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Autore: il truzzo    19/11/2015    5 recensioni
Ispirandomi ad alcuni processi alle streghe della zona dell'Oltrepò ho scritto questo breve racconto.
Genere: Drammatico, Storico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Medioevo, Inquisizione
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Una ventina di metri la separavano dal patibolo, e due ali di folla schiumante di odio gli sbraitavano contro.
Le sputavano addosso, ma non si sentiva umiliata.
Le lanciavano verdura e uova marce ma non abbassava lo sguardo.
Insultavano il suo sesso, ma non si sentiva inferiore perché nata donna.
Anzi, ringraziava la sua natura perché gli aveva permesso di essere quello che era. Le aveva permesso di aiutare ammalati e storpi, donne incinte e bambini, vecchi ormai giunti alla fine del loro cammino e giovani troppo sprovveduti. Eppure era per questo che la odiavano. Era perché loro avevano avuto più da lei che dalle loro preghiere. Come cani rognosi gli abbaiavano contro, quando prima la salutavano con sorrisi falsi.
Era bella ed anche quello era una colpa, perché gli uomini la guardavano e la desideravano, mentre le altre donne erano solo madri e moglie.
Venti metri non erano tanti, ma per il suo corpo spezzato era una distanza immane. Ustionata, piagata, con le braccia spezzate, i denti strappati, il naso tagliato, dita di mani e piedi tagliate o maciullate, il suo spirito era comunque leggero e fermo. Passo dopo passo per quanto barcollasse, per quanto si piegasse da un lato all’altro non cadeva e non si inginocchiava.
Lei si sentiva leggera, perché sapeva di aver agito come strumento del divino. Non quello unico dei suoi aguzzini, ma per uno molto più antico. Nei millenni aveva cambiato molti nomi, ma per le donne come lei era la Dea, la Madre terra. Da sempre il suo passo era stato leggero perché la sentiva in ogni cosa che l’attorniava e l’aveva accettata. In cambio di questo aveva ottenuto una conoscenza che si era tramandata di donna in donna, e che né il tempo né i mostri umani erano riusciti a cancellare. Sapeva il vero nome di cose, piante e animali. Sapeva usare il mondo circostante per curare. Sapeva molte cose di chi era venuto prima di lei. Non vedeva il male in tutto quello che la circondava, ma solo un riflesso della bellezza della Dea. Giorno dopo giorno ringraziava per questa conoscenza cercando di essere partecipe di tanta bellezza.
Per questo la chiamavano Misina la stria, la masca, la strega…….
Spinta a forza su un cumolo di fascine, con della corda la legarono ad un palo.
Un prete vestito di nero gli si prostrò dinnanzi con in mano una croce, imponendogli di fare ammenda per i propri peccati se voleva salvare almeno la sua anima. Ma, se la tortura non era servita a piegarla, non sarebbe stata la volontà di uno sconosciuto a farla cedere. Lei non aveva “peccati” o azioni maligne da farsi perdonare, ma solo la sua voglia di vivere libera conscia di se stessa. Anzi rideva di quei poveri uomini che si erano sentiti toccati nella loro superiore condizione di maschi quando non la videro cedere. Con il sorriso sulle labbra devastate rifiutò, facendo scappare il prete urlante al sacrilegio.
Due uomini si staccarono dalla massa che le stava attorno ed abbassarono le torce che avevano in mano. Le fascine, che con tanta cura erano state conservate, iniziarono in breve tempo ad arrossarsi, emettendo le prime volute di fumo. Alla base del mucchio si creò un cerchio di fuoco che iniziò a risalire verso Misina. Il fumo iniziò a farla lacrimare molto prima che le fiamme arrivassero a lambirne i piedi e le vesti. E poi fu il dolore a risalire il suo corpo.
Tutto il suo essere tremava, mentre la gente urlava preda del delirio e fiera dell’esemplare punizione data in nome del loro dio. Teneva alta la testa e si guardava attorno, attraverso le lacrime ed il fumo. Sentiva che ormai il suo corpo stava per abbandonarla, ma non urlò nè pianse. Sorrise verso i mostri che le stavano attorno, perché sapeva che anche in loro c’era ancora traccia della Dea che amava e che, forse, un giorno avrebbe fatto sparire tutto quell’odio.
Appoggiò la testa al palo e chiuse gli occhi.
In breve tempo, in risposta a quel gesto, la massa urlante si azzittì. Nel nuovo e fragile silenzio tutti restarono a guardare quel sorriso svanire nel fumo.
 
   
 
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