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Autore: rosamond44    11/11/2015    0 recensioni
Al confine tra la nostra dimensione e un'altra di cui gli umani ignorano l'esistenza, vi è il Mondo Astrale. Un frammento di notte che ospita in un'accademia, la cui maestosità troneggia freddamente sulle limpide acque del Mirror Lake, creature del Giorno, della Notte e del Mondo di Mezzo.
E se una ragazza, per la quale il massimo di anormalità è una pioggia improvvisa in una giornata assolata, finisse catapultata tra le mura di quest'incredibile accademia? Nicole non sa cosa e come fare per tornare a casa, ma lo vuole ed è proprio ciò, che le da la forza necessaria per resistere alle assurde situazioni che continuamente le vengono incontro. Quella che dovrebbe rivelarsi un anormale vita scolastica potrebbe diventare qualcosa di più, e i piani e progetti iniziali di Nicole potrebbero cominciare a vacillare, sconvolgendo a più non posso la sua realtà e la sua visione del mondo, che si sa, non è mai ciò che sembra.
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Erano innumerevoli i miei sforzi di muovere anche una sola fibra di un singolo muscolo, ma si rivelarono uno dopo l'altro inutili, spaventandomi e scoraggiandomi a continuare. Non so esattamente da quanto tempo fossi lì distesa ed immobile, ma doveva esserne abbastanza in quanto avvertii delle presenze. Erano più persone che parlottavano sicuramente da ancor prima che mi svegliassi. I loro mormorii inizialmente ovattati, mi giunsero alle orecchie sempre più chiari, rendendomi possibile intercettare qualcuna delle frasi da loro pronunciate.

«Guardate, sembra che si stia svegliando», riuscii a distinguere tra il brusio smorzato una voce femminile.

Non parve però a me, che mi stessi risvegliando. Non riuscivo a percepire il mio stesso corpo e i miei sensi erano –in maggior parte- assopiti.

«Non ancora», questa volta volta udii una voce maschile che diede voce ai miei pensieri.

Calò un silenzio mortale, spezzato poi dai continui tintinnii di bocce o fiale di vetro che riversano liquidi di natura a me ignota da un contenitore all'altro. Qualcuno vi trafficò con esse per un periodo che a me parve un eternità, per poi avvicinarsi. Una mano grande si infiltrò tra i miei capelli ed alzò con un gesto fulmineo la mia testa, inclinandola quanto potesse bastare per avvicinare un bicchiere alle mie labbra e fece scorrere liberamente un liquido caldo e denso in gola. Inizialmente non sentii nulla, ma poi un bruciore terribile cominciò ad ardere in gola, per poi espandersi su tutta la pelle. Avrei voluto contorcermi dal dolore, grattarmi per il prurito, gridare per le pene, ma il mio corpo non si mosse, obbligandomi a patire in silenzio. Strinsi gli occhi più forte che potei e tentai di nuovo di muovermi, ma le fitte mi costrinsero a mettere a tacere il mio desiderio. Mi abbandonai all'effetto dell'infuso, attendendo con impazienza repressa l'efficacia della bevanda -sperando che ne avesse uno- ma il bruciore non scomparì, alimentandosi invece delle lacrime di rabbia che mi colavano fino alle orecchia, lasciando scie sulle tempie che mi infastidivano, e del mio respiro sempre più affannoso.

«Sembra stia soffrendo», rimarcò la stessa ragazza di prima con tono preoccupato.

«Ha un leggero bruciore, ma presto passerà».

Leggero!? Lo schernii mentalmente. Se fossi stata abile in quel momento, avrei riso in faccia all'artefice del mio dolore, ma non potendolo fare –fisicamente parlando- attesi quel benedetto presto con infinita impazienza. A poco a poco cominciai ad abituarmi al bruciore, sostituito in parte da un'improvvisa stanchezza. Rilassai i muscoli che tenni tesi fino ad ora e lasciai cadere la testa di lato. Fortunatamente ripresi controllo delle mie azioni –anche se in questo momento erano dettate dall'istinto- e mi rannicchiai in posizione fetale. Non mi feci domande del perché mi potessi muovere o perché il bruciore fosse svanito, mi sentivo stanca come non mai e avevo solo voglia di dormire. Captai dei bisbiglii e dei passi, poi una porta venne chiusa con calcolata attenzione. Capito di essere rimasta sola non potei far altro che assecondare i miei bisogni. Strinsi gli occhi e mi abbracciai in un gesto protettivo, poi lasciai che Morfeo facesse il suo dovere e mi addormentai.

***

Non credo fosse passato tanto tempo da quando il sonno mi cullò tra le sue braccia, in quanto mi venne -inizialmente- difficile tenere gli occhi aperti, costringendomi a sbattere un paio di volte le palpebre incerate e ancora appesantite dal sonno. Con ancora i muscoli indolenziti e i movimenti straziatamene lenti, drizzai a sedere sul soffice materasso di uno di una serie di lettini, muniti esclusivamente di lenzuola e cuscini rigorosamente bianchi. Strofinai le mani chiuse a pugno sugli occhi per poi mettere a fuoco la veduta bianchissima di una luna piazzata proprio all'unica finestra della stanza. Nonostante l'intensità non fosse realmente come parve a me, il bagliore mi sembrò accecante e mi vidi costretta a stringere gli occhi –ancora ricoperti di un leggero velo di sonno- e a distogliere lo sguardo altrove. Nonostante sembrasse essere calata la sera, la camera era ben illuminata, rendendomi possibile osservarla piuttosto chiaramente. Esaminai increspando la fronte la stanza che a me parve un'infermeria. Languidi raggi argentei filtravano dalla finestra andando ad accarezzare i pochi mobili presenti nella stanza e le pareti spoglie. L'attenzione mi scivolò poi sui residui di un intruglio verdastro sul fondo di una tazza, poggiata sul tavolino in mogano al lato del letto. Strinsi le labbra ed arricciai il naso inorridita, sperando vivamente che non fosse la bevanda dal sapore acre presente ancora sulla mia lingua. Sperai. Feci scorrere le mie iridi smeraldo sulle pareti in cerca della porta perfettamente mimetizzata, quando il luccichio della maniglia metallica mi catturò l'attenzione. Scesi spavalda dal letto –piuttosto altino- e rischiai una caduta che si prevedeva dolorosa. Mi aggrappai alla stoffa stropicciata del candido lenzuolo e mi tirai su. Barcollante usai il muro come appiglio per la mia avanzata verso l'uscita, muovendomi goffamente e tremante per lo sforzo. Fortunatamente il tragitto non si rivelò così infernale come mi preparai psicologicamente che fosse, e il muovermi ebbe un'effetto benefico sulle mie gambe, che cominciarono piano piano a rinvigorirsi dallo stato di semi-paralisi. Strinsi trionfante la maniglia ghiacciata tra le mani e con tutta la forza –di cui disponevo al momento- la abbassai, ma non si aprì. Feci scivolare le dita più in basso in cerca della chiave, ma non vi trovai niente. Chinai il capo giusto per accertarmi che mancasse davvero, e persi un battito quando notai invece che non mancava solo la chiave, bensì proprio la serratura. Presa dal panico abbassai e rialzai la maniglia velocemente, quasi a rischio di staccarla. La paura venne poi in parte sostituita dalla rabbia, e presi a scalciare contro la porta e a gridare "Aprite!" a più non posso, ma niente cambiava. Appoggiai perfino un'orecchio sulla porta mettendomi in ascolto e stando sul attenti per intercettare anche il minimo rumore, ma sembrava deserto. Eppure c'erano delle persone con me prima, non possono essere sparite nel nulla. Resomi conto che gridare più forte possibilmente fosse utile solo a lesionare le corde vocali, mi misi le mani ghiacciate sulla fronte. Cominciai a sudare freddo e a guardarmi intorno in cerca di un'uscita alternativa, e la vidi... la finestra. Era immensamente ampia, quasi a ricoprire metà della parete. I vetri lucidi erano come un richiamo ed io mi avvicinai. Se prima mi balenò un frammento d'idea di utilizzare la finestra come via di scampo, beh, ora mi dovetti ricredere. Non so a quale piano mi trovassi, ma sicuramente molto, troppo in alto affinché io possa anche solo sperare di intravedere il suolo. Rimasi di sasso nell'ammirare il panorama irrealistico che mi si parò dinnanzi agli occhi, tuttavia ammisi che era bellissimo. La luna luminosa e argentea era incentrata sul blu notte del cielo, punteggiato da miriadi di stelle. Si specchiava sulle acque pacifiche di un lago dalle distese indefinite. A troneggiare sulla veduta incantevole di un panorama vagamente magico vi era un palazzo, ma non uno di quello fiabesco, sprigionava bensì un'avvolgente aura oscura, intrigante, che mi fece alzare in punta di piedi e sporgere leggermente più in avanti per cercare di notare altri dettagli.

«Non sporgerti troppo in avanti. Quello alla finestra, come puoi notare non è vetro ».

Sussultai nel sentire una voce femminile, profonda e dal tono distaccato alle mie spalle. Volsi il mio sguardo diffidente in sua direzione, e vi trovai una ragazza alta, dai lunghi boccoli scuri intenta ad accendersi una sigaretta portando l'indice fiammeggiante verso questa. Osservai allibita la nuvola di fumo liberata dalle sue labbra rosee e piene, stando sull'attenti nell'eventualità di un attacco a sorpresa da parte dell'essere sovrumano, a me mostrato sotto le spoglie di un'affascinante e giovane ragazza. Nel teso silenzio lei ridacchiò. Era una risata bassa, poco duratura, con lievi sfumature di divertimento più inclini all'ironia.

«Calmati», mi fissò seria negli occhi, dandomi modo di ammirare le sue bellissime iridi cremisi «se avessi voluto attaccarti l'avrei fatto da tempo, non credi?».

Chiuse gli occhi stringendo la sigaretta annoiata tra i denti e si portò una mano tra i folti capelli. Pettinò alcune ciocche con le dita, per poi aprire gli occhi velocemente, cogliendomi in fragrante mentre la analizzavo.

«Cosa sei?», domandai con un filo di voce, soddisfatta comunque di non aver balbettato.

«È una lunga storia», troncò annoiata «ora andiamo».

Si voltò incamminandosi verso la porta.

«Andare? E dove?».

Cercai di essere più cauta possibile sul da farsi, non mi fidavo assolutamente di lei. Non dopo quello che avevo visto prima.

«Senti», si voltò scocciata «vieni e non fare storie».

Va bene, va bene. Che caratterino. Mi ritrovai a pensare mentre varcavo la porta. Entrai in un corridoio lungo e scarsamente illuminato. Una scia di fuochi fatui fluttuavano a mezz'aria illuminando di una luce bluastra il lungo cammino. Per un attimo il mio cuore prese a martellare nel petto per l'agitazione. Non avevo proprio paura, ma ammisi di essere leggermente intimorita dall'oscurità che mi avvolgeva e dalle stranezze che vedevo. Non riuscivo ad avvertire la presenza di quella ragazza, così cominciai a guardarmi intorno.

«Dove sei?», gridai.

«Non strillare», mi ammutolì comparendo al mio fianco.

«Ma dov'eri?», ripresi a parlare sottovoce, come se qualcuno potesse sentirci.

«Andiamo!».

Potresti almeno degnarti di rispondere. Cominciai a seguirla nella semi oscurità del corridoio con passi leggeri. La ragazza davanti a me camminava sicura di sé senza controllare se le stessi dietro. Cercai di evitare di domandarmi se lo facesse perché era sicura che la seguissi, oppure non le importava, ma non ci riuscii. Svoltammo una curva e ci ritrovammo dinanzi una scalinata. Salii i gradini dopo di lei, guardandomi i piedi per non inciampare e attesi –arrivata in cima- che aprisse la porta.

«Entra!», mi fece passare per prima.

La camera dove ero appena entrata era –a differenza delle altre- molto spaziosa, dorata, luminosa e... popolata. 

 

   
 
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