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Autore: MissVillains    15/11/2015    1 recensioni
E se Luke avesse parlato con suo padre Ermes dopo il fallimento della sua missione? Che cosa si sarebbero detti? Quali potrebbero essere stati i pensieri del semidio? Questa breve fanfiction prova a dare una risposta a queste domande sperando che soddisfi la vostra sete di conoscenza.
[Partecipante al contest “Avviso agli dei: lunedì presentazione carriera a scuola" indetto da Kirame amvs&AnnabethJackson].
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ermes, Luke Castellan
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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          Perché tu non mi ami
Luke era sulla spiaggia del Campo Mezzosangue, camminava nervoso, alzando nuvolette di sabbia dorata, pensando a quello che era accaduto quel pomeriggio. Ad un certo punto decise di sedersi per provare a calmarsi guardando le onde del mare che dolcemente arrivavano alla spiaggia.
La sua missione era stata un fiasco totale e la cicatrice sul viso, che ancora bruciava, glielo avrebbe ricordato per sempre. Quel drago lo aveva sfigurato e lui era tornato a casa con la coda fra le gambe. Odiava i draghi. Odiava le missioni. Ma soprattutto odiava gli dei e in particolare odiava come lo avevano guardato quando avevano visto che aveva fallito miseramente nel compiere la missione; come suo padre, Ermes, lo aveva guardato con compassione e anche un po’ di pietà.
Prese un po’ di sabbia con le mani e la scagliò lontano, con stizza. Era arrabbiato e niente poteva farlo stare meglio, neanche sedersi alle radici dell’albero di Talia. Ripensò a lei e a quello che era successo quella notte: era solo un altro dei suoi fallimenti.
E Annabeth non lo capiva, non capiva che ogni volta che non riusciva in qualcosa era come infangare la memoria di Talia, che si era sacrificata per loro due. L’unica cosa che gli rimaneva da fare, non avendola la suo fianco, era onorare la sua memoria vincendo ogni sfida, ogni prova che veniva messa sul suo cammino.
Ma non era andata così. Si rialzò: vedere il mare così calmo lo irritava, perché aveva una tempesta che infuriava dentro di sé. Una tempesta che avrebbe potuto spazzare via tutto il Campo Mezzosangue, travolgendo ogni singola casa e distruggendo ogni simbolo degli dei, quegli dei a cui dovevi rispetto ma a cui non importava niente, assolutamente niente, di te.
Camminò ancora un po’ sul bagnasciuga, cercando di ritmare il suo respiro con le dolci onde che attraversavano il mare, fino a quando vide un signore che stava correndo sulla spiaggia. All’inizio pensò che fosse qualcuno che si era perso e per sbaglio era entrato nei confini del Campo, ma più si avvicinava, più si accorse che, in effetti, lo conosceva: tratti elfici, scarpe da ginnastica con delle ali, vestito come un postino, tutto di blu. Si girò e iniziò a correre lontano da quell’uomo, ma questi lo prese velocemente.
–Pensavi davvero di sfuggire al messaggero alato?- chiese il signore divertito. 
 –Ci speravo- rispose Luke, mentre scalciava la sabbia –ma comunque non ho voglia di parlarti- disse, mettendo le mani in tasca, intanto che si stava girando per tornare al Campo. Ermes, era proprio lui il signore che correva, lo prese per la spalla. 
–Sei ancora arrabbiato per la missione fallita?- gli chiese con fare, notò il ragazzo, paterno.
Luke odiava quando gli dei, i loro genitori divini, facevano finta che a loro importasse qualcosa di uno dei loro figli mortali. Lo stava ingannando, sperando che lui dopo ritornasse il suo figlio perfetto. Ma stavolta non ci sarebbe cascato.
–Pensi davvero che io creda che tu ci tieni a me? Pensi che non abbia visto come mi hai guardato oggi? E le occhiate agli altri dei? Ti stavi vergognando di me, perché ho fallito. E pensare di venire qui e con qualche parola sistemare tutto non funzionerà. Perché tu non mi ami!-
E detto questo scalciò dell’altra sabbia e si voltò verso il Campo, cercando di trattenere le lacrime, perché un vero semidio non deve mai piangere.  
–Luke, sono qui per parlare veramente con te. Ho anche spento George e Marta per poter stare un po’ tranquillo. Oggi al consiglio ero solo preoccupato che gli altri dei non ti punissero, quando già il drago ti aveva lasciato un segno per il tuo fallimento. Ma non importa se hai fallito. Io ti voglio comunque bene-  
 Luke si girò, la rabbia che traspariva dai suoi occhi. –Mi vuoi bene? Mi vuoi bene come a tutti i figli che hai avuto in questi secoli? Lasciandoli anche morire in mezzo ai mostri? Come hai voluto bene a mia madre? Come mi ha i voluto bene in questi anni, non facendoti mai vedere? La mia infanzia è stata un incubo! E tu non hai mai fatto qualcosa per me. Mai un saluto, un complimento, un aiuto. E pensi ora di poter sistemare tutto con le tue parole? Non sono un semplice mortale che si fa ingannare da te!-
 Ermes lo guardò, con tutto l’affetto possibile. Aveva ragione Luke, ovviamente. Ma la condizione di essere un dio era quella: avere tanti figli, anche troppi a volte e poi lasciarli con il parente mortale, alle prese con i mostri e con la paura di essere uccisi ogni giorno.
Ermes, prima di rispondere guardò il mare, sapeva che Luke, dietro di lui aspettava una risposta, qualcosa che lo aiutasse a capire, a capire tutto quello che era successo e che non si poteva, però, cancellare come una scritta sulla sabbia.
–Luke, non ti ho mai abbandonato. Secondo te quante erano le probabilità di trovare altri due semidei scappati di casa? E di essere trovati da un satiro prima di morire uccisi da qualche mostro? Fisicamente non ci sono mai stato, ma col pensiero ero sempre vicino a te. E poi, la cosa più importante che i genitori possono insegnare ai loro figli è come andare avanti senza di loro.(1) E tu su questo ce la stai facendo, sei grande ormai e non hai proprio più bisogno di me!-
Luke lo guardò, con le lacrime che gli rigavano il viso: lo odiava, con tutto sé stesso. Poi, senza più dire niente ritornò al Campo: non poteva credere che suo padre gli avesse parlato così, che si fosse giustificato in quel modo.                                                                                                                                                     
Mentre era a letto, ripensò alla sua infanzia, a sua madre, completamente pazza, a lui, Ermes, che l’aveva lasciato lì, in quella casa ormai diventata un manicomio.
Quello che gli aveva detto prima, alla spiaggia, era una bugia. Non era grazie a lui se aveva trovato Talia e Annabeth, non era grazie a lui se Grover li aveva trovati. E anche se avesse avuto ragione, allora sarebbe stata lui la vera causa della morte di Talia, della sua Talia, pensò quasi con le lacrime agli occhi.
Ma sicuramente non era vero. In fondo Ermes era anche il dio dei ladri, non ci si poteva fidare di lui. E quella frase, buttata lì, per lavarsi la coscienza, facendo finta di aver fatto un buon lavoro: tutte stupidate, frasi dette apposta per sembrare di essere un buon padre.
Perché lui avrebbe avuto veramente bisogno di un genitore, di qualcuno che lo avesse aiutato a crescere, a capire cosa era accaduto a sua madre, a imparare a sconfiggere i mostri. Ma anche a vivere come una vera famiglia, come tutti i ragazzi normali, che andavano con il padre alle partite di baseball, a pescare, a fare gite sulla spiaggia, a visitare luoghi esotici. E invece lui era un semidio e il suo, di padre, non c’era mai stato. Ermes non l’aveva mai amato e lui lo sapeva.


Eccomi ancora qua, con una storia partecipante a un concorso questa volta su Percy Jackson. Come avrete letto si tratta di un missing moments a mio parere molto importante per capire un po' la psicologia di Luke, che spero di aver interpretato nel migliore dei modi; anche perchè è uno dei miei personaggi preferiti.
(1) Questa citazione era presente nel pacchetto del concorso, quindi non è farina del mio sacco.
Sperando che abbiate apprezzato la storia, se volete recensite pure, anche perchè riconosco che non sia perfetta, se invece preferite essere dei lettori silenziosi va bene lo stesso, spero solo di aver colpito almeno un po' la vostra attenzione.
   
 
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