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Autore: Omega85    08/11/2015    1 recensioni
On the road. Perché vivere per strada, non vuol dire essere barboni o poveri, vuol dire sapersela cavare in ogni situazione, vuol dire avere la forza di andare avanti senza stancarsi mai, vuol dire avere fegato, vuol dire saper viaggiare.
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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~~3° CAPITOLO
“E ora?” “Cosa?” “Che facciamo?” “Beh, è questo il bello di vivere per strada!” Mi prende per un braccio e mi guida attraverso i mille binari e treni che arrivano o partono, la stazione è grande. Facciamo lo slalom fra gruppi e gruppi di persone tutte incatenate nei jeans o nelle magliette attillate. Dopodiché, mi coglie di sorpresa e spicca un salto aggrappandosi all’ultimo vagone di un treno. Siamo all’esterno del vagone. Il treno è partito e noi con lui, con l’aria fra i capelli e un sorriso di soddisfazione stampato in faccia. È la prima volta che mi vedo: rozzo , maleducato e arrogante, ma felice. Sento urlare: “Ancora lei! E non è sola!” Ci hanno visti, evidentemente lei è famosa in questi luoghi, le mie labbra si aprono in un leggero sorriso comprensivo, ma oramai il treno va, e non si ferma. La guardo, è ancora più bella e strana della prima volta, e adesso la luce che si accende nei suoi occhi è una luce sincera, che esprime tutta la libertà e la felicità che ha in corpo. Non mi guarda, il suo sguardo è perso lontano, nel venticello fresco di quel pomeriggio autunnale, chissà che cosa pensa … I miei pensieri vengono interrotti da quello strano fischio ormai famoso del treno quando va. Non sappiamo quale sia la nostra destinazione, in ogni caso saremo felici di esserci arrivati. Solo ora mi accorgo che anche lei mi sta guardando da un pezzo. Mi scruta solo superficialmente non come la prima volta, ma ho paura comunque che riesca a leggere quello che penso, mi spaventa quando lo fa. Sto parlando come se la conoscessi da una marea di tempo, che strano! Mi metto a ridere dentro di me e lei sembra capire tutto perché le si allarga un sorriso fantastico che le incornicia il volto perfettamente. Ok basta! Distolgo lo sguardo imbarazzato, ci siamo guardati negli occhi anche troppo a lungo. Lei mi guarda ancora e non sembra per nulla darle fastidio. È strana. L’ho già detto e probabilmente lo ripeterò ancora parecchie volte, ma è incredibile quanto sia vero! Devo ammettere che non so veramente più come comportarmi, continua a guardarmi e io non ho il coraggio di riposarle gli occhi in faccia. Mi salva, distoglie lo sguardo e sorride. Ora sono più tranquillo e mi concentro su ciò che ho guardato fino ad ora ma che non ho mai messo a fuoco per la preoccupazione: il paesaggio …
Urla e mi spacca i timpani, è lì davanti alla porta pietrificata e non capisco.”Sono le quattro, non è possibile!” poi si sente in lontananza una piccola vocetta stridula che risponde, è al telefono. Non capisco cosa dica ma posso sentire bene la risposta che arriva: “No! No! No! Non è assolutamente possibile!” sta urlando e allora la raggiungo in cucina allarmato. La vedo mentre mette giù tutta agitata. Ha il viso sconvolto, manco gli fosse sparito il figlio! Sarà una delle sue solite cavolate, del tipo: mi si è rotta un’unghia. “È sparito è sparito!” la guardo, penso di avere quell’espressione da deficiente che lei non sopporta dipinta sulla faccia, ma questa volta penso di essere giustificato. “Ti rendi conto che il nostro piccolo figliolo non è da Mario e non ci è nemmeno andato?” “e allora?” “Non è ancora tornato! È sparito! È sparito” “Ma che cavolo vai cianciando, sarà a prendere ripetizioni da qualcuno, oppure al parco, è una meta famosa per i ragazzi del posto.” Mi guarda male … ma che ho detto? “A volte sembra proprio che tu non lo conosca tuo figlio! Non ama i ragazzi né la compagnia, non è possibile che sia lì e in ogni caso ci avrebbe pensato ad avvisarci! Non è proprio possibile!” A parte che non ci avrebbe mai avvisato, lo conosco bene, ma non oso ribattere, sembra, o meglio, è troppo arrabbiata, perciò lascio scorrere, in ogni caso non mi sto preoccupando, sarà da qualche parte nel paese. Non faccio in tempo a finire le mie riflessioni o a risponderle che lei ha già il telefono in mano e sta chiamando tutti: amici, parenti, la scuola e alla fine, la polizia. Non posso crederci, è lì che sbraita da almeno dieci minuti con la poliziotta che sembra essere spazientita.

1 ANNO DOPO
Ansia, è l’unica cosa che provo da quando ho deciso di far finire tutto. Sì, tutto. Viaggiare è bello, meraviglioso, ma, come diceva qualche fuori di testa se una storia non ha fine non ha senso, quindi anche questa storia finirà. Si chiuderà con un ultimo capitolo che è quello che andrò a raccontarvi ora, tutto è cominciato quando in qualche modo abbiamo raggiunto il Portogallo. Sembra eccessivo, vero? Eppure no, noi l’abbiamo fatto, ci siamo riusciti. Ed è proprio per questo che ho deciso di tornare indietro, tornare a casa. Arrivare fino al Portogallo è stata come una meta, un luogo d’arrivo che segnava la fine di tutto, del nostro viaggio, del nostro vagabondare e del nostro essere inseguiti e prendere treni che non ci spettano. La fine di tutto. Ma è dura dopo un anno tornare a casa, così e farmi rivedere dai miei, dopo quel fatidico pomeriggio in cui l’ho conosciuta. Si, lo ricordo benissimo, benissimo … Comunque, dopo il Portogallo eccoci in treno per Milano, oramai non manca molto, dovremmo esserci. Mi sta guardando, è consapevole del fatto che ci stiamo per lasciare, lei per me non è stata solo un’amica, è stata come una maestra, una maestra che mi ha insegnato molto più di quello che tutti gli altri mi abbiano mai insegnato nei miei otto anni di scuola. Una maestra che come unica materia da insegnarmi aveva l’esperienza, e grazie a questa mi ha insegnato quasi tutto, quasi tutto quello che è l’insieme delle cose essenziali nella vita di tutti i giorni, quasi tutto quello che poi sarà il mio pane quotidiano. Per questo sto cercando da ore di far sparire dalla mia mente il pensiero che presto la mia maestra d vita se ne andrà. Ma non ci riesco. La guardo, lei mi guarda e insieme ripercorriamo quelli che sono stati il nostro viaggio, i nostri sogni; le nostre speranze, le nostre follie, le nostre fughe. E poi … e poi ci tocca percorrere l’addio. Scendiamo dal treno, siamo arrivati. Per quanto poco mi ricordi del mio paese so che la stazione è vicinissima a casa mia. Camminiamo lentamente, passo dopo passo, svoltiamo l’angolo, attraversiamo la strada e la mia porta ci sovrasta dall’alto di quei pochi gradini che la precedono. La mia mano trema, ma il suono del campanello no, è forte e deciso, mi guardo indietro per l’ultima volta, lei mi sorride:
“Buona fortuna!”
Detto questo si avvia di nuovo verso la stazione. Qualcuno finalmente apre la porta e ho paura, mi sorprendo a rivoltarmi, non era esattamente quello che volevo fare ma fa niente e lei è ancora là. Con quella piccola nebbiolina bianca e leggera che la circonda. Torna da dove é venuta: dalla strada. E tutto finiva, così nel nulla, perso completamente in quella piccola e leggera arietta che preannunciava l’arrivo dell’inverno.

   
 
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