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Autore: Snehvide    18/11/2015    2 recensioni
La prima volta che accadde, o per lo meno, quella che col senno di poi catalogò come tale, Dean non se ne accorse.
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[What if post 7x17] - [Hurt&Comfort] - [Dettagli poco carini] - [Tematiche delicate]
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dean Winchester, Sam Winchester
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Settima stagione
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And maybe someday we will meet,
(and maybe talk and not just speak)

Primo capitolo

 

La prima volta che accadde, o per lo meno, quella che col senno di poi catalogò come tale, Dean non se ne accorse.

“Dio, credo che io e te questa notte ci faremo la migliore dormita della nostra vita, Sammy.”

Aveva detto abbandonando le membra stanche sul primo letto che gli si presentò davanti quella sera.  White Oak Motel, Lowndesboro.
Escludendo due brevi soste in autogrill, discrete e veloci - molto più di quanto lo erano state ai tempi in cui erano braccati dall’FBI - erano stati su strada per ben undici ore.
Undici ore fatte tutte d’un fiato con il solo obiettivo di andare a rintanarsi in questo buco sperduto dell’Alabama.
No, non era una meta stabilita sin dall’inizio – ma Dean l’aveva sentita sufficientemente lontana dal Northern Indiana General Hospital, dunque andava più che bene.

Baby era stata dalla sua parte, come sempre. Fedele compagna di ogni sua corsa, aveva macinato chilometri su chilometri sfiorando a volte le 75 miglia orarie* senza batter ciglio, ed il suono del suo motore contro l’asfalto freddo era il sottofondo più adatto a quel momento, il più bello che riuscisse a immaginare.

Dean aveva sedici anni l’ultima volta che varcare un confine di stato gli aveva procurato una così prorompente scarica adrenalinica nelle vene. Sedici anni, ed un fratellino di dodici travestito da femmina che aveva fatto scappare da una finestra di una casa famiglia in Oklahoma.
(Sam sarebbe stato su tutti i cartoni del latte per i prossimi dieci giorni, non potevano rischiare).

“Oh, Samantha, sei proprio scema! Pensavi davvero che avrei permesso a quei figli di puttana di portarti via per sempre? Ma dico, li hai visti? Quelle teste di cazzo con il mio Sammy?”
(Giusto per dissimulare il modo imbarazzante cui lo aveva stretto a sé soffocando le lacrime quando lo raccolse da quel davanzale)

Dovevano solo provarci, a fare una cosa simile. 
Così come doveva solo provarci quello stupido strizzacervelli che aveva chiuso Sam dietro la porta blindata di un reparto psichiatrico di massima sicurezza, rabbia viscosa che si appiccicava lurida su tutto il suo essere ogni qualvolta quell’immagine si ripresentava alla sua mente.
Suo fratello accucciato al suo fianco sembrava amplificarne in qualche modo la sensazione, e quando accadeva, il piede affondava sull’acceleratore con un’impudenza e senso di sfida che Sam avrebbe trovato riprorevole.

Sam però aveva dormito quasi tutto il tempo e Dean non lo aveva disturbato, se non per mettere qualcosa nello stomaco.  Priorità.
Un berretto di lana in testa infilato delicatamente, dei guanti, e una serie di “Resta accanto a me, compriamo da mangiare e filiamocela”- ripetuti ad alta voce più di quanto fosse consapevole di aver fatto.

Sam lo aveva lasciato fare, troppo stanco per porsi interrogativi inutili.
Aveva mangiato senza alcuna protesta il cheeseburger doppio bacon che Dean gli pose sotto il naso senza neppure chiedergli se andasse bene (risposta facilmente prevedibile), ed aveva accettato anche le patatine fritte e il milkshake alla fragola.

Non parlava molto. Staccava morsi e mandava giù, semplicemente.
Di tanto in tanto, la testa dondolava stanca tra il sedile e il finestrino, alla ricerca, con scarso successo, di una punto comodo su cui adagiarsi.

“Così mi piaci.” Aveva sorriso soddisfatto Dean, mentre raccoglieva gli involucri vuoti dal grembo di Sam e li univa ai suoi prima di gettarli via.
 Aveva finito tutto, non si aspettava un simile miracolo.
Doveva seriamente esserne felice, o almeno, mostrarsi come tale – Sam avrebbe apprezzato, tant’è che aveva di riflesso risposto al sorriso accennandone uno a sua volta, stanco e provato.
Tenne per sé la fitta allo stomaco che ricevette nel costatare che di tutte le frasi che si era preparato per convincere suo fratello a cibarsi di cibo spazzatura, grasso, calorico e malsano non ne era servita nessuna.

Castiel avrà pure sanato i danni della sua mente, ma dieci giorni di insonnia, torture e digiuno erano ancora tutti lì.  Come le dita senza unghie e le ustioni sulle tempie.

Porre rimedio non sarebbe stato così facile. Dean avrebbe dovuto capirlo prima di risvegliarsi quella notte – la stessa che si era ripromesso di dormire come un neonato – con gli occhi sbarrati e le orecchie invase dal suono doloroso dei conati di suo fratello.

Dopotutto, era lui che aveva iniziato. Era lui che aveva sottratto Sam al regno dei morti, un tempo.
E la consapevolezza che da allora tutte le forze dell’universo sembravano coadiuvarsi in una sadica gara a chi riuscisse per primo a riprendersi il maltolto, cambia un po’ la percezione del tuo mondo, sviluppi dei sensi selettivi capaci di sorprenderti sempre.

“Sam!” – erano bastati due, tre colpi di tosse sospetti per avere Dean magicamente sveglio e scattante, piegato sul letto accanto al suo con una velocità che agli occhi di Sam, probabilmente avrebbe fatto sorgere il dubbio che in realtà fosse sempre stato lì.

“Sammy – hey. Hey, hey – voltati, coraggio---voltati!“

La voce era giunta in concomitanza alle sue mani, che nell’oscurità avevano cercato le spalle di Sam e lo avevano spinto velocemente su di un fianco, bloccandolo sul bordo del letto e permettendo a ciò che restava del suo cheeseburger di ricadere a terra (e un po’ pure sui suoi piedi scalzi) anziché nei polmoni di suo fratello.


Dean corrugò le sopracciglia e il suo volto si strinse in una smorfia. La mano destra era scivolata tra le scapole sporgenti, ma accarezzarle faceva sentire ancor di più il peso delle responsabilità.

Sam era dimagrito molto, troppo. La sua era una di quelle magrezza che fanno paura.
Ma un cheeseburger doppio bacon come primo pasto dopo quasi dieci giorni di digiuno? Davvero? Se c’era qualcuno che andava rinchiuso in un manicomio, quello era lui!

“Va tutto bene, va tutto bene...”

Forse lo aveva detto quando aveva sentito i primi singhiozzi ergersi tra i conati.
Forse invece aveva iniziato a dirlo sin dall’inizio, solo, non ci aveva fatto caso.

(Ma no, non lo aveva detto perché aveva visto la pozza al centro del letto. La stanza era troppo buia, il momento troppo confuso, vi era vomito ogniddove – diamine, sino a quel momento, forse neppure Sam sapeva bene cosa fosse successo!)

Sotto le carezze di Dean, Sam si irrigidì. Fu come se la posizione fetale in cui si era chiuso, una sorta di crisalide protettiva, avesse improvvisamente smesso di garantirgli la protezione che voleva.
Come se avesse temporeggiato, temporeggiato, temporeggiato e alla fine, non avesse avuto altra scelta se non quella di arrendersi.
Serrò talmente tanto i denti che Dean li sentì scricchiolare. L’aria passava a malapena.

“Toglimi le mani di dosso, togl---toglimi questi affari di dosso!“

Dita sporche, contratte e tremanti - più simili  a rami di alberi spogli che a dita, in realtà -  raggiunsero le tempie e strapparono con ciò che restava delle unghie, le garze che Dean aveva applicato sulle ustioni lasciate dall’elettroshock quando queste cominciarono ad assumere un colorito via via sempre più brutto. Si pentì di averlo fatto all’insaputa di Sam.

 “D’accordo, d’accordo, lo faccio io, sta calmo- sono solo garze! Le ho messe prima, mentre dormivi, non spaventarti, non—“

No. Non era così che funzionava. Era stato istintivo bloccargli le mani e spingerle lontano dalla testa, ma doveva imparare a controllare gli istinti d’ora in poi.

“Guarda: sono nelle mie mani, senti? Non c’è più nulla! Tolto tutto, Sammy. Tolt-”

Perchè Sam si trovò impreparato di fronte a quel terrore, completamente destabilzzato.
Con dei movimenti convulsi e scoordinati, si tirò  su dal letto prima che Dean potesse in qualche modo intervenire, e scansandolo da sé come fosse rovente, si divincolò dalle lenzuola e scappò via (Dean gli fu eternamente grato per essersi scagliato contro la porta del bagno e non quella d’ingresso).

“Sa-Sam!”

Il tonfo della porta, le ginocchia del fratello che collassano sulle piastrelle  del bagno, e poi di nuovo conati, conati vuoti, questa volta – di quelli che spezzano in due lo stomaco ma che non producono niente, nemmeno una goccia di ciò di cui ci si vorrebbe liberare.

Dean si fermò di fronte all’uscio del bagno, poggiò in silenzio la schiena al muro, e dentro di sé, si maledì.

Sam però non poteva saperlo.
Con un braccio disteso sulla tavoletta del water e la fronte pressata contro l’incavo del gomito, respirava affannosamente e rumorosamente e ad ogni suo respiro, Dean scartava una delle patetiche frasi che avrebbe voluto dire in un blando tentativo di rimettere le cose a posto.
Accese la luce solo quando non sentì più alcun rumore provenire dall’oscurità in cui il bagno era immerso.
Rimase sullo stipite però, non osò entrare.

Infastidito dal bagliore inatteso, Sam tirò istintivamente le braccia verso di sé, incrociandole sul volto.  Volse gli occhi bagnati e offesi verso Dean, e a Dean parve di vedere, sotto le ciocche bagnate di sudore, il viso del bambino di cui teneva un paio di fotografie da qualche parte nel portafogli.
Riconosceva quello sguardo; non era più lo sguardo vitreo di quei giorni; era lo stesso che gli volgeva da piccolo quando tutto andava a rotoli, quando in una caccia qualcosa era andato storto, o quando scopriva che per l’ennesima volta avrebbero dovuto cambiare scuola e città.

Sistemerò tutto, Sammy.” Diceva.
Che poi non fosse vero poco importava, all’epoca. Era solo una scusa per abbracciarlo.
Con le sue braccia riusciva ancora a coprirlo completamente da spalla in spalla, era una bella sensazione.

Poi Sam crebbe, e farlo adesso non era il caso.
La sensazione che avrebbe provato nello scoprire che Sam era dimagrito così tanto da riuscire a cingerlo allo stesso modo, sarebbe stata differente.
Dean deglutì qualcosa di simile al fiele.

“In effetti ci vuole una certa esperienza prima di poter divorare un cheeseburger doppio bacon come quello di ieri sera. Tutti quegli anni passati a tofu e insalatine ti hanno distrutto lo stomaco, fratello...ci vorra’ del tempo....”

Sam scollò il mento dal petto e alzò gli occhi. Schiuse la bocca sporca, dava vagamente l’impressione di uno che volesse ascoltare con estrema cura ciò che Dean aveva da dirgli.
Era solo un’impressione però, lo sapeva bene.
Dean cercava di farsi una vaga idea di quanto gli fosse concesso fare in quell’istante, e cercava una risposta proprio lì, nell’immagine confusa di suo fratello, che gonfiava e  sgonfiava il petto come un uccello in inverno, interrotto di tanto in tanto da dei colpi di tosse grassi e soffocanti.

Poi, di colpo, qualcosa cambiò.
Sbatté le palpebre un paio di volte, i suoi occhi presero vita, si mossero veloci.
Quasi come se si fosse realmente svegliato adesso, le sue pupille sembrarono mettere per la prima volta a fuoco l’ambiente in torno a sé. Scrutarono qua e la stanza, la figura ritta e imponente di suo fratello, poi chinò il capo, guardò sé stesso, con lo stesso stupore di chi si fosse all’improvviso ricordato di avere un corpo. Un corpo alieno, qualcosa che lo indispose.
Scostò le braccia da sé quasi fosse contaminato, il suo volto si chiuse in un’inaspettata quanto sul momento incomprensibile smorfia di disgusto.
(Più avanti, invece, proprio quella smorfia avrebbe aiutato Dean a catalogare quell’istante come ‘l’istante in cui Sam si accorse di tutto’. Una sorta di momento X, per farla breve)

“Dean—?”

Tirò sù il capo,

“Hey.” 

Dean tirò un respiro di sollievo a sentire il sono rauco del suo nome. Certo, venne fuori con il tono di un uomo procinto a comunicare una disgrazia, ma non importava.
Perché Dean aveva già allentato la tensione sulle spalle e un sorriso era affiorato sulle sue labbra.
Ma fu troppo ottimista a prendere quel richiamo e come un segno di sdoganamento.
Fece solo la mossa di coprire  la distanza che lo separava, perché il solo tentativo fu sufficiente a far sobbalzare Sam tramutandolo in un nugolo di nervi e terrore peggiore di quello di prima.
Trasalì,  tirandosi indietro di scatto.
La schiena aderì con un tonfo alle piastrelle della vasca da bagno alle sue spalle e  l’accenno di un grido lasciò le sue labbra, il resto riuscì a soffocarlo.

“Non--!”

Tentò di riprendere fiato, di riacquistare la calma. Chiuse gli occhi che poco prima aveva sgranato e tentò di far fuoriuscire dalle narici tutta l’aria che aveva inalato in eccesso.
Il tremore era aumentato, anzi. Era diventato così evidente da sembrare un attacco epilettico e ogni tentativo di parola gli veniva come mozzato in gola sul nascere.

“Non ti avvicinare.”

Sebbene sussurrato, la frase non perse niente dell’intento intimidatorio con cui era stata pensata.
Le labbra di Dean si schiusero sorprese. Non riconosceva suo fratello in quel sibilo veloce e minaccioso.

Con il braccio teso e il palmo della mano destra spalancato, Sam lo aveva bloccato come, un tempo, era in grado di fare con i demoni.

Beh – più o meno. Ai tempi non vi era ancora un simile terrore nel suo volto, ma comunque...

Dean si fermò. E indietreggiò. Tornò giusto sullo stipite della porta, linea di demarcazione di una distanza che riconobbe non aver ancora raggiunto.
 Non poteva vedersi, ma già immaginava che orrore dovevan essere le sue sopracciglia aggrottate e lo sguardo sconvolto che stava mostrando a Sam.
Doveva fare qualcosa, ma prima ancora  di poter pensare cosa, Sam lo precedette.

“Sto bene-” Sam si passò una mano sul volto, poi tossì ancora.
Dean ebbe l’impressione che stesse battendo i denti

“Sto bene. Ma non ti avvicinare.”

“Okay. D’accordo. Non mi avvicino...stai tranquillo, Sammy. Non lo farò.”

Sollevò i palmi delle mani aperte in segno di resa, solo a quel punto Sam abbassò il braccio teso.
Tirò su col naso e chinò gli occhi bagnati. Dava l’idea di essere ghiacciato, sotto quella misera T-shirt  larga che copriva le gambe nude.

 “Sicuro di stare bene?”

Sam, in risposta tentò di abbozzare un sorriso, che trovò così patetico da cancellare subito con una smorfia nervosa e scomposta.
Non ci provò più. Limitarsi ad annuire era più semplice.

Così lo fece. Annuì a occhi bassi, scrollandosi con il movimento alcune lacrime che Dean si domandò quando fossero apparse, cazzo.

Cazzo.

“D’accordo. Fai una doccia calda adesso,  io vado a prenderti degli abiti puliti.”

Voce calma e rilassata. Sam non avrebbe mai creduto riflettesse le emozioni reali del fratello, ma non aveva bisogno di nient’altro in quel momento, quindi andava bene.

“Li poggerò sul lavandino, ok?.”

“Dean.”

“Sì?”

Le labbra di Sam erano viola. Stava letteralmente morendo di freddo, ma entrambi avevano scelto di passar sopra  questo dettaglio.

“Ti dispiacerebbe se dopo andassimo via—?“
Il pianto stava di nuovo prendendo il sopravvento, era come un mostro che gli storcerva il viso in qualcosa di orrendo e contro cui Sam stava perdendo la sua lotta.


“—via da qui?”

I suoi occhi lucidi erano carichi di tutto.
Erano la preghiera silenziosa che Dean riuscì a captare.

“No...”
Dean scosse la testa,  forse il suo sguardo mostrava più preoccupazione di quanto sperava.

“No che non mi dispiace, Sammy...”

Sam annuì, e fu lesto a guardare altrove.
Dean conosceva bene quel modo di mordersi l’interno del labbro inferiore, per questo decise di non attendere la disfatta di suo fratello.

“Fai la doccia adesso. Ti aspetto fuori.”

Uscì dal bagno e socchiuse la porta alle sue spalle.

Dieci minuti dopo, quando Sam si portò fuori dal bagno ostentando una freschezza e sicurezza  lontana anni luce dal suo essere, i loro borsoni erano già accanto alla porta d’ingresso.

Per una ragione che il Dean di quella notte non si sforzò di capire, Sam rimase per un po’ a fissare il letto su cui aveva dormito.
Aveva lo sguardo di chi torna indietro in un luogo dopo essersi accorto di aver dimenticato il proprio portafogli, e poi guardando bene, lo ritrova.
Tirò un sospiro e lasciò scivolare le spalle quando, qualcosa in quell’immagine di un letto ricolmo di vomito, sembrò rilassarlo.

“Credo proprio che il caro signor Philip De Maillard non si vedrà restituire la cauzione questa volta, per cui tanto vale...”

Sogghignò Dean mentre gettava la carta di credito di un ignaro avvocato di Philadelphia nel cestino dei rifiuti e si affrettava a prelevare dallo stipite più alto dell’armadio le due coperte extra su di esso riposte.
Prima che suo fratello potesse far domande e rimproverarlo per il suo deplorevole gesto, aprì la porta dell’ingresso e si diresse verso l’impala parcheggiata giusto di fronte.

Sam però non disse nulla.
La cosa lo spaventò a morte.


“Mi metto dietro.”
Ne mimò il gesto piegando il viso lateralmente.


Se Dean si fosse illuso che fosse finita, se la sua mente avesse anche solo per un istante accarezzato l’idea che l’acqua bollente della doccia avesse portato con sé anche un po’ di quella notte,  beh –la verità adesso gli era stata schiaffata in faccia in tutta la sua flagorosa inequivocabilità.

L’imbarazzo sul tono di voce di Sam era palpabile più della brina che punse i loro volti una volta all’esterno.

“Ho ancora una strana sensazione allo stomaco e preferisco stendermi...”

L’ ennesimo, fintissimo, sorriso di quella notte si confuse con il fumo bianco di condensa che accompagnarono le sue parole.

Dean respirò, respirò ancora. Volle percepire l’aria gelida tracciare i contorni dei suoi polmoni e sentirlo dentro di sé, il peso di quella notte. Ne aveva bisogno; per tanti motivi.
Frenare quella sensazione senza nome che sentiva crescere dentro e svegliare i suoi istinti era solo uno dei tanti.

“D’accordo.”

L’autoradio non era sintonizzata su nulla in particolare. Per volontà di Sam, Dean l’aveva accesa a caso nell’esatto istante in cui aveva fatto girare la chiave, per cui, se adesso la voce sottile e tremolante di Ronnie Spector faceva risuonare la sua Be My Baby per tutta l’Impala, era giusto una casualità.

Nessuno dei due la trovò fastidiosa, il ché era discutibile.

Perchè era la stessa vocina che aveva coperto le parole di Dean quando chiese “Dove ti porto? E non dirmi ‘su una stella’, altrimenti ti lascio qui!”** – e non ottenne alcuna risposta da quella specie di cocoon (Grazie ancora per le coperte, Signor De Maillard!) raggomitolato in posizione fetale sui sedili posteriori.

Il volume era alto, era certo che Sam non lo avesse sentito.
Ma non volle neppure insistere ripetendo la domanda, dopotutto non era un interrogativo a cui serviva risposta, per cui...

E poi era bastato imboccare la interstate 20, perché la convinzione di aver dato a Sam ciò che aveva chiesto tentasse di farsi strada, e Dean si sforzò di crederci.
Massì! - Disse a sé stesso che, tutto sommato, Sam stava bene, che probabilmente da lì a poco avrebbe ripreso sonno, che con il tempo, cibo - quello vero-   e la giusta dose di riposo, Sam sarebbe tornato presto il solito, adorabile figlio di puttana di sempre.

in fondo era così – Cristo, suo fratello era sopravvissuto all’Inferno! Vuoi che sia davvero un disturbo da stress post-traumatico a distruggerlo? Ma poi – che avrebbe fatto di tanto strano quella notte? Vomitato un cheeseburger indigesto e chiesto un po’ di tranquillità? Suggerito di partire da quel luogo dimenticato da Dio in cui il suo brillante fratello aveva avuto la brillante idea di prendere una camera per la notte?
Davvero si stava preoccupando di questo?
L’Alabama...
Certo che doveva essere davvero rincoglionito per aver pensato di portarlo in un luogo simile!
Sam andava portato in Florida, piuttosto. Miami! Ecco quale sarebbe stata la loro prossima meta!
Avrebbero preso una camera al Best Western Atlantic Beach Resort e consumato cocktails in riva all’oceano per almeno venti giorni!

Avevano due, tre carte di credito che avrebbero potuto reggere il soggiorno senza alcun problema, quindi perché no?
Le immagini presero a scorrere nella mente come la pellicola di uno spot pubblicitario per vacanze in località esotiche e trovò l’idea eccitante e risolutiva, sì.  Era davveri una buona idea.

Non sapeva ancora che loro due, a Miami, non avrebbero mai messo piede.
Un leviatano con l’aspetto di un insegnante di un corso di cucina italiana aveva fatto una carneficina nel Wyoming, in una località non troppo distante da Cheyenne.
Pare che i resti dei corpi di alcuni corsisti furono ritovati dalla polizia ancora immersi nel sugo, tra patate, cipolle, sedano e pisellini surgelati.
Certo, poteva anche essere l’opera di un ‘banale’ psicopatico, ma provateci voi a convincere Sam del contrario.

“Andiamo a vedere.”  Aveva detto ripiegando il quotidiano e alzandosi dal tavolo di una stazione di servizio nei pressi di Highland Home.
Non aveva neanche atteso che Dean finisse la sua colazione, la salsiccia quasi gli rimase in gola.
Lui, ovviamente non aveva di questi problemi. Non aveva ordinato niente, e adesso la scusa per non farlo neanche tra i dieci minuti chiesti alla cameriera gli venne servita su un piatto d’argento.

Non era difficile immaginare la bitch face che avrebbe messo su se solo avesse tentato di accennare all’ipotesi che – forse - qualche altro cacciatore della zona si sarebbe potuto occupare del caso, per cui non ci provò neppure.

Ma tutto ciò sarebbe successo alle prime luci dell’alba, e il Dean di quella notte sorrideva alla strada buia delle due del mattino, crogiolandosi nell’idilliaca immagine dei loro venti giorni di tranquillità.
Senza farci caso, aveva cominciato a muovere le labbra e cantare su ritornello delle The Ronettes, stonava in modo imbarazzante, ma pazienza.
Se solo quella stronza della Spector avesse cantato un po’ più forte da coprire i singhiozzi strozzati di suo fratello, forse non avrebbe sentito impellente il bisogno di farlo.

And maybe someday we will meet, (and maybe talk and not just speak) – fine primo capitolo.
-


~Note:

* 120 km/h
** Citazione da Titanic, ma tanto l’avete riconosciuta tutti, suvvia. :3

Doveva essere una oneshot, poi però ho visto che nella mia mente stava (come al solito) diventando un mostro, e onde evitare che finissi come al solito per non scriverla mai, ho deciso di dividerla in capitoli.
Potrebbe toccare tematiche delicate e, in seguito, diventare Wincest a tutti gli effetti (non esplicito).
Io vi ho avvisati.
Thanks for reading!. :)

l titolo viene da Same Mistake di James Blunt.
Di tutti i personaggi che avete letto, non ne possiedo neppure uno. Appartengono tutti ai loro legittimi proprietari e io scrivo su di loro giusto per fargli uno screzio.

Grazie a Narcy che da un anno e mezzo (quasi due, in realtà) supporta e sopporta la mia fissa per Supernatural e che ha betato a tempo record questa fics <3



   
 
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