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Autore: Rhona    17/11/2015    0 recensioni
[Storia in revisione grammaticale e stilistica, alcune volte con l'inserimento di scene di passaggio e simili. Pubblicazione nuovi capitoli ancora in corso, ma a rilento.]
I romani: un popolo colto, erudito, padrone del mediterraneo ed oltre. Potenti uomini conquistatori che non esitano a commettere genocidi in onore di Roma, capitale del mondo intero.
I barbari: guerrieri, selvaggi, forse anche cannibali, che combattono per la loro terra, ma per difenderla, non per ampliarla.
E poi c'è lei. Chi è lei? Non è barbara, ma si oppone a chi la chiama romana... Non è romana, ma si arrabbia se la si chiama selvaggia...
Romani contro barbari: non è la guerra di due popoli; è lo scontro di due mondi opposti eppure tanto vicini.
**** Attenzione: il rating e gli avvertimenti potrebbero cambiare.
Genere: Drammatico, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Antichità, Antichità greco/romana
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Al centro:Vaughan Olverson (Joel Edgerton, King Arthur).

In senso orarioCecilia (Lena Headey, 300); Brynhildr Vaughandóttir (Erin Cummings, Spartacus), Marcus Iulius Flavianus (Joaquin Phoenix, Il Gladiatore.), Maximus Cirrus (Kit Harington, Pompei) .

Le persone menzionate sono solo semplici prestavolto, senza alcun collegamento di idee, comportamenti, carattere e/o azioni con i personaggi descritti nella storia. 



PARTE SECONDA
 





Capitolo I
Diciassette anni dopo
 
IDI DI MARZO
ANNO CMXXXIII AB URBE CONDITA1
 
 
 
TERRE DEI SASSONI
 
Il sole sorgeva dolcemente, facendo capolino fra quegli alberi che circondavano il villaggio in legno. L’aria gelida della notte lasciava pian piano il posto all’aria poco più calda del giorno. I pochi fiori che crescevano in quel territorio volgevano lo sguardo al Dio Sole che si levava in cielo. Ma perfino il sole pallido nel Nord quel giorno era più luminoso e caldo del solito: forse per salutare chi, come lui, apparteneva la Sud. La rugiada sugli aghi del pini cominciava a sciogliersi lentamente. Un raggio premuroso si infiltrò nelle fessure della porta e diede l’annuncio del giorno a chi dormiva dentro. Non che dormissero poi così tanto, in effetti. Cecilia respirava affannosamente, aggrappata alla possente schiena di Vaughan, che ricominciava a respirare ad intervalli regolari.  «È  giorno, Vaughan.» gli sussurrò all’orecchio, fra un respiro e l’altro. Vaughan la baciò sulle labbra, senza schiudere la bocca, le scivolò fuori e scorse giù, appoggiando la testa sul suo ventre. «Olaf, Madron e Brynhildr tornano oggi, vero?»
Annuì. «Sì.»
Vaughan alzò la testa e la guardò negli occhi. «Non mi sembri molto felice.»
«Non è vero...» gli sorrise.
«Preoccupata?»
«Solo per Brynhildr. Madron è un bravo ragazzo. Ma ho paura che con lei possa ricominciare subito...  Non andiamo d’accordo lo sai.»
Vaughan scosse la testa. «Non capirò mai perché.»
Cecilia scosse la testa. «Lei è uguale a suo padre.» fece una pausa «È  arrogante, irrispettosa e disonesta.»
«Parli a sproposito.» si alzò uscendo dal letto, totalmente nudo. Aveva ancora il fisico scolpito come anni ed anni prima, l’unica cosa che era cambiata erano i segni sul suo viso, in aumento. I capelli erano sempre lunghi, con pochi capelli bianchi, praticamente invisibili su quella chioma così chiara. Lo sentì orinare nel vaso da notte. Quell’assenza di pudore, dando la vera, cruda e naturale immagine di sé stessi era piacevole.
«È  cattiva d’indole! Spietata e violenta. È  come lui, come Marco. Se non può avere quello che vuole lo prende senza preoccuparsi di ferire qualcuno!» si alzò e mise la tunica leggera. Vaughan si coprì con la pelle di cervo che usava per la battaglia.
Si sedette sul letto, fissando Vaughan mentre si lavava il viso. «Sembra essere matta a volte. Quando ti fissa e non parla; sembra che studi tutto e tutti. Come se considerasse il mondo il nemico e lei la sua unica risorsa. Maliziosa e bugiarda. Cattiva: non c’è parola migliore per descriverla.»
«Basta.» l’ammonì dolcemente. «Le ragazze già non la sopportano, senza che tu infierisca.»
«Kwenthrith, Helga ed Aslaug non sopportano Brynhildr per pura invidia.» questo lo doveva ammettere. Benché andasse molto più fiera delle tre figlie che aveva avuto con Vaughan che della figlia bastarda, Brynhildr aveva un fascino che Helga, Kwenthrith ed Aslaug non avrebbero mai avuto. C’era qualcosa di eccitante per gli uomini in una come Brynhildr. Qualcosa di lussurioso e malvagio. Una mercante istruita, guerriera e cacciatrice, che attraeva per erotismo, non per amore vero, forse anche più di un’ etéra.
Vaughan le sorrise sensuale. «Brynhildr è la più bella fra loro. E lo è perché è quella che più somiglia a sua madre.» si avvicinò e si inginocchiò ai suoi piedi. La baciò sul collo, scendendo sempre più in basso. Cecilia adorava quando la stuzzicava dolcemente: buttò la testa indietro e si godé il momento. All’altezza del ventre, però, dovette fermarlo. Prese la sua testa fra le mani dolcemente e la costrinse a guardarla in viso. «Abbiamo appena finito...»
Vaughan rise. «È  ancora l’alba mia signora...» la baciò di nuovo. Le prese le mani con delicatezza, si stese sul letto e la fece salire sopra di lui a cavalcioni.
 
 
 
 
ACCAMPAMENTO ROMANO SUL LIMES NORDICO
 
«Diciassette anni fa questo confine sarebbe stato il più problematico di tutti i confini romani. Ora per vostra fortuna, donnicciole, la nostra funzione qui è puramente protettiva. I barbari non attaccano da anni. Le legioni qui stanziate sono mutate, i padri hanno lasciato il posto ai figli, giovani inesperti. Se pensate che l’addestramento sia stato duro, allora andatevene a casa, trovatevi un pezzo di terra, una bella donna che vi scaldi il letto la notte e vivete in pace la vita che vi siete scelti. Tutto quello che un uomo teme - sangue, confronto, barbari olezzanti ed impavidi senza la minima paura della morte, capaci di ammazzarvi con un solo colpo ben assestato- lo troverete qui. Il limes è tranquillo da quasi venti anni, la strada è trafficata da mercanti che devono essere provvisti del lasciapassare dell’Impero, per raggiungere la Gallia del Sud. Da qualche tempo tuttavia, si dice che i barbari stiano per attaccare. Chi di voi è disposto a restare inerme, aspettando che i barbari si preparino per un nuovo, tremendo e sanguinoso attacco?!  Io l’ho visto, donnicciole. Io vidi Vaughan il sassone diciassette anni fa: combatteva a torso nudo, coperto da nulla di più che una pelle di cervo, i capelli erano biondi e lunghi, la barba rada, gli occhi infossati, piccoli e chiari, troppo chiari: di un colore sovrannaturale. Era alto quanto due di voi e con le spalle più muscolose di quelle del nostro guerriero più forte. Le braccia insanguinate, la chioma intrisa di rosso. L’esercito che mi fu affidato non era forte abbastanza per fronteggiare un popolo di uomini simili a Vaughan. E voi?!  Siete il secondo esercito che viene mandato quassù: avete intenzione di farvi sormontare come il primo? Lascerete che Vaughan il sassone faccia crollare l’impero? Io non lo farò, nossignore! E se voi puttanelle non avete il coraggio di servire la vostra patria fino alla morte, allora tornatevene in Cirenaica per l’addestramento! Nulla di ciò che non vorremmo entrerà nel loro territorio. Ai mercanti barbari che trasporteranno armi, toglierete ogni cosa. Coloro che non avranno monete a sufficienza per pagare il passaggio, non verranno fatti passare. I barbari che sorprenderete a derubare romani, perderanno le mani. Se un barbaro uccide un romano, lo ucciderete. Non dovrete avere la minima pietà. Quelli non sono come noi. Non sono umani, non hanno coscienza: sono bestie senza senno.»
Quando Marco finì di parlare Iolanda uscì dalla sua tenda. «Torna dentro, moglie.» gli ordinò secco. Si voltò a guardarla, mentre con espressione sottomessa eseguiva. Ghignò. Non era più bella come una volta. I seni non erano più alti e sodi. Era più magra; sembrava uno scheletro ora, nulla a che vedere con una bella donna. Ne aveva avute parecchie di belle donne, però. Quelle dei postriboli del Sud erano le migliori, ma anche quelle a Nord non erano da meno. Solo che a Nord c’erano soldati veterani, era ovvio che le prostitute giovani andassero verso Sud. Sperava che, vista la grande ondata di giovani reclute che si era portato dietro, arrivassero anche giovani prostitute a tener loro compagnia. Un esercito tutto suo... di nuovo! C’era voluto parecchio, ma alla fine Titurio non aveva più fatto caso a lui; aveva troppo da fare impegnandosi a non tirare le cuoia. Aveva cominciato comandando un campo d’addestramento a Sud, poi era stato all’estremo Est ed ora era dove era cominciato tutto. Aveva un conto in sospeso con Vaughan; infondo era colpa sua se il suo vecchio esercito era stato annientato. Il nuovo era comunque migliore. Un’ intera legione di uomini,  la “X LEGIO GERMANICA”. In tutto c’erano tre legioni a Nord, la sua, la IX LEGIO e l’ VIII LEGIO. Si era fatto dare la supremazia su tutti e tre comandanti, ed ora era quello che i soldati chiamavano “primus dux inter pares”. Certo però... si poteva ambire a di più. Il figlio di Titurio, Mario Tullio Ascanio, già quando aveva l’età di Marco ora,  era diventato Magister Militum per Illyricum...
«Lucius!» chiamò il suo attendente.
«Sì, mio signore?»
«Dì ai soldati che fra un’ora comincia l’esercitazione, non voglio ritardi.»
«Sì, mio signore.» fece per andarsene.
«Ehi, Lucius» rise, richiamandolo «Dì a tuo fratello di non spaccare le ossa a nessuno stavolta.»
«Maximus è profondamente rammaricato»rise, stringendo i denti «l’ha fatto solo per difendersi, Manlio era piuttosto inferocito all’ultima esercitazione. Spera che possiate concedergli il vostro perdo...»
«Se spacca le ossa dei sassoni come fa con quelle dei romani allora gli darò molto più che il mio perdono!» rise.
«Glielo dirò, mio signore.» disse ritirandosi.
Marco entrò nella sua tenda. Iolanda era semidistesa sulla lettiga, ricamando un telo. «Non disturbarmi mai più mentre parlo ai soldati.» si tolse la cintola con la spada attaccata. Perse una mela dalla cesta della frutta e la morse.
«Sì, Marco.» disse tremolante.
«Parla più forte quando ti rivolgi a me». Sputò un pezzo della buccia della mela a terra. Odiava quando la buccia delle mele gli si incastrava fra i denti.
Lei balbettò un poco, poi disse flebile. «Non sono uno dei tuoi soldati.»
Marco, all’udire parole tanto sfrontate, si infuriò. «Hai ragione.» scandì forte, arrivando poi a gridare «Ma sei mia comunque! Mi devi rispetto incondizionato, intesi?!» Scagliò la mela verso di lei, colpendola al volto.
 Lei cominciò a piangere, con un rivolo sanguinolento che le usciva dal naso. «Lo vedi che sono costretto a farti? Se fossi una brava moglie non lo farei, non ti dovrei punire per la tua condotta: lo sai questo vero?»
Continuò a piangere.
«Smettila.» ordinò secco. Nulla lo faceva arrabbiare più che vederla piangere: possibile che non capisse quanto era... «Irritante! Sei irritante, Iolanda!»
E lei continuava a piangere. Si sfiorò con il polpastrello dell’indice destro la cicatrice sopra il labbro che lei gli aveva fatto con quel piccolo coltellino, la prima volta che l’aveva posseduta. Maledettissima.
Afferrò tre acini d’uva e li ficcò in bocca: «Smettila ho detto.» biascicò a bocca aperta, triturando incurante anche i semini che normalmente avrebbe sputato.  Si versò del vino nella coppa e si fece cadere sulla sua sedia ornata, a gambe larghe.
«Vieni qui.» le ordinò secco. Lei non si mosse, asciugandosi gli occhi nella tunica.
«Per tutti gli Dèi vieni qui!» ribadì. Per tranquillizzarsi sorseggiò ancora del vino.
«Alzami la tunica e vediamo che sai fare...» disse malizioso.
Lei la alzò esitante. «Non sono una delle tue puttane.»
Marco respirò pesantemente: «È  qui che ti sbagli: tu sei mia moglie: hai l’obbligo di essermi fedele, devi obbedirmi ed essere pronta a soddisfarmi in qualsiasi momento io voglia.» bevé di nuovo un po’ di vino e se lo passò per la bocca assaporandolo, socchiudendo gli occhi. «Questo fa di te una puttana di prima classe, cara mia.» si adagiò con la testa indietro e si godé il momento.

 
 
 
«Maximus!». Quando si sentì chiamare, Maximus scattò in piedi e cercò con lo sguardo la voce che lo chiamava. «Che vuoi Lucius?»
«Cerca di non spaccare la testa a nessuno oggi.»
«È  stato un incidente» si giustificò. Tornò a fare quello che stava facendo, si sedette affilando un bastoncino di legno. Gli faceva un po’ male la spalla destra, aveva preso una brutta botta quando aveva avuto una rissa con Manlio, alla scorsa esercitazione. Non ricordava il perché, ma era poco più che una formalità. Manlio ce l’aveva con lui fin dal primo giorno di addestramento, quando, per dividere i più forti dai meno forti,  li avevano fatti combattere a mani nude insieme, e Maximus –un comune popolano della Suburra- aveva vinto senza troppo sforzo su Manlio Tullio - figlio cadetto del generale e senatore Marco Tullio Ascanio, che a sua volta era il figlio maggiore del potentissimo quanto decrepito Gaio Tullio Titurio. Ora Manlio era stato rimandato a Roma, aveva ricevuto una strigliata dal padre per aver istigato una rissa e sarebbe tornato sano e curato entro la fine del mese di Martius. In più sembrava che Flaviano provasse piacere nel punire Manlio, e lamentarsi del suo comportamento indisciplinato.
«Lui dice che se spacchi le ossa dei sassoni come quelle dei romani... be’...» disse, mettendosi a ridere alla fine dell’incompiuta frase. Il fratello si sedette accanto a lui.
Maximus sorrise. «La mamma avrebbe i brividi se mi vedesse fare a botte.»
«Siamo soldati, credo sappia che genere di vita facciamo» disse ridendo «Si dovrà abituare all’idea che non le daremo nipotini se non con sgualdrine. Mi chiedo se li accetterebbe.»
«Non lo farebbe mai» rise.
Lucius abbassò la voce: «Maximus, da fratello a fratello: ci sei mai andato al postribolo qui vicino?»
Maximus rise. «No. Perché tu l’hai fatto? Dicono ci siano solo prostitute vecchie.»
«Non è affatto vero» rise. «Ci sono donne forse non della tua età, ma non sono tutte vecchie» gli si avvicinò all’orecchio, sussurrando: «C’è una di trent’otto anni che ne dimostra cinque in meno. Ti assicuro che è... a dir poco vogliosa.»
«Quando sei partito mi ricordo un ragazzo che non pensava alle donne ma alla Patris Gaia». Gli sorrise.
«La Patris Gaia non ti tiene compagnia la notte, quando ti senti solo come un cane.» disse «Tu non ci pensi alle donne?»
Maximus abbassò lo sguardo. «Sì che ci penso, ma le donne dei lupanari non mi attraggono. Sono pagate per mostrarsi gentili, carine... e vogliose.»
«Se sei un vecchio è ovvio che lo fanno per i soldi. Ma per un ragazzo come te si metterebbero a litigare. Ormai le conosco quasi tutte per nome...» rifletté Lucius.
«Concentrati sul tuo lavoro: magari riuscirai a diventare forte come me un giorno!» rise.
«Una volta ero io a dire così.»
«Prima che io diventassi due spanne più alto di te.»
Lucius si alzò e gli tese la mano.
«So alzarmi anche da solo ormai.» disse Maximus, sorridendogli.
Lucius si fermò, lo guardò, lasciando Maximus a cercare di decifrare la sua espressione. «Che fai?» chiese.
Riconobbe sul volto del fratello maggiore un’espressione nostalgica. «Il mio piccolo fratellino, lo stesso a cui lavavo i ginocchi sbucciati, ora è il più forte dei guerrieri dell’accampamento. Oh, Maximus; sono fiero di te.»
Lucius gli appoggiò le mani sulle spalle, guardando gli occhi neri del fratello.
 




All’aria calda che già alle Idi di Martius infuocava il meridione romano, Brynhildr reagiva legando i ricci capelli neri come la pece in una grande treccia, che appuntava arrotolata sulla testa. Ora invece, quando l’insostenibile calura del Sud lasciò spazio alle correnti refrigeranti del Nord, la donna si apprestava a disfare quello stesso groviglio tanto accuratamente intrecciato.
«Perché metti tanto impegno nel curarti dei tuoi capelli?» chiedeva suo fratello quando era ancora piccolo.
Allora lei rispondeva guardandolo negli occhi celesti, così profondamente diversi dai neri occhi di lei. «Perché mi piace, Madron. Anche i guerrieri della tribù fanno le trecce in battaglia.»
«Ma tu non sei mica un guerriero...»
«Ciononostante quando ci azzuffiamo vinco io lo stesso.» diceva, e metteva il broncio, continuando a fare la treccia.
«Non capirò mai il perverso piacere che provi nell’intrecciarti i capelli.» diceva invece ora, ridendo. Seduti entrambi sul carro della merce, con zio Olaf a cavallo, lo stesso che trainava il carro.
Brynhildr lo squadrò da cima a fondo e ribatté: «Ed io non pretendo che tu ci arrivi.»
«Non è una cosa da donna di cultura.»
«È  una cosa da donna, però.»
Madron abbassò lo sguardo. «Non penso a te come una donna» ammise.
Brynhildr sorrise al fratello, che nonostante i suoi sedici anni le appariva così immaturo a volte. Un solo anno li separava, ma il legame con lui era troppo forte per poter essere spezzato dal divario fra i loro sviluppi. «Ed io non riesco ad immaginarti diventare uomo.»
«Siamo in vena di confidenze oggi, eh?» constatò zio Olaf.
«Scusa zio.» disse Brynhildr «Oggi battiamo la fiacca.»
«Fra quanto siamo a casa?»
«Dobbiamo ancora passare il limes, Madron. Anzi, prendi il lasciapassare, ormai siamo vicini. Brynny, contami le monete necessarie per il pedaggio.» Dicendo questo, le lanciò il borsello di pelle dove teneva le monete. C’erano monete di ogni tipo nel borsello di un mercante. Infondo era il valore della moneta che contava, non chi l’aveva coniata.
«Non vedo l’ora di rivedere Conan» rifletté Madron a voce alta.
«E tutti gli altri?» chiese sarcastica Brynhildr.
«Le ragazze pagherei per non vederle; tu sei già qui;  nostro padre e nostra madre ovviamente voglio vederli, così come tutti i fratelli maschi... ma Conan ha compiuto gli anni, hai visto il leoncino intagliato che gli ho fatto?»
«Certo che l’ho visto.» disse esasperata buttando indietro la testa.  «Due mesi e mezzo che siamo via e ci hai lavorato ogni sera.»
«Tu? Cosa gli hai fatto?»
«Ho comprato un bracciale di argento battuto a Massalia.»
«Credevo fosse per te.»
«No,» disse sorridendo «io di bracciali ne ho a sufficienza. C’è disegnato un motivo greco, credo che piacerà a Conan.»
Conan. Tenero dolce piccolo impavido Conan. Ormai aveva già sei anni... Si sentiva stranamente vecchia quando pensava ai fratelli minori. A diciassette anni era in età da marito, e secondo sua madre doveva sposarsi. Brynhildr non la poteva soffrire. Di tanto in tanto Vaughan le chiedeva di essere gentile con lei, e allora Brynhildr si sforzava; ma quando vedeva gli occhi della madre dardeggiare verso di lei, e la sua bocca pronta a riversare ingiurie sul suo nome, lei esplodeva in una tempesta di rabbia. E poi piangeva, ma senza farsi vedere, in silenzio nella foresta per mantenere l’aspetto di “colei che non è toccata da nulla e da nessuno” agli occhi degli altri. Le sorelle erano peggio della madre, tutte invidiose che la fissavano pregando Odino di dar loro capelli come i suoi, occhi scuri come i suoi, la carnagione mulatta che la faceva risaltare fra le donne del villaggio. A Sud aveva visto donne simili a lei, dai colori scuri.
«Fermi!». Un soldato romano li fermò alzando il braccio. «Mostratemi il lasciapassare.» disse avvicinandosi. Era un soldato, non il semplice funzionario tronfio. C’erano sempre dei soldati sui limes, ma era raro che ce ne fossero così tanti. Sarebbe stato opportuno avvisare Vaughan.
Zio Olaf gli porse il lasciapassare dal cavallo. «La tassa.» continuò quell’altro.
Brynhildr allora gli diede i soldi. «Molto bene, l’importo è esatto ed il vostro lasciapassare è a posto. » stava per lasciarli andare, quando fissò Madron. «Sei armato, ragazzo. Non va bene.»
Madron allora si sporse dal carro. «È un semplice bastone, serve solo per proteggerci dagli assalti dei briganti lungo la strada.»
«E la donna? È una schiava romana?»
«No, io sono libera. Mi hanno esposta e sono stata accolta dalle tribù amiche oltre il limes.» Se avessero detto di essere non solo della tribù di Vaughan, ma addirittura suoi parenti, li avrebbero uccisi senza neppure chiedere altro.
L’uomo li fece passare. Allontanandosi Brynhildr ascoltò la conversazione dei soldati.
«Ehi, Lucius! Cesare reclama la tua presenza.»
«Arrivo.» rispondeva l’uomo che li aveva fatti passare.
«Non ho voglia di ascoltare i commenti maligni di quelle tre arpie.» rifletté Brynhildr, parlando con Madron.
«Suvvia, Aslaug ha dieci anni, non è esattamente un’arpia.»
«Le altre sì. E anche Aslaug sta prendendo il cattivo esempio delle sorelle.»
« Kwenthrith a quandici anni si veste e si agghinda come fosse una puttana del lupanare, e quando le chiedi il perché ti dice che se non  attira l’attenzione su di lei, Brynhildr le ruberà lo sposo. Helga a tredici fa la corte ai ventenni, cercando di soffiarli a te. E su di loro sono d’accordo. Ma Aslaug?»
«Mi guarda in modo strano, come se non fossi un genere di donna da rispettare.»
«Andiamo a caccia, prima di tornare?» propose il fratello.
«È una buona idea. Hai visto i pugnali di pietra che ho preso a Lutetia? Sono meravigliosi; ne ho presi anche per te, nostro padre e per Bjorn.»
«Bjorn: dolce caro ragazzo. Non ci perdonerebbe mai se andassimo a caccia solo noi due.»
«Una volta lo facevamo.»
«Ma ora Bjorn ha quattordici anni, è naturale che voglia partecipare alla caccia.»
«Mi sa che dovremmo passare al villaggio per chiamarlo prima allora» disse «Nostra madre andrà su tutte le furie, nervosa com’era quando l’abbiamo lasciata...»
«Tanto farla andare su tutte le furie è la tua specialità.»
Risero entrambi. Brynhildr scosse forte la testa, e finalmente liberò i suoi capelli dalla costrizione della treccia.
 



 
TRE GIORNI DOPO LE IDI DI MARZO
ANNO CMXXXIII AB URBE CONDITA2
ROMA
 
 
Le ossa ormai consumate scricchiolavano ad ogni suo movimenti, e le giunture dolevano. L’oscurità più totale avvolgeva quella stanza senza finestre, dove il letto lussuoso era diventato vecchio e consunto a causa dei giorni passatici per la vecchiaia. La villa urbana che s’era tanto goduto da giovane, o quando non poteva ancora non considerarsi vecchio, ora era la sua prigione. Vecchio com’era aveva più volte pensato alla morte, riflettendo: da bambino la morte è ancora un mistero, da giovane soldato un paura, da adulto un nemico che si sa che andrà affrontato e si spera lo si farà il più tardi possibile, ma ora, da vecchio, quando non c’è un punto che non faccia male, una posizione comoda, o un’azione che non richieda un grande sforzo, la morte è la grazia più grande.
«La morte è l’ultimo medico delle malattie: mai Sofocle ebbe tanto ragione!» disse tossicchiando, con la sua piccola manina, ormai divenuta scheletrica,  davanti alla bocca.
Alla fine anche l’ipotesi che Vaughan avesse alleati romani fra le sue fila era stata miseramente surclassata dal massacro compiuto su tutte le truppe del limes, che aveva causato l’arresto dell’avanzata e una lunga pausa fra i conflitti. Inoltre era venuto a sapere da delle voci che Vaughan si era trovato una donna romana, probabilmente una prostituta, in grado di placare quelle voglie naturali ancora più prepotenti in un uomo barbaro. Il bracciale che aveva ritenuto tanto importante, il pagamento per qualcosa, si era rivelato un oggetto senza il minimo valore: cimelio della sua sconfitta morale e strategica sul campo di battaglia. Aveva smesso di stare alle calcagna di Giulio Flaviano, ormai vecchio e stanco di sprecare tempo ed energie con quel miserabile. Ma si era informato, ed era venuto a sapere che ora era comandante di tre legioni di uomini. Sperava solo che non conducesse tutti gli uomini al massacro di nuovo.
«Mio signore, Titurio!» gridò un servo, poco più che un ragazzo gracile ed esile che non era adatto a fare il soldato, irrompendo della stanza da letto buia di Titurio. Scostando la tenda all’ingresso fece entrare un po’ di luce, che lo disturbò.
«Cosa vuoi?! E per tutti gli Dèi non urlare così.» sbraitò.
«Signore, è giunta una missiva dal limes nordico.»
«E cosa dice?»
«È successa una cosa terribile, mio signore». Il ragazzo continuava a parlare come se avesse paura di essere mangiato vivo se avesse vuotato il sacco subito, all’istante.
«Cosa?! Parla. Mio figlio è vivo?»
«Sì, è proprio vostro figlio Tullio Ascanio che manda notizie.»
«Allora parla, per tutti gli Dèi.» ripeté con la voce rauca, tossicchiando ed imprecando nuovamente.
«La battaglia di Vindobona è vinta.» proferì il ragazzo.
«E queste sarebbero cattive notizie?» rise, con un verso più simile ad un rantolo perpetuato che ad una risata.
«Ma mio signore... c’è altro.» mormorò silenzioso, facendo tornare la stanza ad uno stato di quiete. La quiete prima della tempesta, come si suol dire. «L’imperatore Marco Aurelio è morto.»


 
NOTE:
 
-Idi di Marzo, anno CMXXXIII Ab Urbe Condita1=15 marzo 180 d.C.
-Tre giorni dopo le Idi di Marzo, anno CMXXXIII Ab Urbe Condita2= 18 marzo 180 d.C.

***Spazio autore:
*Fa capolino da sotto la scrivania* Salve ragazzi... rimettiamo a posto quei fucili, vi prego, ragioniamola da persone civili... Be' in breve fra il tempo che manca e la storia che si fa complicata è stato un parto. Spero di non lasciare più la situazione in sospeso così... Comunque: la revisione non ha fatto grandi sconvolgimenti (N.B. Kristoff è MADRON)
Prima o poi mi decidero a mettere tutti i nomi in latino o in italiano: non posso continuare a dire "Marco" e "Gaio" se poi dico "Lucius" e "Maximus"... l'incoerenza è dovuta al precario stato mentale della sottoscritta. CHIEDO PERDONO!!!


 
  
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