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Autore: BragoLove4Ever    07/11/2015    2 recensioni
[...] Un altro suono si unì a quello dell’acqua e delle campane: il rumore delle lacrime.
 Le lacrime non fanno rumore, direte voi... ma le persone a cui rigano i volti sì.
Questi camminavano intorno ad una bara, a passo lento, scandito dai rintocchi.
Il sacerdote recitava lunghe preghiere che nessuno ascoltava.
Arrivarono davanti la lapide: sopra di essa e intorno vi erano tanti fiori colorati, regali, oggetti del defunto e una sua foto.
Molti, nel rivedere quel volto pieno di vita, ripresero a piangere, ad imprecare contro il cielo, a coprirsi gli occhi o semplicemente a fissare quel’ immagine tanto semplice, ma anche tanto toccante. [..] Quando tutto finì, i miei compagni di Gilda mi passarono vicino dandomi pacche sulla spalla, abbracciandomi e dicendomi ‘Condoglianze’ o ‘ sii forte’, ‘ Qualsiasi cosa di cui hai bisogno non farti problemi a chiedere’.
A quest’ultima frase molto spesso ero tentato con rispondere -“Ho bisogno che Lei sia qui con me’....
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Gajil Redfox, Gajil/Levy, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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La pioggia cadeva incessantemente.

Nell’aria riecheggiava solo il rumore delle violente gocce d’acqua che colpivano le lapidi di pietra e le foglie degli alberi.

Poi quel rumore tanto malinconico venne coperto da quello delle campane.

Rintocchi lenti e potenti che si diffondevano nell’atmosfera e facevano vibrare i cuori delle persone che, in quel momento, stavano uscendo dalla chiesa e aprivano gli ombrelli.

Ombrelli neri, come il loro animo quel giorno.

Un altro suono si unì a quello dell’acqua e delle campane: il rumore delle lacrime.

 Le lacrime non fanno rumore, direte voi... ma le persone a cui rigano i volti sì.

Questi camminavano intorno ad una bara, a passo lento, scandito dai rintocchi.

Il sacerdote recitava lunghe preghiere che nessuno ascoltava.

Arrivarono davanti la lapide: sopra di essa e intorno vi erano tanti fiori colorati, regali, oggetti del defunto e una sua foto.

Molti, nel rivedere quel volto pieno di vita, ripresero a piangere, ad imprecare contro il cielo, a coprirsi gli occhi o semplicemente a fissare quel’ immagine tanto semplice, ma anche tanto toccante.

Il sacerdote lesse un passo di qualche Vangelo, parlando di quella persona come se l’avesse conosciuta al meglio, ma in realtà di lei sapeva a malapena il nome.

 

Dopo aver finito il suo discorso strappalacrime, le persone lì intorno passarono a dare ‘ l’ultimo saluto’ al defunto: un semplice tocco alla bara e una smorfia di dolore.

Tutto qua.

Trovavo inutile quella scena.

Lì c’erano persone che neanche la conoscevano, che avevano parlato male di lei, che non l’avevano mai degnata di uno sguardo e che ora si fingevano tristi e la salutavano.

Una vera presa in giro.

Naturalmente non tutti erano così: tra coloro che erano presenti quel giorno c’erano i suoi più importanti amici della gilda, con cui era cresciuta e aveva passato i momenti più belli, quelle persone che avrebbero dato la vita pur di salvarla, e che ora soffrivano davvero dal più profondo del cuore.

 

E poi c’ero io.

Io che me ne stavo lontano da tutti loro, sotto un ombrello con i colori arcobaleno, tenendo per mano mio figlio.

Quando passavano a fare il saluto si giravano poi verso di me.

Mi guardavano per un istante con occhi pieni di sofferenza, come se stessero provando a immaginare il mio dolore.

Ma non potevano.

Era impossibile provare quello che stavo provando io perché semplicemente non erano me. Non sapevano niente della persona che stavano salutando falsamente come la conoscevo io.

Non sapevano niente del nostro legame indissolubile, del sentimento che ci aveva legato saldamente l’uno all’altro.

Non sapevano niente.

 

Quando tutto finì, i miei compagni di Gilda mi passarono vicino dandomi pacche sulla spalla, abbracciandomi e dicendomi ‘Condoglianze’ o ‘ sii forte’, ‘ Qualsiasi cosa di cui hai bisogno non farti problemi a chiedere’.

A quest’ultima frase molto spesso ero tentato con rispondere -“Ho bisogno che Lei sia qui con me’.

Io annuivo, fingendo un accenno di sorriso, non togliendo mai lo sguardo da quella bara laggiù che mi stava aspettando.

 

Andati via tutti, toccò a me.

 

Mi avvicinai lentamente, affondando a volte nella terra fangosa. 

Mio figlio mi teneva stretta la mano, ma aveva uno sguardo confuso per la scena di poco fa e di tutte quelle persone che lo avevano abbracciato piangendo.

Vidi la foto.

Avevano avuto ragione a piangere al solo vederla: era tremendamente bella … e letale.

-“Papà…perché c’è una foto della mamma sopra questa cassa?”-

Io tardai a rispondergli perché in quel momento ero stato rapito da quell’ immagine tremendamente simile a Lei.

-“Perché…la mamma è là dentro…”- dissi secco.

-“E perché è là? Perché non è a casa?”- chiedeva insistentemente lui con la curiosità del bambino che era.

-“è lì dentro perché…perché sta partendo per un lungo viaggio e tornerà dopo molto tempo…”- dissi, inventandomi una bugia lì sul momento.

-“ Ma…non mi ha salutato! Perché? E i suoi libri preferiti sono tutti qui fuori! è impossibile che lei si sia dimenticata!”- mi urlava ora contro.

Ogni domanda che faceva con la sua dolce innocenza era come una freccia appuntita che colpiva il mio cuore.

Il dolore era insopportabile, ma dovevo mentire per forza. 

Non volevo fargli conoscere il significato amaro della Morte a questa età, non volevo fargli sentire tutti questi terribili sentimenti che stavo provando e che avevo provato già alla sua età io stesso.

Dovevo proteggerlo.

-“La mamma…lei non ti ha salutato perché era sicura che se ti avesse visto prima di partire … non avrebbe più avuto il coraggio di andare…”-

-“E Allora non vada! Non voglio! Mamma! Mamma! Non andare via! Mamma!”- cominciò ad urlare il piccolo, battendo forte i suoi piccoli pugni sul legno bagnato della cassa.

Non riuscivo a resistere a quella scena. 

Altro che frecce, questa era una vera e propria pugnalata.

L’ombrello mi cadde dalle mani. Lo afferrai per il polso e lo tirai a me, stringendolo in un tenero abbraccio tra le mie braccia . 

-“Ti prego …basta…è difficile sia per Lei che per me…non vorrai far piangere tua madre?…non ti devi preoccupare… un giorno la rivedremo! E lei ci aspetterà là, dove sta andando, con le braccia aperte e quel suo bellissimo sorriso a darci il benvenuto…come quando tornavamo a casa dopo un allenamento…te li ricordi quei momenti?”- gli parlavo, proteggendolo dalla pioggia.

Con la sua piccola testolina annuì.

-“Bene! Non dimenticarti mai quella scena…tienila nel tuo cuore e non farla andare via da lì…promesso? La mamma starà sempre con te qui dentro e ti proteggerà con quel suo caldo abbraccio…va bene?”- 

Lui si asciugò gli occhi con le sue piccole mani, chiedendomi poi di prenderlo in braccio.

Generalmente non lo avevo mai accontentato, perché prenderlo in braccio significava viziarlo e renderlo debole.

Ma poi mi ricordai di me stesso, di quando venni a sapere della morte della mia famiglia: quel giorno avrei dato tutto per un abbraccio e qualcuno che mi consolasse.

Lo accontentai.

Lui mi si strinse intorno al collo, appoggiando il viso rigato dalle lacrime sulla mia spalla bagnata dalla pioggia. Gli accarezzavo la testa per tranquillizzarlo fino a farlo addormentare.

 

<"Siamo soli adesso…"> pensai, fissando la foto. 

<...Mi ricordo ancora quando te la scattai:

era un giorno di Maggio e ce n' eravamo andati al mare, tu e io insieme.

Siamo stati tutto il giorno lì sulla spiaggia a rilassarci e a giocare come ragazzini innamorati. Poi qualcosa che feci , come sempre, ti fece arrabbiare tanto, così tanto che scappasti via. Ricordo che ti cercai ovunque fino alla sera.

Quando stavo perdendo le speranze, passai vicino il molo e ti vidi: te ne stavi seduta lì, di profilo al tramonto, con lo sguardo basso e pensieroso.

Per farmi perdonare decisi di comprarti lì vicino un mazzetto di margherite bianche, poi entrai in acqua immergendomi fino alla testa ma lasciando il mazzo fuori dall'acqua. Ti arrivai davanti e quando provasti a prendere un fiore io uscì da là sotto, facendoti ridere per quella scena.

Odorasti le margherite e con uno dei tuoi bellissimi sorrisi mi dissi -“ Per sta volta ti perdono testone di ferro…”-.>

 

<...Mi sembra di essere tornato a quel giorno…ma ora è come se ti stessi ancora cercando e la notte fosse già calata…facendo sprofondare il mio cuore nella disperazione…”>

 

Lessi la lapide:

Levy McGarden. Nata il XXX e morta XXX. Amata dalla sua famiglia e dai suoi compagni di Fairy Tail. 




Salve Gente ^^
è davvero davvero tantissimo tempo che non pubblicavo niente :'( 
Ultimamente non ho piu molta fantasia e ho il 'Blocco della scrittrice' ( SCRITTRICE è un parolone >_>) perciò non so piu come andare avanti con una FF che avevo iniziato a scrivere. T__T
Fortunatamente il caso ha voluto aiutarmi.
Stavo riguardando le varie FF che ho scritto in questi anni e mi sono imbattuta in una 'paginetta misteriosa' che non ricordavo minimamente di aver scrittto. Leggendola e correggendo qualche cosa, ho pensato di pubblicarla per interrompere questo lungo periodo di assenza e per farvi dire "Oh NO è tornata con le sue storie da suicidio!" Ahahaha! Si...scusate tanto...

Bhe che dirvi...spero che questa Oneshot, la prima che pubblico, non vi rovini la giornata (anche se mi rendo conto di essere estremamente drammatica aah).
Spero di finire anche l altra FF e pubblicarla al piu presto ç___ç !

FAtemi sapere che ne pensate! Non fatevi problemi ;-*


Alla prossima !

   
 
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