamente.
Con una grande forza nello spirito recuperò le sue valigie e si apprestò a chiamare un taxi. Avrebbe preferito di gran lunga usare la sua adorata Honda nera con delle lingue di fuoco sulle fiancate, ma non era pratica per portare tutta quella roba. Sarebbe passata a riprenderla subito dopo aver posato i bagagli a casa. Casa. Ma poteva davvero considerare Osaka ancora casa sua? Certo la sua famiglia viveva felicemente in quella città, ma lei? Sarebbe potuta essere davvero felice lì? Non lo sapeva.

Il viaggio in taxi non durò molto e fortunatamente il tassista non era di molte parole. Non era in vena di chiacchiere, troppi pensieri la tormentavano.
Arrivata a destinazione sentì il cuore accelerare i battiti e non poté fare a meno di portarsi una mano sul petto, su quella cicatrice che le era stata compagna di vita. Non andava bene che si agitasse tanto, doveva rimanere calma. Prese dei lunghi respiri per tentare di far diminuire i battiti e non appena raggiunse il suo obbiettivo si avviò davanti quel portone d'ingresso.
Quante volte da bambina l'aveva varcato correndo assieme a suo fratello sotto le urla esasperate di sua madre e la risata grossa di suo padre. Pareva passato un secolo!
Con mano tremante infilò la chiave nella serratura, mentre centinaia di dubbi l'assalivano. Si chiedeva se avesse fatto la scelta giusta, se non sarebbe stato il caso di rimanere in America. Del resto la su vita ormai era lì, e poi non aveva neanche avvisato che sarebbe tornata. Che faccia avrebbero fatto i suoi genitori, avrebbero riconosciuto nella donna che si sarebbero trovati davanti agli occhi la loro bambina? Troppe domande e nessuna risposta. Quanto odiava tale situazione. Osservò ancora quella porta. Ormai era lì, non poteva più tirarsi indietro. Fece scattare la serratura e trascinò le valigie in casa. Non era cambiata molto da quando era partita in apparenza. Osservò il corridoio con il mobiletto dove tenevano le scarpe e le pantofole da indossare prima di entrare in casa. Non vi erano scarpe all'ingresso e tutte le pantofole erano al proprio posto, quindi non vi era nessuno. A tale constatazione non poté fare a meno di tirare un sospiro di sollievo. Aveva ancora un po' di tempo per prepararsi. Con il cuore più leggero si liberò delle sue sniker e si apprestò ad indossare le ciabatte che da sempre sua madre teneva da parte per gli ospiti, quando la sua attenzione venne rapita da qualcos'altro. Su uno dei ripiani c'erano allineate decine di paia di pantofole di tutte le dimensioni. La rossa le osservò un attimo e per poco non si sentì mancare il respiro. Le sue pantofole verdi con le carote erano ancora lì. Senza riuscire a fermarsi le prese tra le mani accarezzandole con lo sguardo. Quanto le aveva amate e la sua famiglia le aveva conservate, nonostante il tempo passato. Con un dolce sorriso le riposò al loro posto notando che accanto vi erano altre pantofole via via sempre più grandi. Non le ci volle molto a capire che erano state comprate tutte per lei. A quel pensiero si sentì un'idiota per tutti i suoi dubbi e afferrò con mano tremante il paio di pantofole della sua misura non riuscendo a trattenere le risate. Erano rosa con un grazioso orsacchiotto che stringeva un cuscino. Davvero carine, peccato che non fossero proprio il suo genere. Avanzò ancora in casa, volgendo lo sguardo al soggiorno (era sempre lo stesso, solo con qualche foto in più), alla cucina, al bagno, allo studio di suo padre, per poi soffermarsi davanti alle camere. Chissà com'erano loro? Con mano tremante aprì la prima porta e subito riconobbe la stanza dei suoi genitori. Quante volte si era rintanata nel lettone con i genitori perché lei e il gemello avevano paura dei tuoni? Aveva perso il conto, ormai. Passò alla seconda camera. Un letto singolo, una scrivania con libreria, un armadio e decine di vestiti, libri e riviste sparse per la stanza. Non c'erano dubbi, quella era la stanza di suo fratello. Vedendola si sentì un po' delusa. Aveva sperato di trovarvi un letto in più per lei, ma cosa si aspettava? Ormai non erano più bambini e quello scapestrato avrà avuto bisogno dei suoi spazi "vitali". Sospirò richiudendosi la porta alle spalle e aprendo l'ultima. Non le importava cosa ci fosse stato dietro. Vi avrebbe posato le valigie e sarebbe corsa a recuperare la sua moto. Quando la aprì, però, sentì il suo cuore fermarsi. Era una camera singola, con un grande balcone, un letto matrimoniale, una scrivania con libreria, un enorme armadio a parete e sparsi per la stanza c'erano tutti i suoi peluche e quei giochi che non aveva potuto portare con sé.
A quella vista si sentì mancare, ma non si lasciò sopraffare dai sentimenti, ne avrebbe avuto tutto il tempo dopo. Posò le valigie nel centro della stanza e si diresse all'ingresso. Aveva bisogno di schiarirsi le idee e per farlo le serviva la sua Honda.
Arrivò rapidamente all'aereoporto e subito corse alla ricerca del suo gioiellino. Era stato un regalo di tutti coloro che le volevano bene per i suoi sedici anni e da allora non l'aveva più lasciata. Era diventata la sua ancora di salvezza come in quel momento in cui le bastò montarci in sella per sentirsi meglio.

Con il cuore più leggero sfrecciò per le strade della città meravigliandosi di quanto in realtà fosse cambiata. Non c'era più la gelateria dove da piccola lei e suo fratello trascinavano sempre la mamma, il negozio di giocattoli che l'incantava sempre era stato sostituito da un ristorante messicano, il negozio di animali da un centro estetico. Osaka era davvero cambiata in quegli anni, proprio come lei.
Vagò ancora a lungo, cercando di far coincidere i suoi ricordi con ciò che si trovava davanti, ma non era affatto semplice, principalmente sfrecciando a quella velocità. Ma non le importava, non avrebbe rallentato per nessuna ragione. Del resto, ormai, solo la velocità riusciva a trasmetterle quel senso di libertà che per troppo tempo le era stato negato.
D'un tratto, però, la sua attenzione venne rapita da un luogo ben preciso. Anche se era ancora lontana avrebbe riconosciuto quel parco tra altri milioni. Arrivatavi parcheggiò la moto e decise di fare una passeggiata. Era rassicurante camminare per quella stradina di ciottoli nella quale da bambina riusciva a strapparsi sempre i vestiti. Sorrise al ricordo dello sguardo prima truce e poi divertito della sua mamma e delle risate di suo fratello ogni qualvolta che l'aiutava ad alzarsi. Se chiudeva gli occhi le pareva di riuscire ancora a sentire la sua voce rotta dalle risate che le diceva di essere un disastro.
Quanti bei ricordi nascondeva quel luogo e sapere che almeno quel parco non fosse cambiato in quei dodici anni la rassicurava.
Camminò a lungo per quel sentiero lasciandosi cullare dai dolci ricordi che la coglievano ogniqualvolta posava lo sguardo su un cespuglio, su un albero o su qualsiasi altra cosa. Del resto era proprio lì che era "cresciuta".
Sorrise divertita lasciandosi cullare dalla brezza leggera e da quei dolci momenti felici che le scaldavano il cuore, mentre il sole spariva dietro l'orizzonte e il cielo si tingeva di un blu cobalto sempre più intenso. Era ora di tornare a casa.
Percorse tutto il percorso a ritroso e dopo una lunga corsa in moto si ritrovò nuovamente davanti casa. Parcheggiò davanti l'ingresso e si preparò a entrare.
Stava per inserire la chiave nella serratura quando sentì un vociare concitato provenire dall'interno. Qualcuno era in casa. A quella constatazione sentì il cuore accelerare i battiti. Stava per arrivare il momento della verità. Era pronta ad affrontarlo?
Chiuse qualche secondo gli occhi, raccogliendo tutta la sua forza di volontà. Non poteva tornare indietro, non voleva.
Infilò la chiave nella serratura e la fece scattare. Nessuno era accorso a vedere. Probabilmente mancava ancora qualcuno.
Entrò con passo felpato e prese le sue pantofole dall'armadietto, notando che quelle del padre erano ancora al loro posto. Allora era lui che non era ancora rientrato. Posò il casco all'ingresso e si diresse nel luogo da cui provenivano le voci. Suo fratello, sua madre e una ragazza dai capelli castani erano seduti attorno al tavolo a sorseggiare una tazza di the. La ragazza li osservò attentamente mentre un sorriso le increspava le labbra. Nonostante il tempo passato sua madre rimaneva bellissima. I capelli neri raccolti in un'acconciatura complicata e quell'espressione serena in volto la facevano parere angelica, l'esatto opposto di quando perdeva le staffe e rimproverava lei e suo fratello. Osservò quella ragazza che chiacchierava tranquillamente con lei. Era molto carina. Aveva i capelli castani raccolti in una coda da un nastro rosa e due occhi di un cioccolato intensissimo che brillavano di luce propria ogniqualvolta il suo sguardo si posava su suo fratello. Doveva esserne molto innamorata. Infine posò lo sguardo su di lui, l'uomo più importante della sua vita e si sentì mancare il fiato. I corti capelli mori gli cadevano scomposti sul volto, evidenziando, assieme alla sua carnagione olivastra quei bellissimi smeraldi che aveva per occhi. Era bello suo fratello, lo era fin da piccolo, ma ora che era un giovane uomo lo era ancor di più. Forse se non fosse stato per quell'espressione imbronciata che metteva su fin da bambino non avrebbe mai creduto potesse essere proprio lui.
La ragazza li osservò ancora qualche minuto, cercando di placare quel turbine di emozioni che si portava dentro, quando la voce del fratello la riscosse.
-Non so chi tu sia, ma non mi pare educato spiare le persone in casa propria!- disse lasciando interdette le due donne sedute al tavolo con lui.
La rossa sorrise a quelle parole. Si sarebbe dovuto aspettare tale affermazione. Era pur sempre il miglior detective liceale dell'Ovest.
-Chiedo scusa allora- rispose la ragazza uscendo allo scoperto con un sorriso -Ma non volevo disturbare la vostra chiacchierata!-
I tre la guardarono un attimo smarriti. Era una bella ragazza. Alta e magra con la pelle molto chiara, come la donna dai capelli neri. I pantaloncini ne evidenziavano le gambe snelle e affusolate, mentre la canotta vinaccio e il giubbino di pelle le davano un aria da ribelle. Ad attirare la loro attenzione, però era il volto. Era bella, non potevano negarlo. I lunghi capelli rossi le cadevano mossi sulle esili spalle e incorniciavano quel volto dai tratti delicati, nel quale spiccavano due splendidi smeraldi, posti su un prato di leggere lentiggini. L'unica nota sbiadita era il cerchietto al labbro inferiore.
Vedendo quegli occhi la donna sentì il fiato mancarle. Non poteva avere ragione, non poteva essere lei.
-Chi sei? Come sei entrata?- chiese il ragazzo riprendendosi subito dall'incantesimo di quegli occhi.
Gli pareva di averli già visti, ma non ricordava dove.
La rossa sorrise amaramente a quelle parole. Non l'aveva riconosciuta ma cosa si aspettava? Istintivamente si portò una ciocca di capelli dietro l'orecchio mostrando il piercing al padiglione.
-Cos'è ti hanno mangiato la lingua? O forse credevi che saresti riuscita a farcela sotto al naso?- aggiunse sprezzante il ragazzo guardandola indagatore.
La rossa sbarrò gli occhi a quelle parole, prima di sorridere amaramente. Era stata una stupida a mostrarsi senza maschere, fragile e indifesa com'era sempre stata solo con lui.
-Con queste- rispose acidamente mostrando il suo paio di chiavi con quel coniglietto a peluche.
Non adorava più quegli animali, ma non aveva mai trovato il coraggio di cambiare portachiavi, era un regalo di quello stesso ragazzo che ora la guardava come se fosse stata una ladra.
-Se proprio non volevi farmi rientrare avresti potuto approfittare di questi ultimi dodici anni per cambiare la serratura, Heiji-kun!- aggiunse con tono sarcastico prima di dare le spalle ai tre -Ma non preoccuparti, non mi avrai tra i piedi per molto. Il tempo di prenotare un biglietto aereo e me ne torno in America- concluse dirigendosi in quella che sarebbe dovuta essere la sua camera.
Heiji rimase immobile, esterrefatto.
Non poteva credere a ciò che era appena accaduto. Quella ragazza non poteva essere lei. Lei era in America. Allora perché facevano male quelle parole? Perché si sentiva un emerito baka? Possibile che lui, il grande Heiji Hattori non avesse riconosciuto sua sorella e l'avesse trattata come una ladra? Non poteva crederci, non voleva, eppure.
-Non è colpa tua!- provò a rassicurarlo la madre posandogli una mano sulla spalla -Nessuno avrebbe mai potuto immaginare un suo ritorno!-
Heiji si scrollò la mano di dosso, alzando il volto e rivelando gli occhi lucidi.
-Quella è Akira!- rispose semplicemente ricacciando indietro le lacrime -E io l'ho trattata come una delinquente intrufolatasi in casa nostra per derubarci-
Kazuha osservava la scena in silenzio. Non ci aveva capito molto, l'unica cosa certa era che quella ragazza era importante per Heiji e sua madre. Si sentiva un'intrusa in quel momento. Stava assistendo a qualcosa di profondamente intimo per quella famiglia e non le pareva giusto. Stava per dire che le pareva il caso di andar via, quando Heiji parlò nuovamente.
-Che razza di detective sono se non riconosco neanche la persona più importante della mia vita!-
Fu un sussurro il suo, ma risuonò nella stanza come un urlo disperato, e fece male, a tutti.
-Io...- iniziò la mora tentando di nascondere il dolore che le avevano provocato quelle parole -Devo andare. Grazie di tutto!- continuò e prima che la signora Hattori potesse replicare era già corsa via.
La donna osservò qualche secondo la porta dietro la quale era scomparsa la ragazza. Sapeva che aveva frainteso le parole del figlio, ma ora aveva cose più importanti da fare.
Doveva riunire la sua famiglia, a qualsiasi costo.
Akira dopo aver lasciato i tre si era chiusa in camera e ora stava piangendo tutte le sue lacrime. Com'era potuta essere così stupida! Come aveva potuto credere a quei piccoli dettagli? Bugie. Le sue pantofole nel mobiletto. Bugie. La stanza tutta per lei. Bugie. Bugie. Solo bugie. Loro l'avevano dimenticata. Si era illusa che sarebbe bastato uno sguardo a Heiji per riconoscersi, che quel legame che li aveva caratterizzati da sempre si sarebbe riacceso più vivo che mai. Era stata un'ingenua, e faceva male. Troppo.
Rimase a lungo chiusa lì, lasciandosi cullare da quel dolore che le dilaniava quel cuore nuovo che avrebbe dovuto trattare con cura, ma che stava soffrendo come no mai in quel momento. Avrebbe dovuto reagire, ma non ci riusciva. Come poteva reagire a tale sofferenza? Si era rialzata tante volte nella sua breve vita, aveva affrontato tutto a testa alta, eppure questa volta era diverso. Heiji era riuscito a distruggere tutti i suoi sforzi per diventare una persona migliore. A quel pensiero si bloccò di colpo. No! Non poteva lasciarsi andare. Lei era Akira Hattori e come le aveva detto una sua cara amica anni prima, era la persona più forte sulla faccia della Terra. Sorrise al ricordo di quelle parole, mentre si asciugava le lacrime. Non avrebbe permesso a suo fratello di distruggerla!
Immediatamente si tirò su e si svestì. Aveva scoperto che quella camera aveva un bagno adiacente, quindi la mossa giusta per rimettersi in piedi era quella di fare un bel bagno caldo per permettere a tutto il dolore accumulato in quelle ore di scivolarle di dosso assieme al sapone e l'acqua calda.
Heiji era rimasto immobile in cucina a osservare il punto in cui aveva visto sparire Akira. Era stato un idiota e più il tempo passava più si sentiva peggio. Non riusciva a capire cosa gli fosse preso. Come aveva fatto a non riconoscerla? Certo non era più la bambina di cinque anni che dodici anni prima l'aveva salutato con un bacio a fior di labbra prima di prendere l'aereo che l'avrebbe portata lontana da lui, ma sempre più vicina alla guarigione, ma era sempre sua sorella. Nonostante non avesse più lo stesso aspetto di quando era andata via, era sempre la sua sorellina dagli occhi verdi e lui quegli occhi li aveva riconosciuti fin dal primo momento in cui li aveva incrociati, solo che non aveva avuto il coraggio di ammetterlo a se stesso, era troppa la paura di rimanerci male, deluso.
Eppure era stato stupido. Se solo non avesse esitato e se non si fosse comportato da idiota a quest'ora non si sarebbe ritrovato a fissare il vuoto, corroso dai sensi di colpa.
-Heiji...- lo chiamò dolcemente sua madre cercando di farlo riprendere.
Da quando aveva saputo che Akira sarebbe dovuta partire per tanto tempo non l'aveva mai visto così giu.
-Heiji, figliolo...- provò a scuoterlo, ma a nulla parevano servire i suoi tentativi.
Il diciassettenne non l'ascoltava, era chiuso in un mondo tutto suo, dove non c'era spazio per nessun altro.
La donna stava per provare a richiamarlo quando il rumore di una porta che si apriva e si chiudeva attirò la sua attenzione. Finalmente suo marito era tornato.
-Sono a casa!- urlò l'uomo dall'ingresso, togliendosi le scarpe per poi raggiungere la moglie e il figlio in cucina -Cosa c'è di buo...- iniziò, ma lo scenario che si trovò davanti agli occhi lo fece bloccare.
Sua moglie lo guardava speranzosa, nascondendo in quegli smeraldi tanta malinconia e una muta richiesta d'aiuto, mentre suo figlio era seduto a tavola con lo sguardo fisso nel vuoto e un'espressione sofferente. Stava per dire qualcosa quando la moglie gli fece segno di seguirlo fuori. Non le pareva il caso di parlare davanti a Heiji.
-Che succede?- chiese il commissario di Osaka non appena si furono allontanati dal ragazzo.
La moglie sospirò, tentando di trattenere le lacrime. Quante volte aveva sognato di vedere sua figlia entrare da quella porta con un sorriso sul volto? Aveva ormai perso il conto, eppure quando era accaduto davvero tutto era andato storto.
-A...Akira- sussurrò senza riuscire a trattenere un singhiozzo.
Che madre poteva essere una che non riconosceva il sangue del suo sangue?
Il marito la guardò a occhi sbarrati. Perché la moglie aveva pronunciato il nome della sua bambina tra le lacrime? Cosa le era successo? Stava bene? Avrebbe voluto porle tutte quelle domande, ma il solo pensiero di una risposta negativa lo distruggeva. E poi le parole che non avrebbe mai creduto di sentire.
La sua bambina era a casa. Dopo dodici anni finalmente avrebbe potuto riabbracciarla. Non stava più nella pelle. Un pensiero però lo bloccò. Se Akira era tornata, perché sua moglie piangeva e Heiji pareva un vegetale?
La donna lo guardò qualche secondo, asciugandosi le lacrime con la manica del golfino che indossava. Leggeva dubbio negli occhi di suo marito.
-Non è stato proprio il ritorno che tutti immaginavamo...- iniziò prima di raccontargli cos'era accaduto prima del suo arrivo.
-Ma com'è possibile che non l'abbiate riconosciuta?- chiese l'uomo subito dopo il racconto.
Non poteva credere al modo in cui Heiji aveva trattato sua sorella.
-Non ci saresti riuscito nemmeno tu- rispose la moglie con un sospiro -Akira è cambiata tanto, non è più la nostra bambina indifesa. È una ragazza forte e credo abbia sofferto parecchio in questi anni. Si era presentata con un sorriso, dolce e fragile allo stesso tempo, ma le è bastato sentire il tono di Heiji per cambiare. È diventata acida, crudele e sarcastica. È riuscita a distruggere il fratello con una sola frase-
L'uomo stava per replicare quando vide la porta in fondo al corridoio aprirsi e ne uscì una ragazza bellissima. Sua moglie aveva ragione non era rimasto nulla della loro bambina se non gli occhi verdi e i capelli vermigli.
-Akira...- sussurrò l'uomo vedendola venire verso di loro con passo deciso.
La rossa lo guardò qualche secondo con un'espressione gelida in volto, prima di superare lui e la madre e dirigersi verso l'ingresso.
-Domani tolgo il disturbo, non preoccupatevi non vi starò tra i piedi ancora per molto!- aggiunse prendendo il casco e sbattendo la porta dietro di sé.
I due rimasero impassibili a quella scena, prima di lasciarsi andare. Quella ragazza non era più la loro bambina.
-Io esco!- esclamò Heiji subito dopo.
Aveva lo sguardo basso e un tono distrutto, ma nessuno dei due se la sentì di fermarlo. Se aveva assistito a quella scena era probabile che avesse bisogno di rimanere solo e riuscire a discolparsi. Perché lo conoscevano Heiji e sapevano fosse oppresso dai sensi di colpa, ma presto si sarebbe risollevato e allora avrebbe lottato con le unghie e con i denti per riuscire a riprendersi la sua Aki-chan.
-Cosa vuoi?- chiese la rossa percependo dietro di sé una presenza mentre montava in sella alla sua moto.
Non aveva bisogno di voltarsi, sapeva fosse Heiji quello dietro di lei.
Il detective strinse forte i pugni lungo i fianchi a quel tono tanto acido. Quella non poteva essere sua sorella. La sua Aki-chan era dolce, gentile, fragile, ma allo stesso tempo determinata. Non aveva nulla da spartire con quella ragazza che non si era nemmeno voltata a guardarlo. Eppure, nel momento in cui era sbucata da dietro il muro della cucina, l'aveva vista la sua Aki-chan. Il suo sorriso dolce, quello sguardo che rivolgeva solo a lui e quell'insicurezza che nascondeva scostandosi i capelli dal volto. Sua sorella era ancora lì, doveva solo trovare il modo di farla riemergere, perché se era riuscito a far emergere quelle barriere invalicabili, sarebbe riuscito anche a distruggerle. Erano troppi anni che voleva riabbracciarla.
-Mi dispiace!- sussurrò chinando il capo, deciso a mostrarsi fragile, come solo con lei era sempre stato -Mi dispiace di averti trattata a quel modo, di averti dato della ladra, di non aver avuto il coraggio di ammettere a me stesso che eri davvero tu, di aver avuto paura di rimanerci male in caso avessi sbagliato. Mi dispiace di non esserti rimasto accanto come ti promisi prima della tua partenza, mi dispiace di non essere mai venuto a trovarti, mi dispiace...-
Akira ascoltava in silenzio quelle parole. Più Heiji parlava, più sentiva le lacrime far forza per distruggere quegli argini che con tanta fatica aveva costruito. Sapeva che suo fratello le stava mettendo il cuore in mano, che si stava mostrando fragile come mai era stato, solo per lei. Sapeva quanto gli costasse una cosa del genere, come sapeva di aver esagerato. La sua era stata una reazione spropositata, ma sentirsi dire una cosa del genere proprio da lui le aveva fatto troppo male.
-Akira...- continuò il ragazzo con occhi lucidi -Ti prego non abbandonarmi proprio ora che sei di nuovo qui!-
La ragazza sbarrò gli occhi. Heiji la stava supplicando, proprio lui che non aveva mai supplicato nessuno.
-Aki, di qualcosa per favore!- aggiunse senza avere il coraggio di avvicinarsi a lei.
Temeva in una sua reazione violenta.
Akira rimase qualche secondo in silenzio, prima di sorridere come solo raramente faceva.
-Datti una mossa, baka!- disse lanciando un casco al fratello e facendogli segno di salire dietro di lei.
Quale modo migliore per riallacciare un rapporto se non una bella gita in moto?
Heiji rimase qualche secondo interdetto a quell'azione prima di sorridere.
Forse non era tutto perduto.
Sfrecciarono a lungo per le strade di un'Osaka  deserta. A quell'ora la maggior parte delle persone se ne stava rintanata in qualche locale a ballare o a ubriacarsi. I due gemelli, invece, non avevano nessuna intenzione di unirsi alla massa. Avevano bisogno di chiarire troppe cose e il tempo a disposizione era sempre meno.
Ma in quel momento pareva non importare a nessuno dei due. Quel caldo abbraccio che li teneva uniti e il vento che accarezzava loro la pelle era la cosa migliore che potesse capitare loro.
-Siamo arrivati!- disse Akira parcheggiando la moto e svegliando Heiji da quel breve sogno ad occhi aperti.
Quanto gli era mancato poterla stringere a sé e bearsi dei battiti dei loro cuori che battevano all'unisono. Era sempre stata una sensazione stupenda, quasi magica.
Akira sorrise guardando l'espressione serena del fratello, sapeva cosa stava provando Heiji, perché erano le stesse sensazioni che sentiva lei. Se fosse stato per entrambi non avrebbero mai spezzato quel momento che li aveva fatti sentire tanto vicini, ma dovevano farlo. Troppe erano le questioni irrisolte tra loro e per discuterne non c'era posto migliore del loro parco.
Camminarono in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri. Quel parco era ricco di ricordi felici. Se le ricordava Akira tutti i pic-nic all'aperto organizzati non appena il padre aveva un giorno libero da lavoro per passare una giornata tutti assieme, o i semplici pomeriggi in cui la mamma li accompagnava a giocare con gli altri bambini e loro due finivano inevitabilmente per estraniarsi dal mondo circostante, come se ci fossero solo loro due e nessun altro. Era sempre stato così tra loro, bastava la presenza dell'altro per essere felice. Se li ricordava i rimproveri della loro mamma che li accusava di escludere sempre gli altri bambini dai loro giochi, nonostante di amichetti ne avessero tanti. Eppure nessuno era tanto speciale da potersi sostituire all'altro.
Sorrise a quel ricordo percependo un forte calore all'altezza del petto. Quanto tempo era che non si lasciava andare ai ricordi per cercare di non soffrire? Non lo sapeva, non più ormai.
Heiji la osservava in silenzio. Non riusciva ancora a capacitarsi di averla ancora al suo fianco. Quante volte aveva sognato di poterla rivedere, di poter parlare ancora con lei, ma soprattutto di poterla stringere forte a sé? Aveva perso il conto!
Allora perché ora che era finalmente al suo fianco non lo faceva?
Sorrise a quei pensieri, dandosi dell'idiota, prima di afferrare un braccio della sorella e costringerla a fermarsi con lui.
Akira lo osservò interrogativa per quel gesto, ma non riuscì a pronunciare una sola parola che si ritrovò stretta nel caldo abbraccio di suo fratello a nascondere il volto sul suo petto.
-Erano dodici anni che volevo farlo!- le disse il ragazzo accarezzandole dolcemente i capelli, come faceva quando nelle notti di temporale si ritrovavano a condividere il letto e a dormire abbracciati.
La rossa sbarrò gli occhi a quelle parole lasciandosi finalmente cullare da quelle braccia che, quand'era bambina, rappresentavano la sua unica ancora di salvezza da quel male che ogni giorno tentava di divorarla dall'interno e che l'aveva tenuta lontana per troppo tempo.
-Mi sei mancato, nii-san!- sussurrò la ragazza stringendo tra le dita la maglietta del fratello e permettendo a delle lacrime ribelli di rigarle il volto.
Si era ripromessa di non piangere più, ma come poteva non versare lacrime di gioia ora che si sentiva finalmente a casa?
-Anche tu, nee-chan!- le rispose il moro stringendola più forte e beandosi di quel dolce profumo di menta che aveva sempre caratterizzato la pelle della sua sorellina.
E rimasero a lungo stretti in quell'abbraccio. Tutto il resto era passato in secondo piano, in quel momento c'erano solo loro due e i loro cuori che battevano all'unisono e non potevano desiderare nulla di meglio, non in quel momento.
-Tu mi devi un po' di spiegazioni, non credi Heji-kun?- chiese con un sorriso dolcissimo Akira, separandosi da quell'abbraccio, ma intrecciando le sue dita a quelle del fratello, mentre, senza fretta riniziavano a passeggiare per quel sentiero, testimone di tutti i loro pomeriggi più belli.
-Anche tu se per questo!- le fece presente il fratello avvicinandola maggiormente a sé.
Aveva bisogno di sentirla vicina.
La rossa sorrise, di quella risata cristallina che quand'era bambina riempiva di gioia la loro casa, prima di dare un leggero pugno sul braccio del fratello.
-Si dia il caso che non ero io in compagnia di una ragazza che mi guardava con occhi sognanti!- gli fece presente.
Il moro rise di conseguenza, fingendo di massaggiarei il punto leso.
-Non sapevo ti interessassero le ragazze!- commentò però Heiji aggirando la domanda.
Possibile che neanche fosse tornata già aveva iniziato a mettere il naso in faccende che non la riguardavano, se così poteva definirle.
-Non attacca con me, dovresti saperlo!- lo smontò Akira facendogli una linguaccia -Forza chi era quella ragazza, la tua fidanzata?- Heiji per poco non si strozzò a quelle parole, mentre un lieve rossore andava a colorargli le gote facendo sorridere vittoriosa la sorella.
Aveva fatto centro. Tra quei due c'era del tenero.
-Ma cosa vai a pensare!- tentò di difendersi, inutilmente il detective dell'Ovest.
Anche se non si vedevano da molto tempo sarebbe sempre stato un libro aperto per lei.
-Comunque lei ti piace...- iniziò la ragazza sorridendo -E tu piaci a lei- continuò senza badare alle facce assurde del fratello -Ma siete entrambi troppo testoni per dichiarare apertamente i vostri sentimenti, quindi vi trovate a vivere in una situazione di migliori amici che sta stretta ad entrambi!- aggiunse prima di portarsi un dito al mento fingendosi pensierosa -Ho dimenticato qualcosa?- chiese poi con quel suo sorriso malandrino che in America aveva fatto breccia in centinaia di cuori, ma questo suo fratello non lo avrebbe mai saputo.
Il moro sospirò sconsolato.
Come aveva anche solo potuto pensare che si sarebbe fatta sfuggire qualcosa del genere? Fin da bambina era sempre stata una marmocchia curiosa, una ficcanaso come la chiamavano le maestre e le vicine di casa che la sorprendevano ad ascoltare conversazioni che non avevano nulla a che fare con lei. Se fosse rimasta in Giappone, molto probabilmente avrebbe dovuto competere con lei per il titolo di miglior detective liceale dell'Ovest e qualcosa gli diceva che non ne sarebbe uscito vincitore. Aveva un intuito incredibile!
-Sei impossibile Aki!- esclamò esasperato il ragazzo portandosi una mano a sistemarsi la visiera del cappellino da baseball, lo stesso che lei gli aveva regalato per il loro terzo compleanno.
-E tu mi adori anche per questo!- gli rispose la rossa facendogli un occhiolino prima di scoppiare a ridere assieme.
 
E parlarono quella sera. Parlarono tanto e di tante cose.
Heiji le raccontò tutto ciò che desiderava sapere su quell'amicizia che profumava d'amore, lasciandola piacevolmente colpita. Non conosceva quella ragazza, però le era già simpatica!
Parlarono della scuola e di quanto entrambi la trovassero inutile alle volte e interessante quando veniva posta l'attenzione su qualcosa che riusciva a catturarli. Heiji le raccontò del suo amore per il kendo e di tutti i tornei vinti, mentre Akira gli parlò dei giorni in ospedale e della passione per i motori che il suo medico le rimproverava. Parlarono dei casi in cui si erano imbattuti in quegli anni e dei loro sogni nel cassetto. Heiji si aprì completamente con lei. Le raccontò di Shinichi, degli uomini in nero e della piccola Haibara e per poco non gli prese un colpo nello scoprire che anche la sua sorellina si era imbattuta in quell'organizzazione. Akira gli raccontò della sua amicizia con Shiho, di come tra lei e quella ragazza in apparenza fredda e insensibile fosse nata una splendida amicizia che quegli assassini avevano stroncato riprendendosi Shiho. E pianse la rossa nello scoprire il triste destino toccato alla sua migliore amica, cullata dal calore del fratello.
E parlarono ancora cercando di recuperare dodici anni in una sola sera e fu stupendo addormentarsi abbracciati su una panchina e risvegliarsi vicini con un sole nascente.
-Credo sia ora di tornare a casa!- disse sbadigliando e stropicciandosi un occhio Akira.
Non era stata una buona idea quella di addormentarsi all'aperto, eppure non riusciva a rimpiangerla, anzi svegliarsi su quella panchina l'aveva resa particolarmente di buon umore, ma forse questo non era una conseguenza al dove aveva dormito, ma al con chi.
-Credo tu abbia ragione- le rispose Heiji sbadigliando a sua volta ma non interrompendo quel caldo abbraccio che li aveva cullati tutta la notte -Anche perche sarà preso un colpo ai tuoi genitori non vedendoci rientrare-
Akira sorrise rubando il berretto al fratello che la guardò divertito.
-Fino a prova contraria sono anche i tuoi genitori!- commentò infatti, prima di sfuggire dalla stretta del fratello e iniziare a correre per il parco come la bambina che era stata un tempo e che troppo presto era dovuta diventare adulta.
Heiji rise a quella scena.
Era bellissima la sua Aki-chan e ora che l'aveva ritrovata non se la sarebbe più lasciata scappare.
-Torna immediatamente qui, ladra di cappelli!- le disse iniziando a rincorrerla come quando avevano cinque anni e si divertivano a giocare in quello stesso parco.
C'erano tante cose da fare. Sarebbero dovuti tornare a casa e prendersi il rimprovero dei loro genitori. Akira si sarebbe dovuta scusare per il suo comportamento. Heiji avrebbe dovuto delle spiegazioni a Kazuha. E tante altre cose, ma in quel momento a nessuno dei due pareva importare. Si erano finalmente ritrovati e questa era l'unica cosa importante. Il mondo avrebbe potuto aspettare qualche altra ora prima di rivederli...

 

  
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