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Autore: Lago    26/02/2009    11 recensioni
La sera dopo la battaglia ad Ealdor, episodio 1x10. Più d’una persona deve fare i conti con la propria coscienza; ognuno per le sue ragioni, ognuno per le proprie debolezze.
"Quando Arthur lo trovò, la giornata volgeva ormai al crepuscolo..."
Genere: Triste, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Merlino, Principe Artù
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quando Arthur lo trovò, la giornata volgeva ormai al crepuscolo.
Merlin sedeva quietamente su di un tronco caduto, da qualche parte addentro la boscaglia, incurante della pungente brezza serale. Aveva poggiato le braccia sulle proprie gambe divaricate – le mani abbandonate fra di esse, inerti, immobili. Una vista... inconsueta.
Non appena Arthur si fece avanti sollevò il viso, senza abbandonare il corso dei propri pensieri – e distese le labbra in un accenno di sorriso, per accoglierlo. Si scostò quanto bastava a lasciare al principe un po’ di spazio sul legno umido – ed egli vi prese posto senza proferire parola, deponendo la spada a terra, al proprio fianco.
Arthur poggiò a sua volta i gomiti sulle proprie cosce – si coprì il viso con le mani, respirando profondamente, per poi intrecciarle e lasciarle sospese di fronte a sé. Si curvò in avanti, chinando appena il capo, stringendo nervosamente le labbra. Esitò ancora un momento, prima di parlare.
“Mi… mi dispiace. Per il tuo amico.”
Merlin indugiò per un istante, quindi annuì, non fidandosi della propria voce abbastanza da aprir bocca.
In un moto di esasperazione, il principe non seppe trattenere un suono inarticolato – a mezza via fra l’incredulità e la collera. Non sapeva come reagire al sentirsi responsabile di – di una simile situazione. Avrebbe desiderato solo poter, in qualche modo, rimediare.
“E dire che io… dannazione. Io neppure gli piacevo.”
“Già...”. Merlin non poté trattenere un affezionato abbozzo di risata, scuotendo la testa. Rimase a fissare il terreno davanti ai propri piedi, mentre il triste sorriso si diluiva fino a svanire dal suo volto. “Credo… credo che l’abbia fatto per me. Perché ha creduto in me, e nella fiducia che ripongo in voi.”
Arthur si passò una mano fra i capelli impolverati, traendo un respiro profondo, preda dell’improvviso bisogno di muoversi, di fare – o magari distruggere – qualcosa… Uccidere qualcuno, uno qualsiasi che lo meritasse, per cercare almeno di pareggiare un po’ i conti. Per quanto poco senso potesse avere. Bestia grama, il senso di colpa.
“Mi… oh, diamine. Se io avessi… Avrei dovuto essere io a –”
No.” Merlin fu rapido ad interrompere il principe, sollevando una mano – accennando a voltarsi verso di lui. I loro occhi si incrociarono brevemente prima che il giovane tornasse a distogliere lo sguardo. “Voi siete… prezioso. Andate protetto, non importa il costo.”
Gli occhi bassi, rivolti al suolo – Merlin si trovò a seguire distrattamente il faticoso incedere di una formica, intenta a trasportare un boccone assai più grande e pesante di lei. Fosse stato meno immerso nelle proprie riflessioni le avrebbe certo rivolto pensieri gentili, provando simpatia per lei. Quanto poteva comprenderla.
Non riuscì a tacere ancora. Qualcosa doveva pur lasciar uscire – del plumbeo caos che gli pulsava dentro, dolente e vorticoso, impossibile da soffocare.
“Conosco i miei doveri, e… sono disposto a pagare qualsiasi prezzo si renda necessario per la vostra salvezza. Ma,” proseguì, scrollando nuovamente il capo, con lentezza – mentre le sue mani si stringevano e riaprivano sulla stoffa ruvida dei calzoni, “Non sono… pronto ad imporre ad altri di versare questo tributo in vece mia.”
Arthur avrebbe voluto toccarlo – sì, offrire un minimo di conforto, un minimo di – qualunque cosa potesse servire a mitigare l’amarezza che permeava la voce del ragazzo. Ma non osò sollevare le mani, che stavano penzoloni ed inerti fra le sue ginocchia, per tentare alcunché. Aveva la sensazione che, se avesse provato a muoverle – sarebbe stato lui, per una volta, a non sapere più che farsene, dove poggiarle.
Merlin proseguì, portandosi un palmo alla tempia, strofinandola quasi con rabbia. “Io sarei disposto a sacrificare ogni cosa, per la vostra difesa. Ma non è in mio potere disporre delle vite altrui. Lui… Io, forse, avrei potuto… forse…”
Eppure, non poteva spiegare: non poteva confessare ciò che gli gravava sul petto. Rivelare che lui aveva visto l’arco tendersi prima ancora che lo vedesse William, che stava per intervenire con la sua magia – sì, stava per farlo – ed invece era rimasto bloccato. Solo una frazione di respiro, un istante di terrore per il giudizio che gli occhi di Arthur gli avrebbero riservato – solo un palpito, meno d’un battito di ciglia, che tuttavia era bastato. Era bastato.
Le sue mani tornarono a stropicciare il tessuto degli abiti che indossava, per poi torcersi l’un l’altra, incapaci di trovare riposo. E così i suoi occhi – a guizzare senza pace da foglia a foglia, sul terreno melmoso – di albero in albero, poi, in cerca di spazio, aria, respiro, quando l’oppressione nel suo petto parve farsi troppo intensa, minacciando di strappargli il fiato. Le sue sopracciglia si incurvarono, mentre la voce gli si strozzava in gola, ed un velo di incredulo dolore calava sulle sue fattezze.
Una così insolita visione – così innaturale. Arthur credette di sentire il proprio cuore stringersi.
Merlin deglutì, mentre le sue mani iniziavano a tremare. “Le sue ultime parole sono state… ho paura…”
Arthur non si voltò a guardarlo in viso quando sentì la sua voce incrinarsi, per poi spegnersi bruscamente. Rimase con gli occhi puntati verso il buio che avanzava fra i tronchi della foresta, serrando impercettibilmente i pugni – a sua volta alle prese con le proprie mancanze, le proprie carenze.
Infine – incapace di sostenere oltre la sensazione del corpo di Merlin, fremente contro il suo, senza far nulla – sollevò un braccio, portandolo a cingere le spalle del ragazzo, per poi far scorrere la mano fino alla sua testa, in una ruvida carezza. Affondò le dita fra i suoi capelli e lo attirò contro di sé, premendo la guancia contro la sua fronte, e stringendo forte.
“Mi… dispiace.” mormorò contro i suoi capelli, la voce che a sua volta si era fatta traditrice, sforzata. “Merlin, mi dispiace…”
E solo allora Merlin chiuse gli occhi, lasciando che il suo peso venisse sorretto dal corpo di Arthur, concedendo finalmente a lente, calde lacrime di colare senza fretta dalle sue palpebre serrate, mentre l’angusto groviglio che pesava nel suo ventre accennava ad allentare la presa.
Gli parve di sentire Arthur sfregare la gota contro la sua testa, e forse – forse le sue labbra sfiorare la sua tempia nel più leggero, inconsapevole dei baci, per poi tornare immobile, limitandosi ad accentuare la stretta. Merlin non sapeva se abbandonarsi alla rincuorante sicurezza di essere cinto a quel modo – del calore di Arthur, così confortante premuto contro di lui – od invece a quella aspra, velenosa, che gli ricordava quanto, perfino in quel momento così sincero e profondo, lui invece fosse... bugiardo.
Ed infine decise che non importava, e si limitò a piangere per William – lasciando perdere se stesso, le proprie menzogne, le proprie lotte – pianse, quasi potesse servire a mitigare la sua bruciante colpa. Pianse, in silenzio.
Arthur non disse nulla a sua volta – ma continuò a tenerlo stretto, e a guardare la notte farsi avanti. Contentandosi di questo.


  
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