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Autore: WickedWitch    17/11/2015    1 recensioni
~BellamyxClarkexLexa~
"Se Bellamy era fuoco, allora Lexa doveva essere acqua. Lei era la pioggia estiva e il profumo dei fiori bagnati e lui il calore del focolare in una notte gelida. Clarke osservò entrambi attentamente; in quel momento, tuttavia, erano ben lontani dall'essere tanto rassicuranti: gli occhi di Lexa erano in tempesta e quelli di Bellamy bruciavano. Tutti e due volevano una sola, semplice cosa: che lei scegliesse."
Genere: Guerra, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yuri | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin, Lexa, Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: Triangolo
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Introduzione:
Ed eccoci qui. Premetto dicendo che è la mia primissima storia e sto morendo dentro dall'agitazione, ma non è importante. Seguo da poco la serie, che ho divorato in poche settimane, rimanendo scandalizzata e scioccata dal finale, a dir poco. Insomma, ne volevo ancora e così mi sono messa alla tastiera per provare a pensare ad un ipotetico seguito. Ho ambientato il tutto quattro anni dopo la battaglia, questo è un capitolo introduttivo che spieghi un po' la situazione emotiva di alcuni dei personaggi principali. Chiedo scusa se la prima parte risulta un po' arida, ma volevo rimanere in linea con le emozioni di Lexa e non dilungarmi troppo, insomma, non la vedo come una portata alla speculazione. 
Fatemi sapere cosa ne pensate!


 
I
Loneliness


 


"Il villaggio di Kuruk chiede altre scorte, comandante."
Lexa sospirò, gli occhi chiusi, visibilmente contornati da occhiaie. 
"L'ennesimo incendio?" Sibilò, stizzita. 
"A quanto pare."
Il comandante guardò l'uomo grosso e nerboruto che le stava davanti, come alla ricerca di un qualche segno di ironia. Che ci fosse o meno, tuttavia, aveva poca importanza: mantenere l'alleanza dei dodici clan aveva un prezzo, che da mesi veniva pagato in scorte, cacciatori e armi. 
"Concesso." Sentenziò infine, tra i denti.
L'uomo fece un cenno del capo e se ne andò, lasciandola sola nella tenda.
Era tarda notte e l'armatura iniziava a sembrarle immensamente pesante, così come anche le palpebre. Da quattro mesi a quella parte, da quando la battaglia di Mont Weather si era conclusa con successo e nessuna perdita tra i suoi, Lexa era stata osannata e l'alleanza dei clan era continuata. Il prezzo della vittoria era stata tanta burocrazia e tanta diplomazia che stentava a sopportare: mandare suppellettili qui, viveri lì, un delegato che mettesse pace tra quei due villaggi che non riuscivano ad accordarsi sulla selvaggina e tutto un giro di vite che aveva lei al vertice e che la sfiniva.
Guardò il bagliore delle torce che gettavano la loro luce calda nella tenda senza davvero vederle. In realtà essere così stanca le piaceva, le era utile. Si sfiniva di lavoro e quando aveva un minuto di tregua andava a caccia, partecipava all'addestramento con i guerrieri più valenti o viaggiava da un villaggio all'altro per controllare che tutto fosse in ordine. Tutto per mantenere la mente occupata e non pensare mai, nemmeno per sbaglio a quello che era successo, a quello che aveva fatto, al suo tradimento e agli occhi increduli di Clarke.
Scosse la testa, riscuotendosi dal torpore in cui era caduta. Non poteva permettersi di pensare a lei.
Si alzò dal seggio che occupava roteando il collo indolenzito. Spense le torce nei secchi pieni d'acqua e, nel buio, uscì dalla tenda. 
Le stelle la guardavano dall'alto, il villaggio in cui si era fermata quella notte era immerso nell'oscurità e passando vicino alle capanne di tanto in tanto si poteva sentire il russare di un guerriero o il vagito di un bambino, subito calmato da una ninnananna. Iniziò a sciogliersi le trecce che le tenevano i capelli ben tirati sulla testa ancora prima di entrare nella capanna che le era stata adibita, al centro del campo, con il tetto di paglia più nuovo e le pareti più spesse. Era piccola, ma calda e confortevole, un abbraccio irresistibile dopo una giornata tanto lunga. Sciolse i capelli, che le ricaddero scomposti sulla schiena e iniziò a slacciare l'armatura con gesti meccanici, ben attenta a tenere la spada vicino al letto (da quando aveva rinunciato alla sua solita scorta la prudenza non era mai troppa) e quindi, finalmente, riuscì a stendersi.
Chiuse gli occhi, sentendo la tensione scivolarle di dosso, quando la quiete di quella notte fu interrotta da un grido.

~

La notte era scesa silenziosa sull'Arca, portando con sè il profumo inebriante della primavera ormai alle porte. Gli alberi frusciavano e il bosco pullulava di animali notturni che facevano risuonare i loro lamenti, completando quell'armonia di cui Bellamy non sarebbe mai riuscito a stancarsi. 
Se ne stava disteso sulla sua branda, le mani intrecciate dietro la testa, le orecchie piene di quella ninnananna e la coperta stretta attorno per far fronte agli spifferi che si infilavano tra le giunture arrugginite della carcassa metallica dell'Arca. 
Il buio che lo circondava, il tepore delle coperte e il mormorio del bosco erano un invito molto allettante ad addormentarsi, o almeno lo sarebbero stati se la sua mente non fosse stata occupata con ben altro, di nuovo.
Erano mesi che le occhiaie gli incorniciavano gli occhi e mesi che riusciva ad addormentarsi solo grazie alle sbronze colossali prese nella solitudine della sua stanza. "Bere per dimenticare" era un detto ben conosciuto e piuttosto antico, di cui aveva capito l'importanza solo dopo quella tremenda notte a Mount Weather. 
Non lo avevano processato per quanto era successo, ma che fosse colpevole glielo ricordavano incessantemente: lo condannavano implicitamente per l'omicidio di quelle persone, ma restavano impotenti davanti all'ovvietà dei fatti: era stato un bene, per loro, che Bellamy avesse fatto quello che aveva fatto. Quindi le critiche non erano troppo aperte, benchè la stanza con più spifferi fosse andata a lui, così come il pezzo di carne più vecchio ad ogni pranzo e tutte le altre piccole cose che non lo facevano più sentire a casa. 
Si sentiva solo. 
Gli altri che avevano combattuto con lui avevano fatto gruppo li uni con gli altri, uniti da tutto quello che avevano dovuto passare a Mount Weather, Reven era presa dai lavori che le venivano affidati dall'alto, così come da Wick, che aveva rimpiazzato il ruolo dell'ossessivo oggetto di attenzioni che era stato Finn, e sua sorella era via, con Lincoln, ad addestrarsi o a tentare di riconquistare la fiducia dei Terrestri che li avevano traditi. A Bellamy sarebbe piaciuto prenderla per i capelli e chiuderla nel campo di nuovo, come aveva fatto appena arrivati, ma sapeva che non sarebbe più stato possibile; gli sarebbe mancata la forza per farlo.
Aveva sentito la mancanza di Clarke per tutto l'inverno.
Era andato a caccia quanto più spesso possibile, sperando di vederla, di spararle accidentalmente e di doverla riportare al campo per curarla, aveva fatto molte più visite al loro vecchio campo di quanto fosse permesso e aveva vagato per i boschi alla ricerca di tutti i luoghi che erano stati significativi per la guerra che avevano combattuto spalla contro spalla.
Non l'aveva mai trovata ma l'idea che fosse morta o caduta nelle mani di chissà quale villaggio non lo aveva nemmeno sfiorato: così come lui era riuscito ad evitare i Terrestri durante le sue gite nella foresta, sapeva che Clarke avrebbe avuto le stesse accortezze.
Sorrise nel buio. Strano come solo nell'assenza della ragazza Bellamy iniziasse a riconoscerla come anima affine. Da quando se n'era andata in lui si era fatto strada il desiderio di qualcosa di più, di indagare quanto potessero essere simili. Erano partiti con l'essere bianco e nero, per scoprire che in realtà erano entrambi del grigio più turpe. Sì, Clarke sarebbe stata la compagna perfetta per far fronte alla solitudine e agli incubi. Avevano abbassato assieme la leva che aveva ucciso tutte quelle persone, perchè ora non potevano continuare a portare quel fardello?
Sospirò, buttando fuori con l'aria tutta la malinconia di quell'ennesima notte insonne. Sarebbe corso a rivoltare ogni pietra della foresta, a guardare dentro ogni cespuglio, avrebbe addirittura abbattuto ogni albero, se solo lei avesse voluto essere trovata: ma fintanto che il suo desiderio era quello di rimanere lontano dal campo Jaha lui non poteva far altro che rispettarlo.
Si addormentò con un velo di rammarico davanti alla sua stessa solitudine e con una punta di accusa nel ripensare a come Clarke l'aveva salutato, ma quando quell'urlo scosse la notte non potè evitare di scattare in piedi, il panico negli occhi e il nome di lei sulle labbra. 
   
 
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