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Autore: OnnanokoKawaii    17/11/2015    0 recensioni
La generazione dei Miracoli dieci anni dopo, alle prese con la vita e i suoi numerosi problemi, con lo stress, con i fallimenti.
Convivere con i sogni infranti o col peso della loro realizzazione sembra difficile e lo è ma a volte.... il destino ci mette lo zampino e... il passato torna ad essere presente....
E forse... anche migliore.
Quattro storie, otto personaggi in un mondo che spaventa se si è soli ma che si può affrontare se si è insieme.
Genere: Erotico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Daiki Aomine, Kiseki No Sedai, Taiga Kagami, Takao Kazunari, Tatsuya Himuro
Note: Lemon, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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L’aereo iniziò a scendere di quota e Kagami Taiga, ormai ex professionista del Basket americano, si allacciò la cintura di sicurezza. Quanto tempo era passato dall’ultima volta che era tornato in Giappone? Mesi. No.
Ormai era quasi un anno.
Ripensando alla rimpatriata con gli amici che conservava dai tempi del liceo pensò tutto sembrava appartenere alla vita di qualcun altro. Una vita fa. Prima che si infortunasse.
Era stato un anno difficile quello, e a concluderlo c’era stato il suo ritiro dallo sport agonistico proprio nel momento di massima forma. Il suo fisico era al top, robusto, resistente, allenato; era la sua testa ad aver fatto il resto.
La paura di infortunarsi ancora, e di non poter più giocare a nessun livello, lo aveva paralizzato.
In campo era sempre determinante e invece, dopo l’intervento, aveva iniziato ad essere prudente, a riflettere sul da farsi.
Questo era stata la sua rovina. Lui era un animale da campo, tutto potenza e istinto; colui che si lanciava su ogni palla e su ogni rimbalzo seguendo automaticamente l’azione. Il tempo che impiegava a pensare lo rallentava, lo rendeva goffo ed ogni scricchiolio del ginocchio lo spaventava tanto da bloccarlo nel bel mezzo delle azioni.
Prima di venir relegato in panchina aveva deciso di lasciare.
In un primo momento aveva pensato di prendersi un periodo di pausa per rimettere in sesto il cervello, ma si era reso conto che quel momento di forma sarebbe passato presto. Alla sua età o eri dentro e giocavi al massimo, oppure eri fuori dai giochi. Per sempre.
Quindi eccolo lì, ex giocatore professionista dell’NBA americana, il massimo campionato mondiale, quello che migliaia di atleti in tutto il mondo sognavano di raggiungere.
Lui lo aveva toccato, lo aveva vissuto e respirato per ben cinque anni. Non poteva lamentarsi.
Eppure il vuoto che si era creato nella sua esistenza non accennava a riempirsi. A Los Angeles, nella sua casa troppo grande, circondato da troppa gente estranea per essere davvero a suo agio, inseguito da greggi di giornalisti senza scrupoli che sembravano cercare lo scoop sul suo ritiro come aria da respirare aveva deciso di tornare a casa sua. In Giappone.
Dalle persone che contavano di più per lui.
Kuroko.
Il pensiero che proprio lui si fosse offerto di andare a prenderlo all’aeroporto e di aiutarlo coi bagagli, lo riempiva di gioia. Era lui, era sempre stato lui a incoraggiarlo, a sorreggerlo, a spingerlo in avanti eppure, nonostante la loro perfetta sintonia non aveva mai avuto il coraggio di confessare i suoi sentimenti.
Ai tempo del liceo,  quando, sfiduciato dal basket giapponese si era di malavoglia iscritto al club del Seirin, aveva davvero pensato che quel ragazzetto pallido, mingherlino e privo di qualsiasi attitudine offensiva, fosse fuori luogo sotto l’alto canestro.
Poi lo aveva visto giocare e da lì aveva iniziato ad interessarsi al suo modo di muoversi, di pensare. Erano divenuti i perni della squadra, si erano allenati talmente tanto insieme da conoscersi meglio di chiunque altro. Kagami sapeva perfino riconoscere il ritmo del suo respiro e le minime variazioni d’espressione che erano la massima manifestazione dei suoi stati d’animo.
Erano perfettamente complementari, lui focoso, impulsivo e fisicamente molto forte mentre Kuroko era pacato, riflessivo e molto esile.
Erano stati le stelle della squadra durante quella prima Winter Cup quando avevano sconfitto a suon di canestri la famosa Kiseki no Sedai, la Generazione dei Miracoli.
Erano state sfide entusiasmanti, ricche di tensione e spirito agonistico. Si erano completati e avevano raggiunto la vetta.  Solamente per quell’anno.
Nelle competizioni successive il loro centro, Kyoshi Teppei non aveva preso parte alle attività del club per via della riabilitazione dopo un intervento chirurgico al ginocchio e questo aveva debilitato la squadra. Non che fossero divenuti scarsi, ma senza quella marcia in più, nonostante tutti gli sforzi avevano sempre perso gli scontri più importanti. Non importava. Erano riusciti ad arrivare in cima nell’anno in cui Kyoshi aveva partecipato e ne erano più che orgogliosi.
Alla fine del liceo Kuroko aveva scelto la scuola di formazione per gli insegnanti smettendo di praticare basket a livello agonistico, mentre lui, un po’ per continuare a coltivare il suo talento esplosivo e un po’ per allontanarsi dall’amico, aveva scelto di andare a giocare a Los Angeles.
Aveva sperato che la lontananza avrebbe sedato quello strano sentimento che provava nei confronti del compagno di squadra. Quell’amore che non voleva provare per paura di rovinare tutto. E, visto il suo carattere, era quasi scontato che se si fosse lasciato andare anche solo un secondo avrebbe combinato un casino.
Venne abbassato il carrello e nel giro di pochi minuti l’aereo atterrò sulla pista con un leggero sobbalzo. Sgranchendosi la schiena e il collo Kagami slacciò la cintura e facendo attenzione a non sbattere la testa si alzò per recuperare il bagaglio a mano.
Mentre scendeva sulla pista e si dirigeva verso l’entrata del terminal qualcuno lo chiamò:
-Kagamicchi!!!-
Inconfondibile come sempre.
Voltandosi con un mezzo sorriso sulle labbra vide un Kise radioso, inguantato nella splendida e scintillante divisa bianca da pilota che tenendo il cappello sottobraccio correva nella sua direzione.
Era sempre stato fisicamente elegante ma la sua falcata atletica e fluida lo colpirono come la prima volta.
Quando gli si fermò accanto potè notare la mancanza dell’orecchino che lo contraddistingueva da quando lo aveva conosciuto. I capelli erano sempre dello stesso biondo dorato e gli occhi che risposero al suo sguardo brillavano di simpatia.
-Kise, quanto tempo. Come stai?-
Non sapeva bene cosa dire in occasioni come quelle e soprattutto non così alla sprovvista.
Il biondino rise e rispose.
-Non potrei stare meglio. Sono ufficialmente un pilota da una settimana, ho finalmente un orario quasi umano e… beh, ho ripreso a giocare a basket.-
Kagami si sentì subito felice per l’ex rivale e ringraziò la buona stella del pilota per avergli riservato un po’ di felicità e pace dopo quegli anni un po’ incerti. Sentì però anche una strana fitta al pensiero che proprio nel momento in cui lui aveva deciso di mollare il suo amato sport, quello avesse ricominciato.
-Sono contento, dove giochi adesso?-
Tanto valeva fare fino in fondo la persona educata e poi era davvero interessato nonostante la strana sensazione che provava.
Kise rispose con una risatina scuotendo il capo.
-Non gioco in una squadra o simili, ho ripreso a giocare con Daiki alla sera. Andiamo ai campetti nel parco e passiamo così qualche ora. Ovviamente mi batte sempre, ma sto pian piano tornando quello di un tempo.-
Kagami rilassò le spalle. Giocava per amore. Giocava perché, nonostante la vita lo avesse portato altrove, il basket restava la sua prima passione.
-Magari qualche sera verrò a farvi compagnia.-
Non sapeva più cosa dire ma non voleva che la conversazione finisse. Kise gli giunse in aiuto.
-Sono venuto qui in macchina con Kurokocchi, mi ha fermato per strada mentre veniva a prenderti e così mi ha dato uno strappo fin qui. Ti sta aspettando agli arrivi.-
Ecco. Invece di prolungare la conversazione, improvvisamente gli venne voglia di correre fino al ritiro bagagli e poi fino all’uscita in modo da rivederlo dopo tanto tempo. Probabilmente gli si leggeva in faccio perché il pilota con una risatina lo incoraggiò ad affrettarsi prima di salutarlo e incamminarsi verso uno degli aerei appena usciti dall’hangar.
Dopo essere riuscito a ritirare tutte le proprie valige senza intoppi, un Kagami carico come un mulo si diresse finalmente verso l’uscita. Varcate le soglie si mise a scrutare tra i gruppetti di persone in attesa dei passeggeri atterrati. Ma dove diavolo era Kuroko? Fece una decina di metri e…
-Kagami.-
La sua voce dietro alle spalle. Il respiro gli si mozzò in gola e il cuore perse un battito.
-wah! Ku-Kuroko! Ma dov’eri?-
Una risatina seguì la sua domanda.
-Qui. Già prima che tu uscissi. Come sempre.-
Era il solito: mingherlino, con i capelli arruffati e in braccio reggeva N2!! Sempre cucciolo!
 
Quella mattina non sarebbe andato al lavoro, era la prima volta che prendeva un permesso e tutti i colleghi all’asilo erano stati sorpresi quando aveva spiegato che aveva bisogno della giornata libera per aiutare un amico che tornava in Giappone dall’America doveva aveva giocato nel massimo campionato di Basket.
Kuroko si era alzato con molto anticipo ma era rimasto seduto sul letto a immaginare come sarebbe stato rivedere Kagami dopo quasi un anno di lontananza e alla fine aveva dovuto prepararsi di corsa. Aveva preso la macchina e mentre guidava verso l’aeroporto aveva visto Kise in divisa correre con matto in direzione del terminal.
Mosso a compassione per lo sbadato biondino si era accostato e lo aveva preso a bordo.
-Sei senza speranza Kise, lo eri ai tempi delle medie e credo tu lo sia rimasto anche negli anni successivi.-
La risata che gli era arrivata come risposta aveva confermato tutto. Si mise a coccolare il cucciolo che su sedile posteriore si agitava felice delle attenzioni.
-Il primo anno al Kaijou il capitano, non so se ti ricordi di lui, si chiamava Kasamatsu, ogni giorno mi aspettava all’ingresso della palestra e mi dava una pedata per ogni minuti di ritardo.-
Un’altra gioiosa risata mentre i ricordi gli sciamavano in testa.
-Erano bei tempi quelli, vero Tetsuya? Potevamo davvero fare quel che volevamo senza alcun pensiero.-
Kuroko ripensò agli allenamenti del club del Seirin, alle partite giocate fino all’ultimo respiro, ai trining camp nelle catapecchie fatiscenti che lo lasciavano dolorante, distrutto ma felice e completamente soddisfatto.
-Erano i tempi migliori.-
Il silenzio che scese nell’abitacolo si fece denso ma non pesante. Si capivano. Lo sapevano. E non c’era altro da aggiungere. Poi Kise lanciò una bomba.
-Aominecchi è venuto a vivere da me.-
Lì per lì  non gli era sembrata una notizia così sconvolgente. Erano sempre stati molto legati al Teikou e anche se si erano persi di vista nel corso degli anni avevano mantenuto entrambi interesse per la vita l’uno dell’altro. Era ovvio che in caso di difficoltà si sarebbero aiutati.
-Sei stato gentile a prenderti in casa un casinaro come lui. Devi avere una gran pazienza. Casa sua l’ultima volta che ci sono stato era un ammasso informe di vestiti, scarpe e divise. C’erano diversi palloni da basket in giro e un mobilio minimo.-
Nella pausa che fece arrivò la vera confessione.
-Non è stato un gran peso. E non è che lo sto aiutando o altro. Vedi… noi ora stiamo insieme…-
Per poco non andò a schiantarsi contro la macchina che lo precedeva.
Si voltò per guardarlo in viso. Credeva di aver capito male. Ma no. Aveva sentito bene.
Lo confermavano le gote arrossate del biondino, il sorrisino birichino e insieme timido che aveva negli occhi che lo scrutavano  in attesa di una reazione.
Già, una reazione. Era davvero così strano? No. Alla fine no.
Certo, Kise non aveva delle tette enormi come quelle che aveva sempre amato Daiki, però doveva ammettere che in quanto a eleganza e a bellezza il pilota era quasi imbattibile.
Sorvolando sulle implicazioni di una storia sentimentale tra uomini giovani e fisicamente prestanti, Kuroko decise di sorridere rassicurante.
-È una sorpresa, ma sono veramente felice per voi.  –
Un attimo di silenzio e poi un lungo fischiò affiorò dalle labbra del pilota. Sembrava essersi tolto un grosso peso.
-Sai Kurokocchi, non è successo da molto e volevo che almeno tu, oltre a Midorimacchi e Takao che sono nella mia stessa situazione, lo sapessi.-
Alt! Un attimo. Midorima… stava…. Con Takao…? Da quando? Sapeva che convivevano da anni ma da lì allo stare insieme ce ne passava…
Probabilmente Kise gli lesse la domanda negli occhi perché rise.
-Loro hanno avuto una presa di consapevolezza ancora più travagliata di quella mia e di Daiki, ma non sta a me raccontarti come sono andate le cose. Però, posso assicurarti che sono inaspettatamente ben assortiti e molto affiatati.-
Rise in risposa ad un pensiero ironico che non esternò per poi aggiungere.
-Credo che adesso stiano progettando un viaggio al sud, o qualcosa di simile per godersi la reciproca compagnia.-
Ok. Per quanto fosse bravo ad adattarsi e a incassare ogni tipo di cambiamento, tutta quella valanga di novità importanti lo lasciò senza parole. Per sua fortuna essendo una persona poco espressiva il suo silenzio era difficile da interpretare.
Dopo qualche minuto però, si accorse che nonostante la stranezza delle notizie, erano cose belle. Se stare insieme in quel modo rendeva felici i suoi amici più di quanto non lo facesse il restare semplicemente amici, allora era davvero contento per loro. Per tutti loro.
-Cavolo, sono sorpreso, ma non posso fare a meno di essere anche molto contento di sapervi tutti soddisfatti e felici.-
Voleva aggiungere qualcos’altro ma il loro viaggio insieme era terminato.
-Siamo arrivati, vado a cercare parcheggio.-
Kise sorridendo aprì la portiera e un attimo prima di chiudersela alle spalle gli disse:
-Non credere che certe situazioni siano così strane, potrebbe capitare anche a te come no.-
Le parole gli morirono in gola. Cosa avrebbe voluto dire a Kise? Cosa doveva dire ancora per esprimere la sua contentezza?
Perse l’attimo e la portiera si chiuse con un lieve tonfo.
Decise di accantonare tutte le riflessioni del caso mentre parcheggiava il più vicino possibile all’entrata del terminal per godersi il momento in cui avrebbe rincontrato Kagami.
 Lo aveva visto uscire dalle porte scorrevoli, era impossibile non  notare quel gigante dalla capigliatura rosso sangue che avanzava a grandi falcate guardandosi attorno minaccioso. Come era normale ad un primo sguardo l’amico non lo vide e quando decise di chiamarlo quello si spaventò.
Esattamente come tutte le altre volte.
Lo vide sorridere, anche lui stava ricordando le innumerevoli volte che avevano vissuto quella stessa identica scena. Poi, ad un tratto, lo vide sgranare gli occhi  mentre fissava il cucciolo di Husky che aveva in braccio.
-C-c-come è possibile? C-c-come f-fa ad essere ancora un d-dannato cucciolo? Numero Due!!-
Dentro di sé Kuroko stava rotolando dal ridere ma sapeva che per Kagami i cani erano come la Kriptonite. Ne era terrorizzato.
Coccolando distrattamente il morbido involtino peloso gli diede l’unica spiegazione che potesse dare.
-Lui non è Numero Due. Lui… è morto di vecchiaia sei mesi fa. –
Fece una pausa per inghiottire il nodo che aveva in gola. Nonostante tutto ancora non riusciva ad accettare del tutto che fosse successo davvero.
-Questo è uno dei cuccioli che ha partorito la sua compagna. La padrona abitava all’ultimo piano del mio palazzo, ma poco dopo la nascita dei tre cucciolotti ha dovuto trasferirsi per lavoro.
Prima di partire, sapendo della morte di Numero Due, è venuta a regalarmi questo piccolo amico. L’ho chiamato Dai Ni, in onore di suo padre.
All’improvviso Kagami  posò una delle  valige a terra e allungò una delle grandi mani. Per un secondo Kuroko pensò che fosse per accarezzare il cagnolino, ma questa invece gli si posò con gentilezza sul capo. Com’era calda e rassicurante.
-Quindi questo piccolo mostriciattolo è figlio del grande demone che qualche anno fa mi ha leccato la faccia mentre dormivo nel giardino di Kise eh? –
Con uno sguardo luccicante di ironia si rivolse al batuffolo scodinzolante.
-I peccati dei padri ricadono sui figli, ricordatelo bestiolina infernale-
Dai Ni abbaiò felice in risposta alla sua affermazione.
Era proprio da lui. Percependo la sua tristezza, nonostante la paura che ne irrigidiva appena i movimenti, aveva trovato il modo di farlo ridere.
Kuroko si riscosse dalle sue riflessioni quando Kagami fece per riprendere la valigia da terra.
-Lascia, la prendo io.-
Ma non aveva fatto i conti con il cucciolo agitato e felice. In un attimo, mentre si abbassava a prendere il bagaglio dell’amico, il cagnolino era saltato giù dalle sue braccia ed era sfrecciato tra la folla.
-Dai Ni!-
Si rivolse a un Kagami sbalordito.
-Aspettami qui, vado a riprenderlo.-
Correndo a destra e a sinistra dietro all’esagitata bestiola Kuroko si trovò poco dopo ansimante e sudato. Era molto peggio che star dietro ai bambini dell’asilo!
-Sembra che tu sia deboluccio come al solito.-
Voltandosi con una risposta arguta proprio sulla punta della lingua, dovette ingoiarla.
Un Kagami più terrorizzato che mai reggeva su una grande mano il piccolo impertinente Dai Ni. Il braccio steso in avanti per tenere la bestiola il più lontano possibile dal resto del corpo.
Subito Kuroko allungò le mani e riprese in braccio il cane che iniziò subito a leccarli la faccia con la rosea linguetta calda.
-È ancora piccolo, si agita in mezzo alla gente e quando è in un posto nuovo. Grazie per averlo recuperato Kagami.-
L’altro grattandosi la testa borbottò qualcosa di simile ad un “se lo perdevamo del tutto era meglio per me. Sono un idiota.”
Ridacchiando Kuroko  fece qualche coccola alla bestiolina agitata.
-Hem… Kagami… dove hai lasciato i bagagli?-
La consapevolezza si fece largo pian piano sul viso dello sportivo trasfigurandone i lineamenti selvaggi e severi in un’espressione a dir poco comica.
-Cazzo!-
Voltandosi ad una velocità incredibile lo spilungone si mise a correre attraverso il terminal per tornare dalle valige abbandonate.
Con calma un Kuroko sudato gli andò dietro.
Quando finalmente riuscirono a caricare tutto in macchina Kagami chiese:
-C’è un Hotel economico da queste parti oltre a quello di fianco all’aeroporto?
Mentre metteva in moto Kuroko si mise a pensare che forse, se era per qualche tempo e non permanentemente, avrebbe anche potuto evitare allo sportivo di spender dei soldi per l’alloggio e invitarlo a stare da lui.
Qualche anno prima, quando era divenuto un insegnante d’asilo a tutti gli effetti, aveva deciso che era il momento di avere i suoi spazi. Aveva comprato un piccolo appartamento ristrutturato da poco nella stessa via dell’asilo. Era una casa graziosa, accogliente e fatta su misura per le sue esigenze. Non sapeva come farci stare anche Kagami a dire il vero. Ma se si accontentava…
-Se… se ti accontenti, invece che stare in albergo, potresti stare da me per un pò. Almeno fino a che non trovi un lavoro che ti piaccia.-
Lo sguardo stralunato con cui l’ex cestista lo guardò era davvero buffo.
-M-mi faresti stare a casa tua? Ma non sarei… un disturbo?-
Riflettendo Kuroko rispose con diplomazia.
-Beh, è piccola e ho una sola stanza quindi dovresti accontentarti del divano letto e per quanto riguarda la tua roba… beh la sistemeremmo nei miei cassetti e nel mio armadio.-
Kagami sorrideva come se gli avesse regalato una torta. Un sorriso di vittoria e insieme di stupore.
-V-va benissimo. Ma sei sicuro?-
Ancora una volta Kuroko se lo chiese e ancora una volta la sua mente rispondeva che sì, andava bene così.
-Certo. Dovrai contribuire alle faccende di casa però e alle spese di affitto.-
L’altro lo guardò come se avesse detto una cosa ovvia.
-Ma certo, mica voglio approfittarmene!-
Sospirone.
-E comunque…. Grazie.-
Con quelle parole gli scaldò il cuore e in tutta risposta anche Dai Ni si mise ad abbaiare entusiasta ricordando all’ingenuo Kagami che non sarebbe stato il solo a dividere l’appartamento con Kuroko.
 
Incredibile. Stava davvero andando a vivere insieme a Kuroko. Era una cosa temporanea, certo, ma alla fine quel che contava era che avesse del tempo da passare con lui, in casa sua. E con il cane. Dovette ricordare a se stesso che quel piccolo demonio sarebbe stato sempre in giro per casa.
La macchina sfrecciava silenziosa per le strade e man mano che si avvicinavano alla casa di Tetsuya, Kagami iniziava a riconoscere i palazzi, le strade, i negozi e infine il parco dove si per anni avevano giocato tutti insieme a basket.
Era rimasto stupito quando aveva saputo che tutti erano rimasti più o meno in zona perché pensava che con il passare del tempo, come lui,  anche gli altri si fossero allontanati dal nido. E invece no.
-Ho incontrato Kise in aeroporto. Sembra che stia bene. Era davvero tanto tempo che non lo vedevo ma l’ho trovato… come dire…. Radioso.-
Alle sue parole Kuroko arrossì violentemente.
Che diavolo significava? Perché quel rossore?
-S-sì? Io l’ho accompagnato verso il terminal. Anche io era un po’ di tempo che non lo vedevo.-
Perché quella voce esitante? Cosa stava cercando di non dire?
-Mi avevi scritto che per quasi un anno non si era più fatto vivo con nessuno, si sa cosa gli fosse successo?-
Cercava di porre domande casuali, in apparenza per portare avanti la conversazione, ma sperava che Kuroko prima o poi si tradisse.
-Eh..? Ah..! sì. A quanto pare era sommerso dal lavoro e non aveva nemmeno il tempo di respirare. Aomine gli ha fatto una bella lavata di capo una volta che lo ha incontrato in aeroporto. Quei due sono sempre andati d’accordo.-
Kagami era confuso. Se era davvero tutto qui… perché Kuroko sembrava così a disagio? Tanto valeva andare direttamente al punto. Ormai lo conosceva abbastanza bene da capire quando cercava di nascondergli qualcosa.
-Tetsuya… cosa stai cercando di nascondermi?-
La presa delle sue mani sul volante si fece più stretta per un attimo. Il muscolo della mascella che poteva vedere si tese anche se la sua espressione rimaneva imperturbabile. Era proprio nervoso.
-Io… non so…-
Quanta paura! Ma che diavolo stava succedendo?
-Sai che mi stai spaventando, vero?-
A quelle parole la pelle di Kuroko da rosso fuoco divenne nuovamente pallida. Sospirò.
-Se te lo dico, devi promettermi di mantenere il più assoluto riserbo. Non sono affari miei e nemmeno tuoi, quindi… non dovresti nemmeno saperlo visto che è una confidenza che Kise ha fatto a me.-
Era molto serio e per la prima volta, durante tutto il tragitto in auto, distolse gli occhi dalla strada per fissarli nei suoi.
Taiga festeggiando in silenzio cercò di mantenere un’espressione neutra e fece un singolo cenno d’assenso senza distogliere lo sguardo.
-Kise… e … Aomine… stanno insieme.-
No. Doveva aver sentito male. Ma non era finita.
-E convivono da quasi un mese.-
Ok. Non poteva aver capito male due volte. Ma… ad Aomine non piacevano le donne prosperose? Anzi… si poteva dire che gli piacessero le vacche da latte; come faceva a piacergli Kise? E a Kise? Non piacevano le ragazzine minute e carine? Cosa aveva Aomine di carino e minuto?
-Kagami..?-
Oh, aveva accolto la notizia nel più totale mutismo arroccandosi nelle sue considerazioni. Doveva dire qualcosa.
-Hem… sono felice per loro. Se stanno bene… sì… insomma…. Va bene, no?-
A quelle parole Kuroko lasciò andare il fiato.
-Non ti facevo di così larghe vedute.-
Il pensiero che gli attraversò il cervello fu semplice: “sapessi quanto sono larghe le mie vedute. Ti stupiresti”. Rimase di sasso. Stava giudicando strana l’accoppiata Aomine e Kise ma… a lui non piaceva in senso romantico Tetsuya? Non era forse uguale?
-Beh, sì. In America non è così strano.-
Una risatina sciolse il nervosismo.
-Allora non ti sorprenderà sapere che Midorima ora sta ufficialmente con Takao.-
Per poco non gli uscì il cervello dal naso.
-Eeeeeeeeeehhhh?!?!?!?!-
Riprese un minimo di contegno e guardò l’ex compagno di squadra con gli occhi sgranati.
-Takao si è lasciato abbindolare da quel musone pieno di boria?-
Ancora una volta il suo interlocutore rise. Lo faceva sempre quando parlava con lui di Midorima Shintarou, il tiratore ufficiale della sua squadra delle medie: La Generazione dei Miracoli.
-Ebbene sì, non so i dettagli, ma è una cosa molto recente a quanto mi ha detto Kise. Sembra che sia stata anche abbastanza complicata all’inizio.-
Lui aveva sempre la risposta pronta per tutto, ma in quell’occasione era proprio senza parole. Takao doveva essersi bruciato il cervello sui libri per scegliere di ricadere nelle grinfie del vecchio amore.
-Buon per loro…. No…. Povero Takao…-
Ci aveva provato a fare il diplomatico ma proprio non faceva per lui.
Quando finalmente ebbero parcheggiato e scaricato la macchina era ormai quasi ora di pranzo.
Entrando nel piccolo appartamento Kagami si stupì di tre cose in particolare.
La prima era che il disordine regnava sovrano. La seconda era la quantità di riviste sportive che spuntavano da ogni dove e, più di tutto a sorprenderlo furono le dimensioni della casa.
Probabilmente in otto passi avrebbe potuto attraversare lo spazio da un estremo all’altro. Incredibile.
-Ehm… carino qui…-
Non sapeva cosa dire. Era la piccola disordinata e spoglia casa di uno scapolo che lavorava a tempo pieno, cosa si aspettava?
Si voltò verso Kuroko e lo trovò indaffarato a versare dei croccantini nella ciotola che un tempo, ne era sicuro, era stata di Numero Due. Questo gli diede una rapida occhiata imbarazzata.
-Scusa per il disordine, l’invito non era premeditato altrimenti avrei messo via un po’ della mia robaccia.-
Detto questo si misero al lavoro per rendere il microscopico ambiente abbastanza ordinato da garantire una precaria convivenza. Fu a lavori ultimati che un esausto Kuroko aprì quella che aveva l’aria della porta di una dispensa e, invece, si rivelò essere la porta che conduceva al giardino. Kagami inghiottì ogni giudizio sulla casa. Era piccola, ma in compenso aveva un giardino grande e molto curato.
Uscendo dietro al padrone di casa potè ammirare il prato ghiacciato, le aiole organizzate e gli alberi potati di fresco. Su una rastrelliera, posta in un angolo, stavano in bella mostra decine e decine di attrezzi da giardinaggio. Sorrise immaginando il suo ospite chino a zappare.
Dai Ni correva felice da una parte all’altra inseguendo la piccola pallina gialla che Tetsuya continuava a lanciare con un sorriso indulgente sul volto arrossato dal freddo.
Piccole nuvole di condensa si formavano davanti al suo viso ad ogni respiro e Taiga, ricordando quanto cagionevole e fragile fosse l’amico, si affrettò a rientrare per recuperargli la giacca.
-Mettiti questa, non puoi ammalarti e lasciare i tuoi bambini no?-
Il sorriso di quegli occhi color del cielo si fece più caldo.
-Già, non posso proprio lasciarli. Soprattutto non adesso che devo aiutare una bambina…-
Il sorriso venne oscurato e per un attimo Kagami si chiese che cosa potesse mai affliggere una bimba al punto da far preoccupare così l’empatico maestro.
 
Era strano avere un’altra persona in giro per casa. Certo, gli faceva piacere ed era convinto di aver fatto la scelta giusta ad invitare Kagami, ma non si poteva non notare quanto piccola e inadatta fosse la sua piccola casa.
Avevano sistemato i mobili del soggiorno in modo da lasciare un minimo di spazio vitale attorno al divano letto su cui avrebbe dormito Taiga e dopo un’ora di lavoro era persino riuscito a liberare due cassetti del comò e un’anta dell’armadio per fargli tirare fuori dalle valige almeno i vestiti.
Era una sistemazione temporanea e non proprio comodissima ma meglio di così non potevano fare.
Quella mattina quando suonò la sveglia fece attenzione a non fare troppo rumore. Il soggiorno era un open-space con la cucina e non volendo svegliare il coinquilino che sembrava dormire ancora profondamente, Kuroko decise di fare colazione una volta per strada.
Era una  tipica mattina di fine novembre fredda, grigia e ventosa ma, chissà per quale motivo Tetsuya era di buon umore. Nell’udire lo stomaco brontolare gli sfuggì una risata che produsse piccole nuvole di vapore.
Ormai insegnava all’asilo da qualche anno e aveva imparato ad amare i bambini; non solo a trovarli simpatici o a distinguerne i capricci e i caratteri… lui li amava tutti. Tutti come se fossero figli suoi.
Entrò nella piccola classe colorata ingombra di seggioline e tavolini, tappezzata di disegni, collage, incomprensibili opere d’arte a tempera e ghirlande di carta pesta.
Era così silenziosa in quel momento.
Sospirò mentre qualche pallido raggio di sole filtrava dalle nuvole e faceva la sua magia illuminando la polvere che sembrava sospesa nel tempo e nello spazio.
Suonò la campanella.
In un secondo i tredici bambini che componevano la seconda classe sciamarono all’interno riempiendo il rassicurante silenzio di urla, risate e schiamazzi. Una sola bambina, come al solito, entrò in silenzio, aggrappata all’ormai consunto coniglietto di peluches. Sakura-chan.
Le prime ore del mattino, quando l’aria era ancora troppo fredda per giocare all’aperto, le attività ricreative si svolgevano in aula. Essendo un po’ più grandicelli, i bambini di cui si occupava Kuroko si dilettavano a disegnare, a cantare e a fare piccoli lavoretti manuali sotto la sua supervisione.
Erano le undici quando il paziente maestro fece l’ennesimo giro di controllo tra i tavoli per vedere cosa avessero disegnato i suoi piccoli alunni.
La consegna del giorno era di disegnare qualcosa che amavano in casa loro.
Ne vide di ogni. Qualcuno aveva rappresentato in modo decisamente pittoresco i propri giocattoli oppure la propria televisione; le femminucce, invece, rappresentarono quasi tutte i genitori o le proprie bambole.  Shinjin, un bimbo sveglio e intraprendente, aveva disegnato il cielo che vedeva dalla sua finestra attraverso il cannocchiale.
Una volta aveva affermato che sarebbe diventato un astronauta e che avrebbe portato la sua sposa sulla luna.
Era questo che Tetsuya amava di loro: l’innocenza, la possibilità e la forza di inseguire i propri sogni al di là di ogni difficoltà. La loro età permetteva di credere al fatto che se una cosa era pensabile, allora era anche fattibile, senza eccezioni.
Poi vide il disegno di Sakura-chan, la bimba solitaria che non parlava mai con nessuno e rimase raggelato.
Storte, tremolanti e appena abbozzate, nel suo disegno, erano inconfondibili decine e decine di bottiglie di diversi colori. Bottiglie come quelle che solo gli alcolici  avevano.
Si avvicinò alla bambina minuta e pallida.
-Sakura, come mai hai disegnato tutte queste bottiglie?-
Lo sguardo della bimba rimase basso, ma la sua voce risuonò più nitida e gioiosa del solito.
-Perché quando sono vuote posso giocarci e fanno un bel rumore anche se puzzano.-
Inorridendo al pensiero di una bambina piccola come lei che gioca con delle bottiglie di vetro si prese l’appunto mentale di parlare con la madre alla prima occasione.
Ma quando? La bimba arrivava sempre da sola all’asilo e se ne andava ugualmente sola. Non ricordava di aver mai parlato con nessun parente nemmeno nei giorni degli incontri genitori-insegnanti.
Come doveva comportarsi?
-Colorale bene, mi raccomando!-
Finalmente arrivò l’ora del pasto e dopo aver controllato che tutti si lavassero accuratamente le mani lasciò loro la libertà di aprire i propri cestini del pranzo e  mangiare. Come ogni giorno Sakura-chan aveva solamente una ciotola di riso in bianco con qualche verdura.
Sapendolo, Kuroko aveva comprato, insieme al suo pranzo confezionato, anche una piccola barretta di cioccolato da regalare di nascosto alla piccola.
Il sorriso che gli rivolse afferrando il goloso dolcetto fece sciogliere del tutto il suo cuore.
Avrebbe voluto fare di più per lei.
Nel pomeriggio, approfittando del sole che era spuntato a scaldare un poco l’aria, gli insegnanti decisero di far giocare i bambini all’aperto.
Mentre questi correvano, scavavano, gridavano e ridevano, Tetsuya decise di consultarsi con un collega sulla situazione della sua alunna più taciturna. Mostrò anche il disegno che aveva appena terminato.
-Mmmmmh, non credo questo sia una prova sufficiente per chiamare i Servizi Sociali, però devo ammettere che è abbastanza inquietante.-
Ryunnosuke si grattò il pizzetto biondo. La faccenda impensieriva anche lui.
-Viene a scuola da sola e torna a casa da sola, ha solo quattro anni maledizione!-
Si stava prendendo la faccenda a cuore ma sapeva che Ryu, nonostante avesse qualche anno più di lui amava quelle personcine adorabili esattamente come lui.
E aveva un cuore grande.
Grande abbastanza da aver organizzato un comitato di quartiere che aiutasse i senzatetto nei mesi invernali. Ovviamente Kuroko si era unito volentieri alla causa.
-Aspettiamo ancora qualche tempo per vedere se le cose cambiano. Potrebbe anche essere solo un periodo un po’ travagliato nella sua famiglia.-
Aveva ragione. In fondo si era trasferita da poco e frequentava l’asilo da sole sei settimane. Era possibile che non appena la famiglia si fosse stabilita e sistemata a dovere anche i problemi che sembravano affliggere la piccola Sakura  si sarebbero risolti.
La giornata lavorativa si trascinò verso la sua conclusione e alle cinque in punto, l’orda urlante e schiamazzante che aveva affollato l’edificio a piano singolo dalle pareti giallo limone si disperse per strada.
Chi veniva recuperato dai nonni, chi dai genitori o dai fratelli più grandi, nel giro di qualche minuto
Per strada non rimase più nessuno.
Senza nemmeno togliersi il grembiule che teneva in classe, dopo aver riordinato l’aula, Tetsuya si infilò la giacca e si avviò verso casa. Le giornate erano mai molto corte e nonostante fosse ancora presto il sole era già tramontato.
Quando giunse nei pressi del suo portone i lampioni erano già accesi e una spessa coltre di nuvole scure aveva ricoperto anche gli ultimi spicchi di cielo.
Entrò in casa sovrappensiero e fu accolto da un buonissimo profumo di bucato.
-Ma che…-
Ah. Giusto. Kagami.
Non fece in tempo a pensarlo che dal cortile rientrò un Taiga  carico di lenzuola asciutte e ben piegate.
-Ciao, andata bene al lavoro? Mi sono permesso di fare il bucato, spero non ti dispiaccia-
Accennando un “no” con la testa Kuroko entrò in casa chiudendosi la porta alle spalle.
-G-grazie… -
Non sapeva che altro dire. Era strano fare conversazione anche una volta rientrato dal lavoro.
Pensando a possibili argomenti di conversazione iniziò a spogliarsi come da sua abitudine. Con i vestiti gettati su un braccio e indosso solamente i boxer si voltò per raggiungere la porta della propria camera.
Il suo sguardo incontrò un paio di occhi sanguigni e brillanti come rubini che lo fissavano intensamente.
-S-sc-scusa! Non sono abituato ad avere gente in giro!-
Corse nel suo rifugio sbattendosi alle spalle la porta. Il cuore gli martellava nel petto e l’aria sembrava essersi trasformata in gelatina tanto gli era difficile respirare.
Cosa aveva Kagami? Non lo aveva forse visto nudo migliaia e migliaia di volte a tempi del liceo?
E cosa era preso a lui? Scappare in quel modo come una verginella sorpresa a spogliarsi da un vecchio marpione.
Eppure sentiva ancora il calore di quello sguardo. Sulla pelle della schiena, indugiava una sensazione simile a quella che lasciavano le carezze.
Scosse la testa per darsi una calmata ma non appena vide l’inequivocabile risposta del suo corpo l’agitazione crebbe trasformandosi in panico.
“Che diavolo mi prende? È vero che sono mesi che non mi prendo cura di questo aspetto… ma fino a ieri sembrava andare tutto bene! Che significa?”
Senza pensarci due volte agguantò un grosso asciugamano nero e si fiondò nel bagno senza guardarsi intorno. Tanto valeva occuparsene subito. Entrò nel box doccia e aprì l’acqua.
 
Era stato un pugno nello stomaco in piena regola. Se fosse stato in altre circostanze, non si sarebbe stupito così tanto, ma vedere Kuroko spogliarsi con lentezza scoprendo, un pezzo per volta, il suo corpo pallido e aggraziato  nel bel mezzo dell’ingresso lo aveva colto impreparato.
La luce chiara del lampadario  aveva illuminato la sua carnagione lattea, la schiena su cui i muscoli si intravedevano appena e quelle gambe snelle e scattanti che troppo somigliavano a quelle di una fanciulla.
Lo aveva spaventato.
In quel secondo che gli era servito per ritrovare la padronanza di se stesso aveva incontrato il suo sguardo e vi aveva visto nascere la consapevolezza. Quindi, alla fine si era fatto scoprire?
Prima di agitarsi e peggiorare le cose voleva appurarlo.
Sentì sbattere la porta del bagno e involontariamente la sua mente si riempì di inopportune immagini di Tetsuya nudo sotto al getto di acqua bollente, immerso in una nuvola di vapore caldo che si passava delicatamente le mani sul corpo.
No!
Serrando la mascella come tante, troppe volte aveva fatto durante gli anni del liceo, si impose di restare calmo. Prese un respiro profondo esercitando un ferreo autocontrollo anche  sul suo corpo. Dove poteva nascondersi se all’improvviso si fosse trovato una inequivocabile sporgenza all’altezza del cavallo?
Strinse i denti e fece un passo verso la portafinestra. Voleva uscire per andare a prendere una boccata d’aria fresca quando udì un verso provenire dall’altro lato della casa.
Poi di nuovo, e ancora.
Soffocati dallo scroscio dell’acqua e dalla porta chiusa ma comunque inequivocabili, gli stavano arrivando alle orecchie i lievi, sospirati gemiti di Kuroko.
-Merda!-
Si mosse fulmineo. In un attimo era fuori, in cortile.
Corse fino al punto più lontano dalla porta cercando di scrollarsi dalla pelle e dal cervello quei suoni così sensuali. Non doveva nemmeno abbassare lo sguardo. Sapeva di essere terribilmente eccitato.
Ma che diavolo era venuto in mente a quello scemo di Tetsuya? Come poteva non sapere di avere le pareti sottili?
Non osava nemmeno sistemarsi più comodamente i pantaloni per paura di peggiorare la situazione. Così decise di allenarsi per sfogare le energie represse.
Saltò, corse in circolo, fece piegamenti e salti di ogni genere. Sudò copiosamente ma il suo corpo non voleva saperne di darsi un contegno.
Jr era lì, più che sveglio e pronto all’azione. Sfregava contro i calzoni mandandogli piccoli brividi su per la spina dorsale. No. Non andava bene.
Fortunatamente quando un arrossato e alquanto tranquillo Kuroko si affacciò a cercarlo era riverso a terra a far flessioni.
-Non ti vedevo dalla finestra. Se vuoi, la doccia è… sì… è libera.-
Annuendo con quello che sperava essere un sorriso rassicurante si lasciò cadere restando prono sull’erba gelata.
-Grazie… finisco questa sessione e vado a farmi la doccia. Ne ho proprio bisogno.-
La serata proseguì tranquilla e silenziosa. Il padrone di casa soleva leggere prima di andare a letto, quindi, accoccolandosi su un angolo del divano si immerse in un libro che aveva sia l’aria che un titolo noiosi: “La cospirazione delle colombe”. Dal canto suo, un po’ meno agitato grazie al siparietto nella doccia, Kagami faceva zapping. 
Le immagini scorrevano sullo schermo e le persone dialogavano senza che lui vi prestasse davvero attenzione. Cavolo. La consapevolezza che a pochi centimetri da lui si trovava l’oggetto del suo desiderio, lo metteva in allarme.
Fece un salto quando il suo telefono squillò.
Un numero sconosciuto brillava sul display. Incuriosito rispose.
-Pronto?-
Una voce fin troppo familiare e indolente gli arrivò in risposta.
-Straniero, ho saputo che hai battuto in ritirata e adesso stai in terra Nipponica. Come te la passi?-
Shintarou Midorima lo aveva chiamato per sfotterlo?
Stava per rispondergli a tono quando l’altro aggiunse.
-Se ti va domani potresti passare nel mio studio a farti dare un’occhiata.-
Quell’offerta giunse così inaspettata e posta in modo sorprendentemente gentile che Taiga non potè far altro che accettare .
Dopo qualche convenevole di rito la chiamata finì.
-Chi era?-
A riscuoterlo fu il tono curioso e leggermente ostile di Kuroko. Lo guardava dritto in faccia, senza il minimo segno di dubbio.
-Era Midormia. Mi ha invitato a fare un salto da lui in studio a farmi controllare il ginocchio. A quanto pare sa anche essere gentile a volte.-
-È ovvio che sappia essere gentile… e… ricordati quel che ti ho detto sulle confidenze di Kise. Tu non dovresti sapere nulla.-
Esasperato dall’insistenza della richiesta con più enfasi di quanto volesse Taiga rispose:
-Certo! Certo! Io non so niente! Lo scimmione nippo-americano deve fare il bravo animaletto e tacere. Lo so!-
Cavolo. Aveva esagerato.
Senza dire una parola Tetsuya si alzò dal divano, mise a posto il libro e andò verso la sua camera chiudendosi piano la porta alle spalle.
Quando la porta si chiuse con un suono leggero Kagami lasciò andare il fiato. “Ma che mi prende? Non devo essere così brusco e maleducato. Ci sta provando. Mi sta ospitando anche…”.
Per un attimo gli balenò in testa Kuroko, lo stesso che ricordava dai tempi del liceo:  la pelle candida, i capelli tanto chiari da sembrare quasi bianchi, la voce bassa e tranquilla, perfino i tratti del suo viso erano… pacati, ma una cosa era assolutamente fuori dal comune: i suoi occhi. Il colore del cielo sembrava sbiadito a confronto, erano così limpidi e pieni di parole non dette, brillanti di ironia e affetto per chiunque incontrasse. Cavolo, erano troppo azzurri quegli occhi.
E lui li amava.
Amava come luccicavano di entusiasmo e come ardevano colmi di rabbia; ricordava quanto erano belli anche attraverso le lacrime e come si arrossassero facilmente. Li rivedeva ancora ridenti e pieni di amore quando si posavano su Nunero Due e sbiaditi, opachi nell’attimo prima di chiudersi al mondo e rifugiarsi nel sonno. Persino suo fratello ne aveva notato l’intensità.
Quel pensiero richiamò alla mente il viso familiare dell’amico con cui aveva condiviso la passione per il basket e con cui aveva giocato innumerevoli partite oltreoceano.
Tornando davanti alla tv prese il cellulare e scrisse un messaggio a colui che considerava in tutto e per tutto un fratello: Tatsuya Himuro.
“Ciao Aneki, sono finalmente tornato in Giappone, al momento vivo a casa di Kuroko, tu come te la passi? Riusciremo a vederci? L’ultima volta che sono venuto dovevi presenziare ad una mostra di tuoi dipinti e non siamo riusciti a incontrarci ma io non mi sono dimenticato che mi devi una birra. A presto. Taiga”
La risposta non tardò ad arrivare.
“Ciao Taiga! Nemmeno io ho dimenticato la birra che ti devo! E sono felice di annunciarti che esporrò i miei quadri a Tokyo tra dieci giorni! L’apertura della mostra ci sarà il 12 Dicembre e si concluderà con un grande evento il 22. Ti aspetterò! Tatsuya.”
Sorridendo al pensiero di quanto la vita sua e di Himuro fosse cambiata rispetto a tanti anni prima Kagami  preparò il letto e si stese.
Nel silenzio e nella penombra del piccolo salotto che usava temporaneamente come stanza da letto si prese del tempo per osservare l’arredamento minimalista scelto dal padrone di casa. La libreria era l’unico mobile degno di nota, era grande, robusta e sembrava davvero pesante ingombra com’era di volumi di ogni genere, forma e dimensione.
Kuroko aveva sempre amato leggere, subito dopo il basket, per lui venivano i suoi adorati libri. Non era raro vederlo leggere per strada mentre rientrava dagli allenamenti e immancabilmente, essendo sbadato, inciampava o andava a sbattere contro qualche ostacolo inanimato procurandosi ridicoli bernoccoli. Sorrise al ricordo.
Amava le storie, amava i lieto fine e aveva sempre creduto che per tutti ci fosse un finale migliore se solo lo avessero perseguito con decisione e impegno. In pratica, tutta la sua vita era stata un inseguimento del proprio lieto fine. Chissà se si considerava a buon punto.
Non poteva immaginare una persona migliore di lui. Era un figlio attento e presente, uno studente diligente, uno sportivo serio e un amico sui cui poter contare. Contro ogni pronostico era diventato un maestro d’asilo e da quel che aveva intuito dai suoi racconti, doveva essere molto amato dai suoi piccoli studenti e, non contento, faceva volontariato. Cavolo, più ci pensava più una persona come lui diventava unica. Non era semplicemente rara.
I sensi di inferiorità tornarono a galla e, come anni e anni prima, si chiese come avesse fatto a coltivare la segreta speranza di piacere romanticamente ad un angelo come Kuroko. Lui era goffo, rabbioso e tutt’altro che gentile.
Diamine, sembrava il diavolo.  
E per di più il diavolo ora viveva da nullatenente in casa del cittadino modello. Non a scrocco, certo… però, a parte i lavori di casa e poco altro, la sua presenza in quella casa era inutile.
Avrebbe potuto cercarsi un lavoro, i soldi non gli mancavano di certo, ma le giornate erano pur sempre composte da ventiquattr’ore e, a ventotto anni, senza nulla da fare, erano irrimediabilmente infinite.
Poteva cercare un lavoro che non fosse sedentario e per cui fosse predisposto. Certo, il basket era fuori questione. Ormai aveva deciso di lasciare. Lo avrebbe relegato a semplice hobby.
Magari poteva entrare come Aomine in polizia, o diventare un carabiniere…
Con questi pensieri in testa si addormentò.
 
Tetsuya aveva dormito male. Sentiva il collo rigido e la testa ovattata, gli bruciavano gli occhi e la luce del sole peggiorava la situazione. A tentoni si vestì e barcollò fino all’asilo.
Non si era aspettato che Kagami potesse reagire in quel modo. Sì, erano secoli che non stavano a stretto contatto come lo erano in quel momento ma non si erano mai creati alcun problema; anzi, erano sempre andati sorprendentemente d’accordo.
Alla fine non gli aveva chiesto scusa per essere stato assillante e nemmeno per la sua scarsa loquacità.
Continuando a rimuginare Kuroko entrò in classe. Era ancora presto e come al solito si perse a guardare la cacofonia di colori che regnava sovrana. Eppure, per qualche strano motivo, non lo tranquillizzò come succedeva sempre.
Al suono della campanella i soliti bambini entrarono rumorosamente. Tra le urla e le risate il suo umore strano si dissolse.
Essendo bel tempo lui, Ryu e gli altri due insegnanti decisero di portare subito i bambini  in cortile, così le ore del mattino volarono tra un gioco e l’altro.
Quando c’erano quelle giornate così belle e limpide da sembrare finte, anche gli insegnanti si divertivano a stare in giardino, si improvvisavano maghi, giocolieri e inventavano giochi.
In un attimo arrivò mezzogiorno e Kuroko si prodigò a riportare in classe i suoi piccoli studenti, fece attenzione a far lavare le mani ad ogni singolo bambino e solo quando tutti furono puliti e sistemati diede loro il permesso di pranzare.
Come sempre la piccola Sakura, seduta solitaria nel suo angolino, sbocconcellava l’ennesima scodellina di riso bianco e, di nuovo, il maestro le allungò un dolcetto ricevendo in cambio un piccolo sorriso segreto.
Era la prima volta che la vedeva sorridere. La piccolina sembrava sempre una bambola: pallida, con la pelle liscia delle guance tanto candida da riflettere fiocamente la luce, gli occhi di un verde tanto penetrante e pulito da ricordare i germogli primaverili circondati da lunghe e folte ciglia ricurve.
Il sorriso le aveva disteso i lineamenti solitamente corrucciati trasfigurandola.
Non era più una bambola inquietante di fredda porcellana, ma una bambina dal cuore tenero che tentava di difendersi dal mondo.
Finito l’abbuffata Tetsuya distribuì alcuni disegni da colorare e nel silenzio che regnava interrotto solo dal raschiare delle punte dei pennarelli iniziò la lezione pomeridiana. Vista la relativa tranquillità, ad un certo punto Kuroko si sedette alla cattedra e si mise a leggere. Ogni tanto alzava gli occhi per controllare le sue amate  pesti e sempre le trovava lì, intente a colorare le varie forme cercando di rimanere nei margini.
Di punto in bianco  l’inconfondibile suono di un pianto in arrivo.
Nel giro di un secondo il maestro corse vicino a Minami, un ragazzino vivace e dalla lingua tagliente che aveva iniziato a piangere disperato tenendosi una gambetta grassottella.
-Cosa è successo qui?-
Gli doleva il cuore ogni volta che qualcuno di loro piangeva. Le labbra rosee e tremule del bimbo aspiravano l’aria a singhiozzo e le guance rosse erano striate di lacrime.
-S-sakura-chan… mi ha dato un calcioooo…-
Ancora lacrime e lamenti.
Tenendo il piccolo stretto al petto Kuroko alzò lo sguardo in cerca della bambolina solitaria. Non credeva che la bimba fosse manesca, anzi, era certo che non lo fosse, ma allora perché avrebbe dovuto dare un calcio a qualcuno?
Gli mancò un battito quando non vide traccia della bambina.
-Maestro, Sakura-chan è uscita dalla classe senza permesso.-
Shiori, un graziosa biondina tutta sorrisi e dolcezza indicò la porta dell’aula semiaperta.
Nel frattempo, visto che l’interesse del maestro non era più rivolto al suo inconsolabile dolore, Minami aveva ripreso a colorare il suo disegno apparentemente dimentico dell’ atroce pena.
-Ragazzi, io vado a cercare Sakura-chan, voi dovete promettermi di restare qui in classe seduti a colorare. Va bene?-
Detestava lasciarli lì, ma l’idea che la sua bambina più piccola e timida fosse in giro per l’asilo da sola, lo metteva in agitazione.
Uscì correndo dalla classe e percorse in fretta un corridoio.
-Kuroko-san, cosa ci fa qui?-
Che fortuna, uno dei tirocinanti della scuola per insegnanti che finalmente capitava al momento giusto.
-Kyotaro Suzuki-san… giusto?-
L’altro annuì.
-Ho bisogno che tu vada nella mia classe a tener d’occhio i bambini. Una di loro è uscita senza permesso e chissà dove si è cacciata.-
-Subito!-
Senza perdere tempo il ragazzo corse via e quando sentì il rumore della porta aprirsi e chiudersi Tetsuya tirò un sospiro di sollievo. Restava solo da cercare Sakura-chan.
Girò la struttura da cima a fondo, controllò nei bagni, nelle aule speciali, nelle altre classi e persino negli sgabuzzini. Nulla. Sembrava essere sparita nel nulla.
Non poteva aver lasciato l’asilo perché l’unica entrata era sorvegliata dal custode.
Proprio mentre cercava di farsi venire in mente un altro posto in cui cercare la piccola fuggitiva suonò l’allarme antincendio.
Nel giro di un minuto dalle aule uscirono file ordinate di bambini che sciamarono nei corridoi mantenendo un ordine militaresco. Facendo scorrere gli occhi sulla gnomica folla Kuroko fu pervaso dal terrore quando capì che Sakura non era lì.
In fretta  chiamò Ryu e mentre questi scortava i bambini verso l’uscita gli spiegò cosa stava succedendo e di avvisare i vigili in caso fossero arrivati prima che lui fosse uscito. Questi, visibilmente preoccupato gli intimò di sbrigarsi.
Correndo lungo i corridoi ormai vuoti Tetsuya chiamava la bambina gran voce ma non ricevette mai risposta.
Passarono una decina di minuti e l’edificio iniziò a riempirsi di fumo. La preoccupazione si trasformò in urgenza e poi in panico.
-Sakura! Rispondi! Sono il maestro Kuroko! Vieni fuori per favore, è pericoloso!-
La sua voce rimbombava nell’edificio silenzioso.
All’improvviso, quando ormai il senso di soffocamento era diventato insopportabile, sentì dei colpi di tosse.
Rinnovando la determinazione a trovare la bambina nonostante la mente iniziasse ad annebbiarglisi, iniziò a seguire quei versi struggenti e convulsi.
Provenivano dall’ala degli uffici. Non aveva ancora guardato lì perché i bambini non avrebbero nemmeno dovuto sapere come arrivarci.
Man mano che si avvicinava all’archivio il calore dell’aria si faceva più intenso e il fumo più denso che mai. Gli bruciavano gli occhi e avanzando a tentoni raggiunse la stanza dei colloqui. Vuota. Corse alla finestra e la spalancò beandosi dell’aria fresca e pulita che gli riempì i polmoni intossicati.
Tese le orecchie e ancora udì la bambina tossire.
-Sakura! Dove sei?-
Si precipitò nuovamente in corridoio tenendosi la manica della camicia premuta sul naso per respirare meno fumo.
Chiamò e chiamò ancora il suo nome ma non ottenne alcuna risposta. Il silenzio era irreale.
Controllò tutte le stanze, una dopo l’altra e ormai era disperato quando, in una ventata le fiamme arrivarono in corridoio isolandolo dal resto dell’edificio.
Il calore sul viso era insopportabile, gli occhi gli lacrimavano e a stento vedeva qualcosa a causa del fumo nero e denso che invadeva l’ambiente.
Aveva aperto ogni finestra ma non bastava a dissipare la cappa rovente. Vagando alla cieca si ritrovò a pensare che c’era una sola stanza che non aveva controllato. Il magazzino.
Era una stanza senza finestre nel cuore dell’edificio, con una porta piccola e scura. Veniva usata come ripostiglio per i materiali didattici.
Sforzandosi di mantenere la lucidità corse, o meglio barcollò, fino alla porta nera mentre le fiamme, seguendo la corrente d’aria creata dalle finestre aperte, iniziarono a risalire verso di lui ad una velocità spaventosa.
Inghiottendo il panico aprì la porta e si tuffò all’interno sbattendosela alle spalle.
Era buio pesto, il fumo si mescolava all’odore di cancelleria e di chiuso. Cercando di abituare gli occhi all’oscurità, Kuroko fece qualche respiro profondo cercando di riattivare il cervello.
Fu un errore.
Il fumo acre gli invase la gola e per un attimo lo soffocò.
Quando aprì nuovamente gli occhi si accorse di riuscire a intravedere gli alti scaffali che ricoprivano ogni parete e in un angolo, raggomitolata e priva di sensi, la piccola Sakura.
La mente confusa lo fece muovere a rallentatore; si accucciò vicino a lei, la prese tra le braccia e, assicurandosi che respirasse ancora, le legò un fazzoletto sul viso in modo che le coprisse naso e bocca. Poi la strinse a sé e cercò di elaborare un piano per scappare da quell’inferno.
Le fiamme bloccavano la porta, poteva vedere la sagoma rossastra stagliarsi nel buio come un monito infernale.
Non c’erano altri accessi alla stanza e gli era sempre più difficile restare cosciente.
-Tetsuya!-
Una voce forte, inconfondibile. Taiga.
Cosa ci faceva lì? Perché era entrato?
-Kaga…mi…-
Non aveva più forze, la gola riarsa bruciava come se gliel’avessero grattata con la carta vetro.
Ma ne andava della sua vita, e di quella di Sakura. Non seppe dove, ma trovò la forza di gridare:
-Kagami! Siamo qui!-
Mentre collassava debole sul pavimento polveroso non sentiva più il corpo e nemmeno il confortante peso della bambina che teneva tra le braccia. Un unico pensiero gli attraversò la mente: “voglio rivederlo. Voglio che sappia quanto è importante per me…”
Proprio mentre ogni residuo di coscienza lo abbandonava e il buio calava impietoso sul  mondo, la piccola porta si spalancò inondando del chiarore delle fiamme lo spazio buio. La sagoma alta e prestante di Taiga si stagliava sullo sfondo infuocato.
-Kuroko!-
 
Lo aveva sentito uscire, anzi, aveva ascoltato i lievi rumori che aveva fatto vestendosi e i suoi passi felpati mentre passandogli accanto andava alla porta. La cosa che in assoluto lo aveva colpito di più e anche lasciato senza parole era stata la lieve carezza, tanto impalpabile da sembrare il residuo di un sogno, che aveva sentito sulla guancia.
La mano fredda di Tetsuya lo aveva sfiorato con la delicatezza di un petalo e con una tenerezza infinita.
Cosa significava? Che era dispiaciuto per la sera? Che era dispiaciuto di averlo fatto arrabbiare?
Quando la porta di casa fu chiusa e i passi si furono allontanati, Kagami aveva aperto gli occhi e, alla luce del sole che filtrava dalle tende chiese la forza di sperare ancora.
Sperare che tutti quegli anni d’amore non corrisposto potessero in qualche modo coronarsi nel lieto fine che Kuroko pensava esistesse per tutti. Chiese, pregando a cuore aperto, che se qualcosa doveva andare per il verso giusto, quel qualcosa fosse il suo rapporto con Kuroko.
Si perse a sognare ad occhi aperti, immaginando come sarebbe stata la sua vita se Tetsuya avesse corrisposto i suoi sentimenti.
Dormire abbracciati, pelle contro pelle, la sua bollente contro quella fresca e serica dell’amato, accarezzarsi nella doccia senza imbarazzo, lasciando scivolare via la schiuma e sostituendola con tenere carezze.
Poteva quasi sentire la morbidezza delle sue labbra sulle proprie, il dolce sapore della sua bocca liscia… Cambiò intenzionalmente il corso dei suoi pensieri per non sconfinare in un territorio fin troppo scottante.
Diamine, lo voleva. Quante volte aveva fantasticato in quel modo quando era lontano, nel buio solitario delle sue notti? Quante volte aveva cercato di non pensare che a procurargli piacere non era la sua stessa mano ma quella di Kuroko? O la sua bocca?
Quante volte si era arreso all’orgasmo invocando a mezza voce il suo nome?
Si alzò cercando di non lasciarsi sommergere dallo sconforto. Quelle erano solo fantasie. Stupide fantasie frutto della sua incrollabile utopica speranza.
Era proprio il caso di arrendersi all’evidenza.
Nonostante il grande affetto e la profonda amicizia che gli dimostrava Tetsuya, non c’era altro e non ci sarebbe mai stato altro.
Lavatosi il viso Taiga si vestì, riassettò il salotto, spazzò i pavimenti e, continuando a rimuginare, finì per tirare a lucido tutta la casa. Non avendo altro da fare decise di andare da Midorima, la cui gentile offerta ancora lo stupiva.
Una mezz’oretta più tardi con lo stomaco pieno di panini, giunse finalmente a destinazione. Lo studio si trovava al piano terra di un palazzo residenziale, la porta d’ingresso era aperta e decine di sedie vuote ingombravano l’ingresso su cui davano tre porte.
-Midorima..?-
Kagami non sapeva dove andare.
-Ciao straniero!-
Kazunari Takao, sporgendosi dalla porta sulla destra, gli sorrideva. Ma che diavolo ci faceva lì?
-Ciao, mi aspettavo…-
La risata del moretto lo interruppe.
-Aspettavi Shin-chan, vero? Arriva subito, sta rimettendo a posto la spalla lussata di un karateka.-
Nemmeno il tempo di dirlo ed eccolo comparire, seguito da un pallido ragazzone che aveva l’aria di poter svenire da un momento all’altro.
-Eccoti. Vieni, entra.-
Di poche parole come al solito.
La sala visite era spaziosa, con due diversi lettini, un’enorme scrivania nera e alcuni armadietti bianchi come le pareti. Alle spalle della scrivania l’intera parete era una finestra che si affacciava sul cortile interno del palazzo; un’area verde con aiuole curate e un’area dedicata ai bambini.
-Bello qui.-
Cavolo. Gli era sfuggito dalle labbra.
-Grazie. Accomodati qui e sfilati i pantaloni se non ti dispiace. Diamo un occhiata a quel vecchio ginocchio.-
Kagami si slacciò la patta iniziando rapidamente a calarsi i pantaloni quando, proprio di fronte alla finestra, ecco apparire una vecchia signora. Arrossendo per l’imbarazzo il giovane si affrettò a rivestirsi.
-Non può vederti, i vetri fuori sono a specchio.-
La voce di Shintarou era velata  di ironia.
Le mani del medico erano delicate  sulla sua pelle e le sue domande mirate e competenti. Gli esaminò la piccola cicatrice rosea, gli mosse la gamba più e più volte in molti modi differenti e infine annuì.
-Immagino ti abbiano messo nelle mani dei migliori. Il tuo ginocchio è come nuovo, se non fosse per la cicatrice e per ciò che mi hai detto non si direbbe che l’infortunio risalga a poco più di otto mesi fa.-
Taiga ridacchiò ripensando al panico dell’allenatore e del suo manager quando era stato portato via dal campo in barella e al loro scoraggiamento quando il bollettino medico aveva annunciato al mondo la rottura del legamento crociato. In molti lo davano per finito ma un po’ la sua tempra e un po’ la sua straordinaria sopportazione del dolore nelle prime settimane di fisioterapia gli avevano permesso di tornare come nuovo. O quasi.
Se il ginocchio era tornato quello di prima la sua testa non era più la stessa.
-Sì, dai migliori in assoluto.-
L’altro lo osservò per un lungo momento in silenzio.  Gli occhi verdi dietro le lenti erano imperscrutabili e la linea severa delle labbra non lasciava intuire nulla sulla linea dei suoi pensieri.
-Perché il ritiro?-
Una domanda che si era sentito porre fino allo sfinimento eppure, fino a quel momento, gli era sempre stata posta per i motivi sbagliati. Midorima sembrava aver intuito qualcosa.
-Immagino che la parola “panico” in qualche modo non sia sufficiente a spiegarlo. Sì, è vero, ho paura che tornando a giocare sconsideratamente come facevo io possa rischiare altri infortuni, ma più di quello…-
Fece una pausa cercando per la prima volta di spiegare il grumo di emozioni che aveva dentro.
-… se smetto ora di essere un pazzo sconsiderato, il basket potrà sempre far parte della mia vita… invece…. se per caso mi facessi seriamente male… dovrei abbandonarlo per sempre e non solo a livello professionale.-
Ancora un respiro profondo e poi:
-Io amo il basket perché posso giocare con quelli che reputo i miei più cari amici, il resto è un fortunato “di più”; rinunciare alla carriera sportiva non è poi una gran cosa, ho già dato… ma rinunciare alle partite con Kuroko… con te e con gli altri… questo sì che sarebbe tremendo.-
Il silenzio che seguì le sue parole era carico di tutte quelle emozioni che non avevano un nome ma che entrambi sapevano essere dannatamente importanti.
-Capisco. Quindi ora cosa farai?-
Già, bella domanda.
-Suppongo che cercherò un lavoro normale e mi costruirò una vita normale.-
L’altro annuì e proprio in quel momento qualcuno bussò alla porta e la testa di Takao fece capolino.
-Shin-chan, è arrivato il Professor Takeda. Lo faccio accomodare in sala d’aspetto o avete finito?-
Kagami passò lo sguardo dall’uno all’altro. Non sembravano stare insieme, anzi, gli sembravano sempre i soliti.
Probabilmente i suoi pensieri erano facilmente intuibili perché il medico. osservandolo attentamente, disse:
-Abbiamo finito Takao. Aspetta solo un minuto che Taiga si rivesta.-
Fece una pausa e, prima che l’assistente chiudesse la porta…
-Ah, Takao. Ti ho detto mille volte che quando bussi devi aspettare che io ti dia il permesso di entrare. Stasera ti punirò a dovere, in modo che così tu possa ricordarlo per le volte successive.-
Sotto lo sguardo perplesso dell’ex cestista la pelle di Kazunari Takao assunse una sfumatura molto simile a quella delle Mele Fuji: rosso scarlatto.
-Sh-Shin-chan…-
Ok. Decisamente stavano insieme e aveva appena scoperto un lato di Midorima che mai avrebbe immaginato esistesse. Si ricompose in tutta fretta e salutando frettolosamente con la promessa di organizzare una serata da passare insieme fuggì da quello strambo ambulatorio.
Respirando l’aria fresca di inizio Dicembre si incamminò verso casa quando, all’improvviso lo colse una strana urgenza.
Infastidito dalla sensazione sgradevole accelerò il passo senza sapere per quale motivo si sentisse così.
Ancora qualche passo frettoloso poi si mise a correre mentre cercava di chiamare Kuroko. Gli aveva assicurato di avere sempre il telefono a portata di mano e di non preoccuparsi degli orari.
Squillò e squillò a vuoto. Nessuno rispose.
Corse ancora e ancora fino a quando non giunse all’altezza di casa loro. C’era molta gente e in fondo alla strada sciamavano decine di bambini. In cielo una nuvola nera di fumo.
Un pensiero terribile gli attraversò la mente.
Riprese a correre facendosi largo tra la folla e quando giunse a destinazione non potè credere ai propri occhi.
Buona parte della struttura era avvolta dalle fiamme. Subito si mise a cercare con lo sguardo l’unica persona di cui gli importasse più della sua stessa vita. Non vi era ombra ti Tetsuya.
Addocchiò uno dei maestri dell’asilo che verosimilmente avrebbe potuto dirgli dove diavolo si fosse cacciato quello sconsiderato.
-Scusami… sto cercando il maestro Kuroko…-
L’altro, per quanto agitato e sotto shock assunse una espressione che gli fece crollare il mondo addosso.
-Kuroko… non è ancora uscito… stava… stava cercando una bambina… Sono passati già dieci minuti… i pompieri dovrebbero arrivare ma…-
Non voleva sentire altro.
Allontanandosi dalla folla inflò la testa sotto il getto della fontanella posta in un angolo del cortile. L’acqua gelida gli bruciò la pelle. Sfilandosi la giacca e la felpa di nylon si adoperò a bagnare anche tutti i vestiti che aveva indosso.
Così, gocciolante e gelato aggirò l’assembramento di gente e costeggiando l’edificio individuò una finestra aperta, e poi un’altra, e un’altra ancora.
Guardando all’interno vedeva solo fumo e il chiarore sinistro delle fiamme, il crepitio del fuoco era assordate ma per un attimo, al di sopra del rumore sentì la voce di Kuroko che chiamava tossendo il nome di qualcuno.
Ancora prima di pensare a un piano scavalcò il davanzale e si gettò a capofitto in corridoio.
Il calore era insopportabile, i suoi vestiti stavano già iniziando ad asciugare e l’aria densa rendeva difficile respirare.
Percorrendo qualche metro cercò di guardarsi attorno, tutte le stanze avevano le finestre aperte e in cuor suo sperò che fosse stato Tetsuya ad aprirle.
Tese l’orecchio alla ricerca di un indizio, anche il rumore più flebile, che gli dicesse che lui era ancora vivo e che stava bene ma sentiva solamente la voce del fuoco. Imprecando e tossendo continuò a perlustrare ogni stanza, ad aprire ogni porta. Ma il risultato non cambiava mai.
Tutte le volte che abbassava una maniglia la speranza gli fioriva nel petto per poi spegnersi di fronte all’evidenza.
Poi un rumore. Una parta sbattuta, dei colpi di tosse convulsi. Poi il silenzio.
Rinvigorito da quel piccolo segnale Kagami riprese ad avanzare incurante del calore, dimentico delle fiamme che sembravano seguire il suo cammino.
Si trovò davanti un nuovo corridoio, corto, spoglio, invaso dalle fiamme tra cui spiccava un’unica piccola porta nera. Un ultimo colpo di tosse. Poi il silenzio.
No! Non era finita. Lo avrebbe salvato. 
-Kuroko!-
Non aspettava altro che la conferma della sua presenza. Passarono i secondi e gli sembrarono ore, poi…
-Kagami! Siamo qui!
Gettandosi tra le fiamme a testa bassa promise a se stesso che se fosse riuscito a salvarlo gli avrebbe confessato ogni cosa.
La pelle gli ardeva e aveva la sensazione che le fiamme lo stessero divorando ma, in qualche modo, riuscì  a raggiungere e a spalancare la porta.
Lo accolse il buio, squarciato dalla fioca luce infernale delle fiamme dietro di lui e lì, tra gli alti scaffali, accasciato con una bambina tra le braccia inermi, c’era Kuroko.
Fece in tempo e vedere il suo viso distendersi dal sollievo e quegli troppo azzurri occhi brillare di gratitudine un attimo prima di chiudersi.
-Kuroko!-
Precipitandosi all’interno e crollando in ginocchio accanto a lui Kagami lo prese tra le braccia.  Per un attimo lo strinse a sé e tutto il resto scomparve.
Fu un piccolo colpo di tosse a riscuoterlo. Abbassando lo sguardo incontrò due grandi, curiosi occhi verdi. La bambina era impolverata, aveva legato sul viso un fazzoletto che la aiutava a non respirare il fumo acre e lo guardava.
-Sei un amico del maestro Kuroko?-
Che vocina roca e debole! Gli si strinse il cuore a sentirla, così senza pensare allungò una mano e prese tra le dita la sua piccola manina.
-Sì, sono venuto a prendervi e a portarvi via di qui.-
Sakura si guardò attorno e poi, inaspettatamente avvicinò il visino sporco a quello pallido di Tetsuya.
-Il… maestro sta bene? È venuto a cercarmi..-
Kagami ebbe un moto di tenerezza nei confronti di quella donna in miniatura che si preoccupava di aver messo in pericolo il proprio adorato maestro. Con la mano libera scostò i capelli dal viso sudato dell’incosciente oggetto di tutte le loro attenzioni.
Era ora di muoversi, il fumo aveva riempito la stanza e le fiamme stavano divorando la porta ad una velocità disamante. Guardandosi attorno Taiga si rese contro che non c’erano vie d’uscita.
“Pensa, pensa, pensa maledizione!”
E proprio quando stava per arrendersi una delle pareti che rendevano la stanza una trappola per topi crollò.
Approfittando della via d’uscita, e soprattutto dell’apparente distanza delle fiamme, prese di peso Kuroko e la bambina gettandosi fuori da quella stanza maledetta. Da lì forse sarebbero riusciti a uscire.
 
La coscienza tornò per gradi. Sentiva i suoni, le voci ed era sicuro di aver sentito quella di Kagami. Cercò di riemergere da se stesso ma non trovava i propri occhi e nonostante fosse consapevole di respirare, non riusciva a capire come far arrivare le parole alla bocca.
-…roko! Kuroko! Svegliati, siamo fuori, sei al sicuro adesso!-
Oh, di nuovo la voce di Taiga,  ma aveva qualcosa di strano. Era roca, bassa, meno penetrante del solito.
-Maestro Kuroko svegliati! Stiamo bene!-
Se avesse saputo dove fosse la bocca avrebbe tirato un respiro di sollievo. Sakura-chan era al sicuro. Stava bene.
Qualcosa di fresco gli si posò sulla fronte e all’improvviso la consapevolezza del proprio corpo tornò.
Aprì gli occhi e fu accecato dalla luce del giorno. Sopra di lui il cielo era di tutte le sfumature del rosso e del viola. Poi nel suo campo visivo entrarono due visi familiari e decisamente sollevati.
Due forti braccia lo strinsero contro un petto ampio e duro.
-Dio, meno male che sei salvo. Se non fossi riuscito…-
La voce del suo migliore amico si ruppe prima di perdersi nel silenzio. I suoi occhi di rubino brillavano di lacrime trattenute. Quella visione gli trafisse il cuore come un pugnale. Si riscosse solo quando Kagami lo aiutò a tirarsi su.
Si ritrovò seduto sull’erba del cortile, i pompieri stavano tentando di spegnere le fiamme, la folla che assisteva al rogo era incredibilmente silenziosa mentre osservava il fuoco divorare l’edificio che era stato come una seconda casa per così tante generazioni.
Era un momento incredibilmente triste, eppure, Kuroko non riusciva a trattenere la gioia di essere vivo, la consapevolezza di dovere a Taiga molto più di un grazie, molto più di quanto le sole parole potessero esprimere. Spostò lo sguardo su di lui.
Era coperto di cenere, la maglietta era bruciacchiata così come i pantaloni e la pelle arrossata in più punti, ma la cosa che attirò la sua attenzione fu la dolcezza con cui teneva Sakura tra le forti braccia.
La piccola, dimentica della timidezza che era solita sfoggiare, teneva il capo appoggiato contro il suo petto, gli occhi chiusi.
Seguendo il suo sguardo l’altro commentò:
-È stata davvero coraggiosa. Era anche preoccupata per te. Immagino che sia stanchissima.-
Le sue parole appena sussurrate incorniciarono quel quadretto perfetto.
Dopo quelle che sembrarono ore l’incendio fu spento, il buio ormai nascondeva lo scempio che era rimasto dello splendido asilo.
Tutti i bambini furono portati via dalle rispettive famiglie; tutti tranne Sakura. Nessuno era venuto a prenderla nonostante l’ora tarda.
-Come mai nessuno è venuto?-
La voce di Kagami era bassa per non svegliare la bimba che teneva tra le braccia mentre con lo sguardo le accarezzava il visino sporco di cenere.
-Non viene mai nessuno. Torna a casa da sola.-
Allontanandosi dall’edificio Kuroko spiegò all’amico la situazione della piccola, o almeno quello che era riuscito a intuire nel poco tempo che aveva avuto per conoscerla. Alla fine del suo racconto l’altro tremava di rabbia, gli occhi in fiamme.
-Come si più mettere al mondo un figlio e poi lasciarlo vivere in questo modo? Come si fa a non amare una creatura così fragile e graziosa?-
Le braccia strinsero la presa sul corpicino addormentato.
Anche Tetsuya tremava di rabbia al pensiero che i genitori non si fossero presentati nonostante la chiamata telefonica dei suoi colleghi.
Mosso da una determinazione di ferro, nonostante il dolore alla testa, il bruciore alla gola e la sensazione di galleggiare piuttosto che di camminare, aveva cercato l’indirizzo sul registro di classe e adesso, insieme ad un infuriato e altrettanto stanco Kagami, stava riportando la bambina a casa per accertarsi coi propri occhi della situazione.
La casa di Sakura non era lontana, il palazzo rinfrescato da poco era di un verde brillante che quasi feriva gli occhi, l’androne era aperto così i due salirono le scale e, arrivati al quarto piano più provati del previsto, pregarono di trovare qualcuno in casa.
Kuroko suonò il campanello una decina di volte ma sembrava non esserci nessuno. Stava per arrendersi quando, finalmente, la porta si aprì.
Una donna spaventosamente magra occupò la porzione di spazio liberato dalla porta semiaperta.
Aveva gli occhi infossati e opachi, le labbra screpolate e tra le mani stringeva spasmodicamente il collo di una bottiglia.
-Chi shiete?-
La zaffata alcolica che li investì quasi fece rimettere Kuroko sullo zerbino.
-Sono il maestro di sua figlia, c’è stato un incendio e dovrebbe aver ricevuto la chiamata di un mio collega che le richiedeva di venire a prendere la piccola.-
La donna si strinse nelle spalle con un’espressione annoiata.
-E allora? Shakura torna da shola. Grazie a Dio ha imparato finalmente.-
A quel punto la rabbia ebbe il sopravvento.
-Si rende conto che sua figlia ha rischiato di bruciare viva dentro la scuola? Non capisce la gravità della situazione?-
La voce roca rovinava la paternale ma le parole furono comunque chiare abbastanza da superare la nebbia dell’ubriachezza nel cervello della donna. Forse.
-E allora? È una sfortuna che sia tornata a casa. Da quando suo padre se n’è andato lasciandomela non è stata altro che un fastidio. Vuole giocare, vuole mangiare, vuole andare al parco, vuole che la ascolti… sa solo volere e pretendere quella piccola ingrata!-
Una grossa mano gli si posò sulla spalla.
-Kuroko, si sta svegliando. Aspettiamo giù, non voglio che senta quanto sia meschina e nauseante sua madre.-
Detto questo, avviluppando ancora di più il piccolo morbido fagottino, scese le scale sparendo alla vista.
-Lei è sua madre! È ovvio che una bambina di quattro anni voglia giocare e chieda da mangiare quando ha fame! Come può trattare così la bambina che ha partorito?!-
Stava rapidamente perdendo quel refolo di pazienza che gli era rimasto.
-Io non ho mai voluto un figlio! Quello stronzo di mio marito ha insistito così tanto per averlo ma quando lei ha compiuto tre anni se n’è andato lasciandomela senza pensarci due volte! Vorrei che sparisse! Vorrei non averla mai partorita!-
Travolto  e accecato dalla giornata infernale, dalle troppe emozioni e dalla rabbia Tetsuya urlò:
-Non vuole prendersene cura? Allora la lasci a me! Le porterò al più presto i documenti per l’adozione! Si vergogni! Lei non merita una bambina buona come Sakura!-
Detto questo fece dietrofront e a passo di carica tornò al pianterreno dove un attonito Kagami lo aspettava con un’espressione sgomenta sul viso.
-Vuoi adottarla?-
Non era una persona che faceva le cose così, di getto, senza riflettere, eppure sapeva, in cuor suo, che quella era la decisione giusta.
-Sì, la crescerò io. Merita di più di questo schifo ed io… posso darglielo.-
La risolutezza lo sorresse nel lungo tragitto fino a casa e gli diede la forza di spogliare la piccola, metterle una sua maglia, che le era ovviamente enorme, e sistemarla nel proprio letto.
Tornò in cucina e la stanchezza gli piombò addosso di colpo ma doveva ancora ringraziare Kagami per avergli salvato la vita, per averlo salvato ancora.
Lo trovò ancora vestito e sporco di fuliggine, semincosciente sul divano.
-Kagami… io… devo… sì, devo ringraziarti… tu…-
Stava cercando di costruire una frase che contenesse ogni emozione che gli ribolliva nel petto, che lo ringraziasse per ogni istante che gli aveva regalato, perché ogni giorno con lui era stato la sua salvezza, quando l’altro parlò.
-Io ti amo Kuroko. Non volevo dirti nulla per paura di perderti, di sgretolare la nostra amicizia, ma oggi, mentre ti cercavo e credevo di non riuscire a salvarti… io… ho capito… che dovevo dirtelo… prima che fosse… troppo tardi…-
La mente di Tetsuya andò in blackout. Cosa stava dicendo? Era sveglio? Parlava nel sonno?
Lo guardò ancora: aveva gli occhi chiusi, la fronte distesa nel rilassamento del sonno e il respiro pesante.
Aveva sentito bene, giusto? Kagami era innamorato di lui e si era deciso a dirglielo perché aveva avuto paura di vederlo morire prima di poterglielo dire almeno una volta.
E lui? Cosa provava per Taiga? Non era forse stato il suo punto di riferimento? La sua luce? Non era stato un esempio di forza e determinazione? L’unico senza cui non sarebbe riuscito a esistere?
In un flash ricordò il suo ultimo pensiero lucido prima di svenire quel pomeriggio.
Voleva sopravvivere per potergli dire quanto fosse importante lui e quanto fosse felice che avesse deciso di tornare nella sua vita. Voleva chiedergli di restare e promettergli di diventare più loquace e accomodante, voleva dividere con lui le giornate e le feste e ogni motivo per sorridere.
Gli venne in mente lo sguardo infuocato che la prima sera il suo inquilino gli aveva rivolto e con un certo imbarazzo ripensò a come il suo corpo aveva reagito.
Era forse amore quello? Desiderare tutto di qualcuno nel bene e nel male? Una fitta alla testa lo costrinse ad sospendere i ragionamenti complessi.
Crollò sul letto accanto a Sakura addormentandosi ancor prima di toccare il cuscino.
Quando aprì gli occhi impiegò qualche secondo a rendersi conto che ogni suo ricordo era reale. Sentiva la gola ancora riarsa e dolorante, la pelle sensibile dove il calore l’aveva lambita troppo a lungo, sul cuscino accanto al suo spuntava la testina della piccola bimba che aveva deciso di tenere con sé.
E Kagami…
Gli tornò in mente ciò che la sera prima aveva sentito. A mente lucida, pensandoci, probabilmente aveva sempre corrisposto i suoi sentimenti. Senza saperlo, ovviamente, ma era certo che fosse così. Questa consapevolezza lo spinse ad alzarsi e a raggiungerlo in salotto.
Il divano sembrava essersi rimpicciolito. Il lungo e massiccio corpo del cestista occupava ogni centimetro quadrato di superficie, un piede addirittura penzolava nel vuoto e così anche un braccio.
La luce del sole filtrava dalle tende regalando ai suoi magnifici capelli migliaia di riflessi color sangue, la stessa ardente tonalità degli occhi ora chiusi.
In silenzio, continuando a contemplare i lineamenti spigolosi e mascolini di Taiga, Kuroko si avvicinò a lui e gli fece delicata carezza su una guancia.
Sì, era lui. E sì, era amore quello che gli fioriva nel petto mentre lo guardava dormire.
Senza rendersi conto di quel che stava facendo si chinò e appoggiò le labbra sulle sue in  un bacio appena accennato.
La bocca di Kagami si animò contro di lui restituendogli il bacio.
Scattando all’indietro Tetsuya lo guardò sentendo il rossore risalirgli il collo, le guance e le orecchie ma prima che potesse dire qualcosa l’altro disse, guardandolo negli occhi:
-Io ti amo Tetsuya. Ti amo fin dal primo anno del liceo. Non voglio più scappare da questi sentimenti. Non dopo ieri… quando… quando…-
Ancora una volta la sua voce si perse e su quel volto cesellato ad arte si formarono i segni tipici del dolore.
 
Ecco, si stava di nuovo lasciando trasportare dalle emozioni e non riusciva a parlare. Aveva un blocco in gola, era sopraffatto dal terrore che lo attanagliava al pensiero di essere arrivato così vicino a perderlo. Stava ancora cercando di venire a patti con quel turbinio di sentimenti quando:
-Anche io… sono innamorato di te … Kagami…-
Stupito, frastornato e incredulo sollevò lo sguardo sul ragazzo che lo guardava dall’alto in basso con la consapevolezza e l’imbarazzo che brillavano in quegli occhi troppo azzurri.
Una risata gli squassò il petto. Incontrollabile.
-Che scemo che sono stato! Quanto tempo ho aspettato, quanto sono dovuto andare lontano per non espormi e poi… tu hai sempre ricambiato! Aaaah! Sono un vero idiota!-
Fu il turno di Kuroko ridere in quel suo modo così delicato. Quando riuscì a riprendere fiato si abbassò di nuovo su di lui, avvicinandosi con lentezza alle sue labbra mentre lo fissava invitandolo a perdersi in quell’azzurro terso come il cielo d’estate. E lo fece. Si perse.
Fu un bacio timido all’inizio, un tenero sfiorarsi di labbra, ma presto non riuscì più a controllare la propria irruenza e afferrando saldamente Tetsuya per le spalle lo sbilanciò facendoselo cadere addosso.
Soffocò con il proprio bacio l’esclamazione di sorpresa e proprio in quel momento aprì le labbra. Con la lingua accarezzò la sua bocca tremante e questa si aprì senza esitazione permettendogli di assaggiare il suo vero sapore.
Se prima il gusto più forte era quello del fumo e della cenere, Kagami, in quel momento, sentì il vero sapore dell’uomo che amava. Era dolcemente delicato, come un tè lasciato poco in infusione.
Gli diede subito alla testa. Voleva di più.
Anche Kuroko si dimenava contro il suo corpo cercando sempre più vicinanza, ma, proprio quando stavano per cedere al bisogno di avvicinarsi ancora, sentirono la porta della stanza aprirsi piano.
Subito Tetsuya si raddrizzò con il volto illuminato dal rossore della passione .
-B-Buongiorno Sakura-chan.-
Kagami, dal canto suo stava ancora cercando di capire cosa fosse successo. Un attimo stava assaporando la delizia delle delizie  e l’attimo dopo l’oggetto delle sue attenzioni se ne stava ritto come un fuso a sorridere come uno scemo in direzione della piccola.
Aspetta un attimo…! Piccola?!?! Si sollevò dal divano ed effettivamente una Sakura-chan spettinata con indosso una maglia decisamente troppo grande per lei, stava a piedi nudi sulla soglia.
La bimba fece qualche passo avanti, sembrava volesse dire qualcosa.
-Maestro Kuroko… ma.. quindi… ora… sei tu il mio… papà?-
Kagami la osservò mentre alzava lo sguardo per guardare Tetsuya che si stava letteralmente sciogliendo nel sentirsi chiamare “papà”. Ci mise un po’ a ricomporsi e poi...
-Si, Sakura, la tua mamma mi ha dato il permesso di essere il tuo papà. Se vuoi puoi restare qui con me.-
In un secondo la bambina coprì la distanza che la separava da lui che la prese al volo e la sollevò per abbracciarla stretta. Gli angoli degli occhi umidi di commozione.
-ah!-
La piccola adesso lo stava fissando. Kagami dal canto suo cercò di assumere un’espressione tranquilla e rassicurante. Azzardò un mezzo sorriso.
-Oto-chan, anche lui è mio papà?-
Un momento di imbarazzo che sembrò contenere ore di riflessioni. Kagami sentì il cuore fermarsi un attimo e poi ripartire al galoppo mentre fissava quei grandi occhi così verdi da sembrare dipinti e se ne innamorava perdutamente.
Vide Kuroko voltarsi lentamente verso di lui con la bimba sempre in braccio che lo osservava curiosa.
-Sì, Sakura-chan, anche lui sarà il tuo papà.-
Mai. Mai da quando si era infortunato al ginocchio aveva pensato di trovare qualcosa che lo rendesse felice come giocare a basket senza riflettere sulle conseguenze e invece, lì, in quell’appartamento decisamente troppo piccolo c’erano l’uomo che amava da troppi anni per poterli contare  che gli aveva confessato di amarlo a sua volta e la bimba che stava scoprendo di amare in maniera altrettanto assoluta e definitiva.
Non poteva chiedere nulla di più al proprio destino. E nemmeno voleva.
Aveva tutto ciò di cui aveva bisogno: l’Amore.
 
Una settimana dopo un Kuroko carico degli scatoloni che contenevano i suoi amati libri varcava la soglia del nuovo appartamento seguito da Kagami che teneva in bilico altri pacchi e aveva sulle spalle una raggiante Sakura che gli si aggrappava alle orecchie.
Era successo tutto così in fretta.
Dopo l’incendio avevano finalmente scoperto di amarsi e nel frattempo lui aveva deciso di adottare una bambina di quattro anni, così, un po’ per necessità e un po’ perché poteva tranquillamente permetterselo, Taiga aveva usato buona parte dei suoi guadagni americani per acquistare una villetta da sogno.
La prima giornata come famiglia l’avevano trascorsa tra docce, bagnetto e compere. Sakura aveva bisogno di vestitini e di giocattoli e di tutte quelle cose che una bambina di quattro anni dovrebbe avere.
Alla sera si erano accoccolati tutti e tre sul divano a guardare i cartoni animati e, quando finalmente la piccola principessa si era addormentata sfinita e avevano potuto trasportarla nel lettone, i due si godettero un po’ di intimità.
Scottature e timore di far rumore impedirono loro di lasciarsi andare completamente e apprezzare appieno il tempo insieme e per questo, Kuroko ne era ragionevolmente sicuro, il giorno dopo Kagami era misteriosamente scomparso per ricomparire, qualche ora dopo, con le chiavi della nuova casa.
Distava poco meno di un isolato dall’asilo che stava pian piano tornando quello di un tempo, aveva un giardino enorme con alberi, aiuole e lo spazio per montare un gazebo d’estate, non chè un angolo in cui era stato sistemato un canestro professionale.
La casa era semplicemente splendida: era una costruzione moderna su un solo piano, l’ingresso era un grande open-space con il salotto e le preti bianche sembravano renderlo ancora più grande, c’era una stanza padronale ampia e luminosa con l’accesso ad un altro piccolo giardino privato attrezzato con una piccola piscina; il bagno, tutto sui toni del panna e del tabacco, sembrava uno degli stanzoni delle terme, vi era una vasca che avrebbe potuto tranquillamente contenere sei persone della stazza di Taiga ma era dotato anche di un tecnologico box doccia e dei servizi dalle linee minimali ma eleganti.
I vani che in assoluto erano i più belli, però, erano la stanzetta di Sakura tutta sui toni del lilla e del giallo pallido ingombra di giocattoli e così colorata da mettere allegria a chiunque vi entrasse; e la cucina: luminosa, spaziosa e dotata, invece della semplice penisola dell’appartamento precedente, di un tavolo a cui si sarebbero seduti a far colazione insieme. Tutti e tre.
Con l’aiuto di Aomine e  Kise avevano trasportato quasi tutte le loro cose nel giro di due giorni e finalmente, con quelle ultime scatole, il trasloco poteva dirsi concluso.
Appena chiusa la porta alle loro spalle Kagami fece scendere Sakura che come un fulmine si fiondò in camera sua a giocare mentre loro iniziarono a riempire la nuova robusta libreria che avrebbe ospitato la sua collezione letteraria.
-Abbiamo fatto presto-
Taiga si stava massaggiando le spalle e subito, a Kuroko venne voglia di scostargli le mani per essere lui a dargli sollievo.
Invece, obbedendo al buonsenso, si catapultò in cucina. Avevano invitato i loro amici a vedere la casa nuova e Taiga aveva insistito per preparare la cena. Ovviamente non poteva fare tutto da solo.
Tra uno spadellamento e l’altro i due si scambiarono qualche bacio e qualche carezza alimentando il fuoco che ribolliva sotto la loro pelle da più di una settimana. Finalmente, quella notte, avrebbero potuto godersi l’intimità senza paura di essere sentiti o interrotti dalla bambina. La casa aveva le pareti spesse robuste, in più, quelle della stanza padronale, su richiesta esplicita di Kagami erano insonorizzate.
Mezz’ora dopo suonò il campanello.
Shintarou e Takao furono i primi ad arrivare e mentre il burbero medico girava per la casa commentandone il lusso, il compagno si perse a giocare con la principessa del castello. Quando arrivarono Aomine e Kise le chiacchiere animarono l’aria, i racconti intrecciati nella musica dell’amicizia mentre la vocina acuta e allegra di Sakura scampanellava a destra e a sinistra.
Tutti si innamorarono di lei.
Persino Midorima, che subito aveva preferito rimanere a distanza, grazie all’intervento di Takao, si era trovato seduto su una piccola sedia nella stanzetta lilla a fingere di bere tè da una tazzina rosa.
Ovviamente, Daiki aveva trovato la scena talmente ridicola da volerla immortalare con una fotografia a tradimento. Era quasi ora di cena quando il campanello suonò ancora.
Murasakibara varcò la soglia e, con suo sommo stupore, lo fece senza doversi abbassare. La perplessità gli si leggeva in viso.
-Ho cercato una casa che avesse le misure occidentali. I soffitti e gli stipiti sono più alti.-
Kagami ridacchiava come un ragazzino nel vedere la faccia del gigante.
-Oh!-
Si riscosse il nuovo arrivato.
-Ho portato il dolce.-
Sollevò un enorme pacco di pasticcini che fu accolto da sonori versi di approvazione.
In un primo momento Sakura fu intimorita da quell’uomo grande, grosso e musone ma, dopo cena, quando aveva scoperto che i dolci squisiti di cui si era golosamente rimpinzata erano stati fatti da lui, la bambina aveva deciso che non faceva poi così tanta paura.
Avvicinandosi un po’ timidamente a lui, gli posò una mano su un ginocchio. Lui abbassò lo sguardo su di lei e per la prima volta  potè apprezzarne i tratti delicati e grandi occhioni verdi.
- Zio Atsushi… mi insegnerai a fare i dolcetti al cioccolato un giorno?-
Forse il tono di voce, forse l’innocenza trasparente di quel visino da bambola, o forse solamente la simpatia della richiesta fecero il miracolo: Il muso lungo che Murasakibara era solito sfoggiare si trasfigurò in un sorriso radioso che lasciò i suoi più vecchi amici attoniti e segretamente grati che un sorriso tanto  dolce fosse altrettanto raro. I loro cuori non avrebbero retto altrimenti.
-Ma certo! Quando vorrai venire in pasticceria, ti insegnerò a fare questi dolcetti e anche a decorare i coniglietti. Che ne dici?-
Al sorriso entusiasta della piccola il gigante non riuscì a trattenersi e, dimentico degli astanti che lo osservavano ancora increduli, sollevò una delle sue mani enormi e con la delicatezza di una piuma passò la nocca dell’indice sulla serica guanciotta arrossata dall’entusiasmo.
A fine serata, tra saluti e promesse di rivedersi al più presto, magari a casa di Kise, fu un dramma riuscire a far scendere la bambina dalle alte e massicce spalle del pasticcere.
Kuroko stava cercando di convincerla.
-Sakura, domani Atsushi deve svegliarsi molto presto per fare i pasticcini che ti piacciono tanto, se non lo fai andare a casa non riuscirà a dormire. Dai, da brava, saluta che anche noi dobbiamo prepararci per andare a  fare la nanna-
La gentilezza in quel caso non fece effetto. Fu il turno di Kagami.
-Signorina, adesso basta fare i capricci. Se entro cinque secondi non scendi dalle spalle di Murasakibara ti metteremo in punizione per una settimana. Fallo andare a dormire, su!-
Il gigante intanto restava in piedi, immobile a godersi il contatto con il corpicino caldo di quell’adorabile esserino che aveva vinto la paura e si era avvicinata al suo mastodontico corpo lasciandosi anche coccolare.
Visti i tentativi fallimentari di Kuroko e la scarsa presa delle minacce di Kagami, decise di tentare la sorte.
Sotto gli occhi di tutti si incamminò verso la cameretta della piccola, la fece scendere e le chiese di servirgli un tè. Subito la bambina si mise all’opera per imbandire il piccolo tavolino accanto al quale Atsushi sembrava esageratamente enorme. Finse di bere educatamente il tè e la ringraziò.
-Ora devo andare Sacchin, i veri pasticceri a quest’ora sono già a dormire, lo sai?-
Si alzò, si spolverò i vestiti e chinandosi un attimo le depositò nella manina due caramelle alla fragola strappandole la promessa di fare la brava e di andare a trovarlo.
Il silenzio sgomento che lo accolse quando tornò nell’ingresso lo mise in imbarazzo, così, salutando frettolosamente svanì nell’aria fredda della sera.
Dopo qualche ultimo saluto anche gli altri ospiti lasciarono la grande casa che tornò  silenziosa.
Sparecchiarono, lavarono e riassettarono in silenzio, riprendendo il gioco che avevano iniziato prima di cena, e proprio mentre Kagami stava per cedere ai più bassi istinti la vocina di Sakura attraversò acuta l’intera casa.
-Oto-chan! Oto-san!-
Mollando strofinaccio e spugna i due si precipitarono sulla soglia  della stanzetta e ad accoglierli trovarono la piccola con indosso il suo grazioso pigiamino nuovo, quello con il coniglietto in divisa da basket, che si dondolava sulle punte dei piedi.
-Non volevo fare i capricci… Mi metterete in punizione?-
Il labbro tremolante e gli occhioni sgranati e preoccupati colpirono entrambi dritti al cuore.
-N-no Sakura-chan, non ti metteremo in punizione… p-però… la prossima volta devi obbedire.-
Era difficile mantenere l’aplomb da genitori quando ogni fibra del loro essere voleva solo inginocchiarsi e coccolarla fino a che non si fosse addormentata, ma in qualche modo ce la fecero.
Finalmente la misero a letto, le rimboccarono le coperte e Kagami si dedicò a leggerle una delle fiabe del nuovo libro che avevano scelto quella mattina al supermercato.
Quando i due neogenitori riuscirono a chiudersi in camera erano sì esausti, ma anche carichi dell’aspettativa insoddisfatta per la bellezza di sette lunghi giorni.
Senza alcuna gentilezza Taiga spinse Kuroko sul letto per poi avventarsi su di lui. Quel bacio caldo, anzi bollente, esigente  e generoso prometteva una nottata indimenticabile e soprattutto molto molto stancante.
Tetsuya non aspettava altro, spense il cervello e si arrese al fuoco dell’uomo che amava donandoglisi senza riserve, fidandosi senza esitazione così come aveva sempre fatto. Così come avrebbe fatto sempre, per sempre.

 
 
 
   
 
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