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Autore: Atropo    06/11/2015    0 recensioni
Un ragazzino mezzelfo in una società medievale, la sua storia, il suo amore, la sua tragedia, la sua umana esistenza.
Ambientato in una realtà alternativa, arretrata, avvolta da pregiudizio, magia e misticismo.
{ questa one shot l'ho scritta ai tempi dell'università, ormai parecchi anni fa, tra i banchi delle aule, pensando a ciò che sentivo e provavo. Molte volte mi è capitato di rileggerla e volerla ampliare, ritoccare, masticare e risputare diversa... ma la pubblicherò in originale ( trema appena ) e attendo le vostre recensioni. E' la mia prima storia pubblicata, da qui in poi... beh vedremo se vi piacerà. }
Fatti e riferimenti a cose, fatti o persone realmente accaduti sono da reputare non intenzionali.
I nomi sono solo una ispirazione per la storia, non si basano su anime o manga conosciuti.
( si lo so... l'angelo... no non è lui -so che ve lo stavate chiedendo- )
Genere: Fantasy, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Figlio dell`eternità, nient`altro.
 
 
Su per giù quattordici anni umani... forse quindici, ma non di più, almeno così sembra...
La mano destra porta un segno riconoscibilissimo. Manca infatti la falangetta del dito mignolo...
I suoi capelli sono più ribelli di un pugno di vermi, ad ogni bava di vento si scompigliano...
Gli occhi verdi con quel difetto cromatico particolare sono quasi sempre...
...Tristi.
 
 
La sua storia gli fu stata raccontata da chi ha sempre visto all`uscita dalla camera della servitù. I suoi compagni di lavoro, troppo vecchi e stanchi per potergli dare il calore che ricercava, lo schivavano per non dover scendere a patti con la loro umanità tradita e molestata da innumerevoli lunghissimi anni di povertà. Nessun principe, nessun lignaggio di sorta. Solo lui e i suoi quattro stracci verde-marrone addosso.
E la sua bramosia.
 
 
"Tua madre era una Figlia di Gaia." Ecco il suo primo ricordo.
Il volto di sua madre inizia a sbiadirsi ormai nella memoria ma il suo profumo non potrà mai abbandonarlo, l`odore di quel sangue così simile eppure così diverso dal suo.
Lui, il piccolo mezzosangue.
 
 
"Tua madre ti ha venduto" Il suo secondo ricordo.
Il dito mozzato mentre era troppo piccolo per capire ma non per piangere dal dolore lancinante.
Ma non ricorda chi l`abbia fatto, forse "Lui" oppure la madre per riconoscerlo in futuro...
Non v`è anima viva che possa confermarlo. Oramai.
 
 
"Tu sei di mia proprietà" Il suo ultimo ricordo.
Il puzzolente alito del grasso mercante lo investe e gli fa sorgere la nausea.
Mentre lo tocca sulla pelle nuda per vedere se le sue caratteristiche possano andare bene al compito futuro, Lui sbuffa.
La mano calda e sporca che lascia pizzichi sulla schiena e sulle gambe, è inquinante.
La voce che gli urla ogni insulto per un suo piccolo sbaglio, diventa il sottofondo della sua quotidianità.
La mano che lo colpisce, ma mai in viso, troppo angelico e di facile vendita. Una buona copertina per un buon acquisto.
 
 
Notte fonda. Fuori una pioggia gelata, quasi neve. Una mano scivola sotto le sue coperte, un ragazzo simile a lui, umano per l`interezza della sua forma. Lo stringe a se tenendolo per le spalle mentre gli sussurra all`orecchio che sarebbero scappati la notte prima dell’asta successiva. Quella voce è come una pugnalata, gli dice che per unirsi deve radunare le sue cose e alla svelta. Il ragazzo biondo perde sangue da un labbro, forse è stato picchiato dopo di lui. Eiji si gira.
" E` stato Lui vero? " Il mezzelfo posa le sue mani sulle labbra del ragazzo. Un lungo silenzio assenso. Pochi gli anni del ragazzo umano che lo differenziano da quelli che dimostra il mezzosangue. Pochi i metri di spazio in quella carovana, due ragazzine piangono in silenzio, altri tre uomini da lavoro stanno incatenati dietro le spalle dell`unico che gli parla. Si avvicina al suo petto, vi posa sopra il capo.
" Vi uccideranno tutti. " gli sussurra mentre posa le labbra su una goccia di sangue che scivola sul suo collo. Poi si rilassa forse per la prima volta, vicino a lui. Tra cavie sono tutti vittime. Non v`è motivo di infierire. Il carnefice perderebbe la sua crudeltà, unica sua peculiarità.
" Forse è meglio così, non credi? " Il tono è talmente basso che solo il mezzelfo può sentirlo. Silenzioso come non mai i due respiri si uniscono, vicini, forse entrambi bisognosi di affetto, di qualcosa di caldo da ritrovare la sera sul giaciglio scomodo. Calore, dolce calore di mani che scivolano oltre le catene, toccandosi le dita e nulla più, come se i polpastrelli sentissero il mutare della crudele situazione in familiare vicinanza.
" Non scappare, resta... " sussurra il mezzosangue, sull`altro corpo uno sbuffo d`alito caldo tra quei capelli troppo ribelli e la tempia. Le mani si stringono intorno a quei corpi, troppo poveri di esperienze per potersi scambiare affetto come vorrebbero. Puri e semplici, così. Lividi sulla loro pelle e lacrime nei loro occhi. " Verrò con te, venduto e acquistato, ma resta... " Amare lacrime umane. Amicizia o amore non hanno mai prodotto tale attaccamento. Forse solo la solitudine può farlo.
Sospira, non pronuncia nulla eppure quelle rosse labbra piene di sangue, quelle labbra piene del suo stesso sangue... quelle labbra non resteranno come ricordo ma come marchio. Un marchio da quel giorno posato sulla sua spalla destra. Le lacrime non l`hanno mai lavato abbastanza.
 
 
"Signora Lucrezia Von Freuer Krashind" si chiamava, glielo faceva ripetere in continuazione. Prolissa fino alla morte. "Marmocchio" "Furfante" "Discolo" "Piccola Canaglia" "Peste" "Moccioso" così amava chiamarlo, mai con il suo vero nome, come se tutti stessero cercando di farglielo dimenticare, come se non fosse mai troppo vicino a qualcuno per poterlo confessare apertamente senza paura. Quel nastro sugli occhi era obbligatorio per ciò che doveva fare. I suoi pantaloni corti e la sua camiciola bianca non cadevano mai e dovevano essere sempre puliti. Un servo prima di lui - simile a lui - gli aveva insegnato dove avrebbe trovato i lacci del corpetto ad occhi chiusi senza poterli vedere. Come sarebbe stato facile alzare una gonna per sistemare una scarpetta troppo lasca sulle stringhe, come sarebbe stato facile farle indossare un vestito che aveva minuziosamente studiato ore prima per non toccarle mai la pelle. Non sarebbe stato puro dicevano, non sarebbe stato giusto che la Signora si facesse toccare da tanto impure mani di schiavo preso a pochi spiccioli. Ma come riuscivano bene quelle piccole mani, nessuno l’aveva mai detto.
 
 
" Come ti chiami? " Eiji. Timido. Eppur così felice di trovarsi in quel lettone. I biondi capelli dell`altro così sparpagliati sul cuscino da sembrare giù addormentato.
" Chiamami come vuoi " quello aveva detto guardandolo di sbiego mentre dormivano sullo stesso giaciglio. Il silenzio attorno a loro, solo il rumore del cuoco che russava. La sua mano era calda e accoglieva l’estranea come se non vi fosse posto migliore, gli sorrideva nel mentre come se non vi fosse niente di male nel crearsi un mondo che non esiste, che non sarebbe più esistito al sorgere del sole.
" Kaworu, l`ultimo angelo. " così sentenzia dopo un`attenta analisi. Si avvicina quel tanto che basta a mettere in comune il calore - Era rimasto, era rimasto e ne era felice. Insieme la signora li aveva comprati, lui così esile da poterle stare accanto come aiuto nella vestizione giornaliera, l`altro alto e robusto abbastanza da poter essere d`aiuto in cucina. Erano stati istruiti in modo diverso ma alla fine si ritrovavano sempre vicini durante la notte. Gli occhi di Eiji erano così felici ogni sera che sembrava risplendere nel suo esile corpo emaciato.
" Yubikiri, la promessa fatta con il mignolo " esce dalle altre labbra. Il freddo si impossessa dell`animo del mezzelfo. Quelle parole lo feriscono come non mai. Qualcosa ha toccato il suo cuore. Qualcosa di freddo, come se anche quel dito fosse stato fuori dall`universo che avevano creato, come se non fosse appartenuto a quel corpicino emaciato: come Lui e la Signora Prolissa. E d’un tratto i capelli biondi si avvicinano più del solito, le mani stringono di più, le braccia circondano quel corpo ora senza più catene e senza lividi visibili sotto la camiciola bianca. Forte la stretta, quasi dolorosa. Sembra piovere tutt`intorno, singhiozzante il cielo che lo tiene stretto a se in quella morsa. Annuisce il mezzosangue, si sente in colpa forse. Il freddo che ha dentro si sprigiona in altrettante lacrime.
Caldo quel corpo, accogliente il profumo della sua pelle che ancora porta gli aromi della cena di poco prima. L`odore della cipolla resta sulle sue braccia, quello del cinghiale arrosto sul suo petto, quelo del rosmarino sul suo collo. Le mani di Eiji si stringono intorno a quelle spalle. Un calore che gli è sconosciuto, mai è potuto rimanere così a lungo vicino a qualcuno che gli interessasse davvero. In quel momento tutto è possibile. Ma restano li, compagni di un destino che li vede divisi e uniti.
 
 
Kaworu è teso, fin troppo teso. Il suo calore aumenta come il respiro. Le mani si stringono intorno a Yubikiri senza lasciarlo più muovere liberamente.
" Oggi, la serva del Signore mi ha chiesto di dormire con lei ". Silenzio, il mezzosangue sembra raggelare e un brivido lo scuote, lo pervade quasi interamente. Si rannicchia contro il corpo del biondo angelo senz`ali. Le sue gambe tremano appena contro quel corpo ben definito: al suo confronto il piccolo sembra così impacciato che potrebbe essere sovrastato in ogni campo.
" Le ho detto che non mi interessava e che non ne avevo bisogno ". Silenzio, il mezzelfo non pare muoversi, neppure il respiro è percepibile. Si è semplicemente fermato. Alcune lacrime si cristallizzano sulle guance, fermandosi anch`esse.
" Io son la promessa... ". Esile come il suo corpo la voce scivola fiori dalle labbra del ragazzino che si muovono lasciando che il fiato scorra lungo il lobo dell`orecchio di lui fino alla gota, allo zigomo. " Io... ". Le labbra sfiorano quella pelle come le dita di un musicista sfiorerebbero le corde di una lira. " ... io resterò. ". Le labbra si chiudono sulle simili virili coniando il secondo marchio che le lacrime non possono cancellare.
Il respiro si muta in sospiro. La carne in miele. Lo sguardo in liquido mare salato. Lacrime simili, sorelle, compagne.
 
 
La neve cadeva da settembre ormai. Il terreno era mutato nel colore e nella temperatura. La consistenza era quella della crosta di una pagnotta appena estratta dal forno. I servi restavano nelle loro stanze più a lungo del solito e il bucato era steso nelle aree più calde delle stanze di servizio. I compiti di un paggio, cosa che non era altro, erano quelli di vestire e svestire la Signora per i balli, accompagnarla per le passeggiate e poco altro. Ma la Signora, viziata e metereopatica com`era non amava la neve e così passava tutto il tempo chiusa nei suoi appartamenti con le dame di compagnia e raramente anche il suo sposo. Nessun pargolo erede per casa. Sembrava volessero risparmiare sulla balia: sembrava questo il motivo per decidere di non procreare, a priori. La dinastia sarebbe morta con loro? Poco importava. Per quanto riguardava la servitù, con la noia che vagava per le lande erano pure liberi di morir di freddo negli angoli della casa padronale. I soldi corrompono l`anima, di questo Eiji è sempre stato conscio e sicuro. Passava ore intere a leggere in biblioteca ma non scriveva mai niente, aveva imparato a leggere a poco a poco senza un vero insegnante ma era diventato piuttosto bravo e veloce nel farlo. Il suo luogo preferito era il davanzale della soffitta, quell`androne buio in cui aveva sistemato un giaciglio e qualche candela e dove trascorreva la maggior parte del suo tempo libero se l`aiutante cuoco doveva impegnarsi in cucina o era a fare delle commissioni in paese. Nessuno conosceva quel luogo e, visto le ragnatele che prima del suo arrivo lo imbrattavano, neppure i Padroni parevano serbarne ricordo alcuno. Era semplicemente una botola in cui lui era l`unico a infilarsi.
 
 
Il cielo è così terso che quasi si può vedere la luna di giorno. I servi scorrazzano in giardino, coperto di neve, e giocano tra loro mentre i Signori si sono allontanati in carrozza per qualche ora. Saranno di ritorno a notte fonda... chissà che saranno andati a fare... Il suo turno di guardia è già stato programmato per la sera. L`unica cosa che dovrà fare sarà rimanere alla finestra con la sarta e guardare fuori, due giri di clessidra, per vedere le lampade a olio della carrozza dei Padroni che tornano. Se nulla succederà, sarà compito di un`altro sostituirlo.
Non ha voglia di giocare. Resta al calduccio della soffitta tra le morbide coperte che ha rubato alle lavandaie in paese pochi giorni prima e guarda per il lucernaio gli altri giù nel cortile. Palle di neve e angeli disegnati per terra. Tutti paiono divertirsi, i carnefici - meno rigidi di quelli di un tempo, s`intende - sono andati via confidando nell`affezionarsi delle loro cavie domestiche.
In un angolino eccolo, Kaworu, quella sciarpa rossa che ha rubato per lui... il biondo che si stempera sopra quella lana... è come un continuum della sua lucentezza. Nulla è più successo da quel giorno. Eiji resta alla finestra vedendo l`umano correre dietro alle serve e lanciare contro i cuochi palle di neve fresca, cercando di prendere il gatto tigrato che viene a rubare le lische dei pesci.
Ride, il mezzosangue ride di gusto a vedere quelle scene, avvolto nelle sue coperte attende il momento della cena senza distogliere gli occhi dal ragazzo. Poi d`un tratto...
Tutti sono richiamati dentro dal mastro cuoco ma il braccio di Kaworu viene trattenuto da quello di una serva, nuova forse. I capelli rossi di lei raccolti in una cuffia bianca, il grembiule coperto da un cappotto marrone scuro e le mani arrossate per il freddo della neve. Resta a guardarli, sorridendo. Non ha mai potuto osservare come l`umano interagisce con gli altri singolarmente, resta a guardare.
Le labbra della ragazzina si avvicinano a quelle di lui, il sorriso di Eiji si spegne pian piano. Ogni centimetro che i due annullano è un centimetro in meno che divide la mano di Eiji dal vetro.
Le labbra si sfiorano. Un sussulto al quel cuore quasi eterno. Le due bocche si uniscono in morbidi movimenti mentre le mani del ragazzino i staccano dalla fredda superficie trasparente e si posano di scatto sulle labbra dischiuse. Distoglie lo sguardo per un attimo. Quando lo rialza i due sono abbracciati, nella neve, si rotolano, felici. Il buio si impossessa di lui. Fin nel profondo il freddo congela il suo cuore facendolo imbizzarrire nel più totale silenzio. Immobile, ora. Ascolta le altre voci che provengono dai piani di sotto, risolini, chiacchere... e lui piange solo in quella soffitta abbandonata da tutti e da tutto, oramai anche dal calore.
 
 
Le notti passarono senza che i due dormissero più nello stesso letto, le camere esano state divise e poche volte i paggi potevano entrare in contatto con gli inservienti. Per un ragazzino come il mezzo era dunque quasi improbabile poter anche solo parlare con gli sguatteri o con i cuochi visto che v`erano messi assunti apposta per questa mansione. Le corte giornate quasi primaverili continuavano alla stregua di mille altre. La Signora Lucrezia Von Freuer Krashind, nome che iniziava ad odiare, era sempre più vecchia e pigra e non aveva neppure la voglia oramai di uscire dalla sua stanza per pranzare. V’era infatti così tanto denaro in quella villa ormai che vi si poteva fare il bagno se fosse stato riunito in un`unica stanza. Le uniche mansioni che rimanevano alla mercé del ragazzino erano la sveglia mattutina della Signora, la vestizione che come sempre avveniva da bendato, l`intreccio della chioma ormai quasi grigia della Padrona e il suo smantellamento a fine giornata con conseguente cambio per la notte. Poche erano le occasioni in cui la Signora ritrovava il sorriso anche solo per una festa di gala, che si teneva nella casa padronale. Lunghi i silenzi tra servo e Padrona. Ogni tanto il ragazzino veniva incaricato di recapitare lettere al messo di una casa distante pochi chilometri e in quel mentre il ragazzino si permetteva una sosta al paese per vedere le bancarelle del mercato e informarsi dei nuovi rimedi trovati in campo erboristico presso l`Officina. Curiosità la sua dedotta dai mille libri oramai letti sull`argomento e immagazzinati nella sua memoria.
 
 
La soffitta è buia ora, la luce della luna non è venuta a fare da spia al solitario esilio volontario del mezzelfo. Una piccola campanellina posizionata nell`angolo a sud del grande androne del sottotetto, collegata a un insieme di fili di lana suonava appena il suo compagno di compiti era chiamato per dare aiuto alla Signora. Era un mutuo accordo formulato con quell`esile elfo che condivideva il suo destino e i suoi compiti. In cambio il mezzelfo era esonerato dal dormire con lui e poteva tranquillamente lasciare la stanza alla mercé di Umin, così si chiamava. A quanto pare quest`ultimo non dormiva mai da solo. La bellezza del nuovo paggio affascinava tanto le sguattere quanto le dame di compagnia della Signora, oramai tremendamente annoiate dai silenzi che erano loro imposti.
Verso mezzanotte un rumore proviene dalla botola. Un casco di capelli biondi scivola all`interno della soffitta, a seguire il corpo di Kaworu. Sul suo volto un sorriso solare alla vista di Eiji, coperto dalle lenzuola su quel comodo materasso che gli è costato fatica far entrare nell`antro ma che gli sta donando da mesi notti più morbide.
" Yubikiri! " esclama a bassa voce per non svegliare gli altri nelle altre camere. Il mezzelfo resta di sasso alla visione dell`umano che è riuscito a trovarlo. Non una parola, non ha dimenticato.
" Era qui che ti nascondevi allora eh? Sono mesi che cerco il tuo nascondiglio. " Il ragazzo si siede avanti a lui con il suo solito fare spavaldo. E` cresciuto com`era prevedibile, dopotutto la sua natura è legata alle stagioni. Il petto è più largo e muscoloso, il suo viso più maturo e la sua voce più bassa. Ormai intorno alla trentina. Tra i due nel periodo successivo all`allontanamento c`erano stati solamente convenevoli scambi di parole e cenni del capo. Nulla aveva fatto notare Eiji all`umano sul suo stato emotivo, come se i due fossero stati da sempre due conoscenti. Ora avanti a lui il mezzelfo è più vulnerabile.
" Questo è il mio segreto. Non dirlo agli altri. " Il suo sguardo viene portato al lucernale, come se non volesse rimanere in compagnia dell`umano. Il suo cuore batte velocemente.
L`umano si avvicina a lui gattonando come un bambino che non sa ancora camminare. " Yubikiri... perché mi hai tagliato fuori? " La domanda viene fatta direttamente mentre i due visi volenti o nolenti si avvicinano. Kaworu scivola con la gota del mezzosangue e le sue labbra si posano sul lobo sinistro dell`orecchio.
Il mezzelfo colto da rabbia lo spinge via con tutte le sue forze facendolo rotolare sulla schiena. " Tornatene dalla tua sguattera! " Velenose le sue parole. Ardito il suo fare. Furente il suo cuore che continua a ronzargli nelle delicate orecchie. Le pupille si allargano come quelle di un gatto che si prepara alla battaglia, i muscoli delle orecchie fanno in modo che si abbassino così da tenerle più vicine al cranio, i capelli spettinati sembrano ora la criniera di un mannaro purosangue che si avvia alla trasformazione di luna piena.
Silenzio e una risata. Una sottile risata di Kaworu riempie la stanza senza sconfinare dai suoi muri. " Siete geloso per quell`errore? Ma sono passati anni oramai... me ne fate ancora una colpa? " Si rialza l`umano mentre il suo volto muta. Non aveva notato i due piccoli segni all`altezza del collo, come delle cicatrici riaperte parecchie volte. I canini di un vampiro e il loro bacio. " Oramai è morta... la febbre l`ha portata via qualche inverno fa. " Lo sguardo dell`umano muta, più crudele, più freddo che pria. Una mano viene portata alla spalla di Eiji costringendolo a cadere all`indietro. " ...dovresti essere più gentile con me. " il tono è passo e il suo sorriso a dir poco terrificante.
Il mezzelfo resta immobile e lo guarda ora con aria alquanto spaventata " Dimmi il suo nome. " il volume si è abbassato al sussurro. Trema il piccolo. Lui che non è cresciuto affatto almeno esteriormente. Una mano si alza verso le due cicatrici che l`umano ha al collo. Trema al pensiero che possa aver sofferto. Il cuore sente pulsare nelle orecchie, ora più forte che mai.
L`umano scivola su di lui e la labbra affonda nella sua bocca, irruento e crudele. " Zitto. Una parola... ti ucciderò. " Il tono è calmo e placido al contrario del significato delle parole. Le mani del ragazzino solo ora imprigionate dalle altre e bloccate a terra. Non può divincolarsi. Le labbra ora si incontrano più amorevolmente, quasi curandosi le una delle altre come se la passione fosse sbocciata ancora tra i due come un tempo, quando condividevano lo stesso letto. Sembra che manchino solo le parole ai due cuori che non si sono mai allontanati. " Perdonami... " le parole dell`umano segnano l’orecchio del compagno con delle lacrime salate mentre le mani scivolano sul suo corpo denudandolo appena. Le mani di Eiji prendono coraggio, ora non è il suo Padrone a prenderlo durante la notte con la violenza ma è lui stesso che si dona a Kaworu. Un fiato del mezzo sangue durante un bacio mormora " Amami... ti prego... ". Gli occhi dell`umano incontrano quelli del mezzosangue. Sulle giovani gote un rossore pudico e romantico. " Ti amo " la risposta così precisa da lasciare senza fiato. La similare subito dopo, un tuffo al cuore anche per l`umano. Le braccia e i corpi si fondono in un’unico abbraccio caldo. Solo i gemiti e gli ansimi sembrano oltrepassare il silenzio della soffitta per chiamare la luna che, nascosta nella notte, resta ignara come tutta la casa di ciò che si svolge sotto quel tetto. Le labbra smaniose si cercano, si trovano e si animano di nuova vita, i corpi contratti nell`estasi si lasciano trasportare senza veli nella perdizione di qualcosa d’impuro ma terribilmente dolce.
Esausti dalla lunga notte i due si accasciano a mattinata inoltrata. La campanella non ha suonato. Il ragazzino è ancora esonerato dai suoi compiti. Sotto la calda coperta i due corpi restano vicini e accoccolati l`uno contro l`altro. E` l`umano a parlare. " Yubikiri... ti amo. " Lo stringe a se come se non vi fosse altro modo per dimostrarlo. Le sue labbra cercano quelle del mezzelfo, trovandole cariche di passione... della stessa che li ha uniti. D`un tratto lasciandolo sentenzia " Andiamocene. Andiamocene via. " Il muscoloso corpo sembra tremare appena, come se una paura arcana si fosse impossessata di lui. La pelle diventa fredda e i suoi occhi si spengono prima di chiudersi.
Il mezzelfo prende la parola solo dopo aver valutato i pro e i contro della sua richiesta. Lo osserva prima di parlare e subito dopo la sua reazione esclama senza remora alcuna: " Certo. Domani notte. " Il suo tono è deciso come non mai. " Qualsiasi cosa sia..." deglutisce come se potesse percepire quella paura, uno sguardo ancora ai due segni dell’umano sul collo "...ce ne andremo. " Il sorriso che sorge nel volto di Kaworu, mentre ad occhi chiusi si addormenta stremato dal piacere e dalla fatica, è abbastanza. In quel sorriso il cuore del mezzo sangue ritrova la vita.
 
 
La notte era giunta come ogni giornata. I due erano stati assieme tutto il giorno e dopo ore passate a letto tra effusioni e gemiti si preparavano ad uscire di nascosto. Il ciliegio in fiore era ormai completamente colmo di petali rosa e risplendeva sotto il cielo terso di stelle anche se la luna sembrava timida per destarsi in una morbida falce bianca. I passi si facevano più frettolosi mentre nel subbuglio della casa si cercavano le due figure scampate al loro lavoro per tutto il giorno. La campanella era scollegata, così pareva.
La luce di una torcia si allontanava nel bosco, dietro i passi simili a due a due si lasciavano un mare di ricordi alle spalle. La luce delle finestre si allontanava mentre i due, spenta ed abbandonata la lampada, si avventuravano con poche provviste nel bosco e oltre, verso il paese. Di li, solamente il futuro.
 
 
Il casolare abbandonato è ormai il rifugio dei due da quasi due mesi. Fuori il caldo sembra non volerne sapere di placarsi, dentro il calore dei due corpi è palpabile persino contro i muri. Stremate le due armoniose figure restano in silenzio, l`una nelle braccia dell`altra. L`umano è decisamente troppo caldo. Intorno al giaciglio pozioni, erbe, pestello e mortaio e altre mille boccette. " Yubikiri... " annaspa quasi il mortale, mentre con una mano si tiene il petto all`altezza del cuore " ...restami accanto." Il tono calmo, il viso segnato dalla spossatezza e dalla malattia. Le occhiaie sono bluastre, il viso è pallido e scavato. Non esprime più forza il suo fisico ma solamente compassione. Ora piccolo nelle braccia del suo mezzelfo sembra chiudere gli occhi. " Questi ultimi anni... per me... son stati come vivere una vita intera... " I due segni sul collo sono evidenti ora, cicatrizzati male, coperti da bende insanguinate. La sua mancanza di sangue con la sua crescente febbre non lascia scampo alla figura del ragazzo. Il mezzelfo piange silenziosamente mentre lo guarda. " E` stato bello averti ancora... come ogni notte... ti amo. " tossisce dolorosamente " Ricordalo sempre. " Le mani del ragazzo scivolano sul viso del più piccolo asciugando le lacrime. " Sorriderai ancora... vedrai. Hai fato il possibile e... tu... " lo sguardo viene portato vicino a quello del compagno " ...mi hai reso... immensamente... " il suo sospiro sembra scivolare oltre la sua bocca, come se stesse uscendo per l`ultima volta e non venisse più riassimilato dai polmoni. "...felice. " La mano cade sul lenzuolo steso su quel giaciglio.
La disperazione negli occhi del mezzelfo si accentua quando vede perdere la luce a quelli dell`umano. Un urlo. Lungo, il disperato pianto mentre quel corpo diventa freddo. Nudi. I due, dopo l`ultima passione, condividono anche l`ultimo momento. La notte viene mentre ormai freddo, il corpo di Kaworu, ormai quarantenne, giace immobile accanto a quello di Eiji, stretto da quest`ultimo nell`abbraccio estremo.
 
 
A nulla era valso il tentativo di salvarlo del giovane e inesperto erborista. Il vampiro, che poche notti prima era incorso nei due, aveva avuto il sopravvento e non si era limitato al poco sangue che solitamente si chiede ad un ghoul. Troppa la richiesta fatta al cuore dell`uomo, seppur aitante. Pochi i giorni passati a tentare il tutto per tutto. Un leggero miglioramento prima della fine aveva permesso ai due di condividere per l`ultima volta la loro passione. Ormai restavano solo i ricordi.
Passavano i giorni ed era giunto il momento di dire addio. Ricomposta la salma e issata su una pira costruita in un pomeriggio, il ragazzino si apprestava a dar fuoco al corpo dell`unico compagno che l`avesse reso libero e felice. Le lacrime scivolavano sul suo volto mentre la pira ardeva nella notte della montagna. In quella piccola radura sembrava l`unica fonte di luce, neppure le stelle e la luna erano venute al funerale.
L`ultima brace smise di ardere poco prima dell`alba. Subito dopo un acquazzone, che per tutta la notte si era limitato ad osservare la scena, prese a spegnere anche la più flebile speranza di felicità. Il ragazzino si allontanò, morto quanto il suo compagno con un unico obbiettivo... Dimenticare e ritrovare chi, volente o nolente, gli aveva dato l`opportunità di conoscere l`unico uomo che aveva davvero amato: sua madre. Venduto ormai quasi ottant`anni prima ad un mercante di schiavi per gli ultimi venticinque era stato con Kaworu. Ora che lui non c`era più... non rimaneva che chiedere.... "Madre...perchè?"
  
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