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Autore: thyandra    10/11/2015    2 recensioni
L'aria intorno a loro e ai resti della loro battaglia era ancora satura di quell'imperioso silenzio, che, con la sua mano gelida, sembrava ricoprire le ultime vestali della guerra d'un abito nero di lutto. Avevano osservato le macerie dell'odio dispiegarsi tutt'intorno al luogo in cui l'ultima battaglia della loro Era era stata combattuta, poggiando lo sguardo su quelle dita intrecciate dei due fondatori, sole superstiti all'ennesima guerra di anime.
Nessuno di loro aveva più parlato, mentre ciascuno, nella propria mente, aveva soppesato il prezzo che quella pace aveva richiesto.
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{Introspettiva; Sasuke PoV; Re-telling capitolo 699; Accenni SasuSaku}
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kakashi Hatake, Naruto Uzumaki, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha | Coppie: Sasuke/Sakura
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Naruto Shippuuden
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Nèmesis





S'era messo a sedere con fatica e aveva visto Naruto fare lo stesso, al suo fianco, nonostante il peso del passato e del futuro a venire avesse tentato di farlo vacillare, ancora. I muscoli dello sterno gli avevano rinviato una fitta acuta che per un attimo lo aveva lasciato senza fiato, ricordandogli al contempo che le ossa ed i tessuti sotto le proprie carni malconce erano ancora innegabilmente vive; d'istinto s'era portato una mano -l'unica rimastagli, s'era corretto mentalmente- al petto a controllare quel battito che ancora tuonava nella propria gabbia toracica, seppur debole.

Il sangue che ancora sgorgava dall'amputazione al suo braccio sinistro aveva continuato a sanguinare per tutta la notte, lo sapeva, e la sensazione di essere stato così prossimo alla morte, una volta ancora, l'aveva lasciato con uno strano senso di leggerezza alla testa, che solo in parte attribuiva alla perdita di vitali fluidi corporei. Aveva inspirato a fondo.

L'aria intorno a loro e ai resti della loro battaglia era ancora satura di quell'imperioso silenzio, che, con la sua mano gelida, sembrava ricoprire le ultime vestali della guerra d'un abito nero di lutto. Avevano osservato le macerie dell'odio dispiegarsi tutt'intorno al luogo in cui l'ultima battaglia della loro Era era stata combattuta, poggiando lo sguardo su quelle dita intrecciate dei due fondatori, sole superstiti all'ennesima guerra di anime.

Nessuno di loro aveva più parlato, mentre ciascuno, nella propria mente, aveva soppesato il prezzo che quella pace aveva richiesto. Il vento gli s'era impigliato tra i capelli, e Sasuke aveva lasciato che la sua brezza sottile gli accarezzasse la pelle, cullandosi di quel limbo. Era strano, lasciarsi andare, aveva pensato, lui che dal vento aveva sempre tratto nuova vita per le sue fiamme.

Aveva percepito lo sguardo acuto di Naruto su di sé, ma quella consapevolezza per una volta non l'aveva infastidito, sebbene sapesse quanto a fondo le iridi cristalline del biondo avessero saputo cogliere i propri stessi pensieri, come un libro aperto. Anche suo fratello aveva sempre avuto quella capacità, ed era una sensazione stranamente confortante, sapere che in fondo non serviva guardare poi così distante, per accorgersi d'essere sempre stato a casa.

S'era sentito vecchio, d'improvviso, nel ricordarsi che quella non era stata una realizzazione recente. Nuova era solo la naturalezza con cui si concedeva di pensare a legami che un tempo aveva solo concepito come vincoli, e in quell'istante Sasuke aveva capito anche lui, cosa aveva perso in quella guerra.

Il proprio odio, gli aveva sussurrato la sua stessa voce da ragazzino, quella che tanto spesso aveva ignorato in passato, ma che oggi come allora sapeva ben presente nel proprio cuore.

Era stato pronto a farsi carico di tutto l'odio del mondo, certo. Così pensava che avrebbe agito un Hokage, o meglio, così credeva che avrebbe agito suo fratello. L'assenza della solita fitta nel petto e all'occhio sinistro, al pensiero di quella parte di passato che non era stato di grado di sistemare, gli fecero realizzare che, dopotutto, forse era sempre dipeso da un ideale irrealizzabile, e la consapevolezza che la vendetta non avrebbe tenuto il suo ricordo più vivo nella propria mente era stata solida e bruciante come lo era stato il riconoscimento che quella strada non avrebbe mai puntato alla propria felicità. Sasuke non l'aveva scelta perché fosse facile, aveva pensato con un cenno d'amarezza, ma perché sapeva bene che non ce ne sarebbe mai stata una che lo fosse davvero. Non per lui. Non per un Uchiha. L'aveva realizzato già da tempo, già da quando aveva sette anni e il puzzo quel liquido metallico gli battezzava il capo come garanzia di lealtà a un ideale traviato, in quel mondo di bugie che adesso conosceva bene.

Suo fratello era stato ben chiaro, a riguardo. Il suo sharingan avrebbe chiamato il sangue del proprio migliore amico, prima del proprio.

S'era guardato intorno, a quel pensiero, sollevando lo sguardo ancora una volta alle rovine di calcinaccio e fango che ancora lo circondavano a perdita d'occhio. Era grato di aver spezzato il ciclo dell'odio dei propri tomoe proprio lì, tanti anni prima. I visi dei due fondatori erano rimasti indenni alla loro lotta, quella volta, a ricordar loro che quel destino non li avrebbe abbandonati, loro che erano reincarnazione di una faida che chiedeva sangue fraterno da secoli, ormai.

Sasuke s'era passato la mano sul volto, adombrando per un istante il rinnegan che giaceva in attesa dietro la palpebra serrata, pronto a guardare ancora una volta quel mondo così contorto, giudicandolo. Vederlo da più angolazioni gli sarebbe certo stato d'aiuto in futuro, se doveva far spalla al nuovo caposaldo della Foglia, il solo che poteva far da frangente tra la propria generazione e il peso d'un passato non ancora dimenticato, perché sconfinava nell'oggi. Adesso l'aveva capito.

Non era mai stato pronto ad una vita di solo odio, lui, così come Naruto aveva sempre saputo prima di lui.

Aveva sempre preso ogni sua decisione in vece di quell'amore viscerale, o la privazione del medesimo; Naruto glielo aveva sempre letto negli occhi, solo gli aveva sempre fatto la cortesia di non dirlo mai ad alta voce; Sasuke non gli avrebbe creduto, del resto, con gli occhi troppo pieni di lacrime mai piante per vedere la somiglianza: un viso da vecchio nascosto sotto un sorriso ingenuo e un sogno più grande di lui; lo specchio del proprio.

Quello che entrambi avevano sempre desiderato, in fondo, era non di rimanere soli.

Era stato guardando il volto di Sakura, diviso tra la concentrazione e la preoccupazione, le sue mani non più tremanti per la sua vicinanza, accese di chackra verde, a fargli capire quanto, nel suo cammino nell'oscurità, aveva negato al proprio sguardo. Per la prima volta in sua presenza, Sasuke aveva sentito forte il bisogno di esprimere a parole quel che sapeva di aver lasciato non detto per troppo tempo, perché sapeva che lei si meritava almeno quello sforzo, dopo gli anni passati a inseguire un'ombra credendo in lei più di quanto non avesse mai fatto lui stesso, portandola ai propri piedi.

Era merito di Sakura se aveva ancora un posto in cui tornare, Sasuke l'aveva sempre saputo, per questo aveva sempre cercato d'allontanarla; Camminare lungo la via dell'odio comportava perdere se stessi, e in questo Sasuke era sempre stato bravo. Dubitava, però, di poter perdere qualcun altro in quel medesimo tragitto e un tempo s'era detto che era solo perché quella strada apparteneva a sé stesso soltanto. Non poteva permettere al ragazzino dalla voce puerile e i suoi medesimi tratti che viveva nel suo inconscio il suo sogno proibito, un porto sicuro cui fare ritorno, l'affetto. Non poteva ancora avere una nuova famiglia, se quella vecchia ancora lo tormentava ogni notte.

Il sangue nelle sue vene chiamava quel sangue, si diceva, perché l'altra faccia dell'odio era l'amore e questo lui non l'aveva mai dimenticato, ma era passato dall'uno all'altro con una rapidità tale da fargli dubitare che il terreno che non era ancora crollato ai suoi piedi fosse quello solido e immutabile della verità.

Era sempre stato bravo a mentire a se stesso, del resto, e il suo volto da bugiardo aveva quei tratti infantili che una maturità improvvisa aveva scaricato sulle spalle esili dell'innocenza. Non si sentiva una vittima, per questo. Non l'aveva mai fatto.

"Mi dispiace," aveva detto, "Per tutto quello che ho fatto finora" e quella scusa era suonata amara e falsa anche sulle proprie labbra, bugia per omissione, perché ancora una volta Sasuke c'era cascato, aveva detto le cose a metà. Ma la tristezza nei propri occhi aveva detto il restante solo per le orecchie di lei, e Sasuke seppe che lei ebbe capito quando intravide quel luccichio familiare annacquarle le iridi.

Le lacrime di lei, per la prima volta, avevano segnato la propria assoluzione, invece che l'ennesima condanna. Voltare pagina non era mai stato facile, per Sasuke.

Le mani tiepide e ferme di lei erano tornate al loro colore naturale, abbandonando il loro alone verdastro, e senza perdere ulteriore tempo s'era messo in piedi, ignorando il formicolio immaginario che gli dava il fantasma del suo braccio sinistro, quello mancante, che lo sbilanciava ancora un po' sul lato opposto, e il capogiro che gli aveva mozzato per un attimo il fiato, a causa dell'ingente perdita di sangue. Non avrebbe esitato più.

Aveva rifiutato il braccio che Sakura gli stava porgendo, e nell'esitazione del gesto di lei aveva capito la paura di quel rifiuto, aveva compreso che riguadagnarsi la loro fiducia non sarebbe stato facile; così aveva teso invece il braccio sano a Naruto, per evitare che barcollasse. Aveva quasi sorriso di nuovo e l'espressione nel volto dell'Haruno s'era addolcita, quando lei aveva compreso il motivo del suo gesto. Non voleva allontanare lei, ma la preoccupazione su quel viso già reduce di troppe battaglie.

Senza un'altra parola, s'erano diretti verso il resto dell'alleanza, Naruto e Sasuke reggendosi e tenendosi integri a vicenda.


 


 

x.


 


 

Intrecciando le dita con quelle dell'Uzumaki a formare il sigillo di rilascio, Sasuke non si era chiesto cosa avrebbe visto lui, se fosse rimasto intrappolato nello Tsukuyomi come tutti gli altri.

Il suo se stesso passato l'avrebbe fatto, forse; o forse no.

Il sorriso a bocca chiusa di Itachi, lordo di sangue, e i suoi occhi ciechi che gli guardavano l'anima per l'ultima volta salutarono comunque le sue palpebre chiuse, quando la spossatezza per la quasi mancanza di chakra in circolo lo aveva fatto barcollare per il secondo d'un ripensamento.

La felicità era una condizione a cui non aspirava da tempo, e non era sicuro di essere pronto ad accoglierla neanche adesso, affidandola a qualcun altro, perché aveva sempre avuto paura di ciò che non poteva controllare.


 


 

x.


 


 

Ritrovarsi tra quelle vie familiari alla luce del giorno gli aveva dato per un attimo una sensazione di irrealtà, e aveva dovuto sopprimere l'istinto di coprirsi il volto sotto la cappa d'un mantello inesistente, prima di rendersi conto del corso dei propri pensieri e raggelare sul posto. Quando aveva cominciato a sentirsi un estraneo in casa propria? E quando, esattamente, aveva cominciato a riconsiderarla tale?

S'era riscosso con un sobbalzo a stento trattenuto, quando un bambino era andato a sbattere contro il suo ginocchio ancora dolorante, nella sua fretta d'inseguire un gatto maculato. Poco distante, una ciurma di ragazzini lo stava inseguendo sbraitando improperi indegni per labbra così fanciulle, e Sasuke s'era affrettato a farsi da parte, pur seguendoli con lo sguardo e appurando la mancanza di coprifronte ninja sulle porzioni di pelle visibili; d'un tratto la familiarità bruciante che quella singola scena aveva saputo risvegliare nel suo petto l'aveva lasciato incapace di trarre fiato e senza rendersene conto aveva appoggiato la fronte sul fresco legno dell'edificio, chiudendo gli occhi. Quanto tempo era passato?

Nessuno di quei bambini s'era ritratto al suo passaggio, additandolo a malvolere come s'era aspettato, e lui sapeva che il suo volto era ben noto, tra i nukenin della Foglia. Non voleva pensare a cosa ciò comportasse, non voleva sperare di poter arrendersi alla naturalezza che la sua presenza al villaggio faceva sorgere da qualche parte in fondo al suo stomaco, insieme alla nausea, perché Sasuke in fondo in fondo sapeva di non meritarsela, di essere ancora un estraneo, tra quei bambini; nemico fino all'altroieri. Sapeva di non meritarsi quella quotidianità che s'era strappato coi denti da un egoismo sanguinante. Non ancora. Il fantasma del suo braccio sinistro glielo ricordava ad ogni respiro e lui sapeva che prima o poi avrebbe dovuto fare i conti con se stesso, solo sperava non adesso.

Fuggire dalle proprie responsabilità era sempre stato un suo vizio, si era reso conto con meno stizza di quanto si aspettasse.

Aveva aperto la porta senza riflettere, trascinandosi dentro un appartamento che gli ricordava vagamente il proprio di qualche anno prima, chiedendosi se quel dettaglio fosse stata una qualche cortesia particolare di Kakashi, o solo l'ennesimo caso beffardo della propria vita. Il suo vecchio appartamento non esisteva più, spazzato via dall'attacco dell'Akatsuki e probabilmente mai ricostruito, lo sapeva, l'aveva già appurato durante la sua ultima visita, quando era tornato in cerca di risposte ed era andato a cercarle proprio da Orochimaru, come un serpente che si mordeva la coda. Il villaggio gli era sembrato così differente, allora!

Guardando l'anonimo circondario s'era chiesto se fosse stato un bene, l'aver perduto per sempre ogni legame ad ogni nefasto ricordo passato. Il pensiero era corso alla vecchia cinta muraria di quel quartiere già a lungo abbandonato, casa solo di fantasmi da più tempo di quanto non volesse riconoscergliene.

Aveva lasciato che le sue ginocchia cedessero, scivolando giù sul tatami e poggiando la schiena sul legno liscio e fresco del muro, che aveva dato immediato sollievo agli stretti bendaggi che ancora gli circondavano lo sterno, sovrappensiero. Il suo sguardo aveva vagato per quello stretto spazio impersonale e s'era ritrovato a pensare a quell'unico oggetto di cui avrebbe sentito la mancanza, tra tutto ciò che s'era lasciato dietro al villaggio nella sua fuga verso il potere: quell'unico portafoto rovesciato all'ingiù, sul mobile sotto la finestra.

Era stato un simbolo, un tempo. Adesso aveva il retrogusto amaro dell'ingenuità. Sasuke avrebbe voluto rimetterlo a posto, senza un secondo sguardo a quei tre sorrisi, uno sotto al bavaglio, per non appurare la mancanza del proprio, lì dove avrebbe dovuto esserci, se solo fosse stato ancora lì. Aveva pensato che in fondo fosse stato giusto, averlo perso insieme a tutto il resto, mentre era via.

Di rimpianti, Uchiha Sasuke ne aveva tanti, e poco importava che quella casa non ne contenesse più nessuno. Forse, si era detto, per cominciare bene dovrei prima affrontarli.


 


 

x.


 


 


 

Kakashi lo stava aspettando alle porte del villaggio e Sasuke non era tipo da far aspettare una questione in corso già da troppo tempo. Quello del ritardatario non era il suo ruolo, aveva pensato con un accenno di sorriso che era morto in fretta al chiudersi della porta di casa.

Aveva camminato a testa alta per le vie di Konoha alla luce del primo sole del mattino, la sicurezza nei confronti della sua decisione a scandire ogni suo passo su quel familiare selciato. Questa volta sarebbe stato diverso, aveva ricordato a se stesso, perché stavolta era lui ad essere diverso. Cresciuto, forse, o così voleva sperare.

Trovare Sakura di fianco al suo vecchio maestro, una volta arrivato, non lo aveva sorpreso neanche un po'. Piuttosto, non aveva fatto altro che acuire quella sensazione di déjà vu che cresceva dalle sue interiora come un malessere, rendendolo irrequieto, guardingo, sempre più consapevole e deciso di quella necessità di partire.

Lo aveva visto nei loro sguardi, il dubbio, la fiducia ancora stentata, il biasimo per quell'esistenza vissuta in bilico ai confini di una coscienza e di una moralità che ancora non sapeva se poter chiamare proprie, o solo impiantate e sedimentate da una volontà altrui; prima il padre, poi il fratello, poi i fantasmi di entrambi.

Sasuke dubitava di aver mai compiuto una scelta da solo. Dubitava di aver mai visto il mondo al di fuori di una prospettiva; finora.

Aveva detto i propri addii con una sorta di ritrovata malinconia, perché nonostante tutto sapeva che avrebbe sentito la loro mancanza. Non aveva ignorato l'occhiata severa che Kakashi aveva mandato nella sua direzione dopo le sue parole, mentre Sakura aveva lo sguardo basso, e sapeva che l'uomo stava silentemente soppesando la sincerità delle sue promesse. Aveva tacitamente concordato con le sue condanne.

Le sue scuse erano suonate sincere, ma, da qualche parte in fondo alla propria coscienza, sapeva che non sarebbero mai state sufficienti. Non fino a quando non avesse imparato a vedere il mondo da un'angolazione priva di pregiudizi.

"Te ne stai già andando?" aveva detto Sakura, senza trattenere la delusione dal suo tono, e lui aveva aggiunto l'ennesima imputazione alla fedina della sua coscienza. "Tsunade-sama ha quasi finito la mano di rimpiazzo prodotta con le cellule di Hashirama."

Era stata una preghiera.

Sasuke aveva quasi esitato, di fronte all'ennesima prova che Sakura sarebbe sempre stata un passo avanti, pronta a far vacillare le sue certezze con la forza di quegli occhi verdi. Per un istante era ritornato di nuovo ragazzo, su quello stesso palcoscenico da tragedia; si era chiesto se guardarla negli occhi, questa volta, avrebbe cambiato le cose.

La sua storia si stava chiudendo come un cerchio perfetto, e lui si era ritrovato di nuovo di fronte a quel bivio che lo sveva tanto spaventato da bambino: la scelta tra se stesso e i propri fantasmi.

Questa volta non avrebbe scelto i secondi.

Ironicamente, aveva capito solo adesso il peso che aveva forzato le spalle di Itachi nella sua consueta, curva postura di sottomissione, non dissimile dalla stanchezza: adesso comprendeva il vero massacro che aveva compiuto, quello delle proprie emozioni; solo adesso capiva che nessuna pace avrebbe potuto davvero essere priva di vittime, perché a desiderarla più ardentemente sarebbero sempre stati coloro che prima avevano dovuto compiere una battaglia contro se stessi, i propri errori e i propri rimpianti.

Se era pur vero che il cammino dell'assoluzione era arduo e impervio, lui non voleva evitare la prima tappa. 

"Io... Ho bisogno di vederlo coi miei occhi, com'è davvero il mondo" aveva detto, e il braccio amputato era rimasto rigido al suo fianco. Un promemoria.

Il sinistro aveva tentato di distruggere l'equilibrio del mondo. Il destro si era allungato verso un altro palmo aperto per congiungervisi e risanarlo. Sasuke aveva deciso quale, dei due, gli sarebbe stato più necessario da quel momento in poi.

Aveva abbassato lo sguardo.

"Tutto quel che mi è sfuggito in precedenza," aveva continuato, consapevole di dover loro almeno quella ammissione, "ora sento che riuscirei a comprenderlo meglio. E se perdo ora questa possibilità, non penso che ce ne saranno altre." Voi non me ne perdonereste altre, si era corretto mentalmente, e aveva lasciato che quel pensiero sedimentasse nel suo cuore vagabondo,

perché, in fondo, Sasuke aveva sempre e solo cercato stabilità. Si era reso conto di aver ancora bisogno di un'ancora, un pensiero cui fare ritorno per non perdere se stesso, e con una serenità inaspettata si era ritrovato quasi a chiamare destino quella speranza nel verde degli occhi di lei.

Sakura aveva esitato solo un attimo, prima di parlare di nuovo. "Cosa risponderesti se... Se ti dicessi che volessi venire con te?"

Lui aveva chiuso gli occhi, sentendosi crollare il peso del mondo sul capo blasfemo; la preghiera di lei s'era fatta voto, e lui sapeva di non meritare ancora il suo perdono.

Aveva pensato a molte risposte, ma non ne aveva scelta neanche una.

"Questo è il mio viaggio di redenzione." disse infine. "Tu non hai niente a che fare con i miei peccati."

"Niente a che fare, dici..."

Non come pensi tu, aveva riflettuto.

La sua mano si era mossa di sua propria volontà, accorciando la distanza che da tre anni si stendeva tra loro tra incomprensioni e orgoglio, e un piccolo sorriso si era fatto strada sulle sue labbra, cancellando la maschera da eroe tragico che ormai portava da troppi anni.

"Ci vediamo presto. E grazie."

Non vi erano stati più fantasmi a muovere le sue dita, quando il suo tocco aveva sfiorato la fronte di lei, e una sensazione calda ma diversa dal solito tormento gli aveva stretto il cuore.

La sua risposta per lei era stata una promessa.


 


 

x.


 


 

"Non pensavo che saresti venuto."

Lo avevano accolto un mugugno inespressivo e un paio di pozze azzurre a scrutarlo nell'animo come solo un fratello poteva fare.

Aveva abbassato gli occhi. Aveva pensato di nuovo che quello sguardo da vecchio non si addicesse alla sua testa quadra, ma nessun sorriso era apparso sulle sue labbra, mentre rievocava il pensiero della loro sciocca, infantile rivalità.

Naruto era rimasto in silenzio.

Lo stormire delle foglie nella foresta tutto intorno a loro si era fatto assordante, mentre nessuno sapeva più cosa dire. I minuti passavano lenti, rilassati. Il sole si era spostato appena, e l'ombra delle querce era caduta sui loro volti.

Aveva visto Naruto giungere alla sua stessa conclusione. Il suo volto era ancora tirato, quasi come temesse di pronunciare quelle parole. Sasuke non aveva detto niente, rimanendo in attesa.

Il canto di un uccello aveva tranciato il silenzio, nel fitto del verde, ma nessuno dei due lo aveva sentito; ciascuno stava valutando la fermezza delle proprie intenzioni, osservando il riflesso del proprio volto da soldato nelle iridi dell'altro.

Lo aveva visto annuire con riluttanza, allungandogli poi qualcosa con la mano rimanente.

Si era reso conto di essersi sbagliato di nuovo.

 

 

"Ecco, ti restituisco questo."


 

Un cerchio perfetto, ricordava d'aver pensato.

 

 

"Lo terrò finché non sistemeremo davvero le questioni tra noi."


 

Una conclusione poteva anche essere un nuovo inizio.


 

La presa di Sasuke era stata salda, quando le sue dita si erano chiuse su quel coprifronte. Naruto aveva finalmente sorriso, il suo palmo ancora a reggere il pezzo di metallo in una stretta di mano che sapeva di passato, ma anche di presente e soprattutto di futuro. 

Si erano salutati così, senza aggiungere un'altra parola, perché Sasuke aveva capito.

Aveva capito che Naruto era stato pronto ad inseguirlo di nuovo, a perdere anche l'altro braccio, pur di riportarlo di nuovo a casa.

L'aveva lasciato andare perché aveva compreso che non sarebbe stato necessario. Aveva visto nei suoi occhi che non l'aveva mai abbandonata.



















 

L'angolino di thyandra: Questa volta dovrete sorbirvi note più lunghe del solito, perché ho parecchio da dire sia sulla storia che su questo manga, a un anno esatto dalla sua conclusione. O forse no, perché tanto nessuno leggerà comunque queste ciance, come biasimarvi
C'è da dire che questa fic era nata come qualcosa di completamente diverso, ovvero il primo capitolo di quella che nelle mie intenzioni avrebbe dovuto essere una long SasuSaku, poco meno di un anno fa. Tuttavia, da qualche parte durante la sua lunghissima gestazione, ho cominciato ad apprezzare le dinamiche di questi due sempre meno, fino al punto in cui non so neanche più dire se ancora mi piacciano. Quindi, se per caso durante la lettura avete percepito qualcosa di strano nel mio modo di raccontare la coppia, probabilmente non vi sbagliate.
Quindi, perché postare questa cosa? Beh, in primis perché tornare a scrivere di Sasuke dopo più di un anno è stata un po' una sfida con me stessa e un po' una chiacchierata con un vecchio amico. Probabilmente non troverò mai un altro personaggio così complesso come lui, eppure così semplice, per me, da "smontare". Un po' già mi manca leggere le sue stupidaggini settimanali e smascherare tutti i suoi autoinganni. È già passato un anno e il mio stile di scrittura è cambiato tantissimo, ma lui è ancora il pg che gli si adatta meglio. È già passato un anno di diniego che questo manga sia mai stato davvero concluso e probabilmente non tornerò tanto presto a scrivere di lui, if ever (dita incrociate per lo shinden, sperando non sia un'altra delusione). Quindi eccomi qui, a riversare tutti gli headcanon e le mie interpretazioni di Sasuke in un'unica -pallosissima, direte voi ;ndr- introspezione, perché solo ora mi sono resa conto di non averne mai esplicitato circa il 90%. Quindi beh, kudos a voi se riuscite a sgamarli tutti quanti xD Questa storia è più che altro per me. 
In secundis, mi sentivo di omaggiare uno dei capitoli più belli che Kishimoto abbia mai scritto (e non a caso ho lasciato fuori il 700, ;ndr2), con l'introspezione suprema, quella del Cambiamento. Leggere di un Sasuke finalmente maturo è stato un po' uno shock (da cui devo ancora riprendermi), ma è stato bellissimo al tempo stesso. È stato come crescere con lui, sbaglio dopo sbaglio, fino alla conquista finale. A questo proposito, ho sempre pensato che Sakura, più che un'amante, sarebbe stata un tassello di conclusione del puzzle, il cui filo conduttore era quello stesso amore familiare che s'era bruscamente interrotto con lo sterminio del clan. Rifondarlo diventa quindi metafora del ricostruirsi una famiglia, ma vivendola guardando stavolta verso il futuro piuttosto che il passato. 
E beh niente, sta per tornarmi il magone quindi vi lascio qui, prima di andare nuovamente OT. Spero che la fan fiction abbia parlato per il resto di quel che volevo dire :')
Se siete ancora lì, mi piacerebbe sapere cosa ne avete pensato. Se no, grazie comunque per avermi dedicato questo tempo.
Un bacio,
thyandra

 

  
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