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Autore: Eridani    10/11/2015    4 recensioni
Situata dopo "The Wrath of Khan". Kirk si ritira nel suo appartamento e finisce di leggere il libro che Spock gli ha regalato.
[storia partecipante al contest "Cose preziose-contest di flash" indetto da Setsy sul forum di Efp]
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: James T. Kirk
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Avvertimento: Chi non avesse letto e volesse leggere "Le due città" di Dickens, si astenga dal leggere questa fic per pericolo spoiler.



Lentamente si tolse gli occhiali dal naso e con mano tremante li posò sul letto.
Diede un'occhiata al libro che teneva in mano; scorse le parole stampate nelle pagine senza leggerle, vedendo solo righe di simboli che avevano perso tutto il loro significato. Il braccio cominciò a tremargli, i peli a rizzarsi.
Con tutta la poca forza che gli era rimasta e tutta l'abbondante disperazione che da giorni non lo abbandonava, scagliò il libro addosso al muro.
Il volume cadde scomposto, la rigida copertina rivolta verso l'alto, le pagine fine a creare onde giallastre contro il pavimento.
Kirk si sedette sul bordo del letto, appoggiando i gomiti sulle ginocchia e coprendosi il volto con una mano: era interamente concentrato sulle ultime righe che aveva letto, altrimenti si sarebbe accorto delle unghie che cercavano di tagliare la carne, delle vene che dal dorso della mano cercavano di uscire e delle lacrime che, impigliate tra le ciglia, minacciavano di cadere.
Era tornato da poche ore nel suo appartamento. L'Enterprise stava per essere messa in disarmo, lui stava per essere nuovamente dislocato a terra, lontano dalla sua poltrona, lontano dal luogo in cui poteva fare la differenza.
Si sentiva solo.
Il suo equipaggio stava per sciogliersi e i suoi due amici più cari non potevano essere lì con lui: il caro Dottore si trovava disteso in un letto a digerire il suo attacco di “stanchezza” – questa era la causa che i medici avevano attribuito al suo delirio – e il vulcaniano... Spock era ormai molto lontano.
E fu proprio questo pensiero che diede la forza a quelle lacrime di cadere.
Quando sentì qualcosa di umido bagnargli il palmo, staccò la mano dal suo volto e rimase a guardare le sue dita, il suo palmo e le linee che lo attraversavano, chiedendosi quanti giorni ancora dovessero passare prima che anche lui esaurisse il tempo indicatogli dalla linea della vita.
Normalmente in circostanze simili Kirk avrebbe chiuso le dita in uno stretto pungo, digrignato i denti e stoicamente si sarebbe alzato. Ma non questa volta. Questa volta le sue dita si stesero e con qualche difficoltà, millimetro dopo millimetro, il medio si avvicinò all'indice, l'anulare al mignolo, il pollice a puntare verso l'esterno...
Il gesto era lo stesso, ma per qualche motivo non assomigliava che vagamente al saluto esperto del suo vecchio amico. Mancava di grazia, di naturalezza, di armonia: semplicemente mancava di bellezza. E altre lacrime ancora sgorgarono sul suo volto, all'ironico ricordo dei suoi ultimi pensieri, mentre attraverso il vetro guardava il suo amico morire: gli sarebbero mancate la sua gentilezza, la sua intelligenza e perspicacia, il suo umorismo, e la sua eleganza; gli sarebbe mancato il tocco di quella mano leggera sulla sua spalla; era in qualche modo arrabbiato con il vetro stesso, che per ultimo aveva potuto beneficiare di quella calda carezza.
Nell'atto di ricordare, aveva alzato lo sguardo verso il muro e appena si risvegliò la prima cosa che colpì la sua vista fu proprio il libro che con tanta foga aveva lanciato.
Immediatamente si alzò e lo prese in mano, quasi con reverenza, cercando di stirare le pagine con la delicatezza di una madre che mette a posto i capelli al proprio figlio. Subito si pentì del suo gesto disperato e strinse il libro al petto, con entrambe le braccia, sperando in questo modo di annullare il male che gli aveva fatto e allo stesso tempo immaginando al suo posto il suo donatore, con cui il fato era stato ancora peggiore.
Si sedette nuovamente e riaprì il volume all'ultima pagina che aveva visto la luce prima di venir chiusa violentemente. E rilesse, incredulo.
Non aveva mai creduto alle coincidenze, tanto meno a profezie o semplici letture del futuro. Eppure tutto combaciava, quasi perfettamente, tanto che a Kirk venne da chiedersi se Spock avesse saputo tutto ancora prima di partire per il viaggio che lo avrebbe condotto a morire.
Impossibile, si disse. Ma la sua impossibilità non lo fermò dal rileggere quelle ultime righe e dal confrontare la creatività e la fantasia di Dickens con la realtà e i fatti appena conclusi.
Perché il sacrificio di Carton gli ricordava un altro sacrificio; quel suo pensare agli altri prima che a se stesso; quella sua scelta, guidata dalla convinzione di star facendo la cosa giusta, anche contro le lacrime degli amici e la sorte avversa. Carton sapeva che il suo gesto sarebbe stato ricordato nel tempo, il suo nome rimasto sulla bocca dei suoi conoscenti e – come una premonizione – dato al figlio della donna che aveva tanto amato e per la quale aveva deciso di immolarsi. Spock forse non aveva considerato tutto questo, lui era al di là di certi pensieri; in quei pochi attimi probabilmente solo la logica di ciò che stava facendo riempiva la sua mente e forse, in un angolo tenuto ben sotto controllo, un leggero pensiero sfiorava anche i suoi amici e la loro salvezza.
“It is a far, far better thing that I do, than I have ever done; it is a far, far better rest that I go than I have ever known.” *
Kirk lesse e rilesse più volte queste ultime parole. E ancora una volta non poté fare a meno di chiedersi se Spock avesse saputo, se il suo dono non fosse stato un'ultima parola d'addio, un ultimo messaggio.
Chiuse, questa volta con nostalgica dolcezza, il libro e lo portò alle labbra.
Quando lo rimise a posto sulla scrivania, la copertina portava tracce di acqua salata.


 




«Quel che faccio è il meglio, di gran lunga il meglio che io abbia mai fatto; e il riposo che m'attende il più dolce, di gran lunga il più dolce che io m'abbia mai conosciuto».

   
 
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