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Autore: Ink Voice    16/11/2015    0 recensioni
Come reagireste alla scoperta dell’esistenza di un mondo celato agli occhi della “gente comune”? Eleonora, credendosi parte di questa moltitudine indistinta di persone senza volto e senza destino, si domanderà per molto tempo il motivo per il quale sia stata catapultata in una realtà totalmente sconosciuta e anche piuttosto intimidatoria, che inizialmente le starà stretta e con la quale non saprà relazionarsi. Riuscirà a farci l’abitudine insieme alla sua compagna Chiara, che vivrà con lei quest’avventura, ma la ragazza non saprà di nascondere un segreto che va oltre la sua immaginazione e che la rende parte fondamentale di quest’universo nascosto e pieno di segreti. Ecco a voi l’inizio di tutto: la prima parte della serie Not the same story.
[RISTESURA+REVISIONE - Not the same story 1.2/3]
Genere: Avventura, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Manga, Videogioco
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Not the same story'
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XIV
Il diritto di sapere

Il mio sonno non durò molto a lungo. Dopo qualche minuto di apparente pace uno sferzante vento gelido quasi mi fece sobbalzare intimorita: mi girai per guardare cosa ci stavamo lasciando alle spalle. Era il Monte Ostile.
Volavamo ad altissima velocità. Lance aveva prestato i suoi potenti draghi a un po’ tutti e l’unica che faticava per stare al passo era Camille, sul suo Talonflame. La forte corrente mi rimandò ai mesi invernali, anche perché era difficile non sentire freddo di sera - per di più in quel giugno affatto mite - dopo essere stati ore ed ore a soffrire il caldo in una base segreta ricavata in un vulcano attivo. Neanche il caldo corpo del bellissimo Charizard di Lance era sufficiente a farmi star meglio, nonostante lo stessi abbracciando tenacemente.
In breve ci lasciammo alle spalle la grande isola che ospitava l’Area Svago, l’Area Provviste e l’Area Lotta, ma questi erano i loro nomi prima che scoppiasse la guerra; ora erano modeste cittadine che conservavano poco e niente, ovviamente all’interno di solide barriere, del loro passato nella realtà Pokémon.
Smettendo di sorvolare i campi coltivati, piccoli boschi e case isolate, il mare fu il nuovo paesaggio da ammirare, bellissimo nonostante la monotonia del colore.
“Sono stanca. Perché non riesco a dormire?” Mi posi questa domanda più volte.
Stava calando la notte. Essendo prossimi all’estate, la scomparsa del Sole dietro l’orizzonte fu una lenta agonia e i colori dell’oscurità non presero il sopravvento di colpo. Il mare si preparava per diventare una distesa di nero brillante punteggiato e macchiato dalla luce lunare. Il cielo era però popolato di nuvole e quasi nessuna stella brillava, timorosa. Ma prima di tutto questo la volta celeste conobbe, come ogni giorno, i colori dell’arcobaleno: non ero riuscita a vedere l’azzurro a causa dell’ora tarda e mi potei godere “solo” il resto dell’iride, prima che un inquietante blu notte si imponesse sulle altre tinte. L’unica luce vicina divenne la fiamma sulla coda di Charizard ma, nonostante l’oscurità, i Pokémon sembravano sapere dove andare.
Nuove fonti luminose arrivarono quando entrammo in alcune barriere e sorvolammo la Lega Pokémon, altrimenti totalmente invisibile - insieme a Via Vittoria e a buona parte del percorso 224 - agli occhi delle persone comuni. Poi fu di nuovo il mare nerissimo finché, dopo parecchi minuti di viaggio, non arrivammo in prossimità di Arenipoli. Mi chiesi perché stessimo facendo un giro così largo per andare all’Accademia e la risposta arrivò non appena, superata la città, Lance esclamò che stavamo iniziando a scendere.
Charizard prese a volare in cerchio, aspettando che il Dragonite del Campione andasse in testa il gruppo - fino ad allora aveva chiuso la fila - e mi azzardai a guardare in basso per capire dove ci trovavamo. Eravamo nel percorso adiacente ad Arenipoli che conduceva da una parte a Pratopoli, dall’altra a Rupepoli. Non c’erano molte abitazioni a popolare la zona e noi ci trovavamo proprio sopra una di quelle poche case. Sentii, come attutito, il ruggito di Dragonite a cui seguì il brontolio di Charizard; così scendemmo, quasi in picchiata - con stupore di un po’ tutti noi ragazzi - diretti verso la casa che avevamo preso di mira. Atterrammo con sorprendente dolcezza, a dispetto della veloce discesa, nella radura ai cui limitari sorgeva la piccola villa, circondata da pini marittimi.
Scesi da Charizard goffamente e le mie gambe anchilosate non ce la fecero più a sorreggermi. Non appena misi piede a terra sentii le forze venir meno e quasi caddi di faccia, ma riuscii per miracolo a mettere le mani avanti. Il tempo di inspirare ed espirare profondamente e pure quegli arti finirono preda di un’imbarazzante tremarella: mi sforzai, con le ultime energie rimaste, di rotolarmi di lato e giacere supina, ancora con il fiato a dir poco pesante - per chissà quale motivo. Non guardai quello che fecero i miei compagni ma nel silenzio più totale dovettero finire tutti nelle mie stesse condizioni, sdraiati o seduti a terra. I Pokémon tornarono ognuno dai rispettivi Allenatori, meno Talonflame che, borbottando, fece capire di non voler abbandonare Camille.
«Forza e coraggio, ragazzi» disse Lance dopo troppo poco tempo. Era piuttosto scontroso, con la sua pungente ironia. «Alzatevi e andiamo dentro. Camilla, Diantha, aspettate Rocco e Aristide qui.»
Riuscii a rimettermi in piedi solo quando i miei amici per primi si sforzarono di assecondare le direttive del Domadraghi. Barcollando come ubriaca - ma anche gli altri si muovevano con la mia stessa incertezza - mi diressi, ultima dell’ordinata fila, verso la villetta. Le luci al pianterreno erano accese e nel silenzio quasi assoluto, rotto solo dalla pungente brezza di fine primavera, la voce di una televisione giungeva fino alle mie orecchie, tenuta probabilmente a volume troppo alto. Lance bussò alla porta e la tv smise di chiacchierare.
Il Campione scambiò un paio di parole con il proprietario dell’abitazione che non riuscii a sentire: parlavano, circospetti, attraverso il misero spiraglio della porta socchiusa. Alla fine la porta venne aperta: evidentemente Lance doveva farsi riconoscere.
Entrammo. Prima di osservare l’ambiente della casa cercai di riconoscere il suo abitante, che era Corrado. Il giovane aveva lunghi capelli biondi e occhi azzurri intelligenti ma velati da una profonda tristezza, più vicina però alla nostalgia di qualcosa o qualcuno che non c’era o non aveva più. Era un bel giovane uomo che dimostrava meno anni di quanti ne avesse, anche grazie al volto un po’ infantile e al modo di vestire con uno stile casual, da ragazzo; fisicamente non era molto alto ma era piuttosto asciutto.
Corrado non ci salutò nemmeno ma ci esortò ad andare nel soggiorno per riposare un po’. La villa non era troppo grande ma trovammo il modo di sistemarci sulle poltrone e sul divano presenti: io e Chiara occupammo insieme il grande divano; a Gold e a Camille rimasero le due poltrone. Nella casa trionfavano colori chiari e brillanti: bianco, celeste e anche parecchio giallo. Numerose foto erano appese alle pareti ma non riconobbi tutti i soggetti ritratti, avendo l’aria di essere parecchio vecchie. Corrado non figurava in tutte ma in alcune era davvero giovane, un ragazzetto che ai tempi doveva aver da poco superato la maggiore età. Ciò significava che praticamente tutte erano state scattate almeno a partire da qualche anno prima della nascita del Nemico. Dovevo ancora abituarmi a chiamarlo con il suo nome, Victory Team.
Un Luxray fece capolino nella mia visuale e feci appena in tempo a fargli un paio di carezze sulla criniera folta, bella, prima di chiudere gli occhi e addormentarmi, finalmente, quasi all’istante.

Fui svegliata dalla voce bassa e gentile di Camilla. «Su, su, non è il momento di dormire. Potreste guastarvi il sonno di stanotte. Sopportate ancora un po’…»
Non ero stata l’unica a crollare per la stanchezza. Quando mi svegliai Chiara stava ancora sonnecchiando e l’espressione sul suo volto era tesa e corrucciata. Gold sbadigliava vistosamente, Camille aveva lo sguardo fisso nel vuoto: sembrava non essersi concessa neanche qualche minuto di sonno.
Inizialmente la mia vista era parecchio annebbiata ma mi riscossi completamente quando notai delle vistose bruciature sulle nude braccia muscolose di Rocco. Il Campione di Hoenn era tornato e non indossava il completo elegante di quando era venuto a salvarci, un po’ fuori luogo in quel contesto; aveva abbandonato la giacca ed ora vestiva solo una semplice maglietta bianca. Gli stava un po’ piccola, metteva in risalto il bel fisico forte dell’uomo: doveva avergliela prestata Corrado, che in quel momento stava medicando le scottature rimediate da Rocco con l’aiuto di Diantha. Deglutii, piuttosto impressionata. Non fu uno dei risvegli migliori della mia vita.
Mi stropicciai il viso con le mani e per un po’ tenni gli occhi coperti. Quando li riaprii presi ad esaminare me stessa e notai che le ruvide corde d’acciaio avevano sfregiato un po’ i miei avambracci, lievemente scorticati ed arrossati. I polsi mi dolevano per le manette parecchio strette che mi erano state rifilate. Scambiai un’occhiata con Camille e poi una, decisamente più comprensiva ed espressiva, con Gold. Mi decisi a svegliare Chiara, che senza borbottare seccata, stranamente, aprì gli occhi con lentezza. Il suo volto rimaneva crucciato.
Nella stanza c’eravamo noi quattro, Corrado, Rocco, Lance, Diantha e Camilla. Aristide non doveva essersi fermato dal Capopalestra di Arenipoli, doveva aver tirato dritto verso l’Accademia. Mi chiesi come fosse finita con Cyrus e con la base nel Monte Ostile che avevo la netta sensazione fosse collassata dopo l’attacco delle Forze del Bene. Mi domandai pure se Cyrus ci avesse dato peso o se non gliene fosse importato di meno di vedere quella fortezza crollare a causa dell’intervento della nostra fazione. In quel momento non mi diede fastidio.
Il silenzio nella casa sembrava palpabile. Gli adulti non parlavano tra di loro e noi ragazzi non riuscivamo a dirci nulla; men che meno parlavamo tra uomini e più giovani. Mi ritrovai, come Camille, a fissare un punto del pavimento senza vederlo realmente, proprio con lo sguardo perso nel vuoto. Non riuscivo nemmeno a formulare pensieri di senso compiuto. Ero completamente svuotata, di qualsiasi cosa.
I minuti passarono stranamente veloci. Rocco si ritrovò con entrambe le braccia quasi del tutto bendate; sedeva su una sedia bianca, semplice. Poggiò i gomiti sulle ginocchia, reprimendo non troppo bene smorfie di dolore per le scottature, e, abbassata la testa, nascose il viso con le mani, massaggiandosi la fronte per poi passare alle tempie. Gli occhi grigi erano stanchi ma severi come loro solito.
Corrado si appoggiò con la schiena al muro mentre Lance, Camilla e Diantha stavano in piedi vicino a noi ragazzi. Alla fine la bionda ebbe il coraggio di chiedere: «Com’è andata?»
Rocco scrollò le larghe spalle. «Il covo è stato totalmente evacuato ma non è stato danneggiato più di tanto. Il Monte Ostile ne avrebbe risentito e già avevamo procurato abbastanza danni noi, appena arrivati. Cyrus è riuscito a scappare, ovviamente» l’espressione del Campione si fece più cupa nel dire, con rammarico, queste cose, «e con lui se ne sono andati anche Martes, Giovia e Saturno. Prima o poi torneremo a controllare che la base sia stata completamente chiusa… la smantelleremo, in qualche modo. Il Monte Ostile è molto prezioso…»
«E Aristide?» chiese ancora Camilla.
Gli occhi di Rocco si chiusero per qualche secondo. Incrociò le braccia, ormai incurante delle ferite, e quando riaprì le palpebre aveva in viso un’espressione indecifrabile. «Aristide è morto.»
La notizia, lì per lì, non mi sconvolse. Non la realizzai nemmeno appieno. Fu come se non avessi capito cosa significassero le gravi parole dell’uomo, dette con un tono altrettanto duro, e quindi non riuscissi a comprenderne l’importanza. Cosa voleva dire morto? Chi era Aristide? In quel momento domande del genere mi sarebbero sembrate assolutamente plausibili.
Non riuscii a stupirmi della faccia addolorata di Lance, però sempre composto nella sua severità, né dell’espressione mortificata di Diantha. L’atmosfera divenne ancora più pesante e nemmeno mi chiesi come mai fosse successo, perché la tensione si fosse fatta tangibile, tanto era grave.
«Co… com’è successo?» “Perché la voce di Camilla è così debole e tremante?”
«Il Crobat di Cyrus. Molto più veloce di qualsiasi altro Pokémon, sia della sua specie che di altre… non ne ho mai visto uno così rapido, sembrava quasi invisibile. Era da solo contro Haxorus e Skarmory ma ogni tentativo di attaccarlo è stato inutile. Non riuscivamo a piazzare nemmeno una Protezione, ci provavamo ma quello era già oltre la barriera e attaccava i nostri Pokémon. Alla fine si è accanito su Aristide.» Fece una breve pausa. «Lo ha morso al collo, avvelenandolo. Aristide mi ha detto di scappare quando era in fin di vita. Cyrus ha richiamato Crobat e se n’è andato senza fare altro… non ha provato ad attaccarmi o a uccidermi. Non capisco…» Nascose di nuovo gli occhi con una mano.
“Aristide è morto.” Iniziai a capire cos’era successo quando il Campione disse che Crobat l’aveva avvelenato con un morso. Eppure continuavo ad essere relativamente tranquilla. Guardai i miei amici: Gold sembrava sul punto di vomitare, Chiara appariva più pallida del solito, scioccata. Camille invece era il mio specchio: nessuna delle due connetteva le immagini né le informazioni al cervello, da minuti interi avevamo lo sguardo perso nel vuoto. Doveva essere stanchissima, suo malgrado. Noi due non davamo nemmeno segno di star ascoltando. Effettivamente fino a poco prima non immaginavo cosa volesse dire aver perso Aristide.
«Non capisci perché Cyrus non abbia provato ad uccidere anche te?» chiese Lance.
Rocco annuì. L’altro Campione proseguì, una nota vagamente seccata nella voce: «Sappiamo tutti com’è fatto quell’uomo. Si crede il migliore, un invincibile, e finge di non vedere quando le sue faccende prendono una brutta piega! D’altronde anche gli altri Comandanti sono fatti così. Pensano di essere talmente potenti da poter ignorare ogni problema, ritenendolo di infima importanza, prendendosi gioco di noi… e questo è proprio il loro punto debole. Fanno finta di non vedere la realtà. I problemi che creiamo di giorno in giorno sono molto più gravi di quello che pensano, e quando questi saranno diventati insormontabili capiranno quanti sbagli hanno fatto!»
«Non lo so, Lance. Spero che il tuo non sia ottimismo buttato al vento» replicò Rocco con un tono piuttosto lugubre. «Ho sempre più paura che il Nemico sia nettamente in vantaggio su di noi e che i piani alti delle Forze del Bene non vogliano ammetterlo per evitare di seminare il panico.»
«Si chiamano Victory.»
Le parole mi uscirono di bocca quasi di propria volontà. A malapena mi resi conto di aver parlato e capii che l’attenzione di tutti era su di me solo dopo qualche secondo. Guardai il piccolo pubblico vagamente spaesata, gli occhi di tutti esprimevano diverse sensazioni: confusione, una serietà imperturbabile, qualcuno nemmeno aveva sentito bene, tanto avevo parlato a bassa voce.
«Come fai a saperlo?» mi domandò Lance.
«Me lo ha detto Cyrus.»
Il Campione si sorprese. «Hai parlato con lui?»
Annuii. Stavo per aprir bocca di nuovo e riferire la lunga conversazione che c’era stata, ma mi bloccai prima di emettere qualsiasi suono. Improvvisamente avevo la sensazione che non era il caso di parlare approfonditamente di quello che mi era stato detto. Sentii soprattutto che non dovevo accennare alla mia presunta speciale identità o alle previsioni di Cyrus, che diceva che prima o poi ci saremmo reicontrati e allora avrei deciso dalla parte di chi stare… se andare in cerca della mia identità o sopportare il silenzio delle Forze del Bene. Mi sembrava tutto strano e surreale, come un sogno. Così raccontai solo parte del dialogo.
Dissi che Cyrus era arrivato poco dopo il mio risveglio, quando ero da sola nella cella, e si era presentato come, appunto, Comandante del Victory Team. Mi aveva detto delle barriere di suono tra una stanza e l’altra e che i miei Pokémon, anzi, quelli di tutti noi, erano al sicuro. «Poi… ha iniziato a dire che era sicuro che sareste venuti a prenderci, e che già avevano deciso di lasciarci andare senza opporre una vera resistenza. A… a meno che non vi foste dimostrati…» esitai un momento. «Di… diceva che se foste stati incapaci di combattere con loro ci avrebbero tenuto tra i Victory, a quel punto.»
«Come immaginavo…!» sbottò Lance. «Un pallone gonfiato che crede di potersi permettere di…»
«Ha detto altro, Eleonora?» lo interruppe Rocco.
Mi guardava intensamente e mi sentii male, essendomi costretta a non dire tutta la verità da quel punto in poi. «N-no. Non ha parlato molto. Mi ha detto solo quelle cose, poi è arrivata Martes a dirgli che eravate venuti a liberarci. Mi ha tirata fuori dalla cella e… ed è successo il resto» balbettai alla fine.
L’espressione di Rocco era un po’ corrucciata. Mi sforzai di fingere di non vederlo e presi a studiare il parquet. Ero sicura che non fosse convinto del mio resoconto e che forse nemmeno gli altri adulti lo fossero. “Speriamo che non si metta a far domande… Non mi piace mentire. Non mi piace per niente!”
«Si è fatto piuttosto tardi» intervenne Corrado. «Forse è meglio che i ragazzi vadano a dormire.»
Gettai una veloce occhiata all’orologio e notai che erano le dieci passate. Non era davvero tardi ma era palese che “i grandi” volessero parlare tra di loro senza farsi udire dalle orecchie di noi “piccoli”. Il Capopalestra ci disse che le stanze degli ospiti erano al secondo piano. Mi chiesi se sarei riuscita a salire due rampe di scale senza farmi venire subito il fiatone per la stanchezza.
Seguii Camille, Gold e Chiara. Esitai prima di svoltare l’angolo e non avere più modo di sentire le prime parole dei cinque ora che erano soli. Mi misi ad origliare concedendomi pochi secondi.
«La ragazzina non ce l’ha raccontata giusta» disse subito Rocco.
«Lo farà con Bellocchio, poco ma sicuro.»
Uno sgradevole brivido mi percorse la spina dorsale e mi affrettai ad andarmene. Non sapevo come definire il tono di Rocco ma non mi era piaciuto per niente: era sembrato deluso, seccato, grave. E Lance aveva ragione a dire che a Bellocchio avrei parlato chiaramente, non avrei potuto evitarlo. D’altronde Bellocchio era una delle persone che, stando a quanto avevo capito da Cyrus, era a conoscenza della mia identità particolare.
L’indecisione mi colse impreparata. Avrei detto davvero tutto a Bellocchio o mi sarei rifiutata di farlo, finché non mi avesse spiegato con precisione cosa aveva farneticato per quel brutto quarto d’ora Cyrus?
C’erano tre camere per gli ospiti, due singole e una per due, che ovviamente fu occupata da me e Chiara. Ma non ci dicemmo niente quando sedemmo l’una accanto all’altra sul letto matrimoniale. Aspettammo che Gold si sbrigasse al bagno e, senza dire nulla, Chiara anticipò Camille che stava andando dopo il ragazzo. Le due quasi si scontrarono davanti alla porta aperta della nostra camera; si scambiarono un’occhiata a cui non feci molto caso e poi la rossa scrollò le spalle, lasciando andare prima di lei la mia amica. Mi vide da sola nella stanza ed entrò.
«Cosa ti ha detto Cyrus?» chiese con schiettezza, sedendosi accanto a me.
La guardai sperando di simulare efficacemente una certa diffidenza. «Niente che tu non sappia già.»
Mi aspettavo che mi fulminasse con lo sguardo, invece sospirò. Quella reazione fece sciogliere anche me. «Mi dispiace» disse.
«Per cosa?»
Lei scrollò le spalle e non rispose. Avrebbe dovuto scusarsi pure per quello, secondo me. «Puoi parlarmene?»
«Cyrus mi ha detto che i Victory hanno abbassato le barriere perché sono una persona speciale e mi volevano dalla loro. Non ha specificato nulla ma ha detto pure che prima o poi ci rivedremo, e allora dovrò decidere quale strada prendere.» Camille mi guardò interrogativamente e precisai: «Se restare con le Forze del Bene, che non mi diranno mai niente sul mio conto, o se passare dalla parte dei Victory che mi rivelerranno qual è questo segreto.»
La ragazza annuì. «È vero che non mi diranno mai niente?» proseguii.
«Sì.»
«E perché?»
«Perché è pericoloso. Per te, più che altro. È un bel peso da portarsi sulle spalle.»
«Ma io voglio saperlo» dissi con tono lamentoso, un po’ come una bambina.
Le labbra di Camille si curvarono per un momento. «Non so cosa decideranno per te, se spiegarti tutto o se chiederti di far finta di niente. Sarà difficile… lo so bene. Ma per certi versi è meglio che tu non sappia.»
«Cyrus ha parlato del diritto di sapere chi sono.»
«Se la mette così è difficile non essere d’accordo con lui» sbuffò Camille. «È ovvio che tutti hanno il diritto di sapere chi sono. Ma se solo immaginassi cosa comporta conoscere la propria identità, in questo caso! Non te lo auguro per niente, Eleonora. Almeno non ora. Forse tra qualche tempo.»
«O forse mai» borbottai. «Almeno darmi un’idea del perché sia così pericoloso sapere chi sono, la posso avere?»
«Non sono io a dovertene parlare» ribatté Camille. Restammo in silenzio per un po’ e la conversazione pareva essersi chiusa lì. Chiara doveva aver quasi finito al bagno.
«Cyrus ti ha detto altro?»
Mi chiesi se fosse il caso di rivelarle che sapevo la sua storia, com’era arrivata all’Accademia e perché casa sua e parte della sua famiglia era stata uccisa. Mi sentii crudele a pensare: “Tu non mi dici niente su di me? Allora come reagirai ora che ti dico che so cosa ti è successo e perché sei così fredda con tutti? Voglio proprio vedere”, ma senza troppi ripensamenti decisi che per quella volta potevo permettermi una cattiveria. Chissà se Camille, che mi era sempre sembrata piuttosto rancorosa, mi avrebbe perdonata o se la sarebbe presa.
«Mi ha raccontato di quello che ti è successo e di come sei arrivata a Sinnoh» ammisi.
Il fiato sembrò mancarle. Si irrigidì e spalancò i grandi occhi chiari; senza farmi problemi ricambiai il suo sguardo basito, forse un po’ impaurito. Fece per dire qualcosa ma in quel momento Chiara liberò il bagno dal suo presidio e, senza tentennamenti, Camille si alzò e andò via velocemente. Chiara la guardò, sorpresa di vederla con me, ma non mi fece domande.

Il giorno dopo ci lasciarono dormire finché non ci alzammo spontaneamente. Avendo trovato un letto potei finalmente godermi un sonno ristoratore che rischiò di durare la metà di un giorno. Quello di Chiara sicuramente fu più lungo del mio; Gold e Camille invece si erano alzati con un minimo di decenza.
La rossa si comportò normalmente, come se io non le avessi detto nulla che l’avesse turbata. Certo, rimanendo fredda come suo solito la differenza non si notò molto; ma forse era un bene che non si vedesse qualcosa di diverso nei suoi modi di fare. Da Corrado erano rimasti solo Diantha e Lance: gli altri due Campioni erano tornati all’Accademia durante la notte.
«Bellocchio è già arrivato lì» ci informò il biondo. «Penso che chiederà un resoconto anche a voi.»
«A tutti voi» puntualizzò Diantha con enfasi. «Anche perché avete trascorso il vostro tempo in stanze diverse. Non avete incontrato le stesse persone né vi sono state dette le stesse cose.»
Quelle parole mi ricordarono che, secondo Cyrus, anche Gold era stato messo a conoscenza del fatto della sua identità particolare. Dovevamo assolutamente parlarne: forse a lui era stato detto qualcosa di più specifico, che mi aiutasse a capire meglio la nostra situazione. Comunque, se nessuno di noi due avesse saputo niente, avremmo comunque potuto sostenerci vicendevolmente in quella brutta, misteriosa faccenda.
Facemmo una colazione veloce e ci preparammo altrettanto rapidamente per ripartire. Andai da Gold appena ebbi modo e gli dissi, schietta: «Dobbiamo parlare.»
«Vero» ribatté. Aveva capito al volo a cosa mi riferivo e si era fatto parecchio serio, ma doveva aver intuito le mie intenzioni già dalla faccia eloquente con cui mi ero avvicinata a lui.
«Chi, uhm… chi ti ha fatto visita, ieri? Cosa ti hanno detto?»
«Il vecchio Plutinio. Ha parlato poco e niente, comunque, e appena è arrivata Giovia a dirgli che erano arrivati i nostri se l’è filata…» borbottò. Poi la sua espressione si fece più triste. «Ha detto solo che… be’, questa mia identità è la causa per cui un bel pezzo della mia famiglia è stato distrutto. La parte di Bianca, non la mia, così sono riusciti a colpire anche lei… anche se si tratta di tanto tempo fa.»
Mi fece moltissima tenerezza in quel momento. I suoi occhi blu, mesti, guardavano altrove, ma non erano lucidi di lacrime. Si passò nervosamente una mano tra gli spettinati capelli color della notte. Gli dissi che mi dispiaceva tantissimo e lo abbracciai con forza; lui ricambiò con altrettanta decisione. Plutinio era stato davvero spietato a dirgli quelle cose, ad accusarlo di essere la rovina della famiglia e anche della vita di Bianca - che, ricordai, aveva passato un brutto periodo di depressione da cui a malapena era uscita, e Gold doveva star soffrendo molto.
Sciogliemmo la stretta e mi preoccupai di trovare un fazzoletto per il mio amico e rivale nelle lotte Pokémon, ma non gli servì. Il ragazzino tirò su con il naso e poi mi fece un sorriso tirato che mi intenerì ulteriormente. Mi stupii di averlo preso in antipatia i primi tempi, era diventato una delle persone che mi stavano più a cuore. Ricambiai il sorriso e si rilassò visibilmente, arrossendo come da copione.
«Davvero hai parlato con Cyrus?» mi chiese con un po’ di difficoltà.
Annuii, ricordando spiacevolmente come mi avesse presa pure in ostaggio. Appena mi fosse stato possibile avrei chiesto a Camille come mai l’uomo si fosse turbato tanto per le sue parole, ma ero certa che per il momento fosse meglio non parlare con la ragazza. Gold mi chiese se Cyrus avesse detto qualcosa di particolare.
«No, niente di specifico. Solo che le barriere le hanno abbassate apposta per me, settembre scorso, e che Chiara ci è andata di mezzo…» Mi sentii molto in colpa. «Mi ha detto anche… ecco, ha fatto una specie di previsione. Ha detto che prima o poi arriverà un giorno in cui deciderò se continuare a stare nelle Forze del Bene o passare dalla loro, dalla parte dei Victory. Non so se lo sai, ma secondo Cyrus… e anche secondo Camille, le…»
«Camille sa qualcosa?» si sorprese Gold.
«Sì, ma figurati se riusciremo a farla parlare!» borbottai. «Ci ho già provato ieri, quando mi ha chiesto cosa mi abbia detto Cyrus, ma è stata irremovibile. Comunque, ti stavo dicendo?… secondo Cyrus, le Forze del Bene non ci riveleranno questo segreto della nostra identità, almeno per moltissimo tempo. Invece i Victory, se ci alleassimo con loro, ce ne parlerebbero. Immagino che faranno di tutto per tentarci…»
«Ma perché non ce lo dovrebbero dire? E Camille cosa pensa?» chiese lui, un po’ confuso.
«Sembra che sia molto pericolosa questa faccenda, Gold. Lei ha detto che… che è una cosa molto pesante di cui ci dovremmo far carico. Non so bene cosa pensare, ad essere sincera. Vorrei sapere così tanto quello di cui parlava Cyrus, lui stesso ha detto che abbiamo diritto a conoscere chi siamo veramente!» mi lamentai, piuttosto esasperata. «Però ho anche paura e non riesco a non fidarmi delle Forze del Bene… sono loro che hanno preso me e Chiara quando rischiavamo di essere catturate dai Victory.»
Gold annuì. Aggiunsi: «Ah, ieri sera… diciamo che mi è capitato di sentir parlare Rocco, Lance e compagnia. A quanto pare non abbiamo altra scelta che essere chiari quando Bellocchio in persona ci interrogherà, così ho sentito dire da uno di loro. Rocco ha capito subito che non ho raccontato le cose come stavano…»
«Non sembrava. Va be’ che ero praticamente in uno stato di trance, visto cosa abbiamo passato… e Rocco è sveglio. Credo sia in una bella posizione nelle Forze del Bene, infatti viene molto poco all’Accademia.»
«Chissà cosa diranno quando ci vedranno tornare!» esclamai.
Dopodiché ci richiamarono: eravamo in partenza. Andai a recuperare la cintura con le Balls e sentii il desiderio di chiamar fuori i miei Pokémon, che dalla mattina precedente non vedevo - era veramente un record, non avevo mai passato così tanto tempo senza di loro. Pensai che fosse stata una vera fortuna essere riuscita a non perderli durante il rapimento: avevo sentito abbastanza sul rapporto tra i Victory e i Pokémon per arrivare ad avere paura di quello che avrebbero potuto fare con loro. Invece li avevano lasciati praticamente a nostra disposizione una volta che i nostri salvatori fossero arrivati. Era l’ennesima stranezza di Cyrus che voleva farla passare come normalità, ritenendo di potersi permettere di confonderci in quel modo.
Avevo ancora la mia squadra al completo, Altair, Aramis, June, Rocky, Diamond e Pearl: conoscendoli già dovevano essere pronti a riprendere ad allenarsi per crescere ancora. Le uniche cose che avevamo perso nella permanenza nel Monte Ostile erano stati gli apparecchi elettronici, come il Gear, il Dex e il PokéKron. Mi chiesi se i Victory avrebbero trovato il modo di sfruttare le superficiali informazioni contenute dentro di essi: il PokéGear aveva numeri di telefono vari, era vero, ma se già sapevano dov’era situata l’Accademia non sarebbe stato granché utile rintracciare il segnale dei nostri contatti, salvati nella rubrica di quella specie di telefono cellulare. In ogni caso, noi ragazzi saremmo stati riforniti degli strumenti persi.
Non avevo raccontato la storia di Camille a Gold e mi dissi che non era il caso, mi sarei sentita pettegola e anche maligna. A Chiara, invece, non avevo detto ancora nulla: ci eravamo parlate pochissimo. Ero a disagio, non avevo voglia di parlarle, dopo aver saputo che lei era entrata in quella guerra per colpa mia, che ero così dannatamente speciale da essere stata strappata alla mia vita normale. Era un po’ una falla nel piano dei Victory, la mia migliore amica. D’altronde, se non fosse stato per lei, a malapena mi sarei accorta della scomparsa del Monte di Nevepoli. “Forse sarebbe stato meglio così?” pensai. “No… mi sarebbero venuti a prendere direttamente a casa, immagino… sarebbe stato ancora peggio, ma solo per me. Lei non ci sarebbe andata di mezzo…”
Spiccammo il volo senza tante cerimonie. Lance ci aveva prestato i suoi draghi, a me spettò nuovamente Charizard. Passammo alla larga da Pratopoli dove pareva fosse presente Omar, uno dei Victory, e perciò allungammo un po’ il tragitto. Ad ogni modo i draghi di Lance erano tutti molto veloci e se non andavamo ad alta velocità era per evitare che Camille, sul suo Talonflame, rimanesse indietro - però lei era sempre l’ultima del gruppo, a parte Lance che guardava le spalle a tutti.
Mi sembrava che tutte le cose successe appena al giorno precedente risalissero a secoli prima. I ricordi erano improvvisamente diventati meno vividi e disturbanti e avevano assunto i connotati di un sogno. Le cose si stavano facendo troppo surreali perché una ragazza ordinaria come me, almeno apparentemente, si abituasse fin da subito a conviverci. Invece mi era stato detto che normale ed anonima non ero, apposta per me erano stati demoliti i muri invisibili che dividevano la Nevepoli dei Pokémon da quella esclusivamente umana… Le cose avevano ripreso a sembrare la trama di un film molto originale e fantasioso, eppure era quella la mia realtà. Così come avevo fatto l’abitudine al mondo Pokémon, la vera realtà esistente sulla Terra che solo alle apparenze era abitata da animali ed umani normali, ora mi toccava abituarmi all’idea di essere una persona speciale in un mondo particolare e surreale - almeno rispetto a che avevo frequentato per più di quattordici anni.
“Chi se lo sarebbe mai aspettato? Ho sempre vissuto nelle bugie senza mai rendermene conto… ma non riesco neanche a prendermela più di tanto, solo un po’ per il segreto della mia identità. Il mondo dei Pokémon è molto più piccolo rispetto all’altro, eppure è l’unico che mostra la realtà sia del passato che del presente. E ora sono venuta a sapere che non solo sono finita in un universo incredibile, che per un sacco di tempo mi è sembrato irreale… ma pure che io per prima sono qualcosa di speciale nel mondo dei Pokémon! È… sono doppiamente anormale, in un certo senso.”
La struttura sembrava quella di una matriosca. Una realtà dentro l’altra, dalla mia personale a quella estesa su scala mondiale. Emisi un sospiro quasi impercettibile. “Io però voglio sapere di cosa stava parlando Cyrus. Non posso aspettare per sempre con questo peso! Camille ha detto che è una responsabilità enorme, gravosa, ma sono sicura che sarebbe meno frustrante convivere con qualcosa di conosciuto che con qualcosa di cui non so nulla. E io voglio conoscermi, voglio saperlo! Perché lei sa cosa significa tutto questo e io invece non posso saperlo?… Ma non ho intenzione di chiederle qualcosa a riguardo. Non mi piace per niente parlare con lei.”
Voltai la testa e guardai Gold, Lance e Camille che volavano dietro di me, Chiara e Diantha. Alla fine fu proprio la ragazza a rivolgermi la parola, esattamente quando avevo deciso di parlarle il meno possibile. Era così puntuale da essere odiosa, a quel punto. Si accostò a Charizard con Talonflame.
«Hai mai fatto sogni che lasciano il segno, Eleonora?»
Corrugai le sopracciglia. Non mi stava guardando e non riuscii a capire la sua espressione. Sembrava un po’ sorridente ma in un modo affatto amichevole: l’avrei definita un’espressione maligna.
«In che senso?»
Glielo chiesi inutilmente. Lei scrollò le spalle e tornò indietro, forse sapendo che non ci tenevo a seguirla. Infatti la lasciai andar via e me ne stetti a rimuginare su quella domanda e sull’aspetto piuttosto crudele del suo viso. Ci misi un po’ a cercare di interpretare quella cosa, “sogni che lasciano il segno”. Cosa intendeva dire Camille con quella specie di modo di dire? Di sogni strani ne avevo fatti parecchi.
All’improvviso capii. Non sapevo dire come, allora, ma ricordai il sogno fatto a fine ottobre, l’anno prima, così confusionario e apparentemente privo di senso. Lo avevo sempre giudicato un ammasso di elementi strani ed in contrasto tra loro: il cielo pieno di nuvole di tutti i colori, il sentiero sospeso che si sgretolava, facendomi rischiare ad ogni passo di cadere nel vuoto, sempre pieno di tinte vivaci e luminose… ma infine riuscivo a fermarmi, la strada smetteva di sbriciolarsi, e a quel punto mi guardavo indietro. Facevo in tempo a vedere un’ombra rapace e rapidissima quasi schiantarsi contro di me per attaccarmi, ma prima che mi toccasse un muro di fiamme si ergeva tra me ed essa. Alché il sogno s’interrompeva bruscamente.
Non li ricordavo nemmeno tutti insieme, i dettagli del sogno. Ma siccome mi tornava alla mente molto spesso, anche in momenti casuali e senza preavviso, ogni tanto riuscivo a ricollegarli tutti - nonostante di rado me li ricordassi uno per uno. Forse Camille intendeva quello con “sogni che lasciano il segno”: ci pensavo più volte e involontariamente, a volte senza rendermene conto, senza farmi domande.
Mi resi conto che la ragazza stava praticamente gongolando perché ne sapeva molto più di me. La cosa mi irritò moltissimo: non capivo perché avesse iniziato a trovare così divertente darmi del filo da torcere in quel modo. Non le bastava mantenere il silenzio? Doveva pure farmelo pesare? Non trovavo una ragione per cui dovesse accanirsi in quel modo contro di me. Non ero stata io a chiedere a Cyrus di raccontarmi la sua storia, se era questo il motivo per cui mi stava portando rancore. Mi voltai in cerca del suo sguardo ma lei mi evitò accuratamente, degnandomi solo di un’occhiata indecifrabile. Mi rassegnai a non ricevere spiegazioni, perlomeno non prima di parecchio tempo. Però mi stavo già stancando di quel suo modo di fare: ero sicura che, se non avessimo chiarito veramente le cose - se di questo aveva bisogno, la situazione sarebbe degenerata ancor di più. Non ci stavamo propriamente simpatiche, ci sarebbe voluto poco per renderci la presenza dell’altra a dir poco insopportabile: dovevo capire la ragione di quei comportamenti. O meglio, doveva essere lei a spiegarmeli: io non la conoscevo abbastanza bene, non avevo i mezzi per comprendere le sue stranezze.
Arrivammo all’Accademia abbastanza presto. Bellocchio ci stava aspettando.







Angolo ottuso di un'autrice ottusa
Questo finesettimana non ho fatto in tempo a pubblicare, quindi oggi mi sono riservata una mezz'oretta per farlo. Tra poco volerò a fare i compiti di matematica, ahimè! Ormai non mi connetto proprio più a efp, se non nel weekend e solo per aggiornare!
Spero che il capitolo vi sia piaciuto; per qualche miracolo divino sono riuscita a finire anche il prossimo, che è stato molto difficile da scrivere. Ad ogni modo ci avviciniamo alla fine di questa nuova Ntss1, che, vi ricordo, conterà "solo" venti capitoli in totale; dopodiché arriva la terza parte, ladies and gentlemen! *standing ovation dell'autrice solitaria*
A presto,
Ink
  
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