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Autore: Love_in_idleness    09/03/2005    15 recensioni
Henka non aveva idea che quei lunghi discorsi avrebbero potuto dilatare una sola notte di riflessione in un'eternità destinata a svoltare verso direzioni del tutto impreviste. Altrimenti vi si sarebbe applicato molto prima. FI-NI-TA (Non vedevo l'ora di scriverlo)
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Love – in – idleness

Ciao a tutti ^ ^.

Questa è la presentazione del primo capitolo di Bénédiction sotto riportato, e siccome so che finirò per parlare molto vi do il permesso di saltarla, nel caso voleste.

Ma la presentazione va fatta. Vorrei darvi un paio di ragguagli per capire meglio la storia.

Qualcuno ha avuto la malaugurata idea di regalarmi Les fleurs du mal per Natale, che ispira in maniera diretta la suddetta ficcy. Infatti il titolo è spudoratamente copiato da una poesia contenuta in tale raccolta.

La storia è nata come una one-shot, e come tutte le mie one-shot finisce per arrivare a 38 pagine e 21 capitoli. Non capisco dove sbaglio…

Mi scuso dell’inconveniente che è quello di non poterla leggere tutta di seguito come credo sia giusto: infatti i primi venti capitoli hanno luogo dalle nove di sera del 21 Luglio a mezzogiorno del dì seguente. È un flusso continuativo…

A parte questo particolare troverete parecchie citazioni in lingua –specialmente francese-. Molti di voi conoscono il greco, io purtroppo no, a parte quelle due parole che imparo studiando filosofia ^///^. Se trovate errori potete avvertirmi gentilmente.

Parlo davvero tanto…

Detto questo, FINE DELL’INTRODUZIONE (Ta-dan ta-dan).

 

Bénédiction.

 

I.

 

Pluviôse, irrité contre la ville entière,

De son urne à grands flots verse un froid ténébreux

Aux pâles habitants du voisin cimitière

Et la mortalité sur les faubourgs brumeux

 

Mon chat sur le carreau cherchant d’une litière

Agite sans repos son corps maigre et galeux ;

L’âme d’un vieux poète erre dans la gouttière

Avec la triste voix d’un fantôme frileux.

 

Le bourdon se lamente, et la boûche enfumée

Accompagne en fausset la pendule enrhumée,

Cependant qu’en un jeu plein de sales parfums,

 

Héritages fatal d’une vieille hydropique

Le beau valet de cœur et la dame de pique

Causent sinistrement de leurs amours défunts.

 

C. Baudelaire, LXXV Spleen.

 

(Piovoso, irritato contro l’intera città,

rovescia a fiotti dall’urna un freddo tenebroso

sui pallidi abitanti del vicino cimitero

e la mortalità sui sobborghi avvolti nella nebbia.

 

Il mio gatto, cercando un giaciglio sopra il pavimento,

agita senza posa il corpo scabbioso e magro;

l’anima di un vecchio poeta vaga dentro la grondaia

con la triste voce d’un fantasma freddoloso.

 

La campana si lamenta e il ceppo affumicato

Accompagna in falsetto la pendola infreddata ,

mentre in un mazzo di carte dai lerci profumi,

 

fatale eredità di una vecchia idropica,

il bel fante di cuori e la donna di picche

chiacchierano sinistri di defunti amori.)

 

‘Piove.’ Mi disse semplicemente entrando nell’appartamento che avevamo affittato.

Era terribilmente zuppo d’acqua. Sembrava avesse fatto un bagno in mare tanto i suoi vestiti erano fradici e i suoi lunghi capelli mori, sempre perfettamente pettinati, scompigliati e sgocciolanti.

Mi fece una profonda tristezza.

Lo vedevo tremare. Lui non doveva tremare!

Di cosa stava tremando, poi?  Di freddo?

Non avrei mai dovuto lasciarlo tremare in quel modo.

‘Lo vedo.’ Asserii ammiccando nella sua direzione.

Anche se, sottolineo con particolare devozione, mi fece subito l’effetto di uno che non era stato sorpreso dalla pioggia, ma era stato piuttosto gettato in acqua.

Il fatto è che fui talmente stupido, così affogato nei miei perversi meccanismi celebrali e ancora totalmente immerso nel pesante ripasso dell’ultimo minuto che aveva una qualche labile parvenza di utilità ai miei occhi di studente poco puntiglioso, da non accorgermi, o non sforzarmi di accorgermi, del suo sguardo ferito, e di tutte quelle piccole espressioni quasi intangibili, leggere inclinazioni delle perfette curve del suo volto, delle quali dopo tutti quegli anni avevo imparato a menadito la fisionomia come fossero cose importanti -in effetti lo erano-, dal loro significato tutto speciale, velato e catastrofico.

Non ho mai imparato a stare attento alle piccole cose.

Mi accontentavo, allora più che mai, di dettagli grossolani che potevano indurmi in qualche modo alla risoluzione pressappochista del caso, senza pretese elevate o profondamente intrise di spiritualità, concetti elati o semplicemente un po’ di filosofia spiccia, insomma, quello di cui la gente ha bisogno per trascendere un po’ alla banale quotidianità e rozzezza di costumi.

Seguitemi bene: fu proprio questo mio “pressappochismo” a condurci alla disperata ricerca di quella notte che non ho la voglia, il coraggio, né la crudeltà di dimenticare.

‘No. Non hai capito. Piove.’ Ripeté con quel suo tono piatto e molto basso, quello che usa sempre quando è sopraffatto da correnti gelide nel cuore che nemmeno lui, con tutta la sua buona volontà e la sua spiccata intelligenza, riesce ad arginare.

Non riusciva nemmeno più a nasconderlo al sottoscritto. Avevo acquisito una stupefacente conoscenza del significato mascherato in ogni suo gesto, ogni suo sguardo ed ogni sua parola, e l’avevo fatto assorbendo tutto ciò per abitudine, soltanto perché lo vedevo infinitamente riprodotto ogni benedettissimo giorno che trascorrevo in sua compagnia. Era come se il mio cervello elaborasse automaticamente questi elementi, ed automaticamente mi fornisse le indicazioni del caso e i suggerimenti sul come trattare con guanti di velluto la sua anima così fragile da potersi spezzare ed andare in mille frantumi se solo non avessi avuto l’accortezza di essere gentile e fargli percepire tutto il mio calore e il mio sostegno affettuoso.

Avevamo un bisogno quasi fisico.

Mentre rientravo dal bagno con un grande asciugamano pulito mi accorsi che non pioveva affatto.

Fu una consapevolezza che mi colpì nettamente e con una sconcertante fitta nello stomaco, come se questo avesse fatto una capovolta nella mia pancia che sobbalzava.

Perché, se non pioveva, lui era così bagnato, fino al midollo?

Rientrando in camera aprii la bocca per chiedere una qualsivoglia spiegazione sensata al fatto che lui fosse entrato sgocciolando sulla moquette azzurra di casa quando era una bellissima serata di fine Luglio, le stelle splendevano nel cielo terso, e non c’era nemmeno una nuvola a minacciar tempesta.

E finalmente, quando lui si avvicinò col suo passo felpato e sensuale posandomi l’indice della sua mano destra sul labbro per pregarmi di tacere –è già doloroso abbastanza, sentivo vibrare nell’aria il suo monito disperato- io vidi il rossore dei suoi occhi gonfi e quanto erano profondamente intrisi della tristezza indicibile che l’aveva sempre sovrastato.

‘Devi fare un bagno…’ Sussurrai. La sua mano era sempre accostata alla mia bocca.

‘No, ho davvero bisogno di parlarti.’

‘Su. Ci metti cinque minuti.’ Paradossalmente la mia voce tremava più della sua. Era spaventosa, a sentirsi, o così mi appariva. Faceva trapelare quella sottile debolezza che era sempre stata mia propria, ed era l’incapacità di reagire, di spronarmi, il momento in cui le disgrazie mi piombavano addosso con tutta la loro invereconda pesantezza di macigni.

Che poi ci fosse lui a darmi l’incipit era un altro discorso.

Alla fine era tutto riconducibile alla stessa snervante realtà, al fatto che io senza di lui non andavo da nessuna parte, e lui senza di me non avrebbe resistito all’irrefrenabile desiderio di farla finita.

Oh, sì, era un passionale! Affrontava la vita con una veemenza, con un interesse così vivo e pulsante, inestinguibile nel bene e nel male.

Quello che faceva, lo faceva mettendoci l’anima. Ed era chiaro come il sole che non poteva reggere a lungo il momento in cui le cose gli sfuggivano di mano e l’anima razionale veniva bruscamente surclassata dalla sua parte desiderante, l’epithymetikòn come ce lo descrive brillantemente Platone, lasciandolo in completa balia delle proprie emozioni e dei propri istinti distruttivi.

In fondo è di questo che si parla.

Degli istinti di autolesionismo così sfacciatamente spiccati in Giulio.

Avete presente quel mito poetico dell’auriga, sempre di Platone? Per me Platone è il filosofo più poetico, con le sue idee, che la storia ricordi. Ma non sta a me farvi un excursus sulla teoria dell’intelligibile. Quello che vi voglio dire è che, tracciando le fila dell’orientamento animistico del mio caro Giulio, il suo carro allegoricamente figura dell’anima, tende paurosamente verso il basso mondo dei sensi.

Io non arriverò mai a capire quanto spropositatamente amplificate lui avverta le cose che lo scalfiscono anche in maniera superficiale, ma di certo non è il modo umanamente codificato.

Non è un bene.

Non lo è affatto.

E’ la sua sciagura, se me lo concedete, perché vuol dire che sarà sempre costantemente incatenato alla miriade di sensazioni prorompenti come un fiume in piena che lo distruggono. Io credo nel potere delle sensazioni, e vedere Giulio immerso completamente nel suo stato di trance onirica, di spaventoso abbandono -come se la sua mente abbia costretto il suo corpo a subire una sincope per il dolore che, avvelenandogli il cuore, è diventato troppo grande persino per la sua ragione acuta e penetrante- è una cosa spaventosa e mi ferisce ogni volta come non mai.

Perché, alla fine, è come ammettere che non mi sono dedicato abbastanza alla sua salvezza interiore.

‘Henka…’ Mi ridestò dalle mie amare congetture con la voce di chi era contento.

Non mi fidavo della sua proverbiale arte recitatoria. Mi stava semplicemente imbrogliando, lo sapevo bene, glielo leggevo negli occhi chiari e stanchi.

Mi rialzai dal letto sul quale mi ero sdraiato nel tentativo di concentrami su quello stupido libro di filologia germanica. Non è giusto dover dare degli esami ad Agosto. Oltre che essere moralmente scorretto è anche straziante per il povero studente che vede bruciata la sua rosea prospettiva di vacanza per ritrovarsi chino su volumi enciclopedici di vasta cultura altisonante.

D’accordo, sto esagerando. Io e Giulio, in effetti, eravamo in vacanza, libri alla mano. Saremmo dovuti tornare il giorno seguente.

 

 

--- Piaciuto il primo capitolo? Beh, da solo non dice molto. Spero continuerete a seguire la storia per potermi dire che la trovate interessante (ah ah! Sono molto vanitosa…)

Henka è un diminutivo che sta per Henrik. Lui è finlandese (ho rubato il nome al tastierista dei Sonata Arctica ^ ^)

Sapete, rileggendo il tutto mi sono accorta di aver commesso un errore madornale: ho lasciato che fosse Henka a narrare in prima persona, ma come fa un finlandese a parlare così bene l’italiano (mi faccio i complimenti da sola)? Boh… forse è un genio. Comunque non potevo riscrivere tutto da capo. Fate finta di nulla, per favore. (io sono anche giustificata in caso di errori: mi immedesimo nel Finlandese…)

Vorrei andare in Finlandia.

La verità è che sono molto insicura di questa storia per un mio piccolo problema tecnico ^///^: non sono un ragazzo… <-- vergognoso, non trovate? Per questo chiedo ai fanciulli sostegno morale.

Il prossimo capitolo è veramente breve e insipido, ma mi serve come introduzione, per spiegare qualche dettaglio della storia. Prometto che ci saranno capitoli più interessanti (spero).

E se a qualcuno interessasse conto di postare un capitolo ogni sabato, avvertendo preventivamente quando non sarà possibile. Mi impegnerò con serietà se me ne darete il motivo ^ ^.

A sabato, e grazie.

 

Love_in_idleness.

 

   
 
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