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Autore: claws    19/11/2015    5 recensioni
Raccolta di shots riguardo pairing vari ed eventuali.
I) Zoro/Robin: «Robin aveva imparato a sfruttare il proprio potere fin da bambina: prima per gesti quotidiani, come spazzare e ripulire in casa; poi per farsi strada nel mondo degli adulti, che aveva imparato essere un brulichio di mostri dagli occhi più o meno buoni.»
II) Robin/Nami: «Nami non aveva mai avuto nessun problema con la propria altezza, visto che era perfettamente nella media essere alta un metro e settanta.»
III) Bibi/Rebecca: «Mia figlia Bibi? Oggi non è in casa, era attesa alla fiera di fumetti e videogiochi che si tiene appena fuori dalla città.»
IV) Smoker/Hina: «Hina invece pensa che Smoker dovrebbe smettere di parlare in terza persona! È irritante!»
V) Smoker/Ace: «Ti sei tagliato i capelli?»
VI) Zoro/Tashigi: «Tu cominci da un punto avvantaggiato, e non credo nemmeno che tu te ne sia accorto, Roronoa: se io adesso sono debole, non lo sarò in futuro.»
[Storia partecipante alla challenge SCEGLI IL PAIRING, SCEGLI L’IMMAGINE indetta da Nami93 sul forum di EFP]
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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De Saturis Lancibus



Mente quasi sana in un corpo sanissimo




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Robin aveva imparato a sfruttare il proprio potere fin da bambina: prima per gesti quotidiani, come spazzare e ripulire in casa; poi per farsi strada nel mondo degli adulti, che aveva imparato essere un brulichio di mostri dagli occhi più o meno buoni.

Aveva presto capito che, perché il proprio potere potesse essere sfruttato al meglio, doveva mantenere una certa prestanza fisica. Le mani e le braccia che sarebbero fiorite sul collo della sua prossima vittima dovevano essere in grado di produrre una forza non indifferente. Certo, Robin conosceva bene anche come giocare di polso e quali fossero i punti migliori su cui far leva, ma l’esercizio costante era necessario. Due anni tra le fila dei rivoluzionari le avevano permesso di affinare i riflessi e di allenarsi regolarmente: una volta riunitasi al resto della ciurma non avrebbe certo smesso di perfezionarsi.

Robin si allenava soprattutto a carico naturale, utilizzando il proprio corpo come peso su cui esercitarsi; quando però gli esercizi richiedevano misure diverse, la donna saliva presso la palestra sulla coffa. Quando bussava – ogni singola volta che bussava – Zoro le rispondeva. Praticamente lo spadaccino viveva lassù, quando erano in viaggio.

Zoro non parlava mai molto, quando si trovavano da soli nella palestra – forse perché era troppo impegnato sui propri esercizi, forse perché non aveva nulla da dire. A Robin il silenzio non dispiaceva in alcun modo; però le davano fastidio le occhiate che Zoro le rivolgeva quando lei prendeva in mano uno di quei pesi da ottanta chili e lo sollevava con quattro mani, perché nel suo sguardo c’era sia incredulità (tenuta ben nascosta, sia chiaro) che una qualche sorta di ammirazione (sempre celata il più possibile, ma Robin era un’ottima osservatrice).

L’unico rumore era quello regolare dell’espirazione durante gli esercizi.

Quel giorno Zoro si stava dedicando a una serie infinita di addominali quando Robin, dopo essersi riscaldata con una corsa sul ponte della Sunny, bussò alla porta della palestra. Le disse ad alta voce di entrare e riprese l’allenamento: quando si rialzava da terra notava con la coda dell’occhio che cosa quella donna stesse facendo.

Robin si stava avvicinando allo spadaccino, che non parve turbato da quel cambiamento di routine. Poi la donna lo superò e andò a raccogliere un peso da settanta chili, riposto a terra in fondo alla palestra. Quando Robin rientrò nel campo visivo di Zoro, si trovava davanti a lui e lo fissava con attenzione.

L’archeologa aveva uno di quegli sguardi che inchioda le vittime sul posto, ma su Zoro non avrebbe funzionato. Su di lui minacce del genere non potevano funzionare, perché vedeva oltre le intimidazioni o le provocazioni.

Per questo, guardando Robin, aveva un brutto presentimento.

«Cosa vuoi?» Le chiese, alla fine, stufo di trovarsela davanti quando avrebbe voluto soltanto allenarsi in santa pace: con l'archeologa così vicina, nessun allenamento sarebbe stato tranquillo. Quando ognuno si esercitava per conto proprio non era un problema: se fosse rimasta a distanza, la tensione non si sarebbe ispessita fino a turbarlo.

Robin rispose con estrema naturalezza. «Non mi ero mai accorta della tua pancia da alcol.»

Cosa cavolo stava dicendo, quella maledetta?!

Il silenzio che ne seguì fu degno dell’inizio di un’opera teatrale.

Certo, questa mossa di Robin aveva sorpreso Zoro e quasi gli aveva fatto perdere l’equilibrio mentale su cui si sorreggeva sempre e comunque; ma, come ormai saprete, Zoro aveva una sorta di transvisione per quanto riguardava il capire le intenzioni altrui. C’era qualcosa, dietro quell’affermazione dell’archeologa, ma non riusciva esattamente a capire cosa.

«Che diavolo vuoi, Robin?»

«Era solo un’osservazione, spadaccino. Non preoccuparti, non racconterò a nessuno il tuo segreto.»

Ma quale diavolo di segreto...! No, quella donna era il diavolo, rettifichiamo.

Robin tornò a occuparsi del proprio esercizio come se nulla fosse, lasciando Zoro in guardia e assolutamente distratto dai propri allenamenti.



Qualche settimana dopo si ripetè una scena simile: Robin era entrata nella palestra, era andata a recuperare uno dei pesi in fondo alla sala e poi si era di nuovo fermata davanti allo spadaccino, concentrato stavolta su una serie di diecimila o più piegamenti sulle braccia.

«Spadaccino, posso permettermi?»

«Cosa c’è?» Chiese Zoro, senza degnarsi di fermare il proprio infinito esercizio.

«Secondo me avresti bisogno di un carico maggiore da sollevare, per questi piegamenti.»

«Ah, sì? E quanti chili dovrei sollevare in più?»

«Direi di cominciare con cinquanta chili, poi cento, centocinquanta e così via. Posso?»

E no, senza aspettare un qualsivoglia parere dello spadaccino, Robin appoggiò cinque dischi da dieci chili ciascuno sulla schiena di Zoro, all’altezza delle vertebre lombari. Quattro mani, fiorite sui fianchi del giovane, tenevano fermi i dischi, perché non cadessero a terra; poi Robin si allontanò.

Zoro non reagì a parole, ma con un «Pff!» sibilato riprese il proprio esercizio. Era una sensazione insolita, ma non per forza spiacevole.

Per quella sessione di allenamenti non parlarono più.



A quel punto a Zoro era risultata chiara la situazione: la tensione tra lui e Robin andava risolta. (E comunque ce l’aveva ancora per quella storia della pancia da alcol, lui non aveva nessuna pancetta, accidenti a quella dannata archeologa!)

Per la terza volta Robin gli si era piazzata davanti mentre lui si stava allenando, sempre con quell’espressione indecifrabile. A volte, quando si discuteva con lei, sembrava di avere a che fare con un documento antico che spiegava, spiegava eppure lasciava in sospeso questioni diverse, dalla grafia alle glosse agli errori dovuti alla copiatura. Era frustrante, ecco.

«Per avere un buon intuito, Zoro, a volte mi sembri un po’ indietro.»

Quella era una maledetta strega e accidenti a lui che ci era cascato la prima volta, quando Robin gli aveva chiesto il permesso di entrare e svolgere gli esercizi nella palestra.

«La miglior difesa non era l’attacco?»

«Bisogna anche tenere vicini i propri nemici.» Rispose Zoro.

Il sorriso di Robin sarebbe stato anche amichevole, ma oltre – oltre era il sorriso di una Monna Lisa, enigmatico, indecifrabile. Una madonna che non rispose alla provocazione: piuttosto, lasciò che Zoro riprendesse i propri piegamenti sulle braccia, come se nulla fosse accaduto.

Zoro sapeva che Robin non sarebbe capitolata – avrebbe atteso, come un ghepardo, e quando fosse partita all’attacco sarebbe stato un colpo veloce e letale. Quei segnali che aveva mandato – quegli scambi di battute – erano come delle trappole disseminate sul percorso. La tensione, comunque, andava risolta: non era produttiva né per lei, né per lui, perché interferiva con i loro esercizi. Il loro allenamento poteva essere la differenza tra la vita e la morte, sul campo di battaglia.

«Dimenticavo.» Aggiunse Robin.

Delle manine fiorirono sul pavimento della palestra: portavano, come una catena di lavoro, un libro e una bottiglia – probabilmente di qualcosa di pregiato, vista l’etichetta.

Ecco. Robin era di nuovo davanti a lui, in piedi, aveva appoggiato gli occhiali da sole sulla panchina all’ingresso della palestra e aveva la fronte sudata per gli esercizi. Ancora quel sorriso incomprensibile.

Zoro non aveva paura delle donne e non aveva paura di far loro del male, per quanto una marmocchia della Marina cercasse sempre di affermare il contrario nei suoi confronti: si poteva però dire che trovava difficile capirle. A volte il loro comportamento non sembrava avere una logica; a volte – e questo capitava soprattutto con Robin – la logica c’era, ma era estremamente contorta, almeno agli occhi di Zoro, pur sempre attento, pur sempre veloce a reagire.

«Questo libro è molto interessante. Penso che potrebbe tornarti utile negli allenamenti.»

Rimasero in silenzio ancora un paio di minuti. Da terra – visto che si trovava ancora nel mezzo di una serie di diecimila piegamenti –, Robin gli sembrava ancora più alta e ancora più matura. Cosa avevamo detto riguardo manoscritti antichi? Rimaneva indecifrabile.

«Cosa vuoi davvero, Robin?»

«Sciogliere la tensione.»

Un altro silenzio.

«Non è quello che vuoi anche tu?»

Chi tra i due era più perspicace? Perché Robin avrebbe aspettato che fosse Zoro a fare la prima mossa, però lo stuzzicava abbastanza da fargli venir voglia di esporsi per primo. Meglio rispondere a quella domanda con un’altra domanda, prima di svelarsi completamente.

«Sentiamo. Cosa si dice in quel libro?»

«Dà un paio di consigli sul peso da sfruttare e sull’instaurare un sistema di retribuzione al termine della sessione di allenamento. Ho qui la ricompensa per te.»

E una manina sbocciata sul pavimento agitò la bottiglia.

Robin continuò: «Dal momento che anch’io devo mantenermi in allenamento, pensavo di aiutarti. Permetti?»

Zoro grugnì qualcosa sulla linea di un «Pff!» e annuì, fissando Robin negli occhi. La guardò appoggiare l’asciugamano su un braccio e avvicinarglisi con scioltezza. Fu stupito – e un po’ divertito, perché era comunque una sfida – quando Robin gli si sedette senza troppi preamboli sulla schiena: Zoro non abbassò la testa di un millimetro e le sue braccia non si piegarono sotto il peso della donna.

Altre mani fiorite recuperarono un piccolo peso da terra e lo consegnarono a Robin. Zoro non cedette neanche sotto quel peso: si chiese, invece, quale sarebbe stata la ricompensa di Robin al termine degli esercizi. Non era un pensiero spiacevole, era proprio come la sensazione delle mani di Robin che reggevano i pesi sulla sua schiena, qualche giorno prima.

«A che piegamento eri arrivato?»

«Novemilasettecentotrentuno in una serie di diecimila.»

«Direi che potrebbe andare. Continua pure, non preoccuparti di me.»

Robin aveva delle lunghe gambe che rientravano nella visione periferica di Zoro. Per quanto potesse cercare di ignorarle, quelle erano sempre lì, in un angolino dei suoi occhi, statuarie come Robin stessa, nella sua interezza, era statuaria. Riprese i piegamenti cercando di non mostrarsi turbato.

Poteva sempre dire che Robin aveva cominciato: sì, poteva farlo, ma entrambi sapevano che non sarebbe stato vero (e comunque sarebbe stato molto infantile, in questo modo). Poteva rinfacciarle tutti quegli indizi che lei aveva lasciato in giro, ma Robin avrebbe sorriso con quell’espressione che lo accusava di cercare scuse. Poteva semplicemente fare il primo passo e stupirla, riprendendosi così una piccola vendetta nei suoi confronti.

Sì. Forse raggiunti i diecimila piegamenti avrebbe potuto colpire per primo – ed essere soddisfatto di essere l’attaccante, tra loro due. Il pensiero gli fece incurvare le labbra in un piccolo «Pff!» con cui già s’immaginava la vittoria.

Robin, seduta sulla sua schiena, sorrideva in quella maniera impenetrabile da Gioconda. Tutto andava secondo i suoi piani – tutto andava secondo la sua logica e i suoi sentimenti.



Novemilanovecentonovantanove


La palestra presto divenne luogo di risoluzione di tensioni e di conoscenza reciproca.











Note Autrice:

Ok, sono un po’ in dubbio, ma ci siamo. Quando ho visto la challenge di Nami93 sono andata a guardarmi tutte le immagini, e questa, assieme a qualche altra, ha catturato la mia attenzione. Mi piace molto parlare di personaggi difficili, un po’ complicati nei pensieri e negli atteggiamenti, quindi eccomi qua. Spero che non vi siano sembrati OOC, non ne era mia intenzione, e spero di non aver scritto castronerie.

Il loro rapporto in questa shot rientra nella categoria UST (unresolved sexual tension), per cui, non so, spero di essere rimasta nel tema della challenge: sono occhiate, sono silenzi, sono tentativi di scoprire il fianco dell’avversario (metaforicamente o no?). E poi Zoro non ammetterebbe di pensare a cose del genere (e Robin non ne parlerebbe, credo), quindi mi sono sentita un po’ “costretta” nel muoverli in questo modo.

E scusatemi, ma con tutto quello che beve Zoro deve avere un po’ di pancetta da alcol. Oda non ce la fa vedere perché altrimenti la storia sarebbe troppo verosimile (???), ma... almeno un pochino. Sosterrò questa idea con tutte le forze dei miei due neuroni. Robin invece è bellerrima (???) e non dico altro, lei non ha la pancetta da alcol, al massimo ha i collegamenti neurali da paura dovuti al caffè. Non so cosa sto dicendo.

Il titolo della raccolta, sperando di non aver scritto orrori in latino, riprende il concetto del satura lanx: cioè di un piatto riempito con frutti diversi da offrire agli dei. Siccome utilizzare il termine Satura mi sembrava eccessivo, mi sono concentrata sul termine lanx ad indicare la varietà di pairings di cui scriverò, se mai ci riuscirò.

Non so esattamente quando questa raccolta verrà aggiornata, più che altro perché non ho altre shots pronte, al momento. (Sappiate però che saranno sia het che slash che femslash, perché sì. Mi diverto.)

Ovviamente l'immagine non è mia. Se qualcuno riuscisse a dirmi chi fosse l'autore o l'autrice della fanart, sarei molto felice di dar loro i credits.

Grazie per aver letto. ;)

Stay safe!

claws_Jo





Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Eiichiro Oda; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

  
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