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Autore: Winchester_Morgenstern    15/11/2015    2 recensioni
La vera difficoltà non sta nel cambiare se stessi, ma nel riconoscere ciò che si è realmente e, soprattutto, nell'accettarlo.
IN REVISIONE - CAPITOLI RISCRITTI 4/X (DA DEFINIRE).
POST COG, POSSIBILE RIVISITAZIONE DELL'INTRODUZIONE.
Genere: Azione, Dark, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, Crack Pairing | Personaggi: Clarissa, Izzy Lightwood, Nuovo personaggio, Sebastian / Jonathan Christopher Morgenstern, Un po' tutti
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Veritas filia temporis'
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SHADOWHUNTERS - CITY OF MARBLE

XXVIII - TIC, TOC


Ian si arrampicò sul letto di Isabelle, dove aveva già lanciato Qua Qua, altresì conosciuta come la sua paperella di gomma che ormai si portava dietro ovunque. Ma al momento, il suo giocattolo per il bagno gli interessava ben poco perché, mentre la shadowhunter accanto a lui era impegnata a cambiare le lenzuola impolverate del letto, avevano trovato un grosso baule di legno, che Izzy aveva poi aperto con una runa di sblocco, un po' esitante. Insomma, avrebbe potuto esserci qualunque cosa lì dentro, e invece… invece c'erano interi pacchi di vecchie fotografie, delle lettere, una spada di legno e un orsacchiotto di peluche. 
Entusiasta, Ian si era subito appropriato del pupazzo, rigirandoselo fra le manine: era marrone cioccolato, un po' spennato e con le cuciture malandate, in più gli mancava uno dei due occhietti neri, ma aveva un bel fiocco viola al collo ed era morbido, e tanto bastava. Prima di cederlo al bambino, Isabelle aveva dovuto più volte sbatterlo in aria tenendolo per una zampa, cercando di far volare via la polvere che si era depositata sopra al giocattolo, e poi bagnarlo, perché alla fine sballottarlo di qua e di là non aveva funzionato.
Ora il piccolo Morgenstern lo stringeva fra le braccia con aria entusiasta anche se un po' corrucciata.
— Cosa c'è? — gli chiese Isabelle, perplessa.
— Be'… devo dali u nome! — rispose il bambino, fissando intensamente l'orsacchiotto come se esso stesso avrebbe potuto animarsi e rivelargli come si chiamava.
Se lo rigirò ancora un po' fra le mani, poi si sporse in avanti per afferrare Qua Qua e li mise seduti vicini, scrutandoli ancora per qualche minuto: — Qua Qua e Samy! — decretò infine, illuminandosi.
La corvina rise e lo prese in braccio, avendo cura di porgergli anche i due giocattoli, ben conscia che probabilmente Ian non se ne sarebbe separato tanto presto.
Lei aveva finalmente finito di ripulire quel letamaio che Jia aveva osato chiamare camera, quando aveva parlato della casa, quindi aveva un po' di tempo per giocare con quel piccolo cosino dalle ali piumate. Meglio quello che pensare a Melchizedeck che molto probabilmente stava massacrando i Mondani fuori da Idris, certo. Davvero non riusciva a capire la decisione del Conclave, tutt'al più biasimava quegli stupidi idioti che avevano costretto i nephilim a ritirarsi nella loro "fortezza inespugnabile", ancora una volta. La gente avrebbe dovuto imparare dai propri errori, no? E allora perché non avevano pensato che, se davvero aveva a disposizione un esercito di ibridi, molto probabilmente quel folle Nascosto avrebbe potuto attaccare da un momento all'altro? Valentine aveva già mostrato come fosse facile farlo qualche anno prima, dopotutto.
Scosse il capo per scacciare quei pensieri almeno per un po' e aiutò Ian a prendere una delle coperte che aveva trovato in giro per la casa - a proposito, avrebbe dovuto portarne una a Clary, più tardi - e poi ad aprirla e accartocciarla fino a formare quello che sembrava una specie di nido, dove il bambino depose paperella e orsacchiotto. 
— Qua Qua e Samy fano nanna! — spiegò il piccolo, accarezzando i due giocattoli come avrebbe fatto con due animaletti veri. A volte era inquietante pensare che quel biondissimo bimbo fosse capace di tanto amore verso le piccole cose e, allo stesso tempo, anche di strappare il cuore di un'ibrida a mani nude con la stessa leggerezza e felicità.
— E magari anche Ian vuole fare la nanna? — chiese Jonathan, entrando nella stanza. Isabelle trattenne una risata: lui si rendeva conto quanto si addolcisse in presenza di suo figlio? Sembrava un'altra persona. 
— No no! Non volio domire! — protestò il biondissimo mini-Morgenstern, scattando in piedi sul letto mentre gli occhi gli si illuminavano di una luce birichina. Poco dopo, però, si esibì in un fantastico sbadiglio spacca-mascella.
Il cacciatore rise e si sedette a sua volta sul letto, facendo sdraiare Ian accanto ai suoi giocattoli. — Papà, no domire! — protestò, scalciando appena e sbattendo le palpebre, forse per combattere il sonno. D'altra parte, aveva speso la maggior parte della giornata ad aiutare Isabelle a pulire, seppur con pochissimo sforzo – e ancor meno dedizione, certo.
— Ne sei sicuro? Perché per me puoi anche restare sveglio, ma poi stasera, quando sarai stanco e vorrai andare a letto, non potrò stare con te perché dovrò parlare con gli altri del signore cattivo, Ian. Quindi, vuoi dormire adesso e restare con me più tardi o andare a dormire da solo dopo? — chiese Jonathan, nascondendo un sorriso. La risposta era così scontata che probabilmente non avrebbe dovuto nemmeno formulare la frase come una domanda.
— No no, dolmo ola! — strillò il bambino, annuendo freneticamente. Isabelle rise, divertita, e gli accarezzò i capelli. 
— Però… — Ian si imbronciò, contrariato. Afferrò il braccio di suo padre e quello della shadowhunter, deciso: — … Voi dovele domile con me! — esclamò, ridendo. 
Ora, c'era qualcosa di dannatamente persuasivo in quel bambino, perché nel giro di dieci minuti tutti e due i cacciatori erano sdraiati sul letto, con Ian, le coperte, Qua Qua e Samy tra loro.
Dopo un po' il bambino si mosse e poi scattò a sedere, stropicciandosi gli occhi: — Papà… — chiese, titubante, mentre gli lanciava il classico sguardo che Jonathan aveva imparato a classificare come "voglio qualcosa o il permesso per fare qualcosa".
— Sì? — chiese, riflettendo su quale potesse essere la nuova richiesta del marmocchio. Insomma, cosa c'era di così importante da riscuoterlo dal dormiveglia?
— Be'… — incominciò il bambino, stringendosi Samy al petto: — Stavo pelsando… se… poso cambiale mama? Può essele Isy la mia mama? 
Jonathan e Isabelle sgranarono gli occhi, guardandosi a vicenda con l'aria di chi ha appena visto una Sorella di Ferro in topless e perizoma che va ad un appuntamento con un Demone Superiore. In parole povere, probabilmente non erano mai stati e non sarebbero mai stati più stupefatti di quanto lo erano in quel momento.
— Be', Ian… — borbottò Jonathan: — Dovresti… dovresti chiederlo a lei, non credi? — tentò di argomentare, fissando un punto imprecisato della tappezzeria a fiori sbiaditi davanti a lui.
Isabelle arrossì e gli lanciò un'occhiataccia in stile "perché scarichi a me tutto il lavoro?! Sei tu suo padre!" e prese il bambino in braccio, accarezzandogli i capelli con aria esitante.
— Issy, puoi essere la mia mama? — chiese di nuovo il bambino, cercando di impegnarsi per dire tutte le parole giuste come le sentiva pronunciare dai grandi.
La ragazza si mordicchiò le labbra e subito dopo tentò di rivolgergli un sorriso convincente: — Io… suppongo… be', suppongo che potrei esserlo, se tu lo volessi davvero, Ian.
Questa volta soltanto Jonathan era in coda per l'effetto shock, perché spalancò comicamente la bocca, stupefatto, mentre Ian gettava le braccia al collo della ragazza e iniziava a parlare talmente velocemente da non far capire nulla. Il ragazzo le rivolse uno sguardo serio, sporgendosi appena: — Tu sai che non se lo dimenticherà tanto presto, vero? Potrebbe decidere che tu sei la sua vera mamma, ad un certo punto. — le sussurrò in un orecchio.
Isabelle rabbrividì quando le labbra di Jonathan le sfiorarono la pelle: — Sarebbe così male? — chiese a bassa voce, rendendosi conto che Ian si era appisolato con la testa sulla sua spalla. Lo poggiò con cura sulle coperte, rannicchiato su se stesso poco lontano da loro, ma non più in mezzo. 
— Non sono esattamente la persona più adatta per fare rimostranze o simili progetti per te, ma… — fissò i suoi occhi scuri in quelli della shadowhunter: — Non pensi che lo sarà quando deciderai di sposarti e avere dei figli?
— Be', vediamo… a voler essere onesti, Jonathan, sono sempre uscita con i Nascosti per un motivo. Conosco tutti i nephilim della mia età, o almeno tutti quelli che sono venuti almeno una volta ad Alicante, e sono per un terzo degli idioti, per un altro terzo dei bigotti tradizionalisti e per l'ultimo insulsi e senza spina dorsale. Comprenderai quindi che, ragionando in questi termini, e aggiungendo a questo problema anche la guerra che di certo non finirà domani… ti aspetti che riesca a trovare qualcuno in tempi brevi? 
— Gli shadowhunter si sposano giovani, di solito…
— Stai insinuando quindi che dovrei sposarmi col primo che capita solo per avere altri figli per rimpinguare l'esercito di, be', praticamente di morti che camminano contro gli ibridi?! — Isabelle assottigliò gli occhi: — Sappilo, stai camminando su ghiaccio sottile.
— No! — L'albino scosse il capo: — Raziel, perché nessuno riesce mai a comprendere il mio punto di vista? Intendevo dire che, insomma… hai mai pensato che tua madre o tuo padre potrebbero presentarti dei pretendenti? Di solito è così che si fa, e se tu non sei già impegnata…
— Mio padre non ha più alcun diritto su di me, giunti a questo punto. E mia madre ha una volontà di ferro, è vero, ma io sono più cocciuta, davvero non c'è limite alla testardaggine di certe persone, sai? — La cacciatrice rise, scuotendo il capo. — E poi, — aggiunse, sorridendo appena: — Se mi stessi frequentando con qualcuno nessuno potrebbe corteggiarmi, giusto? Chi ti dice che non abbia già qualcuno in mente con cui uscire?
Lui inarcò un sopracciglio: — Hai appena detto che nessun nephilim incontrato a Idris ti piace, e probabilmente Robert Lightwood riuscirebbe a trovare una legge secondo la quale uno shadowhunter ti può corteggiare anche se stai frequentando un Nascosto.
— Raziel, e tu dovresti essere quello intelligente! — sbuffò Isabelle, alzando gli occhi al cielo. Poi scattò in avanti e afferrò Jonathan per il colletto della divisa, facendo scontrare le loro labbra e iniziando a mordicchiare quelle del ragazzo. 






Jean scosse il capo. Chi diavolo aveva reso Console Jia Penhallow? L'avrebbe ucciso alla prima occasione!
Insomma, come poteva essere giusto, nella mente di quell'idiota, ritirare tutti i cacciatori per rinchiudersi a Idris? Il punto non era nemmeno questo, in realtà. Per colpa di quell'inetta, ora il suo lavoro sarebbe diventato immensamente più difficile.
Ma non poteva pensare a questo, non ora. Insomma, quando aveva deciso di andare a New York sapeva dei problemi a cui sicuramente sarebbe andato incontro, e quindi non poteva certo lamentarsi.
Nascose l'ultimo pugnale nella manica della tenuta e chiuse la porta della sua stanza. Nel caso non avesse risposto nel lasso di tempo in cui sarebbe stato via, tutti avrebbero sicuramente pensato che dormisse. Non era così insolito, dopo le pulizie estenuanti che avevano stancato tutti per gran parte del giorno.
Aprì la finestra, lasciando che il vento non troppo fresco che spirava gli solleticasse il viso, e poi si arrampicò sul cornicione. Era al secondo piano, non era un salto così difficile, l'unico problema era stare attento a non farsi vedere davanti alle finestre del piano di sotto, nel caso in cui ci fosse qualcuno nella stanza.
Si lanciò, cercando di cadere di lato rispetto alla finestra. Gettò un'occhiata alle sue spalle e sorrise alla sua stessa fortuna sfacciata: era vuota. 
Si allontanò in fretta dalla villa, nascondendosi come un'ombra tra gli alberi. E chi l'avrebbe mai detto, anche solo un anno prima, che si sarebbe ritrovato a fare una cosa simile? Lui no di certo, e se uno dei suoi fratelli o cugini l'avesse saputo gli avrebbe riso in faccia.
In ogni caso, adesso non poteva perder tempo in sentimentalismi, ma solo percorrere il più in fretta possibile la strada che lo separava dalla tenuta dei Wayland, che non era esattamente dietro l'angolo. Passò i seguenti trenta minuti a camminare tra le fronde e i sassi, acquattandosi dietro qualcosa ogni volta che sentiva il minimo rumore. La maggior parte della volte si trattava solo di piccoli animali, ma non voleva sapere cosa gli avrebbero fatto se l'avessero trovato ad aggirarsi armato di tutto punto nel boschetto. 
Era quasi giunto alla grande casa, già ne vedeva il profilo, mente il cielo si faceva sempre più scuro, quando iniziò a sentire dei rumori parecchio sospetti. Nessun animaletto avrebbe fatto un frastuono simile, erano movimenti troppo pesanti per uno scoiattolo o un coniglio, e in più sentiva un cuore pulsare forte e chiaro. Un cuore umano.
Sfilare uno dei pugnali che si portava dietro fu fin troppo semplice, ed estremamente veloce. Quasi rise in faccia allo shadowhunter che gli si catapultò contro, urlando come un ossesso. Non aveva più di diciott'anni, e non era nemmeno troppo difficile pensare a cosa potesse mai volere. Essere famoso. Oh, quanto lo compativa… la fama era qualcosa di orrendo, feriva più di quanto aiutava.
In ogni caso, lasciò che gli arrivasse vicino e poi gli bloccò le braccia, gettando a terra la spada angelica che impugnava.
— Tu… — iniziò il ragazzo, ringhiante.
— Io ti uccido se non la smetti di fare il cretino! — sibilò Jean, spingendolo contro un albero in modo che non potesse liberarsi in alcun modo, avendo il legno dietro e lui davanti. — Uita. — sussurrò, e per un attimo, superando anche la barriera delle lenti a contatto, i suoi occhi s'illuminarono del loro colore originale. 
Amava la Romania, oltre che per i luoghi affascinanti, anche per la magia. C'era tutto un mondo nascosto in quella nazione, più che in altri paesi, una rete di Nascosti e in special modo stregoni che inventavano sempre nuovi incantesimi. Uita, letteralmente, significava dimentica (1) in rumeno, e faceva proprio questo, cancellare i ricordi dell'ultima ora. La cosa più bella, poi, era che aveva dei contatti, in quei luoghi… contatti che creavano incantesimi appositamente per lui che, purtroppo, più di qualche trucchetto utile non riusciva a fare altro. La sua natura primaria non era quella di stregone, dopotutto. 
Subito dopo diede un pugno al ragazzo. Aveva il naso sanguinante e probabilmente rotto, oltre ad essere svenuto, ma perlomeno non era stato costretto ad ucciderlo per davvero. Lo sistemò seduto con la schiena contro l'albero a cui l'aveva inchiodato col suo corpo anche prima e sparì in fretta da lì, attraversando una piccola radura a grandi passi, un po' nervoso a causa del fatto che era completamente allo scoperto, e poi giunse finalmente davanti a quella che era di certo la tenuta Wayland. 
Sorrise, soddisfatto, e fece il giro del perimetro fino a quando non si ritrovò sul retro. Si avvicinò ad una delle finestre al piano terra ed estrasse lo stilo dalla tasca dei pantaloni. Non aveva bisogno di incidere nessuna runa, ma semplicemente di infondere una stilla di potere del manufatto nella finestra… quindi affondò la punta di quella che era a tutti gli effetti un'arma nel vetro e quello s'illuminò per un attimo di luce celeste, per poi creparsi e rompersi in tantissimi piccoli pezzi. Si aggrappò al lato superiore di quel che restava della finestra e si issò dentro, cercando di non sfiorare il vetro. Quando atterrò sul pavimento della casa, si rese conto di avere il fiato corto. Ecco perché non usava mai incantesimi… anche i più semplici lo sfiancavano fin troppo per essere realmente utili in battaglia, ma in questo caso non doveva combattere contro nessuno, quindi andava bene. 
Rimase per qualche attimo a cercare di controllare il respiro, ma poi si alzò e si diresse verso la sua meta. Non poteva lasciare che qualcuno, nella villa dei Morgenstern, si accorgesse della sua assenza.
Giunto alla biblioteca, aprì la porta e sorrise, avviandosi verso un punto preciso. Sì, avrebbe trovato quello che stava cercando. 




Clary si accasciò contro lo schienale di una grossa poltrona rossa, esausta. Aveva fatto tante cose difficili nella sua vita, o almeno, negli ultimi anni, ma liberare sua madre dal covo di Melchizedeck si piazzava direttamente nella top ten, questo era poco ma sicuro.
Insomma, erano entrati nella stanza in cui era tenuta prigioniera e l'avevano vista imprigionata al letto con delle manette di adamas. A parte quello, sembrava illesa, comunque. Il problema era, però, liberarla da quell'ingegnoso metodo per tenerla ferma: praticamente il metallo angelico era indistruttibile.
Non avrebbe mai dimenticato, comunque, lo sguardo colmo di emozioni che Valentine aveva rivolto a sua mamma. Non avrebbe saputo dire se era amore o un semplice strascico di esso, lussuria o sollievo, quello che sapeva, però, era che qualcosa l'aveva provata anche lui. 
— Luke si è portato via le chiavi. — aveva detto sua madre, indicando con la testa i suoi polsi bloccati.
Oh, fantastico, quindi quella era la stanza di Luke. Clarissa si era guardata intorno, cercando di capire che tipo potesse essere quel Lucian che mai, in tanti anni, aveva visto. Ogni singolo oggetto, colore o anche il più piccolo e insignificante particolare, malgrado tutto, era una stilettata al cuore. Cercava di essere forte, sul serio, ma questo non significava che non soffrisse, specie per qualcuno che aveva considerato quasi come un padre e che l'aveva tradita - le aveva tradite - così brutalmente. 
Forse era una specie di maledizione, magari era destinata a cavarsela sempre male con i padri o con gli pseudo-tali. 
Comunque non aveva più avuto tempo per riflettere perché, mentre Jace e Valentine trafficavano attorno a Jocelyn, cercando un modo per liberarla, un succubo era entrato nella stanza.
I succubi erano una delle tante varietà di demoni, e questa era anche fra i più rari. Cacciavano prede umane, perlopiù, ma non disdegnavano nemmeno i quasi-umani come i nephilim e i licantropi. Potevano nutrirsi dell'energia di queste razze e rinforzarsi, o prendere sostentamento dall'atto sessuale in sé.
Effettivamente, non erano obbligati a scopare qualcuno per nutrirsene, ma leggende metropolitane - anche il Codice, in realtà, sebbene piuttosto sottilmente e molto fra le righe - volevano che portandosi a letto la vittima i succubi acquisissero un maggiore potere e sostentamento, oltre che un piacere più grande, ovviamente.
Comunque, per quel che ne sapeva Clary, quel tipo di demoni poteva succhiare energia vitale con un semplice contatto, e dopo aver toccato il malcapitato poteva farlo anche a distanza fino a prosciugarlo. Ragion per cui avrebbero dovuto farlo fuori al più presto e soprattutto, non lasciarlo scappare in nessun caso se avesse anche solo sfiorato uno di loro.
Non ci aveva messo molto a sfoderare una lama angelica dalla cintura che aveva in vita, ma non aveva calcolato quanto dannatamente veloce fosse il maledetto mostro – in realtà aveva un aspetto femminile, assomigliando quasi in tutto e per tutto a una donna, seppur non considerando i denti appuntiti, la pelle quasi innaturalmente brillante e la lingua biforcuta.
La nephilim era schizzata di lato, evitando un attacco del succubo e iniziando a girare in cerchio per tenerla d'occhio. Non che avesse potuto far molto altro, in un ambiente così ristretto.
— Clary, non guardarla fisso! La luce che emana serve per ipnotizzarti e nutrirsi di te! — le aveva strillato Jace, mentre colpiva le manette con una spada angelica. Adamas contro adamas. C'era stato un terribile rumore stridulo che aveva assordato tutti per qualche attimo, mentre le scintille volavano alte, abbastanza da accecare per un attimo Clarissa e permettere al demone di raggiungerla.
La diciottenne era balzata indietro, aveva scartato l'ennesimo attacco del mostro e si era resa conto che era rimasto - o rimasta, o quello che era, insomma - a sua volta lievemente disorientato dalla luce sprigionata dalle lame. 
Si era lanciata in avanti, tentando di affondare la spada nello stomaco del demone, che però se l'era cavata con una mezza piroetta, per poi cercare di tirarle via la spada dalle mani, ottenendo il solo risultato di ferirsi sempre di più i palmi.
Clarissa aveva poi strattonato l'arma e contemporaneamente era stata imitata dal'avversario, fino a quando non si erano ritrovati entrambi praticamente a terra. Il succubo era bloccato da un tappeto persiano che le aveva avvolto le gambe nella caduta, e la shadowhunter ne approfittò per alzarsi in ginocchio e trapassarle il cuore con Ezekiel.
Si era rialzata in piedi e aveva lanciato un'occhiata furente a Valentine che, nel mentre, al posto di aiutarla e staccare la testa a quella dannata puttana demoniaca, era rimasto a osservare le manette con aria curiosa, poi aveva scrollato le spalle e detto: — Be', ti avevo detto allenamento speciale, no? Che senso avrebbe avuto aiutarti?
Stupido bastardo arrogante.
Clary si era poi avvicinata a sua madre, ansimante e preoccupata, e aveva chiesto: — Qualche idea? 
Jocelyn aveva aggrottato le sopracciglia e poi scosso il capo, ma Valentine aveva sgranato gli occhi e indicato il cadavere del succubo: — Il sangue demoniaco corrode le spade angeliche. — aveva affermato.
— Corrode, appunto. Ce ne vorrebbero litri per neutralizzare completamente delle manette così. — aveva obiettato Jace.
Clarissa aveva lanciato uno sguardo al demone, soppesandone il cadavere: — Be'… lì dentro dovrebbe essercene abbastanza. — aveva detto, disgustata dal suo stesso pensiero. Ma per sua madre, in ogni caso, avrebbe squartato anche una legione intera di mostri.
— Nessuno si è ancora chiesto perché il corpo non è svanito? — aveva fatto notare Jocelyn, inarcando un sopracciglio. 
Dopo quella domanda senza risposta, l'operazione "recuperiamo Jocelyn" era diventata più o meno "apriamo un mattatoio", e da lì era storia. Il vero problema non era stato tanto uscire dalla villa di Melchizedeck, perché a parte i nascosti che sbucavano ad ogni svolta, praticamente, non c'era stato nulla di significativo. No, la cosa complicata era stata vedersela con gli altri rimasti a villa Morgenstern e spiegare loro che sì, erano sgattaiolati di nascosto in cantina, avevano aperto un portale ed erano andati a riprendersi sua madre. 
— Sentite, io non ce la faccio più! — sbottò Maryse, alzandosi in piedi di scatto dalla poltrona color borgogna su cui era seduta. — Non possiamo starcene qui con le mani in mano mentre fuori succede chissà cosa! — continuò, iniziando a percorrere la stanza a grandi passi: — È per questo che l'ultima volta ci siamo ritrovati così in difficoltà con Valentine. Dobbiamo elaborare una strategia, attaccare per primi, non aspettare che ci vengano a stanare! — Così concluse la sua arringa, mettendosi le mani sui fianchi e scrutando tutti in stile sergente dei marines.
Valentine applaudì beffardamente, ridendo a pieni polmoni: — Oh, ma bene, dopo quasi un millennio i Nephilim ci sono arrivati! Ormai praticamente non ci speravo più! 




Erano forse le sei del pomeriggio e il cielo stava incominciando a tingersi dei colori del tramonto, appena infuocato, quando si ebbe il primo sentore di qualcosa si sbagliato. I primi ad avvertirlo furono gli uccelli: incominciarono a volare in circolo, tutti insieme, stormi dalle tonalità scure che sembravano quasi delle grosse nuvole fin troppo veloci.
Il primo ad accorgersene fu Matthew Burnshadow, un bambino di tre anni che stava giocando con un trenino e una spada di legno. Lasciò cadere i giocattoli in terra e con aria stupefatta tirò il pantalone della madre, per poi farsi prendere in braccio ed indicare il cielo, anche se allora la donna se n'era già accorta. 
Furono quelli i momenti in cui i cacciatori iniziarono ad uscire dalle case, a riunirsi, ad armarsi. E fecero bene, perché, come se il movimento improvviso degli uccelli - degli animali, in realtà, ma piccoli scoiattoli e tassi nella foresta di Brocelind erano decisamente meno visibili di tutti i volatili nel cielo - non fosse bastato, scintille, no, fumo colorato iniziò a riempire il cielo, in lontananza, ben oltre le barriere protettive di Alicante, ma ancora troppo vicino e sicuramente dentro Idris.
Gli shadowhunter avevano dei codici ben precisi, basati su qualunque cosa: colori, frasi, gesti, avvenimenti. E tutti, da Matthew Burnshadow tra le braccia di sua madre al Console Jia Penhallow, che si trovava dietro una delle alte finestre della dimora Lightwood, sapevano esattamente cosa stavano a significare dei fumogeni neri e rossi nel cielo. Battaglia, guerra e, come se non bastasse, magia. 
C'è da dire in favore del Console che l'allarme partì subito, tutte le torri riflessero in meno di tre minuti quei colori, e chiunque fosse entro quella barriera corse in casa propria, a prepararsi, o nelle armerie, spalla a spalla con il proprio parabatai o con qualche familiare, o anche con completi sconosciuti, uniti da una sola cosa: l'essere guerrieri.
Magari non erano pronti militarmente parlando, ma chiunque avrebbe potuto scommettere che nell'animo erano più che preparati: quegli attentati avevano sfinito tutti, avevano fatto perdere loro il sonno, e adesso stava arrivando l'occasione di vendicarsi. 
In ogni caso, fino ad allora gli shadowhunter erano stati piuttosto composti. S'incominciò ad avvertire il panico e allo stesso tempo l'eccitazione quando all'orizzonte incominciò a profilarsi la sagoma dell'esercito di Melchizedeck. 
— Soldati! — esclamò Robert Lightwood, salendo sui gradini della Piazza dell'Angelo, un incoccio punto di incontro dei presenti. — Sapete cosa dovete fare! Siete stati, siamo stati addestrati a questo! — continuò, spostandosi appena e facendo entrare i bambini nella Sala dell'Angelo, dove sarebbero poi stati rinchiusi con delle guardie scelte per proteggerli. Non che Robert s'illudesse: se loro fossero crollati, se non ce l'avessero fatta… i loro bambini semplicemente non avrebbero avuto speranza di sopravvivere. E lui poteva essere tante cose, a partire dal razzista per finire con il traditore, ma era prima di tutto un soldato. Un guerriero. Aveva un codice, e sebbene in passato avesse infranto più di una delle regole di questo "codice", quello che sapeva era che avrebbe lottato fino alla fine, fino alla stregua delle sue forze, perché quello era il suo paese, quelli erano i suoi simili, quelli erano i suoi amici, e quelli erano i loro bambini.
Fu per questo che, mentre Jia restava rintanata nel suo studio, a coordinare e a tener d'occhio la situazione da lontano, quando i nemici arrivarono di fronte a loro, al confine, fu il primo a farsi avanti.
Nonostante tutto, la cavalleria e l'ardore e il coraggio, chiunque avrebbe potuto dire che in quei momenti la paura risaliva lungo le schiene dei nephilim come mai prima di allora, di fronte alla vista di quella fiumana di incroci di razze senza il benché minimo desiderio, se non quello di compiacere il loro padrone. Avrebbero dato la vita per lui e niente li avrebbe fermati.
Quando gli ibridi arrivarono alle torri, quel sottile confine tra Alicante e tutto il resto, l'aria si fece satura di scintille. E quando la barriera resse, un sospiro collettivo di sollievo percorse l'esercito di uomini e donne in nero, quasi come se pensassero che per quello avrebbero avuto la pace, come se così avessero guadagnato il diritto di arrivare vivi al giorno dopo. Non era così. Non lo fu. 




Jean seppe che era iniziata quando un suono simile a quello dei tamburi risuonò in lontananza, secco e duro, non abbastanza vicino da poter essere definito con precisione, non abbastanza lontano da non sapere che si spostava e si faceva sempre più vicino. Anche senza la possibilità di captarlo al massimo, Jean sapeva cos'era. No, cos'erano: passi, tantissimi passi sincronizzati. Ed era pronto anche a scommettere che fossero quelli degli ibridi di Melchizedeck. 
Imprecò fra sé e sé, correndo nei corridoi vuoti della Guardia fino ad arrivare sempre più giù, ai sotterranei, alle prigioni. Non c'era nessuno lì dentro, erano tutti sul confine, tralasciando le due guardie stordite all'ingresso. Era proprio quello che stava aspettando, la prima cosa giusta in mesi. Mesi! 
Percorse a grandi passi i corridoi che affacciavano sulle celle, insensibile ai lamenti dei pochi prigionieri lì dentro, fino ad arrivare all'unico punto ancor più in basso del carcere: il portale.
Gettando un'occhiata preoccupata all'orologio da polso che portava estrasse lo stilo e si affaccendò attorno alle rune permanenti sul muro di pietra per attivarlo. Non ci mise poi così tanto, ed era perfettamente in orario, ma… non poteva fare a meno di sentire il tempo scivolare via dalle sue mani, l'ansia che gli opprimeva il petto come poche volte prima di allora.
Tic toc, tic toc, tic toc. Il tempo sta scadendo. 
Prese un profondo respiro e chiuse gli occhi, lasciandosi scivolare a terra, di fronte al portale, proprio quando questo si stava attivando. La luce azzurrina quasi lo accecava mente si arruffava i capelli e lasciava scomparire tutti i pensieri. Era ironico come per tutta la vita, tutti i santissimi giorni, combattesse quella parte di sé, e invece ora gli servisse così tanto. 
Vedeva già degli stivali neri varcare la soglia gelatinosa davanti a lui quando si morse le labbra e rimosse le lenti a contatto, lasciandosi andare ad un piccolo sospiro di sollievo quando si accorse che le sue mani non tremavano più. 
— Sai, davvero non sono un grande fan della tua modalità Terminator. — La battuta lo fece riscuotere e alzò la testa per incontrare un paio di occhi felini.
— Nemmeno io, Magnus, nemmeno io. 



 
∫ ~ ∫


(1) = Non conosco il rumeno, mi sono affidata a Google Traduttore per l'incantesimo, quindi se qualcuno ritenesse la parola non corretta sarò più che felice di modificarla dietro il suo suggerimento.



 
A/N:
*Posta il capitolo e scappa via*
Lo so, lo so, ci ho messo un secolo anche questa volta. Dire che ho iniziato il liceo classico e che mi sta massacrando è una giustificazione valida? Sarà tipo un mese che cerco di finire questo capitolo, e ci sono riuscita soltanto in questi giorni perché sto male e non sono andata a scuola, quindi ho avuto qualche ora di tempo in più.
E niente, spero comunque di essermi riuscita a farmi perdonare almeno un minimo, anche perché in questo capitolo accadono praticamente solo cose interessanti, no? :)
In ogni caso, sto cercando di approfittare di questa microscopica pausa per scrivere almeno la metà del prossimo capitolo, e vi prometto che farò tutto il possibile per aggiornare il più presto possibile, studio permettendo. 
Ah, volevo farvi sapere che su Wattpad ho cambiato nome, ora sono Lucifer - dedicato a Lucifer di Supernatural, no, non sono satanista -.-' - e questo è il link: https://www.wattpad.com/user/_Luci-fer_
:)
Winchester_Morgenstern
P.S: Per adesso siamo ancora a soli due capitoli revisionati, sì, lo so, ma giuro che sto cercando di recuperare anche quello e sto lavorando sul capitolo tre. Nel caso non ve l'avessi già detto - potrebbe essermi passato di mente -, vi invito a dare un'occhiata ai primi due capitoli modificati. Il primo è sostanzialmente la versione originale corretta e allungata, ma nel secondo sono state stravolte alcune parti che, pur non alterando la storia, penso siano interessanti da leggere :) 
   
 
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