Disclaimer: I personaggi presenti in questa fanfiction non mi appartengono, ma sono proprietà dell'autore; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro

- Colonnello. - mi avvicinai all'uomo che se ne stava di fronte alla stele.
- Gli alchimisti sono delle creature spregevoli, non ho forse ragione tenente? Una parte di me cercava freneticamente di mettere insieme nella mia testa le teorie sulla trasmutazione umana. Ora credo di capire che cosa devono aver provato quei ragazzi, quando volevano trasmutare la madre. -
- È sicuro di stare bene? -
- Sì, sto bene. Accidenti, sta anche cominciando a piovere. - portai l'attenzione al cielo, cercando con lo sguardo le nuvole foriere di pioggia di cui stava parlando il mio superiore, ma non ne trovai traccia.
- Non mi pare, Colonnello. Non sta affatto piovendo. -
- Sì. Sta piovendo. -

Le nostre ombre, proiettate sulla tomba del neo Generale di Brigata, si allungavano a causa del Sole ormai al tramonto.
In quel momento mi voltai verso di lui e osservando attentamente la sua guancia, capii le sue parole.
Roy Mustang, l'Alchimista di Fuoco, un cane dell'esercito che aveva partecipato alla guerra di Ishval seminando morte e distruzione... stava piangendo sotto i miei occhi.
Piangeva come solo gli adulti sanno fare, in silenzio, senza singhiozzare.
Vederlo così indifeso, così fragile, così umano mi diede la dimensione del dolore immenso che stava provando. Improvvisamente realizzai che Maes Hughes non era solo un suo subordinato, era il fratello che il Colonnello non aveva mai avuto.
E lui non era riuscito a proteggerlo, a salvarlo.
I miei stessi occhi iniziarono a bruciare, velandosi di lacrime, mentre la profonda tristezza di Mustang si palesava a me, entrandomi fin dentro al cuore.
Sentivo dentro di me un groviglio inestricabile di sentimenti, come se la mia frustrazione e il dolore del Colonnello si fossero mescolate, creando un grumo che mi appesantiva il petto e mi rendeva infinitamente triste.
Cosa potevo fare per aiutarlo, per rasserenare il suo animo, per consolare quell'uomo distrutto che mi stava a fianco?
Mi sentivo una nave senza vela, col timone spezzato in mezzo ad una tempesta.
Lui mi aveva resa partecipe di quel momento, di quella sua emozione repressa contando sulla mia discrezione, sul fatto che avrei capito.
Avrei voluto abbracciarlo, asciugare le sue lacrime dolcemente, sussurrargli parole di conforto...ma non potevo.
Perché ero una sua subordinata.
Perché lui ne sarebbe rimasto ferito.

Strinsi convulsamente il bordo del cappotto mollemente abbandonato sul mio braccio, impotente.
Sì, impotente.
Lui stava soffrendo e io non avevo nessun coniglio nel cilindro per farlo stare meglio!

Guardando ancora il suo viso rigato dal pianto, lo vidi finalmente per quello che era: un uomo, un semplice essere umano, con le sue ambizioni, i suoi sogni, i suoi desideri ed i suoi sentimenti, questi ultimi sempre nascosti dietro al velo della sua riservatezza.
Il mio sguardo, inconsciamente, si addolcì.

- Ha ragione. - abbassai lo sguardo sulla lapide bianca – Andiamo via. Fa molto freddo. -

In quel momento, rinnovai silenziosamente la mia promessa di proteggerlo, anche a costo della mia stessa vita.