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Autore: LadyTargaryen    10/11/2015    2 recensioni
Stannis porta Shireen alla spiaggia di Roccia del Drago. E' la prima volta in undici anni di vita che la figlia mette piede fuori dalle mura del castello. Guardandola giocare, correre, ridere, Stannis ricorderà il fratello Renly, di cui la sorte ha voluto fare un suo nemico. Ricorderà il falco che aveva da ragazzino, Ala Orgogliosa. Ricorderà Davos, il fidato consigliere, l'amico fedele che ha sbattuto in prigione senza un ma. Sarà Shireen, la sua bambina, a convincerlo che non è troppo tardi per liberarlo. E per essere davvero un padre.
Genere: Angst, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Davos Seaworth, Shireen Baratheon, Stannis Baratheon
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un giorno così

 

 

 

 

 

 

 

- Guarda, padre! Il mare! Non è bellissimo? -.

- Senza dubbio, Shireen. Ora però fai attenzione ai gradini. Tienimi la mano...Bene. -.

 

Shireen, rapita, osservava: il nitido, perfetto azzurro del cielo, così raro in quel punto del continente, perennemente battuto e spazzato dai venti e dalle tempeste; lo scintillante blu del mare, la superficie appena increspata da una brezza leggera; la grigia spiaggia sassosa che si stendeva sotto di loro, in netto contrasto con la cupa pietra scura della rocca. Sulle loro teste volavano alti gabbiani e procellarie, le loro grida rauche e la risacca del mare erano gli unici suoni udibili. Stannis le teneva la mano, piccola e morbida nella sua, mentre scendevano la scaletta scolpita della roccia, badando ad ogni passo che non inciampasse o scivolasse sugli scalini, erosi dagli elementi e ricoperti dalla salsedine. Ogni tanto le raccomandava prudenza, procedeva per primo aiutandola a scendere nei punti più stretti e rischiosi, ma Shireen pareva non udirlo: non aveva occhi che per il panorama, per l'orizzonte che si apriva dipanandosi infinito dinanzi a lei. Beveva ogni singolo particolare con lo sguardo, assimilava ogni cosa, fossero le poche navi alla fonda al piccolo porto o gli scogli pietrosi su cui gabbiani e albatri facevano il nido, in mezzo al mare, a pochi metri dalla costa, con insaziabile curiosità.

 

L'uomo sorrideva, tra sé. Avevano fatto colazione assieme, con un po' di latte caldo, del pane fresco ed una mela, avevano finito di prepararsi e si erano incamminati giù per la scaletta. Le insenature scoscese e aguzze di Roccia del Drago, le sue spiagge strette, la sua vegetazione brulla e riarsa non erano certamente il migliore dei paesaggi, ma capiva bene come tutto ciò potesse affascinarla.

 

Era la prima volta in undici anni di vita che usciva dal castello.

 

Quando finalmente raggiunsero la spiaggia Shireen gli domandò di potersi slacciare le scarpe e il padre acconsentì. Fatto ciò la piccola principessa si slanciò verso il mare a grandi falcate, lanciando grida di gioia. L'acqua le lambì dolcemente i piedi, e lei raccolse un bastoncino da terra e tracciò linee sulla battigia. Il padre, dietro di lei, la osservava da poco lontano. Una parte di lui si sentiva in dovere di impedirle di bagnarsi i vestiti e prendere freddo ma non volle darvi voce, e decise invece di lasciarla fare. Quel giorno non voleva imporle né divieti né proibizioni. Lo aveva già fatto sin troppo spesso.

 

Shireen scorse qualcosa di un bianco perlaceo e luccicante emergere dalla sabbia ed incuriosita lo raccolse. La sciacquò e se la portò all'orecchio. Sorrise. - Padre! Guarda! - lo chiamò nuovamente, correndo da lui con in mano la sua nuova scoperta. - Guarda cos'ho trovato! -. Stannis la prese e la osservò: era una conchiglia, non più grande di una noce, avvolta su se stessa a spirale. - Non è bellissima? - insistette la bambina. - Lo è. - concordò il padre. - Si sente il mare, sai? Ascolta! -. Stannis ascoltò. - Hai ragione. E' proprio il suono del mare. - disse poi restituendogliela. In realtà sapeva bene che era il vento, che s'insinuava nella cavità della conchiglia dove un tempo aveva abitato il piccolo crostaceo, a produrre quel suono. Ma Shireen era così entusiasta che non volle tediarla con quell'inutile precisazione. - Tienila tu, padre. - replicò lei. Gliela mise in una delle tasche della giubba di pelle. - E' un regalo. -. Stannis sorrise goffamente e l'accettò. - Vogliamo mettere in acqua la tua “Furore”? - propose. - Oh, sì! Volentieri! -. E la bambina posò a terra la borsa che portava a tracolla e ne estrasse la barchetta che le aveva regalato il padre assieme a quella donatale dal Cavaliere delle Cipolle:- L'ho battezzata “Beta Nera”. Come la nave di ser Davos. -. Stannis avvertì una stretta al petto ma annuì, e l'osservò entrare in mare fino alle ginocchia. Shireen si chinò e lasciò scivolare sulla superficie dell'acqua le due piccole navi. Sulle prime ondeggiarono su e giù, un po' malferme, ma poi si raddrizzarono e restarono a galla, con gran gioia della bambina. - Vieni a vedere, padre! Galleggiano davvero! -. L'uomo, senza starvi troppo a riflettere, si levò gli stivali, arrotolò i pantaloni al ginocchio e la raggiunse. L'acqua spiacevolmente fredda gli morse piedi e polpacci ma non vi badò, e per qualche attimo stette ad osservare assieme alla figlia le due barche giocattolo che navigavano a pelo d'acqua. La superficie era incredibilmente traslucida quel giorno e si poteva ammirare con chiarezza i sassi rotondi e la sabbia sul fondale. Shireen adocchiò una pietra piatta ed immerse il braccio per prenderla. La tese al padre:- Sai come farla rimbalzare? -. Sapeva farlo: lo aveva fatto una miriade di volte, da ragazzino. Si mise alle sue spalle e le prese la mano nella propria. Nel cingerle il polso avvertì il battito del piccolo cuore di lei, e si meravigliò di come una tale forza potesse risiedere in un arto tanto fragile, tanto sottile.

 

Di quanto fosse diversa la sua minuta mano di bambina dalla propria, così grossa, ruvida e callosa che temeva di lasciarle dei segni, di farle male stringendola troppo.

 

- Piega il braccio, così: ruota un poco il polso, e poi lancia. - le spiegò. - Come un colpo di frusta. -. E l'accompagnò nel movimento. Il sasso volò sull'acqua e rimbalzò quattro volte prima di affondare con un piccolo tonfo. Shireen batté le mani, felice. Il suo sguardo curioso fu nuovamente attratto dalla spiaggia e, dopo aver ripreso in mano le sue barchette “per tirarle in secca”, vi tornò di corsa, il padre sempre qualche passo dietro di lei. Stannis l'osservava, stupefatto e rapito. Sino al giorno precedente Shireen non aveva mai fatto una corsa fuori né giocato all'aria aperta; ora, inspiegabilmente, pareva che le sue energie non conoscessero fine, correva senza stancarsi mai, come se avesse le ali. I piedi correvano agili sulla sabbia grigia e petrosa, volando, stretta nell'abbraccio del vento che le gonfiava gli abiti e i capelli scuri.

 

Ogni cosa, anche la più piccola e insignificante, aveva per lei il sapore di una nuova, incredibile scoperta.

 

Una strana conchiglia, una pietruzza dalle venature scure, un pezzo di legno bizzarramente ritorto...

 

Raccoglieva, ammirava rapita quindi tornava di corsa da lui, i piccoli, rapidi piedi nudi che affondavano agili e svelti nella sabbia, a mostrargli cos'aveva trovato, a renderlo partecipe. Era incredibile pensare che quella bambina così piena di vitalità era la stessa che fino al giorno prima languiva in una stanzetta umida, isolata da tutti, senza poter vedere il cielo se non attraverso un'inferriata troppo simile a quella di una cella. Pareva come...rifiorita. Stannis la guardò, e d'improvviso alla figura della figlia se ne sostituì un'altra.

 

Quella di un bambino.

 

Un bel bambino alto e robusto, dai capelli neri e gli occhi del medesimo blu scuro del mare che come lei giocava sulla spiaggia, allegro, vivace e spensierato, chiamando a gran voce il suo nome.

 

Guarda, Stannis! Guarda come corro veloce!

 

Renly. Il suo fratellino.

 

Erano passati molti mesi dalla sua morte ma Stannis non sapeva darsi pace. Checché la gente dicesse, lo aveva sempre amato. E lo piangeva. Piangeva il bambino che era stato. Nulla, nulla avrebbe potuto fargli più male del suo tradimento. Mai si sarebbe aspettato che gli voltasse le spalle in quel modo, soltanto per un mero capriccio, per pura ambizione. Che il bambino che aveva cresciuto, quel ragazzino sempre pronto a scherzare che con le sue sciocche, buffe marachelle sapeva ogni volta strappargli un sorriso sarebbe divenuto un rivale.

 

Un nemico.

 

Si era detto che era necessario: la sua vita per innumerevoli altre. Se si fossero affrontati in campo aperto e se anche le proprie truppe, soldati veterani, uomini temprati da più di una guerra, pur inferiori nel numero, fossero riuscite a sopraffare quelle di Renly sarebbe comunque stata una vittoria mutilata. Troppi uomini sarebbero morti, troppi mariti, padri, figli non sarebbero mai tornati alle loro famiglie, alle proprie case sull'Altopiano o nelle Terre della Tempesta. Non solo fanti e cavalieri, ma spaccapietre, contadini, pescatori, il popolino che viveva all'ombra dei castelli in tuguri di paglia e fango rispondendo alla chiamata alle armi dei grandi lord senza neppure sapere perché si combattesse. Chiunque di loro due avesse vinto, loro avrebbero perso comunque. Le navi da pesca sarebbero rimaste in secca, i campi incolti e improduttivi, le cave e le miniere vuote, i focolari spenti.

 

Avrebbe tramutato il proprio regno in una rovina fumante da cui salivano solo lamenti, un cimitero.

 

Questo si era detto e ripetuto, come se a forza di farlo come per magia tutto assumesse quel senso che non gli riusciva di trovare. Ma inutilmente: per quante ragioni e motivazioni posasse sul piatto, la bilancia non sarebbe mai stata in equilibrio.

 

Non c'era trono, corona o regno che valesse la vita di un fratello, di suo fratello. E lui lo sapeva.

 

Eppure, lo aveva fatto. Lo aveva ucciso.

 

Lo abbiamo ucciso entrambi, gli mormorava Melisandre la notte, quando i suoi incubi lo tormentavano senza requie. Le sue mani lo accarezzavano, calde e suadenti. Dividi questo peso con me. Palliativi. Palliativi dolci quanto inutili.

 

Una parte di lui avrebbe voluto crederle. Credere che Renly avesse avuto ciò che meritavano i traditori. Che il fratello, al suo posto, avrebbe agito nella stessa maniera.

 

Ma non vi riusciva.

 

Poteva abbandonarsi al calore del suo abbraccio, lasciare che lo toccasse, che lo baciasse, ma le sue carezze e l'oblio che portavano erano una benedizione di effimera durata. Non avrebbe mai potuto portare quel fardello, condividere quella colpa di cui lui e lui solo aveva scelto di macchiarsi e dalla quale neppure le sue fiamme avrebbero mai saputo purificarlo. Avevano concepito e messo al mondo un mostro, un'ombra, e questa si era presa la vita di Renly, ma non sarebbe mai stata colpevole quanto lui. Erano sue le mani sporche di sangue.

 

Per lui era Renly, il suo fratellino, il bambino la cui risata argentina riempiva e animava le cupe stanze di Capo Tempesta, che lo prendeva in giro per la sua serietà chiamandolo “musone” e gli faceva mille dispetti.

 

Per lei un nemico, nient'altro che un ostacolo da eliminare con ogni mezzo.

 

Ma lei non l'aveva tenuto in braccio quand'era piccolo. Non lo aveva sorretto mentre azzardava i primi passi. Non aveva giocato con lui, non gli aveva insegnato a nuotare, non gli aveva raccontato favole prima di dormire né gli aveva intagliato giocattoli nel legno. Renly, il bambino, il ragazzo sognatore e fantasioso che guardava il mare e vi sapeva vedere mille meraviglie, che sognava un giorno di costruirsi una nave e di far vela verso l'orizzonte, a caccia di avventure. Navigheremo assieme, Stannis, diceva sempre, descrivendo le terre che avrebbero visto, le cose che avrebbero fatto. Tu sarai il capitano ed io il tuo secondo. E staremo sempre assieme. Non è vero?

 

Quando Steffon e Cassana Baratheon erano morti nella baia davanti a Capo Tempesta, sotto gli occhi dei loro figli, Stannis aveva pianto. Aveva pianto ancora e ancora, per tre giorni interi, seduto sulla spiaggia, le lacrime che gli rigavano il volto scavando la carne e gli occhi fissi sul mare, da cui niente era riuscito a smuoverlo.

 

Il mare talvolta dava e talvolta toglieva, diceva sempre suo padre, e quel giorno aveva deciso di togliere.

 

Aveva rifiutato cibo e bevande, mandato al diavolo chiunque tentasse di smuoverlo da dove si trovava, lasciandosi quasi morire di stenti. Aveva gridato sino a perdere la voce, urlato tutta la sua rabbia e il suo dolore contro mare e cielo, popolato da dei che mai come in quel momento gli erano parsi ciechi, sordi, morti, muti. Ed aveva realizzato che per tredici anni i septon non gli avevano raccontato che menzogne.

 

Dov'erano stati i Sette, quando la tempesta aveva spezzato l'imbarcazione con cui suo padre e sua madre facevano ritorno da Essos?

 

Dov'era stato il Guerriero, che avrebbe dovuto infondere loro coraggio e vigore?

 

Dov'era stato il Fabbro, il protettore delle navi e dei naviganti, quando i suoi figli avevano avuto più bisogno di lui?

 

Il Padre, simbolo di Giustizia, la Madre, simbolo di Bontà?

 

Dov'erano state la Fanciulla, la Vecchia?

 

Quale dio buono può permettere che si compia una simile crudeltà, quale dio giusto lascerebbe che due ragazzi assistano alla morte dei propri genitori?

 

Ogni sera da che suo padre e sua madre avevano preso il mare per recarsi nelle Città Libere Stannis aveva preso a pregare. Padre, Madre, Guerriero, Fanciulla, Fabbro, Vecchia, Straniero. Li aveva invocati tutti, uno per uno. Nessuno di loro aveva risposto, quel giorno, nessuno. Solo lo Straniero, il dio innominato e senza volto, si era manifestato, ad esigere il suo tributo di sangue. Il mare si era aperto come un'immensa voragine, avvolgendoli come un sudario d'acqua scura, lasciandogli solo l'amaro sale delle lacrime e nessuna risposta.

 

Al tramonto del terzo giorno, oramai senza forze, debilitato e febbricitante, aveva perso i sensi. Si era risvegliato il mattino dopo nella propria stanza, nel mastio di Capo Tempesta. Si era alzato ed era corso nella camera da letto dei genitori, sperando che tutto fosse stato solo un incubo e che sua madre sarebbe stata lì, come ogni volta in cui gli capitava di fare brutti sogni. L'avrebbe di nuovo abbracciato e consolato, come faceva sempre...ma non vi aveva trovato che il vuoto. La realtà lo aveva colpito in pieno viso come uno schiaffo. Ma non aveva pianto: le lacrime gli si erano ormai disseccate sulle gote, altre da versare non ne aveva. E proprio allora il piccolo Renly, di pochi mesi, era scoppiato a piangere a dirotto. Stannis lo aveva sollevato dalla culla e preso tra le braccia. Il bimbo, poco a poco, si era acquietato. Uno dei suoi piccolissimi pugni aveva cercato la casacca del fratello maggiore, e l'aveva stretta. Non ti succederà mai nulla di male, aveva giurato Stannis. Gli Dei sono falsi e bugiardi, Renly, non affidarti mai a loro, ti deluderanno soltanto. Sarò io a proteggerti. Ti do' la mia parola.

 

Non esistevano parole per descrivere l'amore e l'affetto che aveva sempre avuto per Renly. Per quanto fosse stato tanto, troppo diverso da lui, per quanto lo avesse sempre considerato nient'altro che uno sciocco, un ragazzo fatuo ed ingenuo, gli aveva sempre voluto bene.

 

Ma lo aveva compreso troppo tardi.

 

- Padre? Va tutto bene, padre? -. Stannis si riscosse, sentendosi tirare per la manica. Abbassò gli occhi e vide Shireen, che lo fissava preoccupata. - E' tutto a posto, piccola mia. - le disse, sperando di suonare rassicurante. - Solo...Un ricordo. -. Le fece una ruvida carezza, e Shireen sorrise, nel vederlo rasserenato. Quindi lo prese per mano e guidò i suoi passi alla ripida scogliera a picco sulla baia, dietro di loro. Tra le rocce fiorivano cespugli dalle foglie lanceolate e i piccoli fiori tondeggianti dai petali sottili; si stagliavano decisi ed energici sul grigio degli scogli, picchiettando di giallo e verde la pietra da cui spuntavano. - Vedi questi fiori, padre? - gli domandò – Si chiamano elicrisi, ne parlava un libro che mi ha dato maestro Pylos tempo fa. Crescono sulle rocce e solo vicino alla costa, dove c'è l'acqua salata del mare. Sono belli, non è vero? -. Ne raccolse qualcuno, recidendone delicatamente gli steli, e glieli porse. Stannis li prese in mano e li annusò: erano senza odore, non particolarmente graziosi alla vista, ma c'era qualcosa di ammirevole in un quel piccolo e coraggioso fiore che pur di vivere si era adattato al terreno calcareo, arido, povero di Roccia del Drago, come in una sfida a quella natura distratta e dispettosa che lo aveva fatto nascere in un ambiente tanto ostile.

 

Stannis non era mai stato un avido lettore, né uomo da vedere alcunché di poetico nella realtà che lo circondava. Il mondo era troppo duro, troppo aspro, troppo ingiusto e crudele perché potesse guardarlo con tali occhi. Eppure d'improvviso, senza sapersene spiegare il perché, gli venne spontaneo paragonare Shireen a quel fiore. Piccolo, semplice, brutto agli occhi di alcuni, ma pieno di vita e di voglia di vivere.

 

Non ci sono che rocce, e l'elicriso si fa largo tra le crepe e gli interstizi più piccoli, riuscendo infine a venire alla luce.

 

La tempesta infuria, la marea incalza, e l'ostrica s'attacca ancor di più al suo scoglio.

 

Si approssima l'uragano, e la quercia in segno di sfida affonda di più le proprie radici nel terreno.

 

Come dal sale e dalla pietra più sterile può nascere un bel fiore, così da un matrimonio senza amore, da un'unione senza calore, in una casa fredda dove nessuno rideva mai era nata una splendida, bellissima bambina.

 

La sua Shireen.

 

Fu di nuovo lei a riscuoterlo, porgendogli un libro che aveva tratto dalla borsa che aveva portato con sé sulla spiaggia. - Maestro Pylos mi ha assegnato alcune pagine da studiare. Mi aiuteresti...? -. Stannis guardò il volume dalla copertina in pelle decorata a lettere dorate in rilievo che aveva tra le mani: era una cronaca dell'era di Daeron II il “Buono” sino al regno del suo nipote più giovane, Aegon V l'”Improbabile”. Si rese conto, d'improvviso, che se non fosse stato per il giovane maestro che puntualmente veniva a riferirgli dei progressi della figlia, se l'avessero interrogato a proposito dei suoi studi, o dei libri che più amava leggere, non avrebbe saputo cosa rispondere.

 

Sapeva ben poco, quasi nulla, della figlia. Shireen abitava nella sua stessa casa, dormiva a poche stanze dalla propria, ma le loro vite erano sfere separate, come tra loro vi fosse un oceano intero; sfere che si toccavano o s'intersecavano soltanto di rado, e per poco.

 

Questo realizzò, e provò vergogna.

 

Ma forse non era troppo tardi.

 

Abbozzò un sorriso:- Ma certo. Cosa devi studiare, di preciso? -. Shireen si sedette sulla sabbia e invitò il padre a fare altrettanto. Stannis le si accomodò accanto e lei aprì il libro. - Sono arrivata...qui. - spiegò dopo averlo brevemente sfogliato sino al segnalibro messo in precedenza. - Facciamo che io te lo racconto e tu stai a sentire se faccio errori o no? -. Quindi, senza attendere una sua risposta, si raddrizzò, si schiarì la voce ed iniziò. Il padre l'ascoltava, seguendo con lo sguardo il testo e al contempo prestando orecchio alle sue parole. Shireen aveva un'ottima memoria ed una proprietà di linguaggio insolita per i suoi anni; snocciolava date ed eventi con entusiastica sicurezza. Non avrebbe mai immaginato che tra gli argomenti preferiti della figlia ci fosse la storia, men che meno i racconti di tattiche di battaglie, duelli ed assedi. Invece parevano proprio quelli i suoi prediletti. Gli narrò della prima ribellione dei Blackfyre, della battaglia campale di Prato Rosso, di Maekar e Baelor Targaryen, il “Martello” e l'”Incudine”, di come Lord Bloodraven e la sua divisione scelta di arcieri, le "Zanne del Corvo", avessero oscurato il cielo con una pioggia di frecce. Era stupefatto. Da quel poco che sapeva delle bambine dell'età di Shireen erano il canto, la musica e il ricamo i loro interessi, i poemi cavallereschi di Florian, il buffone cavaliere, e della bella Jonquil “Con-i-fiori-nei-capelli”, ad affascinarle.

 

Ma sua figlia, a quanto pareva, non era affatto come le sue coetanee. Sorrise tra sé, orgoglioso.

 

- Vedo che la storia dei Targaryen ti interessa molto. - osservò. - Oh, sì! - rispose allegra la bambina. - Anche io e te abbiamo un po' di sangue Targaryen, lo sai, padre? Un quarto tu ed un ottavo io! -. Stannis lo sapeva bene: era a conoscenza del fatto che la madre di suo padre Steffon, Rhaelle, fosse stata una principessa del sangue del drago, dai capelli argento e gli occhi viola, e purtuttavia non disse nulla. Lasciò invece che Shireen gli illustrasse il loro albero genealogico, enumerando sulle dita delle mani padri, madri, parenti ed affini. - ...Quindi padre – concluse raggiante, come avesse fatto una scoperta epocale – se è vero che chiunque abbia anche solo una goccia di sangue dell'Antica Valyria nelle proprie vene può cavalcare un drago, allora anche io e te potremmo farlo! Saremmo cavalieri di draghi, come Aegon e le sue sorelle! Ti piacerebbe? A me sì, tantissimo! -. Stannis le accarezzò i capelli con tenerezza. Anche lui, da ragazzino, aveva sognato e fantasticato di avere un drago tutto per sé, di potersi librare in volo sulle su grandi ali mentre tutto sotto di lui si faceva piccolo piccolo.

 

In groppa ad un drago non sarebbe più importato a nessuno se non era bello, o bravo, o forte come Robert. Ma come tutte le sue fantasie d'infanzia anch'essa aveva avuto vita breve.

 

Alzò lo sguardo verso il cielo: a giudicare dal sole doveva essere passato da poco mezzogiorno. - Hai fame, Shireen? -.- Un po'. Mangiamo? -. L'uomo aprì nuovamente la borsa della figlia e trasse fuori il cibo che aveva fatto preparare in precedenza, prevedendo che avrebbero pranzato fuori: pane, formaggio e lardo, un pasto semplice come era sempre solito fare. Tagliò una spessa fetta di lardo per sé ed una per la figlia, divise il pane e il formaggio quindi iniziarono a mangiare. Forse, rifletté, Shireen avrebbe gradito qualcosa di meglio, di più sano e nutriente. Abituato com'era alla frugalità sul momento non vi aveva fatto troppa attenzione. La bambina, però, divorava entusiasta. Pareva addirittura soddisfatta di quel cibo tanto misero. - Ti piace? - s'informò esitante dopo un po'. - Il pane è un po' duro. - aggiunse subito dopo, a titolo di scusa. - Forse avrei dovuto portare qualcos'altro, per te... -. Lei scosse il capo decisa:- No affatto, padre! Trovo anzi che sia davvero buono! -.- Eppure – insistette il padre – di solito mangi ben altro. -. Non che dalle cucine di Roccia del Drago fossero mai usciti manicaretti particolarmente elaborati ma certo Shireen era abituata a cibi migliori. La bambina parve intuire i suoi dubbi e sorrise, il sole ad illuminarle il minuto viso rovinato dal morbo grigio su cui spuntavano scintillanti due grandi occhi blu. Proprio come i suoi. Gli prese la mano e la strinse:- Di solito mangio sempre da sola, nella mia camera...E' bello poter mangiare all'aperto con te, padre. -. La semplicità e la dolcezza di quella risposta lo spiazzarono. Shireen si strinse di più a lui, appoggiando il capo nell'incavo della sua spalla. L'uomo la trasse a sé, e le posò il viso tra i capelli. Si era aspettato che odorassero di chiuso, di umido. Avevano il medesimo profumo del mare. - Facciamo una passeggiata nel porto? - propose la bimba dopo qualche attimo di silenzio. Stannis acconsentì e si alzarono assieme; Shireen teneva la mano stretta nella sua, camminando al suo fianco.

 

Chiamare “porto” lo sparuto manipolo di case di pescatori dalle banchine scricchiolanti e i tetti fatiscenti era un eufemismo, anche prima della disfatta alle Acque Nere di navi alla fonda non ve ne erano mai state in gran numero. Il pescato, anche se quasi mai abbondante, era tuttavia di buona qualità. I pescatori, scesi a terra dopo tutta la nottata passata in mare, riposavano al sole, immersi in chiacchiere rumorose e allegre. Alcuni ricucivano le proprie reti, altri giocavano ai dadi o finivano di sigillare botti e barili di pesce sottolio o sotto sale. Quando la piccola principessa, con grande sorpresa di Stannis, avanzò sorridente e senz'alcuna timidezza tra loro, la guardarono esterrefatti e pieni di stupore. Shireen li salutava, informandosi spigliata su cosa avessero preso, se fosse buono quel pesce che arrostiva sul fuoco, su quali fossero i loro nomi. E quelli, anche se un po' intimoriti dalla presenza di Stannis, le fecero visitare il molo. Le illustrarono come si gettasse una rete da pesca e come si riparasse una lenza. Come si eseguissero i nodi marinari di base e la maniera corretta per acciuffare un granchio vivo senza farsi dare un pizzicotto. La bambina ascoltava assorta; di quando in quando poneva una domanda, curiosa. Era in mezzo a completi sconosciuti, gente che non aveva mai visto in vita sua, eppure sembrava completamente a suo agio. Come se li avesse sempre conosciuti.

 

Come se quella macchia infame sulla sua guancia non esistesse né fosse mai esistita.

 

Sorrise. Non è affatto vero che sei orribile, le aveva detto. E lei, a quanto pareva, gli aveva creduto.

 

- Che bella nave! - commentò ad un certo punto. L'imbarcazione che indicava era un modesto sloop da pesca piuttosto vecchio ma ai suoi occhi di bambina colmi di entusiasmo doveva apparire come uno splendido galeone. - Ti va di salire a bordo? - chiese il padre, e alla sua risposta affermativa fece posizionare tra la banchina e la nave una passerella di legno. Un attimo dopo la percorrevano, per andare a metter piede sullo sloop. Shireen si guardava attorno con meraviglia. Esaminava il velame, l'albero, le sartie, le cime, facendo mille domande a Stannis che, con pazienza, le spiegava cosa fossero e quale funzione avessero. - Come si chiama questo tipo di nave, padre? -.- Si chiama sloop. Lo si riconosce perché ha un solo albero ed un unico strallo di prua, proprio qui, vedi? Qui è dove viene inserito il fiocco. Fiocco e randa, quest'altra vela che vedi – e gliela indicò – formano la velatura. Se poi in questo punto è presente un secondo strallo allora si inserisce una terza vela, la trinchetta. In questo caso lo sloop prende il nome di cutter. -. Shireen ascoltava con attenzione. Passeggiava su e giù per il ponte, una mano che scorreva sul parapetto e gli occhi alzati verso il cielo, dove volteggiavano pigri alcuni gabbiani. Si avvicinò al timone e si mise per gioco alla ruota; chiamò a sé il padre. Stannis la raggiunse e mise le proprie grandi mani sulle manine della figlia. Erano piccole ma morbide e calde.

 

Ricordò la prima volta che suo padre Steffon aveva fatto salire lui e Robert sulla "Orgoglio dei venti", portandoli a fare un breve giro in nave. Robert, già all'epoca ingordo come non mai, non era riuscito a sopportare il mare grosso ed aveva vomitato fuori bordo le numerose uova strapazzate con pancetta che aveva ingurgitato per colazione. Stannis, che più saggiamente aveva preferito mangiare meno, non aveva invece avuto problemi a reggere le onde. Si era messo al timone e suo padre gli aveva preso la mani nelle proprie, aiutandolo a governare l'imbarcazione. Si era complimentato con lui per il suo "stomaco di ferro" e Stannis si era sentito scoppiare dalla gioia. Per una volta si era dimostrato migliore di Robert in qualcosa.

 

- Posso arrampicarmi sulle sartie? - domandò Shireen. Stannis tornò al presente. Guardò la figlia e scosse il capo:- E' troppo pericoloso. Potresti cadere e farti male. -.- E come faccio ad imparare a governare una nave, allora? -.- Non vedo perché dovresti. -.- Perché sono tua figlia! Un giorno il comando della flotta dei Baratheon toccherà a me! -. Nonostante non avesse più una flotta, nonostante la cocente sconfitta subita alle Acque Nere che ancora lo assillava, Stannis non riuscì a reprimere una risata:- Le principesse non diventano capitani. -. Shireen mise il broncio ed incrociò le braccia sul petto. - E chi lo dice? - sbottò testarda. Quella presa di posizione lo sbalordì e al contempo lo divertì:- E chi dice che non sia così? -.- Rispondi sempre con una domanda ad un'altra domanda, padre? -.- Non sono l'unico, a quanto pare. -.

 

Stannis si ritrovò a sorridere involontariamente, mentre la scrutava con affetto. Shireen aveva i suoi capelli neri, i suoi occhi blu, la sua stessa caparbietà. Che gli usurpatori costruissero pure tutte le infamanti menzogne che volevano: davanti a lui stava una vera, piccola principessa di Casa Baratheon.

 

D'un tratto nell'azzurro sopra le loro teste comparve una figura scura che prese a volteggiare in cerchio, battendo di quando in quando le ali. Un falco. - Un falco, padre! Un falco! - esclamò Shireen concitata. Corse verso la fiancata e ci si appoggiò, sorgendosi in avanti per seguire con lo sguardo la traiettoria del rapace nel cielo. Stannis le si accostò. - Cerca di non sporgerti troppo, o cadrai in acqua. - si raccomandò. Notò che, senza volerlo, avevano assunto la stessa identica posa, con le gambe oblique rispetto al corpo, il torso piegato in avanti, le braccia incrociate sul parapetto. - Non pensavo che ci fossero falchi, qui a Roccia del Drago. - commentò la bambina. - Qualcuno sì. - confermò l'uomo. - Mi piacerebbe tanto avere un falcone da caccia! - riprese lei - Tu ne avevi uno da bambino? -.- Certamente. -. Sulle labbra di Stannis si disegnò un sorriso triste e malinconico. - Una femmina. Si chiamava Ala Orgogliosa. L'avevo trovata nel bosco, durante una battuta di caccia. Aveva un'ala ferita. L'avevo accudita e nutrita finché non era tornata in salute. Mi stava sempre sulla spalla, mi seguiva ovunque. -. Si fermò. Erano passati più di vent'anni da allora ma quel giorno gli era tuttora impresso nella memoria. Shireen lo spronò:- E poi che accadde? -. Stannis prese fiato e ricominciò:- Ala Orgogliosa purtroppo non riusciva a volare come gli altri falchi e questo la rendeva inadatta alla caccia. Era inutile. Dovetti abbandonarla. -.

 

Ala Orgogliosa? Ah! Ala Pietosa, dovresti chiamarla! Robert aveva sempre avuto poco tatto. Andava fierissimo del suo infallibile Rombo di Tuono e non si lasciava mai sfuggire l'occasione di deridere il fratello per gli scarsi risultati del suo falco. Riesce a prendere a malapena un passero, e solo se ha fortuna! Suo zio non era stato meno brutale. Ti stai rendendo ridicolo con quel falco, Stannis, gli aveva detto. Faresti meglio ad abbandonarlo prima di diventare lo zimbello di tutti. Aveva obbedito: una mattina aveva preso con sé Ala Orgogliosa ed era uscito a fare una passeggiata nel bosco. Qui l'aveva deposta su un ramo ed aveva fatto per andarsene. Lei si era ribellata, l'aveva beccato e gli era tornata sulla spalla più e più volte. Non voleva saperne di lasciarlo. Insomma non lo capisci? Devi andartene!, le aveva urlato contro lui. Non sopportava di guardarla. Gli occhi gialli del falco contenevano una tacita accusa. "Mi stai abbandonando." parevano dirgli. "Perché?"

 

Sei inutile! Siamo inutili! Non posso tenerti con me! Non posso!

 

E finalmente Ala Orgogliosa aveva spiccato il volo. Ma questa volta non aveva fatto ritorno.

 

Per qualche mese Stannis si era domandato dove fosse, se stesse bene, se fosse sopravvissuta nonostante non fosse abile a volare e nella caccia quanto gli altri della sua specie. Poi, poco a poco, aveva smesso di pensarci.

 

Il pensiero era tornato a fare capolino dopo la sconfitta alla Baia delle Acque Nere. Quand'era ragazzino gli Dei non gli avevano voluto accordare neppure un falco. C'era forse da stupirsi che ora non volessero concedergli una corona che era sua per diritto?

 

Shireen gli prese la mano, la sua grossa e callosa mano nelle sue piccole di bambina, e gli sorrise. Anche Stannis provò a sorridere. - E così ti piacerebbe avere un falco tutto tuo, dico bene? - domandò. - Oh, sì! - annuì lei. - Molto! Potrei averlo? -.- Non vedo perché no. -. Non sapeva bene da dove farlo arrivare; la guerra aveva praticamente tagliato fuori Roccia del Drago da qualunque rotta commerciale e sull'isola non ve ne erano a sufficienza da poterne catturare uno. Tuttavia non disperava: un modo si sarebbe trovato. Certo non avrebbe potuto cacciare nient'altro che gabbiani ed altri uccelli marini ma non volle pensarci. Shireen tornò a fissare l'orizzonte e per un po' nessuno disse più nulla. Fu lei a rompere nuovamente il silenzio:- Mi piacerebbe tanto poter avere una nave e viaggiare per il mondo, un giorno... -. Si volse verso di lui:- A te piacerebbe, padre? -.- Sì. - rispose lui dopo qualche attimo di esitazione. - Sì, mi piacerebbe. -. Ci fu un altro attimo di silenzio e quando Stannis parlò nuovamente la sua voce suonò incrinata. - Anche a tuo zio Renly sarebbe piaciuto. -. Shireen lo fissò curiosa ma non gli riuscì di guardarla negli occhi. - Non mi hai mai parlato di lui. -. Stannis tentennò col capo. Se Shireen era stata cresciuta isolata dalla propria stessa famiglia l'unico responsabile era lui. - Com'era? -. Stannis si voltò a guardarla:- Ti somigliava moltissimo. - disse soltanto. Shireen non domandò oltre.

 

Avrebbe voluto dirle tante altre cose. Aveva così tanto di taciuto da confessarle.

 

Ma non lo fece.

 

Quella doveva essere una giornata spensierata e di pensieri belli, per Shireen. Ci sarebbe stato tempo per le verità più terribili, per svelare i segreti più inconfessabili.

 

- Facciamo ritorno alla spiaggia? - suggerì. La figlia fece segno di sì con il capo e discesero assieme dalla nave.

 

Il resto del pomeriggio passò svelto. Shireen si mise a cercare conchiglie, promettendogli che le avrebbe utilizzate per fargli una collana. Raccolse fiori dalle rocce. Giocò col padre a far rimbalzare le pietre sull'acqua. Ad un certo punto gli domandò una storia e Stannis si sedette ancora una volta sulla sabbia con lei. Le raccontò della spada dai portentosi poteri con cui uno scudiero di nome Arthur, estraendola dalla roccia in cui era conficcata, impresa in cui molti si erano cimentati senza successo, aveva saputo unificare sotto di sé un intero regno. Di come fosse stata rubata da un cavaliere rinnegato per i suoi malvagi scopi ed una ragazza, Kayley, accompagnata da un eremita cieco con un falco dalle ali argentate e un buffo drago a due teste avesse affrontato un lungo e pericoloso viaggio per recuperarla e salvare il reame. A Shireen quella storia piacque moltissimo.

 

Quando iniziò a farsi sera presero la strada il castello, tenendosi per mano. Stannis diede ordine di far preparare la cena: zuppa pesce con triglie, coda di rospo, polpo e cozze, pane abbrustolito e una scodella di lenticchie. Mangiarono a tavola assieme, seduti vicini. Davanti al posto di Shireen era stato messo un mazzetto di elicrisi. Ogni tanto la piccola alzava la testa dalla propria forma di pane scavata che fungeva da piatto e gli sorrideva. Di solito mangio sempre da sola, nella mia camera, gli aveva detto. E' bello poter mangiare con te, padre.

 

Il padre la fissava. In undici anni di vita non aveva mai passato una giornata con lei. Non avevano mai parlato come avevano fatto quel giorno. Se ne vergognò. Sapeva di essere stato un padre distante, assente. Lo era sempre stato. Anche prima della morte di Robert, da ancora prima che scoppiasse la guerra.

 

Tuttavia forse non era troppo tardi. Non era troppo tardi.

 

Stannis si allungò verso la figlia e le pulì uno sbaffo di zuppa dal labbro. - Ti vedo pensierosa. - notò. - Qualcosa non va? -. Shireen posò la forchetta. - Stavo pensando a Devan. - confessò dopo qualche attimo. - E a ser Davos. Mi piacerebbe che fossero qui. Mi avrebbe fatto piacere averli con noi, questo pomeriggio. -. A quei due nomi Stannis si irrigidì, e chinò il capo sulle mani intrecciate.

 

Aveva parlato al giovane Seaworth, suo scudiero, giusto qualche giorno prima. Non era stato facile. Gli era difficile anche solo ricambiare il suo sguardo. Tutto in quel ragazzo gli ricordava ser Davos. Il suo fidato Cavaliere delle Cipolle. Il suo amico. Tuo padre, ser Davos, è un traditore, e sconta i suoi crimini in prigione, gli aveva comunicato senza giri di parole. Immagino già lo sapessi. Devan aveva annuito, pallido ma impassibile. La notizia gli era giunta. E' così, maestà. Poi, titubante, aveva aggiunto: Desiderate che me ne vada? Che faccia ritorno a Bosco delle Piogge? Stannis lo aveva guardato interrogativo. Perché mai dovrei? aveva domandato. Mio padre è in prigione per tradimento. Non temete che possa cercare di liberarlo? Che sia io stesso un traditore? Stannis lo aveva fissato. No, aveva dichiarato. Tu non hai colpe. Ed era vero. Devan era un bravo ragazzo, fedele e volenteroso. Come suo padre. E sua figlia Shireen, lo aveva notato, gli era molto affezionata. Li aveva più volte visti assieme, nel Giardino di Aegon, mentre giocavano a rincorrersi, o a nascondino. Talvolta anche il Cavaliere delle Cipolle si lasciava trascinare nei loro giochi.

 

A lungo aveva ripensato a ser Davos. Al suo tradimento.

 

Ma poteva davvero chiamarsi tradimento, la rabbia di un uomo distrutto? Il dolore di un padre ferito? Non avrebbe forse reagito anche lui allo stesso modo se ciò che era capitato a Dale, Allard, Maric e Mathos fosse successo a sua figlia, alla sua Shireen?

 

Certamente Lady Melisandre non c'entrava nulla con la morte dei suoi figli. Era d'altri la responsabilità di quella tragedia. L'unico colpevole di quella disastrosa battaglia era lui, lui e nessun altro. Ma come spiegarglielo? Aveva visto i suoi ragazzi bruciare vivi, annegare davanti ai suoi occhi senza poter far nulla per loro. Non erano risposte che voleva ma vendetta.

 

- Ser Davos è un traditore. - si udì pronunciare quelle parole meccanicamente e come dall'esterno, quasi non fossero sue. - E' giusto che paghi per i suoi crimini. -.- Sì, padre. Lo capisco. – gli prese una mano, le ginocchia piegate raccolte sulla sedia. - Ma potresti perdonarlo. Non è troppo tardi. Il Cavaliere delle Cipolle è un brav'uomo. Ti ha servito fedelmente in tutti questi anni. Ha perso quattro dei suoi figli, in quella battaglia. Non è una ragione sufficiente, questa? -. Lo guardava dritto negli occhi e Stannis non seppe distogliere lo sguardo. Non ti si chiede di giustificarlo, dicevano, ma di capirlo. Non rispose e lei riprese:- Una buona azione non ne cancella una cattiva ed una cattiva la buona. Non è così che dici sempre, padre? -.

 

Stannis ammutolì. Erano sue, quelle parole. E Shireen, a sua insaputa, le aveva fatte proprie.

 

Forse Shireen aveva ragione. Forse non era troppo tardi.

 

- Forse hai ragione tu. -. Le strinse a sua volta la mano:- E' giunta l'ora di andare a liberare ser Davos. -. Sorrise. A undici anni sua figlia aveva la saggezza di una donna adulta. Di una regina. Il viso di Shireen si illuminò di gioia. Si sporse sulla tavola e gli diede un bacio sulla guancia ruvida di barba, quindi si alzò da tavola. - Vieni, padre? - lo spronò. Stannis la seguì, a pochi passi da lei, mentre la bambina correva svelta lungo i corridoi che portavano alle segrete. Le guardie li guardarono passare, assolutamente allibite. Quando infine vi giunsero, quando vide ser Davos seduto sul putrido pavimento della cella, la schiena contro le sbarre, avvertì qualcosa nel suo petto sciogliersi e lasciarlo più leggero. - Ser Davos! Ser Davos! - gridò Shireen precipitandosi da lui. L'uomo sobbalzò e si girò verso di lei. - Principessa? Cosa ci fai qui? - domandò esterrefatto. Poi notò Stannis e chinò il capo:- Mio re. -.- Ser Davos. - rispose quello. Avrebbe voluto aggiungere qualcos'altro ma Shireen lo precedette:- Siamo venuti a farti uscire, ser Davos! Non sei contento? Sei libero! -.- Libero? -. L'ex contrabbandiere spalancò gli occhi, sempre più stupito. - Ma tuo padre… -.- ...Dà il suo consenso. Mia figlia ha perorato la tua causa. - lo interruppe Stannis. Scambiò un'occhiata con la figlia. - Tiene molto a te. -. Davos sorrise e strinse la mano della principessa attraverso l'inferriata. - Ed io a lei, Maestà. -. Seguì un momento di silenzio cui, come sempre, fu Shireen a porre fine. - Allora, padre? Possiamo liberare ser Davos? -. Stannis staccò il mazzo di chiavi delle celle dal chiodo alla parete e glielo tese. Lei le afferrò e si mise ad esaminarlo cercando quella giusta. Quando infine l'ebbe trovata l'inserì nella toppa arrugginita e con un “clac” la fece scattare. Ser Davos uscì adagio, appoggiandosi con una mano alla parete umida.

 

Aveva i capelli sporchi, la barba incolta, puzzava di alghe, di muffa e di escrementi. Era lacero e smagrito. Ma sorrideva.

 

Non fece in tempo a dir nulla che Shireen volò ad abbracciarlo. L'uomo barcollò un momento ma poi riguadagnò l'equilibrio e l'abbracciò a sua volta. Dopo qualche attimo si staccò da lei e si rivolse a Stannis. Prima che potesse aprire bocca Stannis gli tese la mano. - E' bello rivederti, Cavaliere delle Cipolle. - gli disse semplicemente. Davos sulle prime non seppe cosa dire. Poi sorrise:- Altrettanto, mio re. -. E strinse la mano che Stannis gli tendeva con la propria. Si fissarono negli occhi per lungo momento. Sapevano entrambi che in quella stretta c'era più di quanto sembrasse. - Hai fame, ser Davos? - gli domandò Shireen. - C'è della zuppa di pesce. Ti piace? -.- Il mio piatto preferito. - confermò l'uomo. - Ma prima, se potessi, desidererei farmi un bagno e ripulirmi un po'. Credo di puzzare come un topo di sentina. -. La principessa rise:- Puoi. E dopo porta con te Devan. C'è abbastanza zuppa anche per lui! -.- Sarà fatto, principessa. -. Shireen lo prese per mano e si rivolse al genitore. - Vieni anche tu, vero padre? -. Stannis le prese a sua volta la mano, incamminandosi con loro; lei guardò il padre, poi ser Davos.

 

E sorrise.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

FINE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note dell'Autrice: Oh, mamma...Ce l'ho fatta. L'ho finita. E che fatica! Quando ho avuto l'idea di questa storia (ovvero dopo aver finito di scrivere “Un regalo”, di cui questa è idealmente il continuo) giuro che non era così lunga...Ma tant'è...Che dire? Mi sono levata alcune soddisfazioni. Prima fra tutte analizzare il rapporto “Stannis – Renly” (il “Piango il bambino che era” nei libri mi ha distrutto. Zio Martin e i suoi feels selvaggi…!). E poi...beh, usare “La spada magica” come (seconda) favola di Stannis alla piccola (la mia infanzia pt.II) e la storia di Ala Orgogliosa. Che è perenne fonte di feels. In generale volevo un momento fluff (ma l'angst, ahimè, è sempre in agguato) tra padre e figlia, col nostro cipollotto alla fine! Si sa che quella bambina di babbi ne ha due xD...Che dire? A voi! Spero vi sia piaciuta e non vi abbia annoiato!

 

#Raky

 

 

 

PS: L'elicriso è un fiore che cresce in terreni sassosi e rocciosi, in ambienti più o meno salini per la vicinanza del mare (come è insomma la terra di Roccia del Drago). Ammetto di non sapere bene quale varietà sono andata a descrivere (sono andata un po' a naso basandomi sulle informazioni passatemi da un'amica), spero di non aver detto delle ciclopiche boiate. In tal caso, se ci sono in sala dei botanici, mi scuseranno. Sorry ^^”!

 

 

 

 

 

 

  
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