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Autore: Tomoko_chan    09/11/2015    3 recensioni
Naruto se ne è andato e ha portato con sè un pezzo di cuore dei suoi amici. Hinata è rimasta sola, ma il suo amato le ha lasciato comunque "qualcosa" per ricordarlo. Fra amici che tornano, nuovi colleghi, ultimi desideri da onorare, gruppi da riformare, cosa succederà alla allegra combriccola?
Alzò una mano e lentamente saggiò la pelle candida e setosa della sua guancia, la accarezzò dolcemente, e con il pollice gli sembrò quasi di riuscire a palpare la tragica via segnata dal passaggio delle sue lacrime, dove dopo meno di un secondo una vi si pose, ribelle. Si scoprì stupito di notare la realtà di quella goccia, concreta e umana. Non sapeva che gli angeli potessero piangere.

Torno con il promesso sequel di "Filosofia di vita.". Dedicata a Arcx e a Puffin, mie fedelissime e amatissime amiche.Song-fic, con canzoni di Ludovico Einaudi, Negrita, Evanescence, System of a Down,Serj Tankian.
[ NaruHina "unpochinoparticolare" ] [Coppia a sorpresa, KibaHana, SakuSaso, ShikaIno, accenni ad altre coppie, altre coppie in futuro, accenni a triangoli]
[DarkandLights][YinYang][Angst vs fluff][OOC giustificato]
19esimo capitolo dedicato al giorno dei morti, omake leggibile anche senza conoscere la storia precedente. Angst-Drammatico.
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hanabi Hyuuga, Hinata Hyuuga, Nuovo Personaggio, Sasuke Uchiha, Un po' tutti | Coppie: Hinata/Naruto, Kiba/Hanabi, Shikamaru/Ino
Note: AU, Lemon, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nessun contesto
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- Questa storia fa parte della serie 'Gli ultimi sognatori.'
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Gli ultimi sognatori.
Occhi Paradiso.
Farther away.
[Alti e bassi esagerati]


 
In quegli ultimi giorni stava fumando davvero tanto.
Era passato pochissimo tempo da quando aveva baciato Hinata – un errore madornale, che aveva segnato la sua condanna – e gli sembrava che, almeno per qualche manciata di minuti alla volta, la sigaretta fra le labbra assopisse quel desiderio irrefrenabile di farlo ancora, tanto quanto il sapore dolciastro che gli era rimasto di lei sulla lingua. Era una mera illusione, certo, ma era il suo modo di consolarsi.
Era bello fumare guardando lo skyline di Parigi. In lontananza vedeva Notre-dame, l’Arc du Trionfe, la Tourre Eiffel e una distesa di case eleganti, non troppo alte, colorate, parigine... e la Senna. Quello spettacolo lo faceva sentire un poco più pacato, ma non abbastanza. Era solo metà luglio… davanti a lui si prospettavano altri quindici giorni di tour e sofferenze in costante compagnia del soggetto del suo amore struggente. Ad agosto, poi, sarebbe stato libero: avrebbe anche potuto partire, per un po’, da solo, per allontanare il suo cuore dai patimenti. Scappare ancora era da vigliacchi… ma era l’unica scelta possibile.
«Sasuke… » una voce melliflua gli si avvicinò, ma non destò particolarmente la sua attenzione «Buongiorno…»
Una mano si poggiò candidamente alla sua spalla: le dita era sottili e allungate, fin troppo, tanto da sembrare artigli ossei e macabri. Una folta capigliatura rossa entrò nella sua visuale, insieme ad un sorriso da gatta morta.
«Come stai?» chiese lei, cercando di tenere il tono di voce basso «E’ un bel po’ che non stiamo insieme… ti andrebbe di salire un po’ in camera mia, prima della partenza?»
«Karin…» bofonchiò il moro, mentre questa tentava di sedurlo, baciandogli il collo «Non ho voglia di stare con te.»
«Davvero, Sasuke?» la mano di lei scivolò lungo i suoi muscoli, sfacciata, ma prima che potesse fare qualsiasi cosa, l’Uchiha fece qualche passo indietro, impedendoglielo.
«Ho detto di no.» disse, duramente.
Lo sguardo di lei era passato da mellifluo a risentito in un batter d’occhio. Sapeva già che lo aspettava una sfuriata. D’altronde, aveva usato Karin a proprio piacimento per troppo, troppo tempo.
«’suke-ji-chan?»
Sasuke si voltò verso l’entrata della grande balconata dell’hotel, richiamato dalla voce di Kurama, che aveva ancora la mano appoggiata alla porta finestra semichiusa, mentre nell’altro braccio stringeva il suo giocattolo di Superman. Aveva le guance gonfie e arrossate, gli occhi azzurri più stretti, come se avesse visto qualcosa che non gli era piaciuto.
«’kaa-chan mi ha detto di dirti di scendere per la cioccolata.» disse, mantenendo quell’espressione imbronciata.
«Per la cioccolata?» chiese Sasuke, stranito.
«Sì.»
«Intendi la colazione?»
«Sì, quella.»
Un piccolissimo sorriso affiorò sulle labbra di Sasuke dato che, ovviamente, il piccolo si riferiva soprattutto alla sua colazione. Gli parve di scorgere due occhi bianchi in lontananza… per un attimo si bloccò, confuso.
«Andiamo allora, Kurama.» disse, avvicinandoglisi e porgendogli la mano.
«Ma, Sasuke, noi…» lo richiamò Karin, che fu prontamente interrotta.
«Non vedi che sono impegnato?» rispose solo, prima di voltarsi e rientrare in hotel senza neanche guardarla.
Tenendo la mano del bambino, Sasuke si avvicinò a un ascensore e lo prenotò , pensoso. Aveva notato che Kurama era più taciturno rispetto al solito e manteneva l’espressione imbronciata di prima.
«Kurama?» chiamò, preoccupato «Che succede?»
Proprio in quel momento l’ascensore arrivò e il piccolo aprì bocca soltanto quando, dopo esservi entrati, le porte si richiusero.
«’kaa-chan è triste.» affermò, cupo «Avevi promesso.»
Era vero. Hinata era triste e, forse, anche arrabbiata, ed era tutta colpa sua. Aveva promesso a quel bambino – suo figlio, il suo piccolo e giovanissimo erede, che sembrava voler proteggere la madre con lo stesso coraggio e fedeltà di un cavaliere verso la sua regina – che si sarebbe preso cura di lei, che l’avrebbe protetta, anche da se stessa, e invece era stato solo fonte di un incommensurabile dolore. Quel bambino, così piccolo, così apparentemente indifeso, si faceva in modo continuo carico di un dovere non suo, ed era capace di redarguirlo come un comandante, con poche parole precise e calibrate.
«La tua ‘kaa-chan starà bene.» non ne era tanto sicuro « Farò in modo che lo sia.» non gli restava altra scelta che mentire.
Kurama gonfiò ancora le guance, indispettito. «’kaa-chan ha bisogno di ‘tou-chan.»
Sasuke sgranò gli occhi, stupito. Kurama era capace di dire qualsiasi cosa con semplicità, forse non si rendeva neanche conto della grandezza e dell’importanza di ciò che diceva. Sembrava aver pronunciato una delle più grandi verità del mondo – Hinata ha bisogno di Naruto – con la stessa facilità con cui diceva «Voglio un gelato.». Eppure, qualcosa – molto probabilmente quel lampo di intelligenza che gli vedeva negli occhi – gli diceva che neanche per lui era tutto così semplice, così facile, che in qualche modo capisse. Come se ci fosse qualcuno di più grande – e dannatamente invisibile – a guidarlo nello scegliere i toni, le parole, i gesti.
«Anche io ne ho bisogno, Kurama.» mormorò appena, appoggiandosi alla parete metallica. Gli sembrò di dire altro, di rivolgersi a qualcun altro, in tono disperato dire: «Anche io ho bisogno di te, Naruto.». Per la prima volta, pensò che lui fosse lì, in quel minuscolo corpicino, in quegli occhi azzurri: dentro Kurama. E provò vergogna e senso di colpa – per aver abbandonato Hinata, per essersi innamorato di lei, per averla baciata.
«Tu ami ‘kaa-chan, ‘suke-ji. » affermò il bambino, e la sua voce, per un attimo, sembrò ancora più cupa « E lei ti ama. Ha bisogno anche di te.»
Sasuke fece fatica a non scoppiare in lacrime: qualcosa nel modo di pronunciare quel nomignolo, l’inflessione della voce nel pronunciare il verbo amare, tutto gli era tanto familiare da farli pensare a lui, a Naruto. Dovette ricordarsi con chi stava parlando – chi pronunciava quelle verità immense – per trattenersi dal piangere. Con il cuore in mille minuscoli pezzi – che gli sembrava di lasciare dietro di sé ad ogni passo, mentre i suo piedi li calpestavano riducendoli in polvere – cercò di guardarlo in volto, per ricordarsi che quello era Kurama, che ancora non aveva nemmeno cinque anni compiuti, e non Naruto.
Ma quegli occhi, quegli occhi grandi e azzurrissimi, spalancati, puntati dritti su di lui, gli ricordarono Naruto mentre lo teneva stretto per il bevero, folle di rabbia, mentre gli diceva di smettere di sprecare la sua vita.
«Smettila, stupido teme.» diceva, mentre quegli occhi rimanevano impressi nella sua mente «Tu sei unico. La tua vita è unica. Puoi fare grandi cose. Cerca la felicità invece di buttarti a capofitto nelle sabbie mobili!»
Grossi lacrimoni scivolarono giù dalle sue gote, insieme ad un gemito strozzato, che sembrò distruggergli le viscere.
Con il solito tintinnio e il suono metallico delle lamiere, la porta dell’ascensore si aprì. Kiba, che lo stava aspettando, rimase per un attimo interdetto, il dito poggiato al pulsante di prenotazione. Poi gli occhi si spalancarono alla vista di Sasuke, semi accasciato sulla parete, che sembrava la sua unica fonte di sostegno, in quel momento.
«Kurama, esci.» ordinò, la voce ferrea di chi aveva tutto nelle proprie mani «Va da tua madre. Ora.»
Il piccolo, apparentemente terrorizzato, corse fuori, scomparendo dietro un angolo. Contemporaneamente, Kiba entrò dentro l’ascensore, cliccando in fretta i numeri di piani a caso.
Prese Sasuke da sotto le ascelle – non aveva mai notato quanto fosse diventato più forte, o forse era lui fin troppo leggero, che non ricordava più quando era stato il suo vero ultimo pasto – e lo sollevò un poco, premendolo contro la parete. La testa penzoloni dell’Uchiha – che ormai era vinto dagli spasmi di un pianto tenuto troppo a lungo in fondo al suo cuore – cadde sul petto di Kiba, e lui la lasciò lì, anzi, da quella posizione lo abbracciò, infilandogli una mano fra i capelli scuri, cercando di calmarlo. E Sasuke non era mai stato più fragile, non era mai stato così arrendevole, così delicato, così bisognoso. Nessuno aveva mai potuto abbracciarlo così, se non Hinata.
«So che questa situazione è orribile.» disse Kiba, memore degli insegnamenti di un certo biondino «So anche di non poter capire a pieno quello che stai vivendo, perché non ci sono dentro come te.» deglutì, preoccupato « Ma so anche che una persona che abbiamo conosciuto benissimo ti direbbe di non arrenderti, di tirare fuori i pugni e di conquistare ciò che il tuo cuore desidera.» Sasuke prese un grosso respiro, come se fino a quel momento fosse stato in apnea «Anche se quel qualcosa è sbagliato, o per lo meno non sembra giusto… Se è il tuo cuore a volerlo, sarà l’errore più bello che tu abbia mai fatto.»
Sasuke si aggrappò alla sua maglietta, per poter alzare il viso con più facilità. Lo sguardo che gli mandò era colmo di odio e di collera e, in un altro momento, Kiba sarebbe rimasto davvero terrorizzato, ma sapeva che quello era il vecchio Sasuke che tornava a galla, quello che invece di piangere picchiava, quello che invece di cercare aiuto allontanava tutti gridando.
«So di cosa sto parlando, Sasuke. Non sono stupido quanto pensi.» sorrise appena «Te lo ricordi, vero? Quando Naruto mi picchiò perché ero innamorato di Hinata e avevo rovinato il loro rapporto… pensi che farebbe lo stesso con te, se fosse ancora vivo? Io avevo giocato sporco, e aveva capito prima di me che il mio non era vero amore, ma soltanto una fissazione che mi era rimasta dalle medie… pensi che, guardandoti, vedrebbe la stessa cosa? Io penso che ti avrebbe lasciato provare, seguire il tuo cuore. Io lo vedo, Sasuke, vedo quanto la ami. Naruto lo avrebbe visto prima di me. Ti avrebbe lasciato fare e avrebbe lasciato la decisione a Hinata, perché sarebbe stato giusto così.»
Sasuke grugnì, incapace di parlare, e levò alto il pugno, pronto a colpire. Kiba sorrise.
«Avanti, colpiscimi.» lo incitò «Non servirà a sistemare le cose, ti sentirai solo peggio, dopo. Ma, almeno, capirò che le mie parole hanno avuto qualche effetto su di te. »
Le lacrime riaffiorarono sugli occhi umidi di Sasuke, mentre gli tornava in mente un Naruto che si lasciava colpire con il sorriso sul volto, ridendo addirittura.
«Devi provarci, Sasuke.» continuò Kiba «Non ho voglia di dire cose melense, ma… devi seguire ciò che ti può rendere felice.»
Le porte si aprirono ancora una volta, Sasuke si divincolò e scomparve nel nulla.
 
Fare il check in era sempre un’operazione lunga e noiosa. Hinata era stata piuttosto chiara: avrebbero avuto soltanto il tempo di arrivare a Londra in aereo per riposarsi come si deve, poiché, appena arrivati, sarebbero dovuti fiondarsi allo stadio per prepararsi allo show. Avevano già ritardato abbastanza a causa della richiesta di Shikamaru e, sebbene la gioia negli occhi di Ino mentre sfoggiava il suo anello prezioso fosse una bellissima ricompensa, ciò non poteva che causarle ansie e preoccupazioni. Col senno di poi, non si sarebbe comportata come aveva fatto, cercando di ricordarsi quale fosse il suo ruolo e quali le sue responsabilità. Si era comportata da vera irresponsabile, e dentro aveva sentito una scarica elettrica, la stessa di quando si lasciava coinvolgere dalle pazzie di Naruto.
«’kaa-chan?»
Hinata abbassò lo sguardo, attirata da Kurama, che l’aveva chiamata con una punta di preoccupazione nella voce, tirandola per i jeans. I suoi occhi cerulei sembravano più scuri, più cupi.
«’suke-ji-chan sta male.» affermò, indicando con il dito, coperto dalla folla al gate «Ha la faccia tutta bianca. Prima ha pianto.»
«Ma che dici, Kurama?» fece lei, alquanto stupita, voltandosi per guardare Sasuke. Era effettivamente bianco, mentre reggeva il suo bagaglio a mano, appoggiato ad una parete «’suke-ji non piange mai.» e no, non era vero, ricordava perfettamente le urla, le lacrime e i singhiozzi mentre sferrava pugni contro il volante, la sera del funerale. Come se fosse accaduto il giorno prima.
«Ha ragione.» una voce, dietro di lei, la sorprese. Kiba e Hanabi sostavano dietro di lei, i visi travolti dalla preoccupazione «Sta andando tutto a rotoli, Hinata.»
«Kiba…?» sembrava confusa «Che vuoi dire?»
«Vuole dire» Hanabi prese la parola, lo sguardo duro «che noi sappiamo tutto. Sappiamo cosa sta succedendo fra te e Sasuke. Ma questa… cosa… non può andare bene, se continuate di questo passo. Non vi parlate neanche più. Il gruppo si sta smembrando.»
«Hanabi, tu non sai di cosa stai parlando…»
«Invece lo so, e ti dirò una cosa.» le si avvicinò di un passo, lo sguardo crudele, tentando di essere dura «All’inizio ero preoccupata per te, per voi. Vorrei davvero che voi poteste essere felici, magari insieme, ma così non va. Adesso sono più preoccupata per Kiba.» l’altro, dietro di lei, sembrava perdere colore «Tu non hai idea di quanto in realtà abbia sofferto, di quanto abbia sacrificato, per rimettere al mondo qualcosa di paragonabile agli Origin. Kiba suonava solo per insegnare, aveva smesso di farlo per il proprio piacere, per produrre, per creare arte, e tornare a farlo… con tutti i ricordi di Naruto ad ogni nota, non è stato affatto semplice. Tu, questo, non puoi capirlo.»
«Hanabi…»
«E non ho intenzione- » un singulto le serrò per un attimo il respiro, ed i suoi occhi si riempirono di lacrime «Non ho intenzione di lasciar marcire tutti i suoi sforzi solo perché tu e Sasuke non prendete una decisione. Non lascerò che i Post Apocalypse si sciolgano. Non dopo tutte le lacrime versate. Hai capito?» una lacrima scese, mentre sembrava arrabbiarsi molto di più « Dovete trovare una soluzione, una qualunque. Hai capito bene, Hinata?»  
Hinata rialzò lo sguardo, ed il suo volto sembrò una maschera di cera. La sua pelle bianca era rigida, tanto quanto l’espressione del suo viso.
«Mi dispiace procurarvi tanto dolore.» affermò, ma né il suo viso, né il suo tono lasciarono trasparire alcunché «Giuro che smetterò di provare qualsiasi sentimento per chiunque.»
Hanabi inspirò forte, come se si fosse spaventata per aver appena visto un fantasma. Kiba fece un passo avanti, preoccupatissimo.
«Hinata, non esagerare.» disse, accompagnando le parole ad un tocco della mano.
La donna fece immediatamente un passo indietro. «Sto bene.» disse «Hanno aperto il gate.» comunicò, per poi sparire nella folla, prendendo in braccio Kurama.
Lui allungò una mano, toccò quella maschera di cera, mormorando «’kaa-chan?»
«Va tutto bene, Kurama.» rispose automaticamente la Hyuuga.
«Ti voglio bene.» mormorò ancora, accarezzandola come faceva lei stessa per consolarlo «E anche ‘tou-chan.»
«Lo so, Kurama.» affermò, mentre già la sua muraglia si stava spezzando «Lo so.»
 
Il volo non era durato molto – poco più di un’ora, in realtà – ma tra il ritrovare i bagagli e tutto il resto, avevano finito per fare ritardo. Correre nel traffico era stato da pazzi, e una volta arrivati allo stadio era stato complicato prepararsi così in fretta. Sembrava che nessuno avesse la voglia – e la forza – per prepararsi a dovere. Mentre truccava la sorella, Hanabi aveva le mani tremanti e non aveva osato dire una sola parola. Aveva agito per istinto: un istinto covato a lungo dentro il proprio animo, ma appena un attimo dopo aver parlato si era pentita. Aveva ragione, questo lo sapeva bene, ma ammetteva che i suoi toni – la totale assenza di tatto – erano stati fin troppo alti, tanto da allontanarla dalla sorella. Lei, che amava come fosse stata una madre. Sapeva perfettamente di averla ferita e lei, fin troppo simile a Sasuke per i suoi gusti, si rintanava dietro quella lugubre fortezza. Gli occhi di Hinata, poi, erano diventati opachi – così privi di luce da farla sembrare la dea della morte, insieme a quell’abito scuro e al trucco pesante – e probabilmente tutta la sua rabbia era frenata soltanto dalla presenza di Kurama nello stanzino. Suo nipote era davvero testardo quanto suo padre dato che, nonostante l’ora tarda, non aveva voluto fermarsi in hotel per dormire insieme a una babysitter chiamata appositamente, pur di rimanere accanto a sua madre. Hanabi credeva fortemente che tutto ciò non facesse bene al bambino. Era ammirevole il suo impegno nel volersi prendere cura dell’unico genitore rimastogli, ma temeva che, una volta cresciuto, avrebbe rimpianto quell’infanzia non vissuta. Sentiva tutti i malumori della madre come fossero suoi – e quella depressione l’aveva curata perché gliene aveva strappata via tanta con la forza – e, di sicuro, ne soffriva. Era un bambino forte – era figlio di Naruto e Hinata – ma era comunque un bambino, di nemmeno cinque anni.
«Kura-chan.» chiamò, dolcemente, «Vieni, dammi la mano. Fra poco inizia il concerto. »
Il bambino scese di corsa da divano e raggiunse la zia, sorridendo alla madre, che li stava precedendo. Uscirono dal camerino con passo fermo, raggiungendo poi il retropalco.
«Due minuti e si va in scena!» comunicò un operatore di tutta fretta, scomparendo dietro a delle apparecchiature.
Hanabi si fermò sul posto, guardando Hinata che raggiungeva i ragazzi, già in formazione.
Sasuke era vestito completamente di nero, la cravatta verde scuro, il viso pallidissimo. Non visto – o almeno così credeva – squadrò Hinata da capo a piedi. Il volto gli si contrasse in una smorfia di dolore, come se davvero avvertisse degli spasimi ogni volta che la vedeva, la trovava stupenda e ricordava a se stesso che non poteva averla. Provò dispiacere per lui. Shikamaru, le bacchette in una mano, sembrava intoccato da quella situazione che si era venuta a creare – come se non se ne fosse neanche accorto – e con un sorriso lievemente accennato, sembrava carico per il live. D’altronde, lui ne aveva tutti i motivi: Ino gli aveva detto sì, presto si sarebbero sposati, e prima ancora, probabilmente, avrebbero avuto un figlio.
Kiba sembrava sul punto di vomitare. Il suo volto era più pallido rispetto al solito, e di tanto in tanto chiudeva gli occhi, per riposare. Non stava bene – era doloroso suonare con il pensiero di non poterlo più fare in futuro molto vicino, dopo tutti i tentativi, i sacrifici, il sangue versato.
E Hinata… dal suo volto sembrava che fosse pronta per una battaglia – che in mano tenesse una spada invece di un microfono – tanto era agguerrita. Agguerrita non in senso buono, specifichiamo, non aveva né entusiasmo né sicurezza di vincere: semplicemente, sembrava pronta ad uccidere, tanta era la sua rabbia.
I loro volti, lievemente rischiarati dalle luci provenienti dal palco, sembravano quelli di quattro soldati che in guerra ne avevano visto di tutti i colori – avevano sfiorato la morte per un pelo – e che si apprestavano a ricevere delle medaglie che, in fondo, non sentivano di meritare. Erano insignificanti.
Penso a Naruto e, in realtà, era vero: la morte li aveva sfiorati per un pelo.
 
La band salì sul palco insieme, mentre la folla li acclamava. Shikamaru, seduto al suo strumento, cominciò immediatamente a dare i primi colpi di batteria, con una forza e un impeto che difficilmente si riuscivano a vedere in lui.
Hinata si diresse verso il pianoforte modificato, non quello a coda, ma alla pianola ultimo modello rialzata in modo che lei potesse suonare in piedi. Posizionò il microfono e cominciò a suonare, lasciando che i suoi capelli ondeggiassero a tempo, insieme al basso di Kiba che, suonando, le si avvicinò. Sasuke li raggiunse poco dopo, incrementando la loro forza. Forse, era diventato il loro unico modo per stare insieme. Appena finiva di suonare, Hinata prendeva il microfono e si spostava in giro per il palco, cantando con voce roca e dura, tremendamente arrabbiata, per poi tornare al piano quando ce n’era bisogno. Tutti guardavano quello spettacolo con il fiato sospeso.
In un momento più “dolce” della canzone, Hinata si avvicinò a Sasuke, cantando «don’t leave me here»  guardandolo negli occhi, la chitarra fra di loro. Sembrava che stessero litigando, ma anche facendo l’amore… erano violenti, forti, e incredibilmente tristi. Dopo poco, Sasuke iniziò il suo assolo, ed Hinata ondeggiò i fianchi a tempo, suonando il piano, la voce incredibilmente gotica.
 
FARTHER AWAY
 
I took their smiles and I made them mine.
I sold my soul just to hide the light.
And now I see what I really am,
A thief a whore, and a liar.
I run to you,
(And run away from this hell)
Call out your name,
(Giving up, giving in)
I see you there,
(Still you are)
Farther away.

Im numb to you - numb and deaf and blind.
You give me all but the reason why.
I reach but I feel only air at night.
Not you, not love, just nothing.
I run to you,
(And run away from this hell)
Call out your name,
(Giving up, giving in)
I see you there,
(Still you are)
Farther away.

Try to forget you,
But without you I feel nothing.
Don't leave me here, by myself.
I can't breathe.
I run to you,
(And run away from this hell)
Call out your name,
(Giving up, giving in)
I see you there,
(Still you are)
Farther away.

I run to you,
(And run away from this hell)
Call out your name,
(Giving up, giving in)
I see you there,
(Still you are)
Farther away.
Farther away,
farther away,
farther away,
farther away,
farther away.


Sasuke entrò in camerino dando un calcio alla porta, le mani occupate ad allentare la cravatta, pur di toglierla. Non fece caso alla porta che non si richiuse subito, ma solo dopo qualche tempo. 
Quando si voltò, sbottonandosi la camicia nera, si ritrovò Kurama davanti. Aveva gonfiato le guance in modo molto tenero e gli occhi, umidi, stavano per scoppiare in grossi lacrimoni.
«’ji-chan!» chiamò, allungando le braccia verso di lui e, contemporaneamente, scoppiando a piangere «’ji-chan, mi dispiace!»
Sasuke, guidato da un istinto primordiale, si abbassò subito piegando le ginocchia e lasciò che il bambino gli corresse fra le braccia, stringendolo poi a sé. Tremava tutto.
«Kurama.» chiamò con tono pacato Sasuke, tentando di calmarlo «Che c’è?»
«Mi dispiace se ti ho fatto piangere, stamattina!» aggiunse, fra i singhiozzi.
«Ma no, Kurama, tranquillo, non è stata colpa tua.» disse, accarezzandogli i capelli, identici a quelli di Hinata «Ho pensato a cose a cui non dovevo pensare. Sto passando un periodo difficile. Ti posso confidare un segreto? Non lo dirai a nessuno, vero?» il bambino annuì contro la sua spalla, mentre Sasuke pensava quanto fosse strano che lui, un Uchiha, si lasciasse andare a confidenze, per di più con un bambino «A volte penso di avervi portato solo tristezza. Quando sono arrivato, sorridevate di più, tu correvi ovunque, mentre adesso siete tutti così tristi, ed è solo colpa mia. Penso che andarmene sarebbe la cosa migliore per tutti.»
Il bambino strinse con forza le mani intorno alle sue spalle, facendogli quasi male, guardandolo intanto con occhi sgranati e spaventati. «No!» urlò, per poi ricominciare a piangere forte «Non puoi andartene!» si strinse nuovamente al petto  dello “zio” «Non lasciarmi, ti prego! Ho bisogno di te!»
Sasuke si lasciò abbracciare, profondamente stupito. Quanto tempo era che nessuno gli diceva che aveva bisogno di lui? Quanto tempo era che non si sentiva più di vitale importanza per qualcuno? Ma soprattutto, quanto tempo era che non si sentiva così amato?
«Tranquillo, Kurama.» commosso, ancora una volta, a causa di quel bambino, abbassò il volto e gli lasciò un bacio fra i capelli, come faceva un tempo con sua madre «Non andrò da nessuna parte.»
 
Hinata, stanchissima, per molto tempo era rimasta in camerino senza far niente. Con la testa fra le mani, cercava di dar pace a quelle vocine nella sua testa che non facevano che ricordargli quanto tutto ciò che facesse fosse orrendo quanto sbagliato. Non voleva dar ascolto a quelle voci che continuavano a chiedergli se si era innamorata di un altro uomo, se si era dimenticata di Naruto, dei suoi baci, delle sue carezze. Non riusciva a ricordare la sensazione di quei tocchi premurosi sulla sua pelle, ma avvertiva come un soffio caldo sul cuore ogni volta che ci pensava. Amava Naruto, lo aveva amato con tutta se stessa dal primo momento, senza neanche conoscerlo. Aveva avvertito l’alchimia sulla pelle, con un brivido che le aveva scosso le ossa e le aveva fatto venire la pelle d’oca. Adorava ricordare quei momenti di passione, anche se le procuravano ancora un immenso dolore, eppure, con i suoi patimenti interiori, sentiva in qualche modo di tradirlo.
Pensare a Sasuke, alle sue parole, a quei “ti amo” biascicati, alle sue labbra sulle proprie… vederlo star male, ingrigirsi, preoccuparsi per lui, stare male a sua volta… si sentiva una traditrice nei confronti di Naruto e una ladra della peggior specie per chi le stava vicino. Aveva rubato i sorrisi di Hanabi, di Kiba… e soprattutto quello di Kurama che, ormai, non si comportava più come un bambino, ma come un padre, che si preoccupava costantemente per lei. Si comportava come Naruto. Lui e loro figlio avevano la stessa lucentezza negli occhi, lo stesso sorriso, e lei era stata capace di rubare anche quello. Che madre era?
Cominciò a spogliarsi con questi pensieri nella mente. Si sentiva terribilmente stanca e pesante. Ogni gesto che faceva era lento e scoordinato, come se stesse manovrando un corpo non suo.
Aveva quasi finito, quando la porta si spalancò alle sue spalle.
«Te l’avevo detto di bussare, Kurama.» disse una voce che la fece arrossire, mentre finiva di infilarsi la maglia.
Lui ebbe appena il tempo di vedere la lunga cicatrice bianca che segnava il fianco destro di Hinata, prima che si voltasse per guardarlo, stranamente rossa in viso. Cinque anni prima non sarebbe stato così strano, ma del tutto naturale che una ragazza timida come lei si imbarazzasse nell’avere la pelle scoperta davanti a un ragazzo. Ma lei ormai era diventata una donna – una donna bellissima, cicatrici o meno – e non arrossiva più facilmente, per di più con lui, con cui aveva una situazione piuttosto difficile.
«Sasuke.» disse Hinata, guardando attentamente la cravatta allentata, i primi bottoni della camicia slacciati, i capelli in disordine e la mano chiusa intorno a quella di Kurama. Gli sembrò così bello – e no, non avrebbe dovuto pensarlo – e così dolce mentre, goffamente, si prendeva cura di suo figlio, proprio come avrebbe fatto un genitore. Con lo stesso identico affetto.
«Mi dispiace disturbarti, so che siamo tutti stanchi.» affermò Sasuke, tentando di non lascar trasparire l’agitazione. Era tanto che non si parlavano – solo due giorni, in realtà, ed era assurdo quanto gli pesassero «Kurama vuole andare in hotel. Casca dal sonno.»
«Ovviamente.» mormorò Hinata, guardando il figlio che non accennava a lasciare la mano sicura di Sasuke. Gli sembrava già confermato, con questo gesto, ma chiese comunque «Vieni con noi, Sasuke?» poi tornò a guardarlo negli occhi, una nuova decisione dietro lo sguardo non così certo «Dobbiamo parlare.»

 
 
 

~Angolo Autrice. 
Vi state chiedendo se sono tornata? Beh, in effetti è possibile, ma non
abbiate tante speranze. La verità è che mi sono staccata da EFP per
concentrarmi su lavori più seri - e per seri intendo originali, e per 
originali non intendo la sezione apposita del sito, ma lavoro ORIGINALI
PUBBLICATI
da una casa editrice che si chiama Lettere animate. 
Quando ho ricevuto questa bella notizia, ho ritrovato la fiducia in me,
che avevo perso le ultime volte che avevo pubblicato qui, e ho iniziato
a lavore su un progetto nuovo e più grande, che spero verrà pubblicato
da qualche casa editrice più importante... ma fatto sta che mi hanno
pubblicato, e questo vuol dire che sono diventata una AUTRICE vera,
in piena regola. Però mi dispiaceva tanto lasciare questa storia
incompiuta... anche perchè avevo lasciato nel mio archivio qualche
altro capitolo che, poverino, stava cominciando a prendere la polvere.
Perciò, come minimo pubblicherò questi capitoli "avanzati" e poi... 
chissà... nei momenti di pausa... quando l'ispirazione arriverà...
potrei anche decidere di continuare OCCHI PARADISO.
Detto questo, spero che il capitolo vi piaccia e, se vi va, vi lascio il
link del mio libro, disponibile su Amazon!! http://www.amazon.it/Ombre-Claudia-DAmico/dp/8868825392/ref=tmm_pap_title_0
   
 
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