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Autore: Mannu    18/11/2015    1 recensioni
Certe volte il modo migliore per presentare dei personaggi è... lasciare che siano loro a farlo. Troppo schivi e riflessivi, troppo ingombranti e dinamici, a volte perfino aggressivi e pericolosi. Ma intriganti e degni di attenzione. Perché cercare parole per presentarli quando basterebbe lasciarli agire?
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Il Professionista'
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L'ascensore affollato si fermò con una frenata così decisa da farle credere che le scarpe eleganti scelte per l'occasione avrebbero perso aderenza col pavimento della cabina. Le porte lucide si aprirono con un mormorio sulla parete del corridoio di un uniforme colore indefinito, a metà strada tra il giallo slavato e il rosa pallido. Nonostante gli occhiali neri, un costoso vezzo come altri che si concedeva sempre più spesso, riuscì a scorgere una leggerissima e fitta trama nei rivestimenti di quell'insulso colore.
Il corridoio disadorno la condusse a una parete completamente trasparente. Le vetrofanie confermavano che era giunta a destinazione. Si avvicinò al logo aziendale e questo si divise obbediente in due, svelando la silenziosa doppia porta. Varcò decisa la soglia e puntò dritta al banco della segretaria che sembrò d'un tratto farsi ancora più piccola dietro le sue finte lenti rotonde.
Ignorò le difese della segretaria che avrebbero dovuto intimidire chiunque avesse fatto ingresso in azienda e che evidentemente non avevano tenuto conto di quelli oltre i due metri d'altezza. Fece scivolare la costosa montatura nera sulla punta del naso e inchiodò la piccoletta con occhi duri.
- Il direttore – non era una domanda, ma una richiesta che non ammetteva una risposta negativa.
- Ha un appuntamento? - miagolò flebile la segretaria, forse troppo giovane e inesperta per respingere un attacco così diretto. Sembrava quasi un ologramma. Si portò prontamente una mano all'auricolare che prese a lampeggiare. Si tradì subito lanciando un'occhiata furtiva a una delle porte alla sua destra.
Non aveva bisogno di altro. Si infilò gli occhiali nella stretta scollatura mentre con la sua lunga falcata era già a metà strada dalla porta che si distingueva dalle altre per l'assenza di una targhetta dorata. La segretaria la seguì facendo ticchettare ansiosa i tacchi e pigolando le solite cose: il direttore non può riceverla, è occupato, è in riunione. Armi del tutto inefficaci che non l'avrebbero fermata. Con uno slancio di coraggio di cui non l'aveva giudicata capace quella tentò il tutto per tutto superandola di scatto e ponendosi davanti alla porta, minacciando di chiamare la sicurezza in un ultimo disperato tentativo di difesa del suo occupatissimo padrone.
- Togliti di mezzo, carina – si limitò a sussurrarle sorridendo, sovrastandola in altezza. Sfruttando le lunghe braccia con un movimento repentino afferrò la maniglia e aprì la porta, facendo sobbalzare la povera segretaria che non seppe trattenere un pigolio spaventato.
Lui era lì in piedi, al centro della stanza e le spalle alla porta. Circondato da ologrammi di documenti, disegni tecnici, istogrammi e grafici aggiornati in tempo reale, sicuro di sé.
- Direttore, sono mortificata! Ho cercato di... ma non ha voluto... non si è fermata e... allora io...
A un passo dal panico, gli occhi scuri sgranati che circondati di trucco nero sembravano ancora più tondi e grandi.
- Calma, Elaine. Va tutto bene. Le presento mia moglie Hoshi Nakano. Non ama perdere tempo e a volte dimentica le buone maniere, ma non ha mai morso nessuno.
- Per ora – aggiunse lei voltandosi ferina verso la segretaria che fece subito mezzo passo indietro.
- Signor Direttore, io ho...
- Va tutto bene, Elaine – l'uomo si girò verso la porta. Abiti costosi ma sobri, la testa in parte calva e in parte rasata quasi a zero, la barba corta e curata. Ma erano gli occhi a colpire: carichi di energia, parevano capaci di vedere attraverso gli oggetti, attraverso gli abiti, di scaldare, bruciare, bucare fino al centro dell'anima. Si trattenne a stento dal saltargli addosso lì dove si trovava: solo vederlo le aveva scatenato un incendio nel petto e accelerato il cuore fino a sentirlo martellare in gola.
- Stai tranquilla. Non ho ancora trovato una segretaria in grado di fermarla...
Concluse la conversazione congedando la più che mai confusa dipendente con un cenno della mano. Finalmente soli. Attraversò gli ologrammi coi passi decisi e svelti che le lunghe gambe nude le consentivano.
- Maritino... - gli sussurrò mentre lo stringeva a sé con un ghigno predatore sul viso. Un istante dopo era immersa in apnea dentro un lungo bacio appassionato.
- Quanto tempo è che non ci vediamo? - chiese lui approfittando di un attimo di pausa per prendere fiato.
- Almeno due mesi e mezzo – sospirò lei strizzandogli le natiche e strusciandosi contro di lui con l'inguine.
- Tre giorni al massimo, direi – ribattè quello scollandosela di dosso, ora apparentemente freddo e distaccato.
- Vorrei dirti “non posso stare senza di te” ma ora non lo farò – ribattè lei spintonandolo via seccata e puntando le mani sui fianchi asciutti.
- Come signora Valdemort avrò qualche diritto, no? È da mesi che non ti vedo! - sbottò lei. L'uomo aveva già riportato l'attenzione ai suoi ologrammi.
- Se dobbiamo fingere di essere marito e moglie potremmo anche fingere un po' di vita coniugale, non ti pare? - insisté alzando la voce.
- La stanza è completamente insonorizzata ma la porta non è bloccata – la rimbeccò lui rifugiandosi dietro un complicato disegno tecnico.
- Oh, non ti preoccupare! La tua fidata cagna-da-guardia Janine non farà passare nessun altro.
- Elaine – la corresse.
- È lo stesso! Vorrei che ti ricordassi di me con la medesima precisione! - stava alzando la voce sempre più come a mettere alla prova l'insonorizzazione. O la pazienza del suo uomo.
- Punto primo... – un gesto breve e secco della mano destra e tutti gli ologrammi che galleggiavano a mezz'aria intorno a lui si spensero d'un colpo. Le lampade ambientali nascoste nel soffitto compensarono prontamente la diminuita luminosità della grande stanza.
- La copertura di Eric Valdemort dev'essere a prova di ordigno nucleare – riprese – mi è costata tempo, fatica e una montagna di quattrini. E funziona, quindi va protetta più a lungo possibile. Devo mostrare che l'imprenditore Valdemort è attivo in qualche modo, non posso permettermi che diventi un fantasma, capace solo di apparire a qualche ricevimento o festicciola di neo-possidenti.
Lo vide avvicinarsi di un passo. Le piaceva un sacco vederlo fare l'arrabbiato, diventava sexy da morire. Ma non volle dargli la soddisfazione di squagliarsi di fronte a lui come una qualsiasi ragazzetta svenevole davanti a una rockstar. Non così presto.
- Secondo: sei brava. Interpreti bene il ruolo di Hoshi Nakano, moglie eccentrica e vistosa del modesto industriale Eric Valdemort. Non buttare via tutto.
Io eccentrica e vistosa? Ne riparleremo, stronzo. Una promessa da mantenere, annotò a se stessa.
- Terzo... – ormai le stava così vicino da poter sentire il profumo della sua pelle – la tua gelosia nei confronti di Elaine è del tutto fuori luogo. Il cliché del direttore d'azienda che ha la segretaria per amante non mi appartiene, chiaro?
Delicatamente prese la mano che ancora ostentava le tre dita tese sulle quali aveva contato i suoi argomenti. Guidandole con le proprie distese le dita di lui e le unì a formare una carezza che baciò dolcemente e vi appoggiò la guancia.
- Evan... - sospirò sincera ma speranzosa che lui la prendesse come l'ennesima burla. Avrebbe voluto poter trasmettergli anche solo una frazione del calore che si sentiva nel petto e nel ventre. Avrebbe capito che non stava atteggiandosi, che non erano i capricci di una ragazza che si crede innamorata di un uomo più maturo di lei.
Lui la spaventò prendendole il viso tra le proprie mani indurite dal lavoro manuale e dalle arti marziali. Si sentì smascherata, esposta. Nuda.
- Ti desidero... - gli disse poiché non sopportava più i suoi silenzi. Sperava reagisse a quella brutta banalità, ma l'uomo si limitò a regalarle un rarissimo sorriso. Per un attimo temette che le sue ginocchia potessero entrambe cedere di schianto, l'attimo seguente desiderò prenderlo a calci nelle palle. Non poteva farle questo. Era l'unico in grado di ridurla in quello stato pietoso. La cosa la rendeva pazza di gioia e di rabbia al tempo stesso.
Guidò le mani ruvide lungo il collo, sul petto, sui seni scarni e sui capezzoli erti, desiderando inutilmente che la fiamma che le stava bruciando dentro ustionasse anche lui. E forse un po' di quel calore doveva averlo raggiunto poiché con un sospiro mozzato lei si sentì strattonare ventre contro ventre e poi precipitare in un nuovo focoso bacio.
Stavolta fu lei a staccarsi per prima.
- Se anche stasera non ti fai vedere a casa verrò a cercarti e ti ammazzerò dove ti trovo. A mani nude – gli sussurrò come amante appassionata. Ne era capace: nelle serate più “in” cui partecipava sotto le mentite spoglie di Hoshi Nakano era spesso costretta a portare guanti per nascondere le mani rovinate da accanita picchiatrice.
- Puoi provarci... - la rimbeccò lui riconoscendo le stesse parole usate per rimproverarla degli amanti occasionali.
Il suono morbido di un flauto scelse quel momento per accompagnare lo zampillare di un ologramma dalla vicina, monumentale scrivania dirigenziale.
- Elaine... - disse atono Valdemort rivolto al mezzobusto della segretaria. Dagli occhi sbarrati dietro la sottile montatura rotonda la si sarebbe detta ancora sotto shock.
- Il dottor Haase ha chiamato... desidera ricordarle la conferenza programmata per oggi. Dice che ha provato a connettersi ma...
- Va bene, grazie – tagliò corto lui, seccato. Poi volto verso di lei, che non accennava a uscire:
- Per partecipare bisogna essere come minimo nel consiglio di amministrazione – le disse, cortese ma fermo. Lei riconobbe il tono: era ridiventato Eric Valdemort, freddo manager calcolatore dedito solo al profitto e allo sviluppo del suo piccolissimo impero commerciale.
- A stasera – gli rispose felina, poi ancheggiò provocante fino alla porta. Si voltò per un cenno di saluto con la mano e per l'ultimo sguardo incendiario che colse l'uomo impalato vicino alla scrivania.
Fuori nel corridoio col cuore che faceva corse pazze nel petto, prese fiato. Lo ammazzo davvero stavolta. Inutile promessa. O gli fondo la carta di credito a forza di shopping?
Cullando questo dolce proposito passò vittoriosa davanti a Elaine barricata dietro la scrivania. Accolse e ricambiò il saluto cortese ma flebile della segretaria e si diresse a passo di marcia verso l'ascensore, con i tacchi a punta che col pavimento cantavano un inno trionfale solo per lei.
   
 
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